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registrata presso il Tribunale di Patti Reg. n. 197 del 19/07/2006
RIFIUTI - Gestione dei rifiuti - Qualifica di “sottoprodotto” - Fanghi
provenienti dalla lavorazione di materiali lapidei - Esclusione - Requisito
della certezza del riutilizzo del materiale - Dimostrazione attraverso riscontri
oggettivi - Necessità - Art. 183, lett. n) D. Lgs. 3/04/2006 n. 152. In tema
di rifiuti, va esclusa la qualifica di “sottoprodotto” ai fanghi provenienti
dalla lavorazione di materiali lapidei allorquando manchi la certezza che gli
stessi possono essere e sono effettivamente riutilizzati nel medesimo o in
analogo o diverso ciclo produttivo o di consumo senza subire alcun intervento
preventivo di trattamento e senza recare pregiudizio all'ambiente. Il requisito
della certezza del riutilizzo del materiale, non può essere comprovato dalle
mere dichiarazioni testimoniali di dipendenti della società ma deve essere
suffragato da riscontri oggettivi, quali l’annotazione nei registri di carico e
scarico, la documentazione del trasporto presso i cantieri ove sarebbe avvenuto
il riutilizzo ed in presenza di rilevi diretti della PG che documentino, in
relazione all’altezza ed al grado di essiccazione dei cumuli una prolungata
giacenza degli stessi sul luogo di deposito. Pres. Postiglione Est. Ianniello
Ric. Giannecchini. CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. III, 21 giugno 2006 (c.c.
25/05/2006), Sentenza n. 21512
Udienza camera di consiglio del 25/05/2006
SENTENZA N.00630/2006
REG. GENERALE n. 013911/2006
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
Composta dagli III.mi Signori
Dott. POSTIGLIONE
AMEDEO Presidente
1. Dott. TERESI ALFREDO Consigliere
2. Dott. GENTILE MARIO Consigliere
3. Dott. FRANCO AMEDEO Consigliere
4. Dott. IANNIELLO ANTONIO Consigliere
ha pronunciato la seguente
SENTENZA / ORDINANZA
sul ricorso proposto da :
1) GIANNECCHINI ENRICO N. IL 27/05/1947 avverso ORDINANZA del 27/02/2006 TRIB.
LIBERTA' di LUCCA
sentita la relazione fatta dal Consigliere IANNIELLO ANTONIO
lette/sentite le conclusioni del P.G. Dr. Passacantando - rigetto del ricorso
Udito il difensore Avv. Giuseppe DATI
La Corte osserva:
Enrico Giannecchini, rappresentante legale della impresa di costruzioni ICES
s.p.a. è indagato in ordine al reato di cui agli artt. 81 e 110 cpv. c. p., 51,
commi 1 e 3 D.Lgs. n. 22/97, per avere effettuato, in assenza della prescritta
iscrizione, una gestione di rifiuti speciali non pericolosi, costituiti dai
fanghi provenienti dall'attività di frantumazione e lavaggio degli inerti
esercitata.
In relazione a tale ipotesi investigativa, in data 15 novembre 2005 la P.G.
aveva sequestrato un'area di circa 6000 mq, sita in Massarosa, via del
Pioppogatto, sulla quale insisterebbe un rilievo realizzato con accumuli di
fanghi da lavaggio inerti di circa 35.000 mc., provenienti dall'impianto della
società in Pietrasanta. La polizia giudiziaria, nella relativa relazione al P.M.
aveva rilevato che l'accumulo doveva ritenersi vero stoccaggio di rifiuti, dei
quali dai registri non era ricavabile la presa in carico e quindi la
provenienza. Inoltre, dai medesimi registri non risultavano effettuati, secondo
la P. G., trasporti altrove per l'avvio dei fanghi a smaltimento o recupero
autorizzati.
Su richiesta del P. M., il G.I.P. presso il Tribunale di Lucca aveva con decreto
del 17 novembre 2005 convalidato il sequestro preventivo ritenendo sussistente
il fumus in base alle notizie ricevute dalla P.G. e motivando, quanto al
periculum derivante dalla disponibilità dell'area, con la valutazione che
la stessa avrebbe sicuramente comportato la prosecuzione dell'utilizzo del luogo
come discarica di rifiuti speciali non pericolosi.
Con successivo decreto del 16 gennaio 2006, il medesimo G.I.P. di Lucca aveva
esteso il sequestro ad un'ulteriore area di mq. 15.540 contigua alla precedente,
avendo avuto la segnalazione dalla P.G. del fatto che anche in tale luogo era
stato effettuato altro deposito di fanghi derivanti dalla lavorazione di
materiali lapidei da parte della ICES s.p.a.
Su successiva istanza di revoca del provvedimento di sequestro, avanzata dai
difensori dell'indagato, il G.I.P., col parere contrario del P.M., aveva in data
25 gennaio 2006 rigettato l'istanza.
Con successivo appello presentato il 13 febbraio 2006 l'indagato aveva richiesto
l'annullamento del provvedimento del G.I.P., ma il Tribunale di Lucca ha
rigettato la richiesta con ordinanza del 27 febbraio 2006, qualificando i fanghi
provenienti da impianto di lavaggio di materiali inerti come rifiuti speciali,
ai sensi dell'art. 7 del D. Lgs. n. 5 febbraio 1997 n. 22.
Il Tribunale ha infine aggiunto che anche a voler seguire la tesi della difesa
che nega tale qualificazione alla stregua della lettura da questa proposta della
legge interpretativa n. 178 del 2002, mancherebbe nel caso di specie il
presupposto richiesto dal 2° comma dell'art. 14 di tale legge, essendo dagli
atti contrastata l'affermazione secondo la quale i fanghi in parola vengono
utilizzati dalla società in altri cicli produttivi.
Avverso tale ordinanza propone ora ricorso per cassazione l'indagato, a mezzo
del proprio difensore, ribadendo la propria interpretazione delle norme di legge
in materia di rifiuti e di quelle contenute nella legge interpretativa del 2002,
anche alla luce della sentenza della Corte di giustizia n. 457 dell' 11.11.2004
e lamentando in tale quadro di riferimento normativo la carenza assoluta di
motivazione della ordinanza in ordine al primo motivo di appello avanti al
Tribunale, ove l'appellante avrebbe documentato che gli accumuli di fanghi
provenienti da un impianto di lavaggio di materiali inerti non erano depositati
in loco da moltissimo tempo ma venivano depositati con un ritmo ed una quantità
tale che quelli presenti non datavano da più di un anno - un anno e mezzo mentre l'area era
nella disponibilità della società da nove anni. Da ciò deriverebbe la
conclusione che i materiali in questione, depositati a partire da nove anni
prima, venivano periodicamente riutilizzati in altri cicli produttivi della
società.
MOTIVI DELLA DECISIONE
La difesa del ricorrente sostiene che i fanghi provenienti da un impianto di
lavaggio di inerti della società e accumulati nell'area sequestrata non
sarebbero qualificabili come rifiuti alla stregua della legislazione vigente, in
particolare, l'art. 6, comma 1° lett. a) del D.Lgs. 5 febbraio 1997 n. 22, come
interpretato dall'14 del D.L. 8 luglio 2002 n. 138, convertito con modificazioni
nella legge 8 agosto 2002 n. 178, in quanto destinati ad essere riutilizzati
dall'impresa medesima in diversi lavori edili oggetto dell'attività della
stessa.
La norma interpretativa da ultimo indicata esclude infatti che ricorra l'ipotesi
di "sostanza di cui il detentore...abbia deciso o abbia l'obbligo di
disfarsi", secondo la nozione mutuata dalla disciplina comunitaria della
materia, per "i beni o sostanze materiali residuali di produzione o di
consumo ove sussista una delle seguenti condizioni: a) se gli stessi possono
essere e sono effettivamente riutilizzati nel medesimo o in analogo o diverso
ciclo produttivo o di consumo senza subire alcun intervento preventivo di
trattamento e senza recare pregiudizio all'ambiente; b)omissis..."
Quest'ultima esclusione, ripresa dall'art. 183, lett. n) del recente D. Lgs. 3
aprile 2006 n. 152, sia pure in termini parzialmente diversi, di individuazione
della nozione di "sottoprodotto" non soggetto alle disposizioni di cui alla
parte quarta del medesimo decreto, era stata sospettata di contrastare con la
disciplina comunitaria di cui alla direttiva del Consiglio del 15 luglio 1975 n.
75/442/CEE, come modificata dalla direttiva 18 marzo 1991 n. 91/156/CEE nonché
dalla decisione della Commissione 24 maggio 1996 n. 96/350/CE, dal Tribunale di
Terni, che ne aveva fatto uno degli oggetti di una domanda pregiudiziale alla
Corte di Giustizia CE.
Con sentenza n. 457 dell' 11 novembre 2004, la Corte di giustizia ha al riguardo
precisato che "è ammesso, alla luce degli obiettivi della direttiva 75/442,
qualificare un bene, un materiale o una materia prima derivante da un processo
di fabbricazione o di estrazione" (ma non i residui di consumo, come poi
specificato dalla medesima decisione) "che non è principalmente destinato a
produrlo non come rifiuto, bensì come sottoprodotto di cui il detentore non
desidera disfarsi ai sensi dell'art. 1, lett. a) primo comma di tale direttiva,
a condizione che il suo riutilizzo sia certo, senza trasformazione preliminare e
nel corso del processo di produzione".
Ciò precisato sul piano del quando normativo di riferimento, la censura di
carenza assoluta di motivazione o di motivazione meramente apparente
dell'ordinanza impugnata, come tale concretante, secondo la giurisprudenza di
questa Corte (cfr., per tutte, Cass. S.U. 13 febbraio 2004 n. 5876) un vizio di
violazione di legge, denunciabile, ex art. 325, 1° comma c.p.p. e a differenza
del vizio di illogicità della motivazione, col ricorso per cassazione avverso le
ordinanze di riesame e di appello in materia di provvedimenti cautelari reali,
appare infondata.
Contrariamente a quanto denunciato dalla difesa del ricorrente, il Tribunale ha
infatti specificatamente preso in esame il primo motivo di appello, laddove
l'appellante rilevava che alcune testimonianze anche di persone ascoltate dalla
polizia giudiziaria avevano riferito che la società effettuava 7-8 viaggi
trasporti giornalieri di fanghi nell'area in sequestro.
Considerata la documentata capienza
dei camions della ICES, un semplice calcolo matematico avrebbe dimostrato che
l'accumulo nelle quantità rilevate si era realizzato in non più di un anno-un
anno e mezzo. Poiché l' area in questione sarebbe nella disponibilità della
società da 7-9 anni, la datazione massima dell'accumulo proverebbe l'assunto
dell'indagato relativo alla riutilizzazione dei fanghi.
A tale rilievo, il Tribunale ha risposto, con motivazione che in nessun caso può
ritenersi apparente (come tale, secondo Cass. S.U. 28 maggio 2003 n. 12, del
tutto priva dei requisite minimi di coerenza e di completezza, al punto da
risultare inidonea a rendere comprensibile l'iter logico seguito dal
giudice di merito, ovvero quando le linee argomentative del provvedimento siano
talmente scoordinate da rendere oscure le ragioni che lo hanno giustificato),
che mancherebbe viceversa il requisito della certezza del riutilizzo del
materiale accumulato nell'area, in quanto le affermazioni dei testimoni
dipendenti della società non sarebbero suffragate da alcun riscontro oggettivo,
posto che dei fanghi non vi è traccia alcuna nei registri di carico e scarico
della società né vi è alcuna documentazione attestante il trasporto di essi
presso i cantieri indicati dai testimoni medesimi. Infine tali affermazioni dei
testimoni sono state ritenute efficacemente contrastate dai rilievi diretti
della polizia provinciale relativamente all'altezza e al grado di essiccazione
dei cumuli di fanghi, ritenuti indicativi di una prolungata giacenza di tale
materiale nell'indicato luogo di deposito.
Alla luce delle considerazioni esposte, il ricorso va respinto, con la condanna
del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P. Q. M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali.
Così deciso in Roma, il 25 maggio 2006
Il consigliere relatore
Il presidente
Antonio IANNIELLO
Amedeo POSTIGLIONE
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