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registrata presso il Tribunale di Patti Reg. n. 197 del 19/07/2006
Urbanistica e edilizia - Pertinenze urbanistiche - Soppalchi - Sanatoria e
condono - Opere abusive - D.i.a. - Applicabilità - Presupposti - Limiti -
Manutenzione straordinaria - Restauro e/o risanamento conservativo -
Ristrutturazione - Fattispecie. Non è applicabile il regime della d.i.a. a
lavori edilizi che interessino manufatti abusivi che non siano stati sanati né
condonati in quanto gli interventi ulteriori (sia pure riconducibili, nella loro
oggettività, alle categorie della manutenzione straordinaria, del restauro e/o
risanamento conservativo, della ristrutturazione, della realizzazione di opere
costituenti pertinenze urbanistiche) ripetono le caratteristiche di
illegittimità dell’opera principale alla quale ineriscono strutturalmente. Nella
specie, il Tribunale nell'ordinanza impugnata, ha dato conto, con motivazione
adeguata, di avere compiuto quella "attenta valutazione del pericolo derivante
dal libero uso" dei capannoni abusivi illecitamente realizzati e
"ristrutturati": a fronte della sostanziale creazione (attraverso la
realizzazione dei soppalchi) di ulteriori superfici praticabili e
all'aggravamento del carico urbanistico sulle infrastrutture preesistenti,
oggettivamente configurabile sia come ulteriore domanda di strutture ed opere
collettive, sia in relazione alle prescritte dotazioni minime di standards nella
zona urbanistica interessata (D.M. 2.4.1968, n. 1444). Pres. Postiglione - Est.
Fiale - Ric. Pagano. CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. III, 21 giugno 2006
(c.c. 19/04/2006), Sentenza n. 21490
Urbanistica e edilizia - Procedura e varie - Sequestro preventivo di
costruzione abusiva ultimata - Ammissibilità - Presupposti. Il sequestro
preventivo di cosa pertinente al reato è consentito anche nel caso di ipotesi
criminosa già perfezionatasi, purché il pericolo della libera disponibilità
della cosa stessa - che va accertato dal giudice con adeguata motivazione -
presenti i requisiti della concretezza e dell'attualità e le conseguenze del
reato, ulteriori rispetto alla sua consumazione, abbiano connotazione di
antigiuridicità, consistano nel volontario aggravarsi o protrarsi dell'offesa al
bene protetto che sia in rapporto di stretta connessione con la condotta
penalmente illecita e possano essere definitivamente rimosse con l'accertamento
irrevocabile del reato. (CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. Un. 29.1.2003, sentenza
n. 2 - Innocenti). Pres. Postiglione - Est. Fiale - Ric. Pagano. CORTE DI
CASSAZIONE PENALE Sez. III, 21 giugno 2006 (c.c. 19/04/2006), Sentenza n. 21490
Urbanistica e edilizia - Procedura e varie - Reati edilizi o urbanistici -
Sequestro - Profilo della offensività - Valutazione del giudice. In tema di
reati edilizi o urbanistici, "spetta al giudice di merito, con adeguata
motivazione, compiere una attenta valutazione del pericolo derivante da libero
uso della cosa pertinente all'illecito penale. In particolare, vanno
approfonditi la reale compromissione degli interessi attinenti al territorio ed
ogni altro dato utile a stabilire in che misura il godimento e la disponibilità
attuale della cosa, da parte dell'indagato o di terzi, possa implicare una
effettiva ulteriore lesione del bene giuridico protetto, ovvero se l'attuale
disponibilità del manufatto costituisca un elemento neutro sotto il profilo
della offensività". Pres. Postiglione - Est. Fiale - Ric. Pagano. CORTE DI
CASSAZIONE PENALE Sez. III, 21 giugno 2006 (c.c. 19/04/2006), Sentenza n. 21490
Urbanistica e edilizia - Manufatto abusivo - Provvedimento cautelare di
sequestro - Edifici sforniti di certificato di agibilità - Impedimento della
libera disponibilità - Art. 221 del T.U. leggi sanitarie. In materia
urbanistica, tra le specifiche conseguenze antigiuridiche che, ex art. 321 c,p.p.,
possono determinarsi a causa del mancato impedimento della libera disponibilità
del manufatto abusivo, ben può farsi rientrare la perpetrazione dell'illecito
amministrativo sanzionato dall'art. 221 del T.U. delle leggi sanitarie (divieto
di abitare gli edifici sforniti di certificato di agibilità), non inquadrabile
"nella agevolazione di commissione di altri reati", ma certamente costituente
una situazione illecita ulteriore prodotta dalla condotta (la libera
utilizzazione della cosa) che il provvedimento cautelare è finalizzato ad
inibire (principio ribadito da Cass., Sez. III, 21.1.2005, Cappa; si veda però -
in senso contrario - Cass., Sez. III, 6.7.2004, Sardi). Pres. Postiglione - Est.
Fiale - Ric. Pagano. CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. III, 21 giugno 2006
(c.c. 19/04/2006), Sentenza n. 21490
Udienza Camera di consiglio del 19.4.2006
SENTENZA N. 431
REG. GENERALE n. 48292/2005
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
Composta dagli III.mi Signori
1. Dott. Amedeo POSTIGLIONE Presidente
2. Dott. Francesco MANCINI Consigliere
3. Dott. Mario GENTILE Consigliere
4. Dott. Aldo FIALE Consigliere
5. Dott. Giovanni
AMOROSO Consigliere
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da PAGANO Romualdo, n. a San Marcellino
l'11-5-1956 avverso l'ordinanza 18-10-2005 del tribunale per il riesame di
Napoli
Sentita la relazione fatta dal
Consigliere M. Aldo FIALE
Udito il pubblico ministero nella persona del dr. M. FRATICELLI che ha concluso
per il rigetto del ricorso
FATTO E DIRITTO
Il G.I.P. del Tribunale di Napoli, con ordinanza del 16.8.2005, disponeva il
sequestro preventivo, in agro del Comune di Arzano, di alcuni capannoni
industriali e di un manufatto di circa 30 mq., interessati da lavori edilizi
eseguiti in assenza del permesso di costruire.
In particolare, il manufatto era
stato realizzato ex novo, mentre i predetti capannoni industriali erano
stati accorpati, con realizzazione pure di soppalchi interni.
La misura di cautela reale veniva disposta nei confronti (anche) di Pagano
Romualdo, indagato per il reato di cui all'art. 44, Lett. b), del T.U. n.
380/2001.
Il Tribunale di Napoli - con ordinanza del 18.10.2005 - rigettava l' istanza di
riesame proposta (anche) nell'interesse del Pagano.
Avverso tale ordinanza ha proposto ricorso l'indagato, il quale - limitando
espressamente le proprie doglianze al solo sequestro dei capannoni industriali,
con esclusione del manufatto realizzato ex novo - ha eccepito:
a) la inconfigurabilità dell'ipotizzato reato, poiché gli eseguiti lavori di
accorpamento e realizzazione di soppalchi interni "non hanno determinato alcuna
alterazione planovolumetrica dei capannoni già esistenti ed oggetto di
precedente istanza di condono edilizio" ai sensi della legge n. 724/1994.
Secondo l'assunto difensivo, "le pratiche di condono edilizio relative ai
predetti capannoni industriali, allo stato, non risultano ancora esaminate
dall'ufficio tecnico comunale e, in particolare, due di tali pratiche sono state
sottoposte a sequestro, mentre una soltanto è terminata con concessione edilizia
in sanatoria". Sulle domande stesse, però, non essendo intervenuto un
provvedimento comunale negativo, si sarebbe formato assentimento per silenzio,
ex art. 39, comma 4, della legge 724/1994.
I lavori successivamente eseguiti ed oggetto di contestazione integrerebbero
attività di "ristrutturazione edilizia", che non ha comportato "aumento
di unità immobiliari, modifiche del volume, della sagoma, dei prospetti o delle
superfici", sicché non sarebbero soggetti a permesso di costruire ma soltanto a
denuncia di inizio dell'attività;
b) l'insussistenza del periculum in mora, tenuto conto della ultimazione
della opere, che comporterebbe il venire meno di ogni esigenza di cautela.
Il ricorso deve essere rigettato, poiché infondato,
1. In ordine alla prima doglianza, invero, deve affermarsi il principio secondo
il quale non é applicabile il regime della D.I.A, a lavori edilizi che
interessino manufatti abusivi che non siano stati sanati né condonati, in
quanto gli interventi ulteriori (sia pure riconducibili, nello loro oggettività,
alle categorie della manutenzione straordinaria, del restauro e/o risanamento
conservativo, della ristrutturazione, della realizzazione di opere costituenti
pertinenze urbanistiche) ripetono le caratteristiche di illegittimità dall'opera
principale alla quale ineriscono strutturalmente.
Nella specie, comunque, il Tribunale ha evidenziato che risulta presentata una
D. I. A. riguardante esclusivamente "rifacimento pavimentazione, impiantistica,
rifazione intonaci, pitturazione e sostituzione di alcuni parti di copertura" e
nel relativo procedimento l 'Amministrazione ha esercitato il potere inibitorio
"per carenza di documentazione".
Il presupposto difensivo, secondo il quale le domande di condono edilizio
dovrebbero ritenersi assentite per silenzio, costituisce una mera affermazione
non riscontrata e non riscontrabile, in quanto non risulta che i capannoni
abusivamente realizzati avessero i requisiti prescritti dalla legge per
usufruire del condono, né che sia stata fedelmente prodotta tutta la prescritta
documentazione, né che siano state integralmente corrisposte le somme
effettivamente dovute a titolo di oblazione e per gli oneri concessori.
Elementi di forte sospetto derivano, anzi, dalla prospettazione dello stesso
ricorrente secondo la quale "due di tali pratiche sono state sottoposte a
sequestro".
2. Le Sezioni Unite di questa Corte Suprema - con la sentenza 29.1.2003, n. 2,
Innocenti - hanno ritenuto ammissibile il sequestro preventivo di una
costruzione abusiva già ultimata, affermando che:
- il sequestro preventivo di cosa pertinente al reato è consentito anche nel
caso di ipotesi criminosa già perfezionatasi, purché il pericolo della
libera disponibilità della cosa stessa - che va accertato dal giudice con
adeguata motivazione - presenti i requisiti della concretezza e dell'
attualità e le conseguenze del reato, ulteriori rispetto alla sua
consumazione, abbiano connotazione di antigiuridicità, consistano nel volontario
aggravarsi o protrarsi dell'offesa al bene protetto che sia in rapporto di
stretta connessione con la condotta penalmente illecita e possano essere
definitivamente rimosse con l'accertamento irrevocabile del reato;
- in tema di reati edilizi o urbanistici, "spetta al giudice di merito, con
adeguata motivazione, compiere una attenta valutazione del pericolo derivante da
libero uso della cosa pertinente all'illecito penale. In particolare, vanno
approfonditi la reale compromissione degli interessi attinenti al
territorio ed ogni altro dato utile a stabilire in che misura il godimento e
la disponibilità attuale della cosa, da parte dell'indagato o di terzi, possa
implicare una effettiva ulteriore lesione del bene giuridico protetto, ovvero se
l'attuale disponibilità del manufatto costituisca un elemento neutro sotto il
profilo della offensività";
- tra le specifiche conseguenze antigiuridiche che, ex art. 321 c,p.p., possono
determinarsi a causa del mancato impedimento della libera disponibilità del
manufatto abusivo, ben può farsi rientrare la perpetrazione dell'illecito
amministrativo sanzionato dall'art. 221 del T.U. delle leggi sanitarie (divieto
di abitare gli edifici sforniti di certificato di agibilità), non
inquadrabile "nella agevolazione di commissione di altri reati", ma certamente
costituente una situazione illecita ulteriore prodotta dalla condotta (la libera
utilizzazione della cosa) che il provvedimento cautelare è finalizzato ad
inibire (principio ribadito da Cass., Sez. III, 21.1.2005, Cappa; si veda però -
in senso contrario - Cass., Sez. III, 6.7.2004, Sardi).
Il Tribunale di Napoli, nell'ordinanza impugnata, ha dato conto, con motivazione
adeguata, di avere compiuto quella "attenta valutazione del pericolo derivante
dal libero uso" dei capannoni abusivi illecitamente realizzati e
"ristrutturati", secondo il riferito orientamento delle Sezioni Unite: a fronte
della sostanziale creazione (attraverso la realizzazione dei soppalchi)
di ulteriori superfici praticabili, invero, ha fatto corretto riferimento
all'aggravamento del carico urbanistico sulle infrastrutture preesistenti,
oggettivamente configurabile sia come ulteriore domanda di strutture ed opere
collettive, sia in relazione alle prescritte dotazioni minime di standards
nella zona urbanistica interessata (D.M. 2.4.1968, n. 1444).
3. Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle
spese del procedimento.
P.Q.M.
la Corte Suprema di Cassazione, visti gli artt. 127 e 325 c.p.p.,
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali.
Così deciso in ROMA, nella camera di consiglio del 19.4.2006-
Il consigliere relatore
Il presidente
Aldo FIALE
Amedeo POSTIGLIONE
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