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CORTE DI CASSAZIONE Penale, Sez. III, 26/01/2006 (Cc. 16/11/2005), Sentenza n. 3115
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
CORTE DI CASSAZIONE Penale, Sez. III,
26/01/2006 (Cc. 16/11/2005), Sentenza n. 3115
Pres.Papadia U. Est. Franco A.
Rel. Franco A. Imp. Costanzo. P.M. Izzo G. (Conf.) (Annulla senza rinvio,
Trib. Catania, s.dist. Paterno', 16 Marzo 2004)
del 16/11/2005
SENTENZA N. 2069
REGISTRO GENERALE
N. 14840/2004
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Udienza pubblica
Dott. PAPADIA Umberto - Presidente -
Dott. GRASSI Aldo - Consigliere -
Dott. PETTI Ciro - Consigliere -
Dott. SQUASSONI Claudia - Consigliere -
Dott. FRANCO Amedeo - est. Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COSTANZO Alfio, nato a Paternò il 27 luglio 1969;
avverso la sentenza emessa il 16 marzo 2004 dal Giudice del Tribunale di
Catania, sezione distaccata di Paternò;
udita nella Pubblica udienza del 16 novembre 2005 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. Amedeo Franco;
udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore Generale
Dott. IZZO Gioacchino, che ha concluso per l'annullamento con rinvio della
sentenza impugnata.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Costanzo Alfio e Santangelo Agata vennero rinviati a giudizio per rispondere
del reato di cui al D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, art. 51, comma 1, lett.
b), per avere, senza la prescritta autorizzazione, effettuato attività di
raccolta di rifiuti speciali e pericolosi, in particolare residui della
lavorazione delle olive e fogli di plastica, che raggruppavano all'interno
di un invaso naturale per il successivo smaltimento.
Il Giudice del Tribunale di Catania, sezione distaccata di Paternò, con
sentenza del 16 marzo 2004, assolse la Santangelo per non aver commesso il
fatto, mentre dichiarò il Costanzo colpevole del reato di cui al D.Lgs. 5
febbraio 1997, n. 22, art. 51, comma 1, lett. a), avendo ritenuto che non vi
fosse la prova che si trattasse di rifiuti pericolosi, e lo condannò alla
pena di Euro 12.000,00 di multa. Osservò in particolare il giudicante: a)
che il Costanzo era stato sorpreso mentre stava bruciando, all'interno di un
laghetto artificiale, un consistente quantitativo di materiale plastico
utilizzato per il rivestimento di serre e vivai nonché scarti di lavorazione
dell'olio; b) che dalle tracce rinvenute sul suolo del laghetto poteva
dedursi che verosimilmente l'aerea in questione era utilizzata anche in
precedenza per bruciare rifiuti dello stesso genere; c) che il Costanzo era
in possesso solo di autorizzazioni del sindaco e della U.s.l. per lo
stoccaggio delle acque di vegetazione provenienti dall'oleificio e per la
successiva utilizzazione agronomica ai sensi della L. n. 574 del 1996,
peraltro riferibili ai soli anni 1995 e 1996, mentre nella specie le
sostanze non erano destinate ad utilizzazione agronomica ma erano smaltite
attraverso la combustione; d) che le tracce di precedenti combustioni
provavano la non occasionalità della utilizzazione dell'invaso per
l'eliminazione dei rifiuti, sicché occorreva la autorizzazione della
provincia; e) che però non vi era prova che si trattasse di rifiuti
pericolosi, mentre non erano applicabili ne' il D.Lgs. 5 febbraio 1997, n.
22, art. 8 perché non si trattava di rifiuti riutilizzati nelle normali
pratiche agricole di conduzione dei fondi rustici, ne' la L. n. 574 del 1996
perché non era provata la loro utilizzazione agronomica. Il Costanzo propone
ricorso per Cassazione deducendo:
a) nullità della sentenza per nullità della notificazione del decreto di
citazione a giudizio. Osserva che alla udienza del 25/11/2003 il Giudice,
rilevato che non era mai stata effettuata la notificazione all'imputato, ne
dispose la rinnovazione a cura della cancelleria. Trattandosi però di una
omessa notificazione da parte del Pubblico Ministero, il Giudice avrebbe
dovuto restituire a questi gli atti, perché fosse lui a citare le parti e ad
inviare un nuovo fascicolo.
b) nullità della sentenza per illegittimità della dichiarazione di
contumacia dell'imputato alla udienza del 16/03/2004, non risultando integro
il contraddittorio sulla sussistenza dei relativi presupposti.
c) nullità della sentenza per nullità della notificazione del decreto di
citazione a giudizio. Infatti il Costanzo non venne citato la prima volta in
quanto non fu reperito al domicilio dichiarato perché trasferito, sicché fu
disposta la notificazione ex art. 161 cod. proc. pen. presso lo studio del
difensore. La notificazione avrebbe dovuto essere invece eseguita nel nuovo
domicilio, essendo questo noto indipendentemente da qualsiasi comunicazione
fatta dall'imputato, e non nel domicilio dichiarato. Inoltre, l'indicazione
di un luogo idoneo per le notificazioni senza specificazioni del
domiciliatario, deve intendersi come dichiarazione di domicilio e non come
elezione dello stesso.
d) nullità della sentenza ex art. 521 cod. proc. pen. perché la
contestazione non indicava il fatto in forma chiara e precisa, in quanto si
limitava ad indicare la semplice raccolta di rifiuti speciali e pericolosi
(residui della lavorazione delle olive e fogli di plastica) senza la
prescritta autorizzazione e su questa contestazione era stata predisposta la
difesa diretta a provare invece che la attività era stata svolta nel
rispetto delle normative vigenti. Il Giudice del merito ha invece modificato
sostanzialmente l'oggetto della contestazione ed è pervenuto ad una condanna
ritenendo che la rubrica contenesse elementi sussumibili nella ipotesi di
cui al D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, art. 51, lett. a). e) nullità della
sentenza ai sensi dell'art. 521 cod. proc. pen. per violazione del principio
di correlazione tra accusa e sentenza. Invero il Giudice lo ha condannato
non per il fatto contestato, ossia per avere effettuato attività di raccolta
di rifiuti speciali senza autorizzazione, ma per un fatto diverso non
contestato, e cioè per avere proceduto allo smaltimento delle sostanze in
questione attraverso la loro combustione. Non si è trattato solo di una
diversa qualificazione giuridica ma di un mutamento del fatto storico
contestato. Una cosa è infatti la attività di raccolta di rifiuti speciali e
pericolosi, altra cosa e l'attività di smaltimento pericoloso di sostanze
non pericolose attraverso la combustione, essendo diversi sia la condotta
sia l'evento sia lo elemento psicologico.
f) vizio di motivazione sulla mancata applicazione della L. 11 novembre
1996, n. 574, che disciplina la utilizzazione agronomica degli scarichi dei
rifiuti e la cui applicazione è fatta salva proprio dal D.Lgs. 5 febbraio
1997, n. 22, art. 1, comma 1. Inoltre, il D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22,
art. 8 esclude dal proprio ambito di applicazione "le terre di coltivazione
provenienti dalla pulizia dei prodotti vegetali eduli". Deve invero
ritenersi che il riutilizzo delle acque di lavorazione delle olive su un
terreno agricolo, pur essendo riconducibile alla operazione di recupero R 10
(spandimento sul suolo a beneficio dell'agricoltura e dell'ecologia)
riportata nell'allegato C del D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, riguarda una
tipologia di rifiuto al quale non sono applicabili le disposizioni del D.Lgs.
5 febbraio 1997, n. 22, ma quelle speciali della L. 11 novembre 1996, n.
574. Essendo questa la normativa applicabile nella specie, il titolare
dell'oleificio era in possesso di tutte le necessarie autorizzazioni. In
ogni caso, la violazione ravvisabile non era quella ritenuta in sentenza ma
semmai quella dell'art. 674 cod. pen., per i gas e fumi provocati dalla
combustione dei fogli di plastica.
g) mancanza assoluta di motivazione sulla misura della pena. h) mancanza
assoluta di motivazione sul diniego delle attenuanti generiche che nella
specie invece ben potevano essere concesse in considerazione della modesta
entità del fatto, della esistenza delle autorizzazioni per la raccolta dei
residui della olive, della buona fede, della potenziale inoffensività della
condotta, del comportamento processuale dell'imputato e della sua
incensuratezza.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Il primo motivo è manifestamente infondato perché, proprio la decisione
delle Sezioni Unite citata dal ricorrente (seguita dalla giurisprudenza
successiva) ha statuito che nel caso di nullità della notificazione del
decreto di citazione a giudizio il Giudice del dibattimento deve provvedere
egli stesso a rinnovare la notifica, e non può disporre la restituzione
degli atti al Pubblico Ministero con un provvedimento che, determinando una
indebita regressione del processo, si configurerebbe come abnorme (Sez. Un.,
29 maggio 2002, Manca, m. 221.999). Correttamente, quindi, nella specie il
Giudice, constatato che la notificazione non aveva avuto esito per il
trasferimento dell'imputato dal domicilio dichiarato, dispose che la nuova
notificazione del decreto di citazione a giudizio avvenisse a cura della
cancelleria.
Il secondo motivo è inammissibile per assoluta genericità, non essendo stato
nemmeno specificato per quale ragione alla udienza del 16 marzo 2004 la
dichiarazione di contumacia - tra l'altro effettuata alla presenza del
difensore di fiducia avv. Alfio Lenza - sarebbe avvenuta in assenza di
contraddittorio sulla sussistenza dei relativi requisiti.
Il terzo motivo è anch'esso inammissibile sia per genericità (non essendo
stati specificati i presunti vizi della rinotificazione del decreto di
citazione, ed anzi non essendo stati nemmeno indicati ne' il nuovo domicilio
dell'imputato, ne' perché esso avrebbe dovuto essere noto all'ufficio, ne'
la rilevanza del fatto che il precedente domicilio era dichiarato e non
eletto) ed è comunque manifestamente infondato, in quanto la rinotificazione
effettuata ai sensi dell'art. 161 cod. proc. pen. nello studio del difensore
di fiducia è stata perfettamente regolare. L'imputato, infatti, il 10 luglio
2001 aveva, ai sensi dell'art. 161 c.p.p., comma 1, "dichiarato" (e non
eletto) a verbale il proprio domicilio in Paternò, via Sabotino n. 55. La
notificazione del decreto di citazione a giudizio in questo domicilio
dichiarato effettuata il 1 luglio 2003 non ebbe esito positivo perché (come
risulta dalla relata) il destinatario era "sloggiato altrove da circa un
anno". Il Costanzo non comunicò alla autorità giudiziaria il nuovo
domicilio. Pertanto, non essendo stato l'imputato rinvenuto, perché
trasferito, nel domicilio dichiarato e non avendo comunicato, come invece
era suo preciso onere, il mutamento del domicilio dichiarato, la nuova
notificazione è stata correttamente eseguita mediante consegna al difensore,
così come previsto dal citato art. 161 c.p.p..
Il quarto motivo è anch'esso manifestamente infondato perché il fatto che il
Giudice abbia ritenuto non sussistente la prova che i rifiuti in questione
fossero pericolosi e li abbia di conseguenza considerati non pericolosi,
ravvisando la meno grave fattispecie incriminatrice di cui al D.Lgs. 5
febbraio 1997, n. 22, art. 51, lett. a) anziché quella contestata di cui
alla lett. b), della medesima disposizione, si è risolto in una mera
riqualificazione giuridica del fatto, oltretutto vantaggiosa per l'imputato.
Ritiene invece il Collegio che sia fondato il quinto motivo, perché
effettivamente nella specie è ravvisabile una violazione del principio di
correlazione tra fatto contestato e fatto ritenuto in sentenza, con
conseguente violazione dell'art. 521 cod. proc. pen. e del diritto di
difesa. Con il capo di imputazione, infatti, era stato contestato al
Costanzo soltanto il comportamento consistente in una attività di raccolta,
all'interno di un invaso naturale, di rifiuti speciali costituiti da residui
della lavorazione delle olive e da fogli di plastica (nella imputazione si
dice infatti che la raccolta era effettuata per essere poi i rifiuti
successivamente smaltiti, ma si non contesta in alcun modo al Costanzo anche
una attività di smaltimento).
Con la sentenza impugnata, invece, l'imputato è stato condannato non per una
attività di raccolta dei rifiuti ma per una attività di incenerimento degli
stessi, ossia per una attività di smaltimento mediante combustione. Non si
tratta, in questo caso, di una mera riqualificazione giuridica del fatto, ma
di un fatto diverso, sia per condotta sia per evento. Tale diversità, del
resto, è anche legislativamente statuita, dal momento che al D.Lgs. 5
febbraio 1997, n. 22, art. 1 tiene ben distinte le due attività, precisando,
alla lett. e), che per "raccolta" si intende l'operazione di prelievo, di
cernita e di raggruppamento dei rifiuti per il loro trasporto, mentre la
attività di "smaltimento" è separatamente contemplata dalla lett. g), e può
concretizzarsi in una serie di operazioni, tra cui appunto la attività di
"incenerimento a terra", contemplata dal n. 10 dell'allegato B, ossia il
comportamento per il quale l'imputato è stato nella specie ritenuto
colpevole e condannato.
Un fatto, quindi, è la raccolta dei rifiuti, ed altro fatto è il loro
smaltimento mediante incenerimento a terra. Il pubblico ministero avrebbe
perciò dovuto in corso di dibattimento, ai sensi dell'art. 516 cod. proc.
pen., modificare l'imputazione e contestare il fatto risultato diverso da
come descritto nel decreto di citazione a giudizio ed in mancanza di questa
modifica della imputazione, il Giudice, un volta riconosciuto sussistente il
fatto diverso, avrebbe dovuto disporre la trasmissione degli atti al
Pubblico Ministero ai sensi dell'art. 521 c.p.p., comma 2. Nè nel caso in
esame può ritenersi che non vi sia stata violazione del principio della
correlazione tra fatto contestato e fatto ritenuto in applicazione del
criterio sostanzialistico, improntato alla verifica concreta della
sussistenza dei pregiudizi dei diritti della difesa con il quale va valutato
il principio di correlazione (cfr. Sez. 4^, 6 aprile 2004, Facchini, m.
228.588; Sez. 2^, 15 marzo 2000, Imbimbo, m. 215.903).
Proprio in applicazione di tale criterio, infatti, deve ritenersi che nella
specie la diversità del fatto ritenuto abbia comportato un effettivo
pregiudizio del diritto di difesa, come emerge dalla circostanza che tutta
l'impostazione difensiva svolta in dibattimento appariva mirata a dimostrare
che la contestata attività di raccolta dei residui della lavorazione delle
ulive era stata svolta nel rispetto delle normative speciali in materia di
autorizzazioni amministrative relative allo stoccaccio delle acque di
vegetazione delle olive ed alla loro riutilizzazione agronomica. È quindi
evidente che la condanna intervenuta invece non per un comportamento di
raccolta dei rifiuti ma per un comportamento di smaltimento degli stessi
mediante incenerimento a terra abbia sicuramente inciso sull'esercizio del
diritto di difesa. La sentenza impugnata deve quindi essere annullata senza
rinvio con trasmissione degli atti al Procuratore della Repubblica presso il
Tribunale di Catania. Gli altri motivi di ricorso restano assorbiti.
P.Q.M.
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata e dispone trasmettersi gli atti
al Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Catania.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte Suprema di Cassazione. il 16
novembre 2005.
Depositato in Cancelleria il 26 gennaio 2006
1) Rifiuti - Gestione dei rifiuti pericolosi - Differenza tra raccolta e smaltimento - Violazione del principio di correlazione tra imputazione contestata e sentenza. Il D.Lgs n. 22 del 1997, relativo alla gestione dei rifiuti pericolosi, distingue nettamente l'attività di raccolta (prelievo, cernita e raggruppamento per il trasporto) da quella di smaltimento (che prevede anche il caso di incenerimento al suolo): ne consegue che la condanna per la violazione delle norme disciplinanti tale ultima attività configura - nel caso in cui l'imputazione riguardi invece l'inosservanza delle norme relative alla diversa attività di raccolta - violazione del principio di correlazione tra imputazione contestata e sentenza. Pres.Papadia U. Est. Franco A. Rel. Franco A. Imp. Costanzo. P.M. Izzo G. (Conf.) (Annulla senza rinvio, Trib. Catania, s.dist. Paterno', 16 Marzo 2004). CORTE DI CASSAZIONE Penale, Sez. III, 26/01/2006 (Cc. 16/11/2005), Sentenza n. 3115
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