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Testata registrata presso il Tribunale di Patti Reg. n. 197 del 19/07/2006


CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. III, 29 settembre 2006 (Ud. 19/04/2006), Sentenza n. 32529



Beni culturali e ambientali - Urbanistica e edilizia - Condono edilizio nelle aree sottoposte a vincoli - Limiti di applicabilità - C.d. mini condono ambientale - Reati urbanistici concorrenti - Rapporto fra condono edilizio e condono ambientale. In forza del D.L. 269 del 2003 convertito con modificazioni nella legge 24.11.2003 n. 326, il condono edilizio per le opere eseguite nelle aree sottoposte a vincoli imposti sulla base di leggi statali e regionali a tutela degli interessi idrogeologici, ambientali e paesistici è possibile soltanto per gli interventi edilizi di minore importanza corrispondenti alle tipologie di cui ai nn. 4, 5 e 6 dell'Allegato 1 (restauro, risanamento conservativo e manutenzione straordinaria). Sicché, gli effetti del c.d. mini condono ambientale introdotto dalla legge 308/2004 restano circoscritti ai soli reati paesaggistici senza ricadute positive sui reati urbanistici concorrenti (Cass. Sez. III, sentenza n. 33297 del 10.5.2005 Rv 232186). Pres. Postiglione, Est. Mancini, Ric. Martella. CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. III, 29 settembre 2006 (Ud. 19/04/2006), Sentenza n. 32529

Beni culturali e ambientali - Urbanistica e edilizia - Rapporto fra condono edilizio e condono ambientale - Effetti. La propagazione degli effetti del condono edilizio sono da escludere per i reati ambientali (precisamente con riferimento al reato ambientale di cui all' art. 1 sexies del D.L. 312 del 1985 convertito nella L. 431 dello stesso anno) (Cass. Sez. III n. 10605 del 20.6.2000 Rv 217579; Cass. n. 33297 del 10.5.2005 Rv 232186. Pres. Postiglione, Est. Mancini, Ric. Martella. CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. III, 29 settembre 2006 (Ud. 19/04/2006), Sentenza n. 32529

Urbanistica e edilizia - Condono - Poteri-doveri del giudice penale - Cause di estinzione del reato - Competenza dell'autorità amministrativa. Rientra tra i poteri-doveri del giudice penale accertare l’esistenza di cause di estinzione del reato o della pena e di disporre la sospensione del processo penale solo in presenza di ragioni che tassativamente la impongano (Cass. Sez. III, sentenza n. 11624 del 4.11.1997 Rv 209707). Né in tal modo, si realizza una indebita invasione del campo riservato alla competenza dell'autorità amministrativa. Pres. Postiglione, Est. Mancini, Ric. Martella. CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. III, 29 settembre 2006 (Ud. 19/04/2006), Sentenza n. 32529



Udienza pubblica del 19.4.2006
SENTENZA N. 00635/2006
REG. GENERALE n. 028747/2005


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE


Composta dagli III. mi Signori
    Dott. POSTIGLIONE AMEDEO                            Presidente
1. Dott. MANCINI FRANCO                                     Consigliere
2. Dott. GENTILE MARIO                                        Consigliere
3. Dott. FIALE ALDO                                               Consigliere
4. Dott. AMOROSO GIOVANNI                                Consigliere

ha pronunciato la seguente


SENTENZA/ORDINANZA


sul ricorso proposto da :


1) MARTELLA GIUSEPPE                                                  N. IL 10/12/1956


avverso SENTENZA         del 18/04/2005


CORTE APELLO               di LECCE


Visti gli atti, Ia sentenza ed il procedimento


Udita in PUBBLICA UDIENZA Ia relazione fatta dal consigliere MANCINI FRANCO
Udito il Procuratore Generale in persona del dott. Mario Fraticelli

che ha concluso per rigetto del ricorso,
Udito il difensore della parte civile, avv. ==
Udito il difensore avv. Biagio De Francesco (CORSANO)


Svolgimento del processo


Con sentenza del 18 aprile 2005 la Corte d'appello di Lecce confermava quella in data 4 maggio 2004 del tribunale della stessa città, sezione distaccata di Trifase, che aveva condannato l'appellante Martella Giuseppe alla pena di mesi uno giorni dieci di arresto ed euro 12.000,00 di ammenda previa la concessione delle attenuanti generiche, con la sospensione condizionale della pena subordinata alla demolizione del manufatto abusivo, avendolo riconosciuto colpevole del reato di cui all'art. 20 lett. c) della legge 47 del 1985 per avere realizzato in assenza della prescritta concessione e per di più in zona sottoposta a vincolo paesaggistico un manufatto costituito da un seminterrato ed un piano rialzato.


Nella sua decisione la Corte rileva che bene il primo giudice aveva escluso la sospensione del processo per l'avvenuta presentazione della domanda di condono sul rilievo che trattasi di opera non condonabile. Nota infatti che l'art. 32 comma 26 lett. a) della legge 326 del 2003 - che ha convertito con modificazioni il DL 10.9.2003 n. 269 e che ha tra l'altro introdotto il nuovo condono edilizio - considera suscettibili di sanatoria gli immobili soggetti a vincolo di cui all'art. 32 della legge 47/1985 solo con riferimento alle tipologie di illecito contemplate dai nn. 4, 5 e 6 dell'allegato 1 alla stessa legge e quindi le opere abusive di restauro, risanamento conservativo e manutenzione straordinaria. Nella specie trattasi invece di nuova costruzione. Né rileva che essa sia eventualmente conforme ai vigenti strumenti urbanistici atteso che ciò è solo uno dei requisiti per fruire del condono, a condizione tuttavia che si rimanga nel campo delle tipologie di illecito ammesse al beneficio.


Aggiunge la Corte che non si perviene a conclusione diversa neppure considerando che, come dimostrato nel giudizio di appello, l'imputato ha presentato domanda di compatibilità paesaggistica ai sensi dell'art. 1 comma 39 della legge 15 dicembre 2004 n. 308 per fruire del cd. mini condono ambientale: ciò perché ai sensi del precedente comma 37 all'esito positivo della procedura consegue l'estinzione del reato di cui all'art. 181 del decreto legislativo 42 del 2004 e di ogni altro reato in materia paesaggistica, escluso invece lo stesso effetto sul reato di natura edilizia.


Spiega lo stesso giudice, continuando nell'esame del rapporto fra condono edilizio e condono ambientale, che il legislatore del secondo si è limitato a prevedere l'accertamento della compatibilità paesaggistica per i lavori compiuti su beni paesaggistici entro il 30 settembre 2004. Peraltro l'effetto estintivo si consegue con il pagamento dell'oblazione ma solo per le tipologie edilizie realizzate ed i materiali utilizzati che rientrino nella previsione degli strumenti di pianificazione urbanistica.


Secondo la Corte il riferimento alle tipologie edilizie fa pensare ad una condotta illecita di natura positiva esclusa pertanto ogni attività, ad esempio, di contenuto meramente distruttivo.


Dopodichè, nell'ottica della Corte stessa, occorre procedere ad un coordinamento dei due testi legislativi ricordando che la disciplina degli strumenti di pianificazione paesaggistica di cui all'art. 1 comma 37 della legge sul condono ambientale è dettata dall'art. 143 del D. L.vo 42 del 2004. Orbene da tale disciplina si evince che tutela ambientale e tutela urbanistica si realizzano entrambe all'interno dei piani paesaggistici, nell'ambito di una visione dello sviluppo e dell'ordinamento del territorio che ha informato l'azione legislativa sin dai tempi della legge Galasso in ossequio al dettato dell'art. 9 della Carta fondamentale.


In conclusione, ad avviso della Corte di merito, il condono ambientale deve muoversi lungo gli stessi binari del condono edilizio dovendosi considerare dunque limitato alle tipologie di illecito di cui sopra. A tale conclusione condurrebbe peraltro la riflessione sulla relazione governativa al decreto legge 269 del 2003.


Il legame che avvince le due normative è ulteriormente dimostrato, nel pensiero del giudice dell'appello, dal fatto che l'ampliamento della volumetria in misura superiore al 30% della costruzione originaria ovvero superiore a 750 metri, cubi è escluso in radice dal condono edilizio mentre in materia ambientale integra la nuova e più grave figura di reato, avente in questo caso natura di delitto e non di contravvenzione, introdotta dall'art. 1 comma 36 della legge 308 del 2004 mediante la creazione del comma 1 bis dell'art. 181 del D. L.vo 42 del 2004, disciplinante il caso in cui i lavori posti in essere in difetto o difformità dalla prescritta autorizzazione riguardino immobili ad aree tutelati per legge ai sensi dell'art. 142 del decreto medesimo.


Né può dirsi in contrasto con tale interpretazione il rilievo che per effetto della radicale riscrittura dell'art. 32 della legge 47 del 1985 operata dall'art. 43 della legge 326 del 2003 concernente condono edilizio il rilascio del titolo abilitativo in sanatoria estingue anche la violazione del vincolo perchè sono ipotizzabili interventi su beni paesaggistici integranti la violazione paesaggistica ma non anche quella edilizia. In secondo luogo l'affetto estintivo di cui al condono ambientale riguarda non solo il reato di cui all'art. 181 del decreto legislativo 42 del 2004 ma anche altri reati paesaggistici come quello previsto e punito dall'art. 734 del codice penale.


A mezzo del proprio difensore propone ricorso per cassazione l'imputato deducendo l'errata interpretazione della legge penale laddove si è ritenuto che la legge sul condono - dichiarata in parte qua illegittima dalla Corte costituzionale con la sentenza 196 del 28.6.2004 che ha rilevato in tale disciplina una indebita compressione della potestà legislativa concorrente delle Regioni - limiti il beneficio alle sole tipologie di lavori indicati dalla Corte territoriale. Tali tipologie infatti sarebbero ammesse a sanatoria già dall'art. 32 co. 26 lett. a) della legge stessa che non richiede la conformità agli strumenti urbanistici. Ne segue che il successivo comma 27 lett. d) non potrebbe che riferirsi alle nuove costruzioni eseguite in zona sottoposta a vincolo paesaggistico purché conformi alla strumentazione urbanistica.


Peraltro già il vecchio art. 13 della legge 47 consentiva la sanabilità dell'opera con estinzione del reato edilizio. Si farebbe tuttavia ricorso al condono edilizio perché esso consente l'estinzione anche del reato paesaggistico.


Osserva ancora il ricorrente che il diritto vivente riconosce al giudice penale il potere di verificare se in astratto ricorrano gli estremi della condonabilità ma tale delibazione non può diventare una sorta di pregiudiziale penale, non potendosi dimenticare che il potere di accertamento in materia compete alla pubblica amministrazione.


Né la verifica del giudice può rimanere sul piano della mera astrattezza ed allora se si porta l'esame sul piano della concretezza non può trascurarsi che a) l'imputato ha edificato dove era consentita la costruzione addirittura di ville padronali ( in conformità a quanta previsto dall'art. 51 della legge regionale 56 del 1980 ); b) la sua richiesta era limitata alla sola sospensione del processo che avrebbe consentito al giudice di disporre di tutti i dati necessari per decidere sull'ammissibilità del condono.


Censure vengono infine mosse anche alla quantificazione della pena ed alla apposizione della condizione (che si assume di competenza esclusiva della PA) alla sospensione condizionale della pena.


Motivi della decisione


Il ricorso è infondato e deve essere respinto.


E' orientamento consolidato di questa Corte Suprema quale risulta fra altre dalla sentenza n. 33297 del 10.5.2005 Rv 232186 di questa stessa Sezione che in forza del DL 269 del 2003 convertito con modificazioni nella legge 24.11.2003 n. 326 " nelle aree sottoposte a vincoli imposti sulla base di leggi statali e regionali a tutela degli interessi idrogeologici, ambientali e paesistici la sanatoria è possibile soltanto per gli interventi edilizi di minore importanza corrispondenti alle tipologie di cui ai nn. 4,5 e 6 dell'Allegato 1 ( restauro, risanamento conservativo e manutenzione straordinaria)..."

A tale orientamento si è pienamente adeguata la sentenza impugnata allorché ha escluso la condonabilità dei lavori abusivi eseguiti nella specie, che hanno avuto tutt'altra natura essendosi risolti nella realizzazione di una nuova costruzione (come non è contestato).


E' chiaro poi che da tale puntuale e condivisibile diagnosi dovesse necessariamente scaturire il rigetto da parte del giudice della richiesta di sospensione del processo, che è provvedimento strettamente funzionale alla concessione della sanatoria e non può dunque essere adottato allorché come nel caso in esame l'abuso non è condonabile.


Né in tal modo, contrariamente all'avviso del ricorrente, si realizza una indebita invasione del campo riservato alla competenza dell'autorità amministrativa. Al contrario il giudice penale continua a restare nell'ambito dei propri compiti dal momento che di sicuro rientra nei suoi poteri-doveri di accertare la esistenza di cause di estinzione del reato o della pena e di disporre la sospensione del processo penale solo in presenza di ragioni che tassativamente la impongano (nella sentenza. n. 11624 del 4.11.1997 Rv 209707 di questa Corte è puntualmente riconosciuto ed affermato questo potere di delibazione).


Un discorso sostanzialmente analogo deve farsi per la domanda di condono ambientale proposta dal ricorrente perchè anche in questo caso il giudice bene ha fatto a non disporre la sospensione del processo penale. Anche in tal caso infatti, pure ad ipotizzare che l'imputato potesse fruire del cd. minicondono ambientale previsto dalla legge 15.12.2004 n. 308, gli effetti dello stesso sarebbero rimasti circoscritti ai reati paesaggistici senza ricadute positive sul reato per il quale si procede in questa sede che al contrario è eminentemente urbanistico.


Ciò è esplicitamente previsto dall'art. 1 comma 37 della legge appena citata che circoscrive l'effetto estintivo indotto dal condono in questione ai soli reati paesaggistici.


Dal canto suo la giurisprudenza di questa Corte già con la sentenza della Sez. III n. 10605 del 20.6.2000 Rv 217579 aveva escluso la propagazione degli effetti del condono edilizio ai reati ambientali (precisamente con riferimento al reato ambientale di cui all' art. 1 sexies del DL 312 del 1985 convertito nella L. 431 dello stesso anno) ed il principio è stato ripreso e ribadito più di recente dalla sentenza di questa stessa Sezione n. 33297 del 10.5.2005 Rv 232186, già citata più sopra.


C'è da aggiungere che la sentenza impugnata tenta una apprezzabile opera di armonizzazione dei due condoni cercando di individuare per loro un campo comune di operatività con la conseguenza che escluse determinate tipologie di opere abusive dal condono edilizio le stesse resterebbero automaticamente escluse anche da quello ambientale. In questa sede tuttavia, anche a riconoscere la totale autonomia del condono ambientale, deve comunque riconoscersi che l'eventuale concessione dello stesso non produrrebbe effetti sul reato urbanistico oggetto del presente procedimento.


Scaturisce dalle considerazioni che precedono che la censura rivolta ai giudici del merito per non avere disposto la sospensione del processo in dipendenza sia dell'avvenuta presentazione della domanda di condono edilizio che dell'avvenuta presentazione della domanda di accertamento della compatibilità paesaggistica dei lavori effettivamente eseguiti (di cui al cit. art. 37 della legge 308 del 2004) deve ritenersi priva di fondamento.


Quanto infine alle censure concernenti la misura della pena e l'apposizione della condizione della demolizione del manufatto alla concessione del beneficio della sospensione condizionale delta esecuzione della pena è appena il caso di rilevare che su quest'ultimo punto la Corte territoriale ha correttamente considerato che detta apposizione ha costituito l'esercizio di una legittima facoltà concessa al giudice dall'art. 163 c.p., in un contesto peraltro caratterizzato dalla mancata adozione da parte della pubblica amministrazione di provvedimenti di segno contrario.


Ed anche la misura della pena a stata oggetto di puntuale attenzione da parte della Corte territoriale che ne ha sottolineato la modesta entità con riguardo al danno inferto ad un tratto molto suggestivo della penisola salentina peraltro da parte di chi non aspirava al possesso della prima casa ma solo di una abitazione per le vacanze.


Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.


PQM


la Corte Suprema di Cassazione rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.


Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 19 aprile 2006.

 


Il consigliere estensore              Il presidente
   Franco MANCINI                    Amedeo POSTIGLIONE


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