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Rifiuti - Discarica abusiva - Rifiuti pericolosi e non pericolosi - Sanzioni
applicabili - Principio di proporzionalità - Art. 51, 3 c., d. lgs. 5 febbraio
1997, n. 22. E’ manifestamente infondata la eccezione pregiudiziale
comunitaria in ordine alla sanzione applicabile in materia di discarica abusiva
di rifiuti in quanto il legislatore nazionale ha rispettato in pieno il
principio di proporzionalità prevedendo una pena più severa nel caso in cui la
discarica riguardi rifiuti pericolosi e nessuna disposizione comunitaria impone
l’applicazione di sanzioni amministrative in caso si tratti di rifiuti non
pericolosi. Nella specie era stata realizzata e gestita, senza la prescritta
autorizzazione, una discarica di rifiuti speciali non pericolosi (blocchi e
frammenti di pavimentazione stradale in conglomerato bituminoso, calcestruzzo e
materiali lapidei). Pres. Vitalone Est. Franco Ric. Salvi. CORTE DI
CASSAZIONE PENALE Sez. III, 8 settembre 2006 (Ud. 06/06/2006), Sentenza n. 29740
Procedura e varie - Processo penale - Decisioni del giudice con ordinanza su
questioni preliminari - Nullità - Esclusione. La norma dell'art. 491, quinto
comma, cod. proc. pen., la quale prescrive che sulle questioni preliminari il
giudice decide con ordinanza, non è sanzionata da nullità, cosicché ove il
giudice del dibattimento decida la questione preliminare insieme al merito,
l'imputato non può dolersene, oltre tutto perchè nessun danno deriva alla sua
posizione e perché comunque nel sistema della legge l'ordinanza che risolve
questioni preliminari è impugnabile solo con la sentenza che definisce il
dibattimento (Sez. VI, 25 giugno 1993, Esposito, m. 195.035). Pres. Vitalone
Est. Franco Ric. Salvi. CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. III, 8 settembre 2006
(Ud. 06/06/2006), Sentenza n. 29740
Udienza pubblica del 6.6.2006
SENTENZA N. 977
REG. GENERALE n. 18505/2005
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
Composta dagli III.mi Signori
1. Dott. Claudio Vitalone Presidente
2. Dott. Guido De Maio Consigliere
3. Dott. Pierluigi Onorato Consigliere
4. Dott.ssa Claudia Squassoni Consigliere
5. Dott. Amedeo Franco (est) Consigliere
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da Salvi Luigi, nato a Brescia il 2 febbraio 1951;
avverso la sentenza emessa il 16 febbraio 2005 dalla corte d'appello di Trento;
udita nella pubblica udienza del 6 giugno 2006 la relazione fatta
dal Consigliere Amedeo Franco;
udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore Generale dott.
Francesco Salzano, che ha concluso per l'annullamento senza rinvio della
sentenza impugnata per prescrizione;
udito il difensore avv. Alberto Scapaticci;
Svolgimento del processo
Con sentenza del 21 aprile 2004 il
giudice dell'udienza preliminare del tribunale di Trento dichiarò Salvi Luigi
colpevole del reato di cui all'art. 51, terzo comma, d. lgs. 5 febbraio 1997, n.
22, per avere realizzato e gestito, senza la prescritta autorizzazione, una
discarica di rifiuti speciali non pericolosi (blocchi e frammenti di
pavimentazione stradale in conglomerato bituminoso, calcestruzzo e materiali
lapidei), e lo condannò alla pena ritenuta di giustizia.
La corte d'appello di Trento, con sentenza del 16 febbraio 2005, ridusse la pena
confermando nel resto la sentenza di primo grado.
L'imputato propone ricorso per cassazione deducendo:
a) inosservanza di norme processuali stabilite a pena di nullità perché il
giudice di primo grado ha respinto con sentenza, anziché con apposita ordinanza,
la eccepita pregiudiziale comunitaria. Erroneamente la corte d'appello ha
respinto questa eccezione.
b) ripropone la questione pregiudiziale comunitaria per violazione del principio
di proporzionalità perché il legislatore nazionale non ha distinto, per quanto
riguarda il tipo di sanzione penale applicabile, tra discarica di rifiuti
pericolosi e discarica di rifiuti non pericolosi, non prevedendo per quest'ultima
la sanzione più
mite,
ed in particolare una sanzione amministrativa.
c) inosservanza di norme processuali stabilite a pena di nullità perché la corte
d'appello, invece di dichiarare la nullità della sentenza di primo grado per
omessa motivazione sulla eccezione di inutilizzabilità delle indagini svolte
dopo il 9.1.2003, la ha valutata nel merito.
d) inosservanza di norme processuali stabilite a pena di nullità della seconda
proroga delle indagini preliminari perché concessa dal giudice per le indagini
preliminari oltre il termine di dieci giorni di cui all'art. 406, terzo comma,
cod. proc. pen.
e) mancanza ed illogicità della motivazione nella parte in cui ritiene provato
che l'imputato avesse gestito la discarica in questione
Motivi della decisione
Il primo motivo è manifestamente
infondato perché, secondo la giurisprudenza di questa Suprema Corte da cui non
vi è motivo per discostarsi, «la norma dell'art. 491, quinto comma, cod.
proc. pen., la quale prescrive che sulle questioni preliminari il giudice decide
con ordinanza, non è sanzionata da nullità, cosicché ove il giudice del
dibattimento decida la questione preliminare insieme al merito, l'imputato non
può dolersene, oltre tutto perchè nessun danno deriva alla sua posizione e
perché comunque nel sistema della legge l'ordinanza che risolve questioni
preliminari è impugnabile solo con la sentenza che definisce il dibattimento»
(Sez. VI, 25 giugno 1993, Esposito, m. 195.035).
La eccezione pregiudiziale comunitaria di cui al secondo motivo - a parte ogni
considerazione sulla sua ammissibilità, dal momento che non è stata ritualmente
sollevata in questa sede ma solo riproposta mediante rinvio per relationem
ad atti del giudizio di merito - è comunque manifestamente infondata perché il
legislatore nazionale ha rispettato in pieno il principio di proporzionalità,
prevedendo, con l'art. 51, terzo comma, d. lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, nel caso
si tratti di rifiuti pericolosi una pena più severa rispetto a quella prevista
nel caso si tratti di rifiuti non pericolosi (arresto da uno a tre anni, anziché
arresto da sei mesi a due anni, ed ammenda nella misura doppia sia nel minino
sia nel massimo). Nessuna norma o principio comunitario, poi, impone addirittura
al legislatore nazionale di applicare esclusivamente una sanzione amministrativa
nel caso si tratti di rifiuti non pericolosi. Anzi, come ha esattamente messo in
rilievo la corte d'appello, emerge semmai un orientamento dell'ordinamento
comunitario favorevole alla protezione dell'ambiente attraverso sanzioni di
carattere penale e contrario ad una depenalizzazione nel settore (cfr. decisione
quadro 2003/80/GAI del Consiglio).
Il terzo motivo è anch'esso manifestamente infondato perché ineccepibilmente la
corte d'appello, a fronte della eccezione di inutilizzabilità delle indagini
svolte successivamente al 9.1.2003, la ha esaminata nel merito motivando in
proposito. E' evidente, infatti, che il dedotto errore e la dedotta mancanza di
motivazione del giudice di primo grado sul punto non avrebbero comunque potuto
comportare la nullità della sentenza appellata.
E' manifestamente infondato anche il quarto motivo perché il pubblico ministero
aveva provveduto tempestivamente a richiedere la proroga delle indagini
preliminari, mentre nessuna nullità o inutilizzabilità poteva derivare dal fatto
che il giudice per le indagini preliminari avesse concesso detta proroga dopo il
termine di dieci giorni di cui all'art. 406, terzo comma, cod. proc. pen.,
termine che ha natura meramente ordinatoria. In ogni caso il motivo appare anche
inammissibile trattandosi, a ben vedere, di motivo non espressamente proposto
con l'atto di appello. Infatti, come esattamente rilevato dalla sentenza
impugnata, con l'atto di appello fu sostanzialmente eccepita solo la
inutilizzabilità degli atti di indagini compiuti dopo il 9.1.2003 (eccezione
questa accolta dalla corte d'appello) e non anche la inutilizzabilità degli atti
compiuti dopo il 9.7.2002, a causa della nullità della seconda ordinanza di
proroga. Contro la decisione del primo giudice di ritenere valido il secondo
provvedimento di proroga, infatti, con l'atto di appello non furono proposte
specifiche censure, in quanto tutto i gravame si fondava sul fatto che il
giudice di primo grado aveva esaminato solo il primo profilo di inutilizzabilità
e non anche il secondo.
Il quinto motivo si risolve in una censura in punto di fatto della decisione
impugnata, con la quale si richiede una nuova e diversa valutazione delle
risultanze processuali riservata al giudice del merito e non consentita in
questa sede di legittimità, ed è comunque manifestamente infondato perché la
corte d'appello ha fornito congrua, specifica ed adeguata motivazione delle
ragioni per le quali ha ritenuto accertato - anche a prescindere dalla
consulenza tecnica tardivamente
disposta dal pubblico ministero - che il prevenuto avesse riversato nella
discarica in questione il materiale di cui al capo di imputazione. Ha infatti
osservato la corte d'appello che, da un lato, era stata sicuramente accertata la
circostanza storica (peraltro non contestata con l'appello) che nella discarica
in questione era avvenuto il conferimento del materiale derivante dai lavori
appaltati dalla PAT alla Edilcom e di cui ai contratti specificati nel capo di
imputazione e, da un altro lato, che i suddetti contratti avevano ad oggetto
opere stradali necessariamente comportanti scavi di materiale diverso da terra e
sassi, quali frammenti di pavimentazione bituminosa e residui di demolizioni di
murature. Ne ha quindi logicamente tratto la conseguenza che l'imputato, avendo
scaricato nell'area in questione i detti residui, ha utilizzato l'area stessa
quale discarica di rifiuti che in essa invece non potevano confluire. Si tratta
di una motivazione plausibile e sicuramente non manifestamente illogica, che non
può quindi essere sindacata in questa sede.
Il ricorso deve pertanto essere dichiarato inammissibile per manifesta
infondatezza dei motivi.
In applicazione dell'art. 616 cod. proc. pen., segue la condanna del ricorrente
al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di elementi che possano far
ritenere non colpevole la causa di inammissibilità del ricorso, al pagamento in
favore della cassa delle ammende di una somma, che, in considerazione delle
ragioni di inammissibilità del ricorso stesso, si ritiene congruo fissare in €
1.000,00.
Essendo il ricorso inammissibile per manifesta infondatezza dei motivi, la
circostanza che la prescrizione del reato sia maturata in una data successiva
(29.3.2005) a quella in cui è stata emessa la sentenza impugnata, è del tutto
irrilevante perché, a causa della inammissibilità del ricorso non si è formato
un valido rapporto di impugnazione il che preclude a questa Corte la possibilità
di rilevare e dichiarare le eventuali cause di estinzione del reato, ivi
compresa la prescrizione, verificatesi in data posteriore alla pronuncia della
decisione impugnata (Sez. Un., 22 novembre 2000, De Luca, m. 217.266; giur.
costante).
Per questi motivi
La Corte Suprema di Cassazione
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di € 1.000,00 in favore della cassa delle
ammende.
Cosi deciso in Roma, nella sede della Corte Suprema di Cassazione, il 6 giugno
2006.
L' estensore
Il presidente
Amedeo Franco
Claudio Vitalone
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