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RIFIUTI - Bonifica dei siti inquinati - Art. 257 D.Lv. n. 152/2006 e art. 51
bis D. Lv. n. 22/97 - Continuità normativa - C.d. nuovo codice ambientale.
La configurazione del reato di cui d'art. 257 D.Lv. n. 152/2006 è del tutto
corrispondente e perfettamente sovrapponibili a quella del precedente reato di
cui all'art. 51 bis D. Lv. n. 22/97 essendo, anche in punto di pena sufficiente
un lievissimo arrotondamento della pena pecuniaria, poiché continua a prevedere
la punibilità del fatto di inquinamento se l'autore "non provvede alla bonifica
in conformità" al progetto di cui all'art. 242 del nuovo codice ambientale (in
precedenza era previsto che la bonifica dovesse avvenire secondo il procedimento
del corrispondente art.17 cd. decreto Ronchi (d. Lgs. n. 22 del 1997). Il che
significava e significa che la bonifica, se integralmente eseguita escludeva ed
esclude la punibilità del fatto anche secondo la precedente normativa (come è
stato sempre pacifico anche in giurisprudenza), mentre il comma 4 dell'art. 257
ha specificato non già la non punibilità per gli autori dell'inquinamento in
ordine al reato di cui si tratta, bensì la estensione della non punibilità in
caso di accertata bonifica, anche agli altri eventuali reati ambientali
contemplati da altre leggi per il medesimo evento e per la stessa condotta di
inquinamento. Pres. Chieffi - Est. Corradini - Ric. Pezzoti ed altro. CORTE
DI CASSAZIONE PENALE Sez. I, 8 settembre 2006 (Ud. 13/06/2006), Sentenza n.
29855
RIFIUTI - Reato di omessa bonifica e ripristino ambientale - Reato permanente
- Sequestro dell’area - Finalità - D. Lgs. n. 152/2006 (artt. 247 e 242) -
Fattispecie: inquinamento della flora, che aveva costituito l'alimentazione
delle mucche il cui latte era stato trovato a sua volta inquinato - rifiuti
pericolosi. In materia di rifiuti, il sequestro era ed è preordinato alla
eliminazione del danno e non impedisce, neppure dopo la entrata in vigore del D.
Lgs. n. 152 del 2006 (art. 247), così come non li impediva prima, gli interventi
di messa in sicurezza, bonifica e ripristino ambientale delle aree anche al fine
di evitare la ulteriore propagazione degli inquinanti ed il conseguente
peggioramento della situazione ambientale. Sarebbe invero singolare che il
sequestro dalle aree, diretto ad impedire i danni ulteriore e ad assicurare gli
interventi di cui all’art. 17 del decreto Ronchi e 242 del nuovo codice
ambientale, possa determinare la cessazione della permanenza e cioè della
anitigiuridicità di una condotta che il responsabile della stessa è tenuto a
denunciare ed a riparare evitando pure il sequestro se si mette immediatamente a
disposizione e predispone gli interventi riparatori. In sostanza il legislatore,
proprio per agevolare la bonifica dei siti inquinati (secondo il principio “chi
inquina paga” formalizzato testualmente in legge nell’art. 239 del nuovo codice
ambientale, ma già esistente come tale anche nel cd. decreto Ronchi) e quindi
impedire la prescrizione del reato nei tempi estremamente brevi previsti per le
contravvenzioni, insufficienti di regola per gli intereventi di ripristino
ambientale dei siti contaminati, ha strutturato il reato di cui si tratta come
reato la cui permanenza persiste fino alla bonifica avvero fino alla sentenza di
condanna, ma la cui punibilità può essere fatta venire meno, sempre fino alla
sentenza di condanna, attraverso la condotta riparatoria, in tal modo creando un
particolare interesse per l’autore dell’inquinamento - che non può invocare la
prescrizione se non ha provveduto alla bonifica - ad attuare le condotte
riparatorie, onde eliminare la punibilità del reato. Pres. Chieffi - Est.
Corradini - Ric. Pezzoti ed altro. CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. I, 8
settembre 2006 (Ud. 13/06/2006), Sentenza n. 29855
RIFIUTI - Danno ambientale - Associazioni di protezione ambientale -
Intervento nei giudizi - Legittimazione - Azione per il risarcimento del danno -
Art. 318, c. 2, lett. a) del D. Lgs. n. 152/2006. L’art. 318, comma 2, lett.
a) del D.Lv. 152/2006 ha lasciato il vita in comma 5 dell’art. 18 della legge n.
349 del 1986 (che riguarda l’intervento nei giudizi per danno ambientale delle
associazioni di protezione ambientale, a fianco del quale dovrebbe altresì
persistere la azione per il risarcimento del danno patrimoniale proprio in base
ad una giurisprudenza ormai consolidata; v. per tutte Cass. sez. 3 n. 46746 deI
2004, Rv 231306). Per cui, nella specie, l’intervento di Lega Ambiente nel
presente giudizio resta indiscutibile anche in base alla nuova disposizione, per
quanto riguarda la legittimazione degli enti territoriali occorre rilevare che
le nuove disposizioni si applicheranno al futuro e cioè ai giudizi promossi dopo
la entrata in vigore della nuova disciplina. Peraltro, non potrebbe negarsi
neppure per il futuro la possibilità per gli enti locali e per gli altri
soggetti pubblici o privati di agire per il risarcimento dei propri danni
patrimoniali o non patrimoniali derivanti dalla azione inquinante, diversi da
quelli dell’inquinamento del sito, come nel caso in esame in esame in cui la
azione degli enti locali ha riguardato un danno più esteso ed anche diverso da
quello strettamente ambientale. Pres. Chieffi - Est. Corradini - Ric. Pezzoti ed
altro. CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. I, 8 settembre 2006 (Ud. 13/06/2006),
Sentenza n. 29855
Udienza pubblica del 13.06.2006
SENTENZA N. 865/06
REG. GENERALE n. 012485/2006
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA PENALE
Composta dagli III. mi Signori
Dott. CHIEFFI
SEVERO
PRESIDENTE
1. Dott. VANCHERI ANGELO
CONSIGLIERE
2. Dott. PEPINO LIVIO CONSIGLIERE
3. Dott. CORRADINI GRAZIA
CONSIGLIERE
4. Dott. URBAN GIANCARLO CONSIGLIERE
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
1) PEZZOTTI VALERIO N. IL 03/11/1935
2) PEZZOTTI VINCENZO N. IL 27/12/1966
avverso SENTENZA del 27/09/2005 CORTE APPELLO di BRESCIA
visti gli atti, la sentenza ed il procedimento
udita in PUBBLICA UDIENZA la relazione fatta del Consigliere
CORRADINI GRAZIA
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Gianfranco Viglietta
che ha concluso per il rigetto del ricorso;
Udito il difensore Avv. Giuseppe
Fischian nell'intererse
di Pessotti Valerio e di Pessotti Vincenzo che ha concluso per l'accoglimento;
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza 27 settembre 2005 la Corte di Appello di Brescia, in parziale
riforma della sentenza 14.5.2004 del Tribunale di Brescia, ha dichiarato non
doversi procedere nei confronti di Pezzotti Valerio e di Pezzotti Vincenzo in
ordine al reato di cui alI’art. 51 lett. b del D. Lgs. n. 22 del 1997 (capo b)
perché estinto per prescrizione, ha ridotto a dieci mesi di reclusione per
ciascuno la pena inflitta per il reato di cui agli artt. 113 e 440 in relazione
all’art. 452, comma 2, C.P. (capo g), confermando nel resto la sentenza di primo
grado che aveva dichiarato i suddetti imputati responsabili anche dei reati di
cui agli artt. 51 bis del D. Lgs. n. 22 del 1997, in relazione all’art. 17 dello
stesso decreto legislativo, e 674 e 81 comma 1 C.P. (capo f) condannandoli alla
pena di mesi otto di arresto ed euro 4.000 di ammenda per ciascuno e di altri
reati (capi a, c, d) per cui aveva applicato la pena dell'ammenda e che non
erano stati oggetto di appello e li aveva nel contempo condannati, altresì, in
solido, al risarcimento dei danni in favore delle parti civili costituite
rimettendo a separato giudizio la loro liquidazione ed assegnando una
provvisionale, immediatamente esecutiva, alle parti civili Provincia di Brescia
e di Bergamo, Regione Lombardia e Comuni di Pisogne e Costa Volpino. In ordine
alle statuizioni civili la Corte d'Appello ha poi revocato quelle a favore dei
Comuni di Pisogne e di Costa Volpino che avevano nel frattempo rinunciato alla
costituzione avendo ottenuto un componimento dei loro interessi
Il procedimento aveva tratto origine dagli accertamenti svolti nel 2000 dalla ASL di Brescia e dall’istituto zooprofilattico della stessa città che avevano evidenziato la presenza nel latte prodotto dalle mucche di alcune aziende agricole di Pisogne e Costa Volpino (comuni confinanti) di poli - cloro - bifenil (PCB) in misura superiore alla norma.
Attraverso il monitoraggio di diversi insediamenti produttivi della zona si
accertava, mediante campionamento di materiale di pezzatura minuta derivante da
Fluff, che nel terreno della ditta Pezzotti, operante nel settore di recupero di
rottame destinato alla siderurgia, era presente PCB oltre il limite consentito
(80 mg/kg contro il limite di 5 mg /kg). Una ispezione eseguita il 22.3.2001 dai
tecnici dell’ARPA e dai CC del NOE presso la ditta Pezzotti consentiva quindi di
appurare una serie di violazioni della normativa relativa alla attività di
trattamento dei rifiuti e confermava che le polveri fini (Fluff) depositate sui
piazzali contenevano PCB nell’ordine di 80 mg/kg che si disperdeva nell’aria a
seguito di azione eolica. Tra i rottami da trattare, fra l’altro in quantità
superiore a quella autorizzata, collocati all’interno del capannone ed
all’aperto, venivano rinvenuti materiali, quali quadri elettrici, condensatori,
marmitte ed alti rifiuti classificabili come pericolosi che giustificavano la
presenza di PCB nelle polveri finì.
In esito a tali accertamenti, per quanto ora interessa in relazione ai capi di
imputazione oggetto del presente ricorso, a Pezzotti Valeno e Vincenzo, quali
componenti del consiglio di amministrazione della Pezzotti S.r.l. con sede
legale in Darfo Boario Terme ed impianto di trattamento dei rifiuti in Pisogne,
venivano contestati i reati di cui agli articoli 51 bis del decreto legislativo
n. 22 del 1997, in relazione all'art. 17 dello stesso decreto legislativo e 674
e 81, comma 1, C. P., per avere corrotto il latte prodotto da alcune aziende
agricole site nel territorio di Pisogne destinato alla alimentazione umana,
trattando illecitamente rifiuti contenenti PCB ed utilizzando impianti non
adeguatamente presidiati al fine di evitare l’inquinamento dell’ambiente, così
cagionando l’inquinamento della flora costituente la alimentazione del bestiame
ed il conseguente inquinamento del latte prodotto (capo f) ed agli articoli 113,
440 e 452, comma 2, C. P. per avere con tali condotte corrotto sostanze
destinate alla alimentazione (capo g), reati accertati in Pisogne il 22 marzo ed
il 7 maggio 2001.
La Corte di merito ha previamente respinto la eccezione di incompetenza
territoriale sollevata dagli imputati sotto il profilo che il reato sarebbe
stato commesso in territorio di Costa Volpino (sito in provincia di Bergamo) o
non nel comune di Pisogne (sito in provincia di Brescia), rilevando che, a
norma dell’art. 16 del C. P. P., doveva aversi riguardo al reato più grave (capo
g) che si era consumato neI luogo in cui era avvenuta la contaminazione del
latte, accertata per prima nelle aziende agricole di Brescia, come risultante
anche dalla deposizione del sindaco di Costa Volpino e dove il reato aveva
assunto connotati di maggiore gravità.
Quanto alla sussistenza dei reati di cui ai capi f) e g), ha rilevato che il
decreto n. 209 del 1999 aveva classificato come PCB - definibile come olio
elettrico, di cui era conosciuta la tossicità ben prima del 2001 - non solo i
poli - cloro - bifenil, ma qualsiasi apparecchio contenente o che era servito a
contenere PCB, onerando il detentore di un obbligo di decontaminazione e di
smaltimento in condizioni sicure (deposito sotterraneo in profondità) ed
etichettatura, per cui gli imputati, che trattavano proprio rottami contenenti
parti meccaniche sporche di oli, contenitori con residui di acqua ragia,
condensatori ed accumulatori, individuati in alto numero pure in cumuli di
rifiuti già parzialmente trattati oltre che in un camion appena giunto nello
stabilimento e sottoposto a sequestro al momento della verifica da parte
dell’Arpa e dei CC, e gestivano quindi un impianto finalizzato al trattamento
anche di rifiuti speciali pericolosi, pur non essendovi autorizzati, conoscevano
o devolvano conoscere, usando la normale diligenza, le problematiche relative al
PCB.
La Corte di merito ha poi escluso che fosse intervenuta la prescrizione quanto
al reato di cui al capo f, trattandosi di contravvenzione di carattere
permanente in relazione alla quale non era stata offerta la prova della
ultimazione delle operazioni di bonifica che gli imputati avrebbero potuto
compiere, essendo stato l’impianto dissequestrato in data 21.5.2003 a condizione
proprio del compimento delle previste operazioni di bonifica e messa a norma
degli impianti, che non erano state invece eseguite; non essendo sul punto
accettabile la tesi degli imputati per cui non vi sarebbe stata necessità di
bonifica essendo i terreni oggetto di campionamento al di sotto del limite di
legge, fissato, per le aree industriali in 5 mg/kg, poiché il campionamento
eseguito sia sulle polveri all’interno dello stabilimento Pezzotti, sia sui
macchinari, sia sui camini, sia infine sui terreni agricoli a ridosso
dell’azienda, era risultato superiore al limite di legge, il che si spiegava con
il fatto che l’impianto produttivo di frantumazione era totalmente a cielo
aperto ed era sprovvisto delle caratterizzazioni occorrenti ai fini di abbattere
i fumi e le polveri durante la movimentazione dei materiali trattati, cosicché
faceva cadere il cascame da una altezza di otto metri sul piazzale e sui fondi
limitrofi. A tal fine la Corte di merito ha rilevato che, sia gli accertamenti
del P.M. che una perizia disposta dal Tribunale proprio al fine di verificare la
presenza di fonti alternative di inquinamento da PCB presso altre aziende della
zona indicate anche dalla difesa degli imputati, avevano consentito di escludere
la dispersione di PCB da parte di altre aziende e nel contempo di accertare
positivamente che la contaminazione da PCB proveniva dalla azienda Pezzotti ed
era presente in maniera progressivamente sempre più ridotta a mano a mano che
aumentava la distanza dalla suddetta azienda, il che consentiva di ritenere
provato che la condotta illecita di inquinamento fosse riferibile proprio agli
imputati.
Ha proposto ricorso per cassazione la difesa degli imputati chiedendo
l’annullamento della sentenza impugnata.
Il Procuratore Generale presso questa Corte ha concluso per il rigetto dei
ricorsi
.
MOTIVI DELLA DECISIONE
La difesa degli imputati ha lamentato con l’atto di ricorso:
- inosservanza dell’art. 8, comma 1, C. P. P. per avere il provvedimento impugnato rigettato la eccezione di incompetenza territoriale del Tribunale di Brescia, pur essendo competente per territorio il Tribunale di Bergamo in quanto l’impianto di smaltimento della Pezzotti S.r.l. era insediato per la maggiore estensione nel territorio di Costa Volpino, ricadente nella provincia di Bergamo, essendo stato nel contempo accertato il reato più grave di cui all’art. 440 C.P. in entrambe le province di Brescia e di Bergamo per cui, non essendo stato possibile individuare il luogo di consumazione di tale reato, si sarebbe dovuto fare riferimento al luogo di origine dell’inquinamento in cui si era consumato il reato meno grave, e cioè Costa Volpino, e non invece al luogo in cui il fenomeno aveva assunto maggiore gravità, come ritenuto dalla Corte di Appello di Brescia;
- inosservanza ed erronea applicazione dell’art. 51 bis del D. Lgs. n. 22 del
1997, in relazione all’art. 17 dello stesso decreto ed all’art. 674 C. P.,
nonché difetto di motivazione della sentenza impugnata nella parte in cui era
stato ritenuto sussistente il reato con riguardo alla mancata messa in
sicurezza, bonifica e ripristino ambientale secondo il procedimento di cui
all’art. 17, poiché il reato consisteva nel superamento dei limiti consentiti di
inquinamento, mentre la bonifica del sito operava come causa di esclusione della
punibilità e non poteva nella specie essere addebitata agli imputati la mancata
bonifica poiché il sito era stato sottoposto a sequestro preventivo nel momento
in cui era stato scoperto l’inquinamento così determinando la cessazione della
permanenza alla data del 22.3.2001 in cui era stato operato il sequestro, con
conseguente prescrizione dei reati alla data del 22.9.2005 o eventualmente a
quella del 7.11.2005 se si fosse voluta individuare la cessazione della
permanenza nella data del 7.5.2001 in cui erano state eseguite le operazioni
peritali;
- mancanza di motivazione della sentenza impugnata o travisamento dei fatti
laddove, quanto al reato di cui all’art. 51 bis del D. Lgs. n. 22 del 1997,la
misurazione del contenuto di PCB era stata riferita alle polveri depositate nei
piazzali, che in realtà non erano mai state analizzate, anziché al contenuto del
rifiuto stoccato all’interno del capannone, omettendo di esaminare gli argomenti
a disposizione e, quanto al reato di cui agli arti. 440 e 452 C. P., aveva
fondato il giudizio di responsabilità sulla sussistenza di rifiuti speciali
pericolosi che doveva ancora essere dimostrata.
Con memoria depositata 1’8.6.2000 la difesa dei ricorrenti ha poi ribadito la
eccezione di incompetenza per territorio, nonché quella di prescrizione del
reato di cui al capo f) a far data dal 22.9.2005 o quanto meno dal 7.11.2005,
essendo la permanenza del reato cessata al momento dell’accertamento stante la
indisponibilità dell’azienda da parte degli imputati, sotto l’ulteriore profilo
dello ius superveniens costituito dall’art. 257 del D. Lgs. 3 aprile 2006
n. 152 che aveva sostanzialmente sostituito l’art. 51 bis del 1D. Lgs. n. 22 del
1997, attribuendo chiaramente alla osservanza dei progetti approvati ai sensi
degli artt. 242 e seguenti il carattere di condizioni di non punibilità, così
colmando un vuoto legislativo prima esistente.
Ha poi aggiunto che i nuovi limiti di rilevanza della contaminazione colposa
fissati per i terreni dagli artt. 239 e 240 del nuovo testo unico in materia
ambientale, abolendo la distinzione fra siti agricoli ed altri terreni, avevano
operato nel caso in esame una sostanziale abolitio criminis essendo stata
elevata la soglia di contaminazione in misura superiore a quella contestata ai
Pezzotti.
Infine ha chiesto l’annullamento delle statuizioni civili della sentenza avendo
il nuovo codice ambientale attribuito al solo Ministero dell’Ambiente il potere
di agire in via risarcitoria davanti al giudice ordinario.
I ricorsi sono infondati.
Quanto alla eccezione di incompetenza territoriale è già stato chiarito nel capo
a) della imputazione, a correzione della erronea indicazione iniziale del luogo
di ubicazione dell’impianto, che Io stabilimento dei Pezzotti in cui erano
depositati i rottami contenenti PCB ed esisteva l’impianto a cielo aperto che
faceva cadere da una altezza di circa otto metri il cascame che poi si
disperdeva a causa della azione eolica, da cui aveva tratto origine
l’inquinamento dei fondi circostanti, era ubicato in realtà in Pisogne e cioè
nel territorio facente parte del circondario di Brescia, a nulla rilevando la
sede legale della azienda ovvero la diversa dislocazione di altri fondi
appartenenti all’azienda. E’ quindi erronea la tesi dei ricorrenti per cui il
luogo di commissione dei reati dovrebbe essere individuato in Costa Volpino (sito in provincia di Bergamo) quale luogo in cui
si sarebbero trovati la
maggior parte dei fondi facenti parte dell’azienda Pezzotti, essendo al
contrario corretto il criterio seguito dalla Corte di Appello per cui entrambi i
reati ed in ogni caso il reato più grave di cui agli artt. 440 - 452 C. P., cui
doveva aversi riguardo a norma dell’art. 16 C. P. P., erano stati commessi in
territorio di Brescia da cui era partita la dispersione della sostanza inquinante.
Trattandosi invero di reati permanenti doveva aversi riguardo al luogo in cui era
incominciata la consumazione e questa, a norma dell’art. 8, comma 2, C. P. P., era
iniziata in territorio di Brescia dove era avvenuta la scoperta del latte
contaminato posto che le prime denunce ed i primi accertamenti, come risulta
dalla sentenza impugnata (pag. 12 ultima parte), erano partiti proprio da aziende
agricole del territorio di Pisogne sito nel circondario di Brescia per poi
estendersi, in seguito, ma solo in un secondo momento, anche ad aziende del
territorio di
Costa Volpino.
D’altronde proprio il criterio indicato dai ricorrenti e cioè quello del luogo
in cui si trovava la parte produttiva dell’azienda dimostra che la competenza per
territorio apparteneva al Tribunale di Brescia nel cui circondario si trova Pisogne poiché a Pisogne insisteva la parte produttiva dello stabilimento da cui
era partito l’inquinamento.
Quanto alla eccezione di prescrizione i ricorrenti assumono, con riguardo alla
contravvenzione di cui all’art. 51 bis del D. Lgs. n. 22 del 1997, che, pur
trattandosi pacificamente di un reato permanente, la permanenza sarebbe però
cessata alla data del
22.3.2001 in cui era stato operato il sequestro del sito, o, quanto meno, a
quella del 7.5.2001 in cui erano state eseguite le operazioni peritali, per cui,
anche tenuto conto degli atti interruttivi, la prescrizione sarebbe già maturata
alla data odierna. E ciò, ad avviso dei ricorrenti, sarebbe ancora più evidente
con riguardo alla modifica legislativa contenuta nell’art. 275 del D. Lgs. n. 152
del 2006 che chiarirebbe la impossibilità per i Pezzotti di operare la bonifica
del sito senza la autorizzazione della autorità giudiziaria e quindi di fare
venire meno la punibilità del fatto ormai realizzato alla data del sequestro.
Premesso che è pacifico che si è in presenza di un reato permanente, il che è
riconosciuto anche dai ricorrenti, si tratta di verificare se il sequestro del
sito inquinante faccia o meno cessare la permanenza e se il nuovo T.U. in
materia ambientale, entrato in vigore in data 29 aprile 2006, che ha fra l’altro sostituito gli
artt. 17 e 51 bis con le disposizioni di cui 242 e 257, abrogando all’art. 264, comma
1, lett. i)
il cd. decreto Ronchi (d. Lgs. n. 22 del 1997), abbia modificato le caratteristiche del reato di cui si tratta in relazione alla permanenza.
Sul primo punto deve escludersi che il sequestro del sito faccia cessare la permanenza del reato, per gli effetti di cui
all’art. 158 C. P. in relazione all’art.
157, la quale persiste fino a quando non vengano fatte venire meno le
conseguenze dannose o pericolose ovvero con la sentenza di condanna anche non
irrevocabile.
Il sequestro infatti era ed è preordinato alla eliminazione del danno e non
impedisce, neppure dopo la entrata in vigore del D. Lgs. n. 152 del 2006 (art. 247), così come non li impediva prima, gli interventi di messa in sicurezza, bonifica e
ripristino ambientale delle aree anche al fine di evitare la ulteriore
propagazione degli inquinanti ed il conseguente peggioramento della situazione
ambientale. Sarebbe invero singolare che il sequestro dalle aree, diretto ad
impedire i danni ulteriore e ad assicurare gli interventi di cui all’art. 17 del
decreto Ronchi e 242 del nuovo codice ambientale, possa determinare la
cessazione della permanenza e cioè della anitigiuridicità di una condotta che il
responsabile della stessa è tenuto a denunciare ed a riparare evitando pure il
sequestro se si mette immediatamente a disposizione e predispone gli interventi
riparatori.
D’altronde proprio nel caso in esame emerge dalla sentenza impugnata che il sito
è stato dissequestrato nel 2003 dalla autorità giudiziaria per avviare la messa
in sicurezza per cui soltanto la eliminazione del danno - che non risulta sia
intervenuta e che è negata dalla sentenza impugnata, al contrario di quanto
assumono apoditticamente, ma non dimostrano, i ricorrenti - avrebbe potuto
determinare la cessazione della permanenza.
La situazione non è comunque mutata neppure a seguito della entrata in vigore
del nuovo codice ambientale poiché, sotto tale profilo, la struttura del reato di
cui all’art. 257 è del tutto
corrispondente a quella del precedente reato di cui all’art. 51 bis, anche in
punto di pena, con un minimo arrotondamento della pena pecuniaria (per quanto
qui interessa), poiché continua a prevedere la punibilità del fatto di
inquinamento se l’autore “non provvede alla bonifica in conformità” al progetto
di cui all’art. 242 (in precedenza era previsto che la bonifica dovesse avvenire
secondo il procedimento del corrispondente art. 17). Il che significava e
significa che la bonifica, se integralmente eseguita escludeva ed esclude la
punibilità del fatto anche secondo la precedente normativa (come è stato sempre
pacifico anche in giurisprudenza), mentre il comma 4 dell’art. 257 ha
specificato non già la non punibilità per gli autori dall’inquinamento in ordine
al reato di cui si tratta, bensì la estensione della non punibilità, in caso di
accertata bonifica, anche agli altri eventuali reati ambientali contemplati da
altre leggi per il medesimo evento e per la stessa condotta di inquinamento.
In sostanza il legislatore, proprio per agevolare la bonifica dei siti inquinati
(secondo il principio “chi inquina paga” formalizzato testualmente in legge
nell’art. 239 del nuovo codice ambientale, ma già esistente come tale anche nel
cd. decreto Ronchi) e quindi impedire la prescrizione del reato nei tempi
estremamente brevi previsti per le contravvenzioni, insufficienti di regola per
gli intereventi di ripristino ambientale dei siti contaminati, ha strutturato
il reato di cui si tratta come reato la cui permanenza persiste fino alla
bonifica avvero fino alla sentenza di condanna, ma la cui punibilità può essere
fatta venire meno, sempre fino alla sentenza di condanna, attraverso la condotta riparatoria, in tal modo creando un particolare interesse per l’autore
dell’inquinamento - che non può invocare la prescrizione se non ha provveduto
alla bonifica - ad attuare le condotte riparatorie, onde eliminare la punibilità del
reato.
La eccezione di prescrizione del reato di cui al capo f) è quindi infondata
anche alla luce dello ius superveniens.
E’ infondata pure la doglianza, sempre in ordine al reato di cui al capo f), concernente il preteso
travisamento dei fatti quanto all’accertamento della presenza di rifiuti
pericolosi nello stabilimento dei Pezzotti ed alla consistenza del contenuto di
PCB rilevato alla stregua della normativa vigente al momento dell’accertamento,
ma anche quanto alla pretesa depenalizzazione del fatto a seguito della entrata
in vigore del nuovo codice ambientale del 2006 ipotizzata dai ricorrenti nelle
memorie aggiunte.
In ordine al primo profilo la sentenza impugnata ha già rilevato con motivazione
ineccepibile e conforme al parametro normativa come i rifiuti inquinanti
trattati dalla azienda degli imputati fossero incontestabilmente pericolosi
trattandosi di Fluff disperso per azione eolica contenente PCB (sostanza
altamente tossica come tale classificata e sottoposta ad una disciplina
specifica fin dal 1984 in virtù del decreto ministeriale 9.2.1984)
nell’ordine di 80 mg/kg. nell’area di stoccaggio del fluff, di 1.042,6 mg/kg nei
camini, di 562,45 mg/kg nel condotto prima della espulsione nella atmosfera, in
quantitativi similari nel nastro proler e nella traversa del vaglio e di 6,031
mg/kg. nel terreno a ridosso dell’azienda, a fronte di un limite massimo
legale di 5 mg/kg per le aree industriali.
La tesi dei ricorrenti per cui la modifica legislativa, avendo fissato nuovi
limiti di rilevanza penale di contaminazione dei suoli, avrebbe in sostanza
depenalizzato la fattispecie contestata ai ricorrenti al capo f) sulla base
della parte IV, allegato 5, punto 93 della tabella, che avrebbe
fissato per aree verdi il limite di 0,06 mg/kg e per i siti commerciali ed industriali di 5 mg/kg,
è ugualmente pretestuosa poiché l'inquinamento riscontrato dai tecnici dell’ARPA
ma anche dai periti è stato ampiamente superiore anche a tali limiti sia per
l’area industriale che per i terreni circostanti.
Come già rilevato vi è comunque continuità normativa fra la nuova disposizione
incriminatrice e quella precedente, che, per quanto qui interessa, sono
perfettamente sovrapponibili limitandosi la nuova disposizione a precisare che
si ha inquinamento “con il superamento delle concentrazioni soglia di rischio”
il che era già implicito anche nella precedente disposizione, in base ad una
elaborazione giurisprudenziale di cui ha fatto applicazione la sentenza
impugnata; per cui l’abrogazione di norme preesistenti in materia ambientale ed
in particolare in materia di rifiuti non equivale mai a cancellazione dei reati
commessi in precedenza ma soltanto ad una verifica di compatibilità con il nuovo
regime (v. Cass. sez 3 n. 4398 del 1000 Rv 216152). Inoltre occorre considerare
che la parte IV del D. Lgs n. 152 del 2006, a norma dell’art. 264, comma 1, lett.
i), dello stesso decreto, non è di immediata applicazione poiché è previsto, al
fine di evitare soluzione di continuità nel passaggio dalla preesistente
normativa a quella prevista dalla parte quarta del decreto n. 152 del 2006, che
i decreti attuativi del D. Lgs. del 1997 n. 22 continuino ad applicarsi sino alla
entrata in vigore dei corrispondenti decreti attuativi della parte quarta del
nuovo codice ambientale; e certamente tale disposizione è stata lungimirante
poiché i diciassette decreti emessi in data 2 maggio 2006 e pubblicati in
Gazzetta Ufficiale fra il 10 ed il 24 maggio 2006, attuativi della legge delega
ambientale 15 dicembre 2004 n. 308, non possono ad oggi essere considerati
produttivi di effetti, non essendo stati a suo tempo inviati alla Corte dei
Conti per essere sottoposti al preventivo e necessario controllo ai sensi dell’art.
3 comma 1 della legge 14.1.1994 n. 20, come evidenziato dalla Corte dei Conti
con apposita comunicazione effettuata al Ministero dell’Ambiente del maggio del
2006 e come in seguito
recepito dal governo, il che comporta uno slittamento dei tempi della entrata
in vigore del nuovo codice ambientale.
Quanto poi alla sussistenza del reato di cui agli artt. 440-452 C. P. P.,
contestato dai ricorrenti
sotto il profilo che non sarebbe stata trovata la esistenza di rifiuti pericolosi, é appena il caso
di rilevare che i rifiuti pericolosi erano stati rinvenuti dai CC e dai tecnici
dell’Arpa non solo in sito (sull’impianto di smaltimento, sul piazzale, sui
camini ecc.) ma che all’interno di un camion che era sopraggiunto in sede di
sopralluogo ed era stato sottoposto a sequestro ed inoltre si era giunti ad
addebitare all’azienda Pezzotti l’inquinamento della flora, che aveva costituito
la alimentazione delle mucche il cui latte era stato trovato a sua volta
inquinato, proprio seguendo la percentuale di presenza di PCB sul terreno che
andava crescendo man mano che ci si avvicinava alla azienda Pezzotti e diminuendo
man mano che ci si allontanava dalla stessa; e nel contempo era stato escluso
attraverso diverse perizie che l’inquinamento provenisse da altre aziende della
zona, mentre era stato, al contrario, riscontrato positivamente che gli isomeri
118, 138 e 153 rinvenuti neI PBC del latte contaminato erano identici a quelli
del PBC rilevato all’interno ed all’esterno della azienda Pezzotti.
La prova della addebitabilità al Pezzotti dell'inquinamento con sostanze
pericolose del latte destinato alla alimentazione umana è quindi incontestabile
sulla base di più prove convergenti ciascuna delle quali sufficienti per
affermare la responsabilità dei suddetti imputati in ordine al reato di cui al capo g). E non è vero che la sentenza impugnata non abbia
esaminato le
deduzioni difensive dei ricorrenti poiché ha dato ampia risposta alle stesse
anche in ordine alle cause ed alle percentuali di inquinamento sulla base di
argomentazioni corrette e pienamente condivisibili.
Resta da esaminare l’ultimo motivo contenuto nella memoria difensiva aggiunta con
cui si invoca lo ius superveniens per farne discendere la inammissibilità
sopravvenuta della costituzione di parte civile da parte di Lega Ambiente e
degli enti locali territoriali, a cui favore è intervenuta nel giudizio di merito
condanna al pagamento di una provvisionale.
La tesi trae origine dalla modifica contenuta nella parte sesta del nuovo codice
ambientale disciplinante le norme in materia di tutela risarcitoria contro i
danni all’ambiente ed in particolare dalla lettura combinata degli artt. 299
segg., 309, 310, 311 e 318, comma 2, lett. a). Tali disposizioni abrogano da un
lato l’art. 18 della legge n. 349 del 1986 (escluso il comma 5) che legittimava
alla azione di risarcimento del danno ambientale sia lo stato che gli enti
territoriali nei quali incidano i beni oggetto dell’atto lesivo ed attribuiscono
ora, da altro lato, l’esercizio dell’azione civile in sede penale al Ministero
dell'Ambiente su segnalazione, impulso o richiesta di intervento statale (art.
312) da parte dell’ente locale, nonché delle
persone fisiche o giuridiche che sono o potrebbero essere colpite da danno
ambientale o che vantino un interesse legittimante la partecipazione al
procedimento relativo alla adozione delle misure di precauzione, di prevenzione
e di ripristino. In tal modo la nuova normativa ha “convogliato” l’azione di
ripristino ambientale nel solo Ministero dell’Ambiente che, qualora non ottenga
il risarcimento in forma specifica, riscuote i crediti per danno ambientale e li
rassegna agli enti locali per interventi di messa in sicurezza e di bonifica
dei siti inquinati (art.
317).
Da tale modifica i ricorrenti traggono il convincimento che le azioni civili nel
processo penale già esercitate per il passato dagli enti locali e dalle
associazioni di protezione ambientale perdano efficacia immediata con
conseguente annullamento delle condanne al risarcimento dei danni già
pronunciate in passate ed ancora sub iudice.
Premesso che in ogni caso l’art. 318, comma 2, lett. a) ha lasciato in vita il
comma 5 dell’art. 18 della legge n. 349 del 1986 (che riguarda l’intervento nei
giudizi per danno ambientale delle associazioni di protezione ambientale, a
fianco del quale dovrebbe altresì persistere la azione per il risarcimento del
danno patrimoniale proprio in base ad una giurisprudenza ormai consolidata; v.
per tutte Cass. sez. 3 n. 46746 del 2004, Rv 231306), per cui l’intervento di
Lega Ambiente nel presente giudizio resta indiscutibile anche in base alla nuova disposizione, per quanto riguarda la legittimazione degli enti territoriali
occorre rilevare che le nuove disposizioni si applicheranno al futuro e cioè ai
giudizi promossi dopo la entrata in vigore della nuova disciplina.
Si tratta infatti di norme processuali che soggiaciono alla regola del tempus regit actum, per cui sarebbe davvero singolare che dovessero essere caducate od
addirittura annullate le disposizioni civili della sentenza penale già esecutive
e messe in esecuzione quando il nuovo soggetto legittimato in via esclusiva
all’esercizio della azione di danno ambientale (lo Stato) non è stato messo in
condizioni di svolgere la complessa procedura istruttoria prevista dal nuovo
codice ambientale e di fatto non si era neppure costituito parte civile nel
presente procedimento. E ciò a parte il rilievo che, fermo restando nel nuovo
impianto la concentrazione nello Stato della azione risarcitoria, con il coinvolgimento degli enti locali sul cui territorio si è verificato il danno
ambientale, ma soltanto in sede istruttoria e di suddivisione del ricavato,
quasi si trattasse di enti soggetti sottoposti a tutela dello stato (il che
potrebbe anche porre problemi di legittimità costituzionale che comunque non
hanno rilevanza in questa sede), peraltro non potrebbe negarsi neppure per il
futuro la possibilità per gli enti locali e per gli altri soggetti pubblici o privati
di agire per il risarcimento dei propri danni
patrimoniali o non patrimoniali derivanti dalla azione inquinante, diversi da
quelli
dell’inquinamento del sito, come nel caso in esame in esame in cui la azione
degli enti locali ha riguardato un danno più esteso ed anche diverso da quello
strettamente ambientale.
I ricorsi devono essere pertanto respinti perché infondato sotto tutti i motivi addotti, con le conseguenze di legge in punto di spese (art. 616 C. P. P.).
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle spese
processuali.
Così deciso in Roma, addì 13 giugno 2006.
Il conigliere estensore
Il Presidente
Dott. Grazia Corradini
Dott. Severo Chieffi
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