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registrata presso il Tribunale di Patti Reg. n. 197 del 19/07/2006
Beni culturali e ambientali - Vincolo di rimboschimento - Obbligo di
rimboschimento - Assimilazione ai boschi. L’assimilazione ai boschi dei
fondi gravati dall’obbligo di rimboschimento richiede la sola presenza del
provvedimento amministrativo o della disposizione normativa che abbia imposto il
vincolo di rimboschimento. E’ da escludersi il concorso apparente di norme e,
conseguentemente, l’applicazione del principio di specialità tra la violazione
paesaggistica di cui all’articolo 181 D.Lv. 42-2004 e il DL 3267-1923 artt. 26 e
54 in tema di vincolo idrogeologico e tra la medesima violazione penale e la
legge 950-1956 art. 1 in materia di polizia forestale. Pres. Lupo - Est. Franco
- Ric. De Nardis. CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. III, 29 settembre 2006 (Ud.
07/06/2006), Sentenza n. 32542
Beni culturali e ambientali - Vincoli idrogeologici - Danneggiamento o taglio di
piante - Art. 26 D.l. n. 3267/1923 e Art. 181 d.lgs. n. 42/2004 - Finalità di
salvaguardia - Differenza del bene protetto. L'art. 26 del d.l. 30 dicembre
1923, n. 3267, è dettato a protezione del vincolo idrogeologico e di altri
simili interessi (difesa dalla caduta di valanghe, sassi, furia dei venti, oltre
che difesa delle condizioni igieniche locali e difesa militare) e sanziona il
fatto di chi danneggi piante o comunque arrechi altri danni nei boschi vincolati
per scopi idrogeologici o per gli altri scopi indicati e ciò in violazione delle
prescrizioni impartite dalle competenti autorità. Mentre, l'art. 163 del d.lgs.
29 ottobre 1999, n. 490 (ora art. 181 d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42), è dettato
a tutela degli interessi paesaggistici ed ambientali, e segnatamente alla
salvaguardia del bosco nel suo valore estetico-ambientale, e sanziona il fatto
di chi esegua lavori di qualsiasi genere su beni ambientali senza la prescritta
autorizzazione o in difformità di essa, a prescindere dal fatto che arrechi o
meno un danno o un pregiudizio. Pres. Lupo - Est. Franco - Ric. De Nardis.
CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. III, 29 settembre 2006 (Ud. 07/06/2006),
Sentenza n. 32542
Agricoltura - Vincoli idrogeologici - Terreni rimboschiti - Art. 54 D.l. n.
3267/1923 - Finalità di salvaguardia - Operazioni di governo boschivo in
difformità del piano di coltura e conservazione approvato - Pascoli - Sanzioni.
L'art. 54 del d.l. 30 dicembre 1923, n. 3267, persegue la finalità di
salvaguardare il vincolo idrogeologico (o gli altri interessi indicati) e
sanziona proprietario dei terreni rimboschiti per effetto dello stesso decreto
legge che effettui sugli stessi la coltura agraria o effettui il pascolo secondo
modalità diverse da quelle previste o comunque compia le operazioni di governo
boschivo in difformità del piano di coltura e conservazione approvato. Pres.
Lupo - Est. Franco - Ric. De Nardis. CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. III, 29
settembre 2006 (Ud. 07/06/2006), Sentenza n. 32542
Taglio di boschi - Fondi gravati dall'obbligo di rimboschimento - D.Lgs. n.
227/2001 - Definizione di bosco - Requisiti minimi - Esclusione - Fattispecie.
La disposizione dell’art. 2, comma 6, del d.lgs. 18 maggio 2001, n. 227,
riferisce i requisiti «estensione non inferiore a 2.000 metri quadrati e
larghezza media non inferiore a 20 metri e copertura non inferiore al 20 per
cento, con misurazione effettuata dalla base esterna dei fusti», soltanto alle
formazioni vegetali ed ai terreni su cui esse sorgono al fine della loro
qualificazione come boschi e non anche ai fondi gravati dall'obbligo di
rimboschimento, per la cui assimilazione ai boschi non occorre anche la presenza
dei detti requisiti, essendo sufficiente la presenza del provvedimento
amministrativo o della disposizione normativa che abbia imposto il vincolo di
rimboschimento per una delle finalità indicate. Nella specie, appare
assolutamente inverosimile ed illogico il comportamento del proprietario di un
terreno che, avvertito delle distruzione delle piantine di sua proprietà e pur a
conoscenza del vincolo gravante sul terreno, non sporga immediatamente denuncia
all'organo competente al quale sa bene di dover rendere conto della piantagione.
Pres. Lupo - Est. Franco - Ric. De Nardis. CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez.
III, 29 settembre 2006 (Ud. 07/06/2006), Sentenza n. 32542
Taglio di boschi - Terreno sottoposto a vincolo di rimboschimento -
Violazione delle norme di polizia forestale - L. n. 950/1956 - Art. D.L. n.
3267/1923 - Fattispecie. L'art. 1 della legge 9 ottobre 1956, n. 950,
sanziona la violazione delle norme di polizia forestale contenute nei
regolamenti di cui all'art. 10 del d.l. 30 dicembre 1923, n. 3267. Nella specie,
è stato ritenuto che sussiste il vincolo ambientale non perché si tratta di un
bosco (in senso stretto) bensì perché si tratta di terreno sottoposto a vincolo
di rimboschimento. Ai sensi, dell'art. 146 del d.lgs. 29 ottobre 1999, n. 490
(ora art. 142 del d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42), alla lett. G), inserisce tra i
beni ambientali tutelati per legge, oltre i territori coperti da foreste e da
boschi, anche quelli sottoposti a vincolo di rimboschimento. L'art. 142 del
d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, alla lett. G) che sono soggetti a tutela
ambientale «i territori coperti da foreste e da boschi, ancorché percorsi o
danneggiati dal fuoco, e quelli sottoposti a vincolo di rimboschimento, come
definiti dall'articolo 2, commi 2 e 6, del decreto legislativo 18 maggio 2001,
n. 227». L'art. 2 del d.lgs. 18 maggio 2001, n. 227, poi, prevede nel comma 2
che entro dodici mesi le regioni stabiliscano per il territorio di loro
competenza la definizione di bosco (ed in particolare i valori minimi di
larghezza, estensione e copertura), e nel comma 3 che sono assimilati al bosco,
tra gli altri, «i fondi gravati dall'obbligo di rimboschimento per le finalità
di difesa idrogeologica del territorio, qualità dell'aria, salvaguardia del
patrimonio idrico, conservazione della biodiversità, protezione del paesaggio e
dell'ambiente in generale». Pres. Lupo - Est. Franco - Ric. De Nardis. CORTE
DI CASSAZIONE PENALE Sez. III, 29 settembre 2006 (Ud. 07/06/2006), Sentenza n.
32542
Procedure e varie - Ricorso in cassazione - Presupposti - Profilo
strettamente giuridico. Non sono denunciabili in cassazione i vizi della
motivazione nelle questioni di diritto affrontate dal giudice di merito
allorquando sia corretta la soluzione sotto il profilo strettamente giuridico,
poiché l'interesse alla impugnazione nasce solo dall'errata soluzione della
detta questione (Sez. V, 22 febbraio 1994, Marzola, m. 197.993). Pres. Lupo -
Est. Franco - Ric. De Nardis. CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. III, 29
settembre 2006 (Ud. 07/06/2006), Sentenza n. 32542
Procedure e varie - «Medesimezza» del fatto - Criteri di valutazione -
Condotta e oggetto materiale - Concorso c.d. apparente di norme - Rapporto di
specialità - Identità dei beni giuridici tutelati e degli elementi strutturali -
L. n.689/1981. Per valutare la «medesimezza» del fatto ai sensi dell'art. 9
della legge 24 novembre 1981, n. 689, occorre considerare l'astratto profilo di
una possibile uguaglianza tra le diverse fattispecie e, quindi, l'identità dei
beni giuridici tutelati e degli elementi strutturali di tipo oggettivo, quali la
condotta e l'oggetto materiale. Va inoltre sottolineata la necessità di
considerare anche il bene giuridico tutelato nelle fattispecie specifiche, la
diversità del quale consentirebbe di escludere la sussistenza del rapporto di
specialità (cfr. Sez. I, 31 gennaio 2002, Fantasia, m. 221.610). In particolare,
il concorso c.d. apparente di norme, che è previsto dall'art. 9 cit. e che è
soggetto al principio di specialità, presuppone che le norme prendano in
considerazione lo «stesso fatto», di modo che, in presenza di fattispecie che
presentino un elemento di diversità, ancorché coincidenti in tutto o in parte
con riguardo alla condotta del trasgressore, si deve ravvisare un concorso
effettivo, e non apparente (Cass. civ., Sez. I, 10 settembre 1991, n. 9494, m.
473.801). In altre parole, l'operatività del principio di specialità postula che
la violazione amministrativa in astratto contestabile costituisca un elemento
del fatto-reato, essendone parte integrante (Cass. Civ., Sez. I, 10 dicembre
2003, n. 18811, m. 568.742; Cass. Civ., Sez. I, 6 aprile 2004, n. 6769, m.
571.896). Pres. Lupo - Est. Franco - Ric. De Nardis. CORTE DI CASSAZIONE
PENALE Sez. III, 29 settembre 2006 (Ud. 07/06/2006), Sentenza n. 32542
Udienza pubblica del 7.6.2006
SENTENZA N. 1036
REG. GENERALE n. 6844/2006
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
Composta dagli III. mi Signori
1. Dott. Ernesto LUPO Presidente
2. Dott. Guido DE MAIO Consigliere
3. Dott. Alfredo TERESI Consigliere
4. Dott. Alfredo Maria LOMBARDI Consigliere
5. Dott. Amedeo FRANCO (est.) Consigliere
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da De Nardis Francesco, nato a Teramo il 21 ottobre 1953;
avverso la sentenza emessa il 26 ottobre 2005 dalla corte d'appello de L'Aquila;
udita nella pubblica udienza del
7 giugno 2006 la relazione fatta dal
Consigliere
Amedeo Franco;
udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore Generale dott.
Francesco Salzano, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udito per la parte civile il difensore avv. Giustino Micochero;
udito per l'imputato il difensore avv. Fabrizio Spinelli;
Svolgimento del processo
Con sentenza del 7 gennaio 2003 il giudice del tribunale di Teramo dichiarò De
Nardis Francesco colpevole del reato di cui agli artt. 146, lett. c) e g), 151
e 163 del d.lgs. 29 ottobre 1999, n. 490, in relazione agli artt. 2, comma 6, e
4, commi 1 e 2, d.lgs. 18 maggio 2001, n. 227, per avere, quale proprietario,
proceduto all'aratura di un terreno di circa 5.000 mq. precedentemente
rimboschito con piantine di roverella in esecuzione di un progetto ripristino
cava, provocando l'estirpazione completa delle essenze e così effettuando la
trasformazione della destinazione d'uso del suolo in zona sottoposta a vincolo
paesaggistico senza autorizzazione, e lo condannò alla pena di mesi uno e
giorni 15 di arresto ed € 5.000,00 di ammenda, con i doppi benefici e la
condanna al risarcimento del danno in favore della costituita parte civile comune
di Campli.
La corte d'appello de L'Aquila, con la sentenza in epigrafe, confermò la sentenza
di primo grado.
L' imputato propone ricorso per cassazione deducendo:
a) mancanza della motivazione per non avere la corte d'appello esaminato la questione riguardante l'applicazione al caso di specie degli artt. 26 r.d.l. 30
dicembre 1923, n. 3267 e 1 legge 9 ottobre 1967, n. 950;
b) inosservanza ed erronea applicazione della legge penale non avendo la corte
d'appello applicato al caso di specie gli artt. 26 e 54 r.d.l. 30 dicembre 1923,
n. 3267 e
1 legge 9 ottobre 1967, n. 950, che per le infrazioni alle prescrizioni
concernenti i terreni rimboschiti (come nella specie) prevedono la sanzione
amministrativa;
c) inosservanza ed erronea applicazione dell'art. 146, lett. c) e g) d.lgs. 29
ottobre 1999, n. 490; insussistenza del vincolo paesaggistico; difetto di
motivazione per non avere la corte d'appello giustificato la riconducibilità
della fattispecie sub art. 146, lett. g) d.lgs. 29 ottobre 1999, n. 490.
Lamenta che la corte d'appello, dopo aver omesso qualsiasi esame sulla presunta
violazione dell'art. 146, lett. c), cit., si è limitata ad affermare che la
fattispecie rientra certamente tra quelle previste dalla lett. g), ma senza
fornire sul punto alcuna motivazione. Nella specie, infatti, le piccole piantine
di roverella, alte non più di 20 cm., e del costo di 200 lire ciascuna, non
potevano integrare concetto di bosco, sia ai sensi dell'art. 2 d.lgs. 18 maggio
2001, n. 227, sia ai sensi degli artt. 423 e 425 cod. pen.;
d) inosservanza ed erronea applicazione della legge penale non avendo la corte
d'appello esaminato la sussistenza dei requisiti di cui all'art. 2 d.lgs.
227/2001, che trovavano applicazione non avendo la regione Abruzzo definito
normativamente la nozione di bosco;
e) mancanza o manifesta illogicità della motivazione; travisamento del fatto per
non avere la corte d'appello considerato che l'estirpazione delle piantine era
stata determinata da un gregge di pecore e non dalle operazioni di aratura del
terreno su cui le piantine insistevano; violazione dell'art. 42 cod. pen. in
ordine alla affermazione di responsabilità non sussistendo lo elemento
psicologico del reato.
Motivi della decisione
Va preliminarmente osservato che il ricorso non può ritenersi manifestamente
infondato ed è quindi ammissibile, con la conseguenza che il rapporto
processuale di impugnazione in questo grado si è validamente instaurato e che
questa Corte può quindi rilevare e dichiarare le cause di estinzione del reato
verificatesi successivamente alla pronuncia della sentenza impugnata.
Nella specie il reato è stato contestato come commesso il 17 settembre 2001 e si
è
pertanto prescritto (in mancanza di sospensioni) il 17 marzo 2006.
Poiché dagli atti non emergono in modo evidente cause di proscioglimento nel
merito, la sentenza impugnata, per quanto concerne le statuizioni penali, deve
essere annullata senza rinvio per essere il reato estinto per prescrizione.
Essendovi però stata condanna al risarcimento del danno in favore della parte
civile, il ricorso deve essere ugualmente esaminato nel merito al solo fine
della decisione sulle statuizioni civili ai sensi dell'art. 578 cod. proc. pen.
Ciò posto, il primo motivo è inammissibile perché, secondo la giurisprudenza di
questa Suprema Corte, non sono denunciabili in cassazione i vizi della
motivazione nelle questioni di diritto affrontate dal giudice di merito
allorquando sia corretta la soluzione sotto il profilo strettamente giuridico,
poiché l'interesse alla impugnazione nasce solo dall'errata soluzione della
detta questione (Sez. V, 22 febbraio 1994, Marzola, m. 197.993). Il primo motivo
è appunto relativo ad una questione di diritto (concernente la sussistenza o
meno di un rapporto di specialità tra una norma che prevede una sanzione penale
ed altra che prevede una sanzione amministrativa), questione che, come subito
si vedrà, la corte d'appello ha risolto esattamente, di modo che sono irrilevanti i vizi o le carenze della motivazione, che ben può essere corretta o
integrata da questa Corte.
II secondo motivo è infondato. Invero, secondo la giurisprudenza di questa Suprema Corte, per valutare la «medesimezza» del fatto ai sensi dell'art. 9
della legge 24 novembre 1981, n. 689, occorre considerare l'astratto profilo di
una possibile uguaglianza tra le diverse fattispecie e, quindi, l'identità dei beni
giuridici tutelati e degli elementi strutturali di tipo oggettivo, quali la
condotta e l'oggetto materiale. Si è inoltre sottolineata la necessità di
considerare anche il bene giuridico tutelato nelle fattispecie specifiche, la
diversità del quale consentirebbe di escludere la sussistenza del rapporto di
specialità (cfr. Sez. I, 31 gennaio 2002, Fantasia, m. 221.610). In particolare,
si osserva che il concorso c.d. apparente di norme, che è previsto dall'art. 9
cit. e che è soggetto al principio di specialità, presuppone che le norme
prendano in considerazione lo «stesso fatto», di modo che, in presenza di
fattispecie che presentino un elemento di diversità, ancorché coincidenti in
tutto o in parte con riguardo alla condotta del trasgressore, si deve ravvisare
un concorso effettivo, e non apparente (Cass. civ., Sez. I, 10 settembre 1991,
n. 9494, m. 473.801). In altre parole, l'operatività del principio di specialità
postula che la violazione amministrativa in astratto contestabile costituisca un
elemento del fatto-reato, essendone parte integrante (Cass. Civ., Sez. I, 10
dicembre 2003, n. 18811, m. 568.742; Cass. Civ., Sez. I, 6 aprile 2004, n. 6769,
m. 571.896).
Ciò posto, è evidente come, in relazione al caso in esame, non sia ravvisabile alcun concorso apparente di norme tra la disposizione di cui all'art. 163 del
d.lgs. 29 ottobre 1999, n. 490, esattamente applicata, e le altre disposizioni
invocate dal ricorrente, soprattutto perché nessuna di queste sembra in
astratto applicabile nella specie.
Quanto alla disposizione di cui all'art. 26 del d.l. 30 dicembre 1923, n. 3267,
può osservarsi che essa è dettata a protezione del vincolo idrogeologico e di
altri simili interessi (difesa dalla caduta di valanghe, sassi, furia dei venti,
oltre che difesa delle condizioni igieniche locali e difesa militare) e sanziona il fatto di chi danneggi piante o comunque arrechi altri danni nei boschi
vincolati per scopi idrogeologici o per gli altri scopi indicati e ciò in
violazione delle prescrizioni impartite dalle competenti autorità.
L'art. 163
del d.lgs. 29 ottobre 1999, n. 490 (ora art. 181 d.lgs. 22 gennaio 2004, n.
42), invece, è dettato a tutela degli interessi paesaggistici ed ambientali, e segnatamente alla salvaguardia del bosco nel suo valore estetico-ambientale, e
sanziona il
fatto di chi esegua lavori di qualsiasi genere su beni ambientali senza la
prescritta autorizzazione o in difformità di essa, a prescindere dal fatto che
arrechi o meno un danno o un pregiudizio.
Quanto all'art. 54 del d.l. 30 dicembre 1923, n. 3267, anch'esso persegue la
finalità di salvaguardare il vincolo idrogeologico (o gli altri interessi
indicati) e sanziona proprietario dei terreni rimboschiti per effetto dello
stesso decreto legge che effettui sugli stessi la coltura agraria o effettui il
pascolo secondo modalità diverse da quelle previste o comunque compia le
operazioni di governo boschivo in difformità del piano di coltura e conservazione
approvato.
Quanto all'art. 1 della legge 9 ottobre 1956, n. 950, infine, esso sanziona la
violazione delle norme di polizia forestale contenute nei regolamenti di cui
all'art. 10 del d.l. 30 dicembre 1923, n. 3267.
Pertanto, almeno secondo quanto risulta dalle sentenze di merito, non si
ravvisano nel fatto come contestato gli elementi per sussumerlo nelle
fattispecie di cui agli artt. 26 o 54 d.l. 30 dicembre 1923, n. 3267, o all'art.
1 legge 9 ottobre 1956, n. 950.
E' quindi esclusa ogni possibilità di concorso
apparente di norme e di applicazione del principio di specialità.
Il terzo ed il quarto motivo - che possono essere congiuntamente esaminati - sono
anch'essi infondati. Va innanzitutto osservato che sono irrilevanti tutte le considerazioni relative alla nozione naturalistica o normativa di bosco, alla
sua mancata definizione legislativa da parte della regione Abruzzo, e alla
qualificabilità come bosco del terreno in questione. Nel caso di specie,
infatti, i giudici del merito hanno ravvisato la sussistenza del vincolo
ambientale non perché si trattasse di un bosco bensì perché si trattava di
terreno sottoposto a vincolo di rimboschimento. L'art. 146 del d.lgs. 29
ottobre 1999, n. 490 (ora art. 142 del d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42), infatti,
alla lett. G), inserisce tra i beni ambientali tutelati per legge, oltre i
territori coperti da foreste e da boschi, anche quelli sottoposti a vincolo di
rimboschimento. L'art. 142 del d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, specifica ora
alla lett. G) che sono soggetti a tutela ambientale «i territori coperti da
foreste e da boschi, ancorché percorsi o danneggiati dal fuoco, e quelli
sottoposti a vincolo di rimboschimento, come definiti dall'articolo 2, commi 2 e
6, del decreto legislativo 18 maggio 2001, n. 227». L'art. 2 del d.lgs. 18
maggio 2001, n. 227, poi, prevede nel comma 2 che entro dodici mesi le regioni
stabiliscano per il territorio di loro competenza la definizione di bosco (ed in
particolare i valori minimi di larghezza, estensione e copertura), e nel comma 3
che sono assimilati al bosco, tra gli altri, «i fondi gravati dall'obbligo di
rimboschimento per le finalità di difesa idrogeologica del territorio, qualità
dell'aria, salvaguardia del patrimonio idrico, conservazione della biodiversità,
protezione del paesaggio e dell'ambiente in generale». Il successivo comma 6
del medesimo art. 2, peraltro, stabilisce quali sono le caratteristiche che
devono presentare i terreni per essere qualificati come bosco nelle more della
emanazione delle norme regionali di cui al comma 2, e ribadisce che «sono altresì assimilati a bosco i fondi gravati dall'obbligo di rimboschimento per le
finalità di difesa idrogeologica del territorio, qualità dell'aria, salvaguardia
del patrimonio idrico, conservazione della biodiversità, protezione del
paesaggio e dell'ambiente in generale».
Ora i giudici del merito, con un apprezzamento di fatto adeguatamente e
congruamente motivato, e quindi non censurabile in questa sede, hanno accertato
che terreno in questione era appunto gravato dall'obbligo di rimboschimento per
le finalità di protezione dell'ambiente e del paesaggio in generale (ripristino
cava). Del tutto esattamente, quindi, è stato ritenuto che il terreno in
questione, in quanto gravato dal detto vincolo, rientrasse tra i beni
soggetti a tutela ambientale di cui agli artt. 146 dlgs. 29 ottobre 1999,
n. 490, e 142 del d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42.
Nemmeno ha pregio la censura secondo cui il terreno de quo non potrebbe ritenersi soggetto a vincolo di rimboschimento a norma delle disposizioni
citate perché non presenterebbe i valori minimi di larghezza, estensione e
copertura necessari affinché un'area sia considerata come bosco ai sensi del
citato art. 2, comma 6, del d.lgs. 18 maggio 2001, n. 227, ed in particolare
non avrebbe una «estensione non inferiore a 2.000 metri quadrati e larghezza
media non inferiore a 20 metri e copertura non inferiore al 20 per cento, con misurazione effettuata dalla base esterna dei fusti».
E ciò per due ragioni. Innanzitutto, perché la disposizione in esame riferisce
questi requisiti soltanto alle formazioni vegetali ed ai terreni su cui esse
sorgono al fine della loro qualificazione come boschi e non anche ai fondi
gravati dall'obbligo di rimboschimento, per la cui assimilazione ai boschi non
occorre anche la presenza dei detti requisiti, essendo sufficiente la presenza
del provvedimento amministrativo o della disposizione normativa che abbia
imposto il vincolo di rimboschimento per una delle finalità indicate. In
secondo luogo, perché, quand'anche dovesse ritenersi che i detti requisiti
siano necessari anche per i terreni soggetti a vincolo di rimboschimento, i
giudici del merito, anche qui con apprezzamento di fatto adeguatamente e
congruamente motivato, e quindi non censurabile in questa sede, hanno accertato
che i requisiti stessi nella specie erano presenti dal momento che il terreno
aveva una superficie di circa 5.000 mq. ed una larghezza di 20 m.
II quinto motivo si risolve in una censura in punto di fatto della decisione
impugnata, con la quale si richiede una nuova e diversa valutazione delle
risultanze processuali riservata al giudice del merito e non consentita in
questa sede di legittimità, ed è comunque infondato perché la corte d'appello ha
fornito congrua, specifica ed adeguata motivazione, scevra da errori giuridici
o salti logici, sulle ragioni per le quali ha ritenuto sussistente l'elemento
psicologico del reato (essendo l'imputato ben consapevole del vincolo esistente
sul terreno ed avendo egli ordinato l'aratura del terreno) ed ha ritenuto
inverosimile la tesi difensiva secondo cui l'estirpazione delle piantine
sarebbe stata determinata da un gregge di pecore e non dalle operazioni di
aratura. Ha invero osservato la corte d'appello, da un lato, che in realtà non
era stata acquisita nessuna prova concreta sulla effettiva preventiva
distruzione delle piantine e, da un altro lato, che appare assolutamente
inverosimile ed illogico il comportamento del proprietario di un terreno che,
avvertito delle distruzione delle piantine di sua proprietà e pur a conoscenza
del vincolo gravante sul terreno, non sporga immediatamente denuncia all'organo
competente al quale sa bene di dover rendere conto della piantagione, così come
era inverosimile che l'imputato (come accertato) non si fosse recato sui luoghi
per accertare il danno o comunque nemmeno avesse inviato un suo incaricato
rimanendo nella totale ignoranza dello stato dei luoghi.
In conclusione, sulla base delle considerazioni svolte, le statuizioni civili
della sentenza impugnata devono essere confermate con condanna del ricorrente al
rimborso delle spese processuali del grado in favore della parte civile, che si
liquidano come in dispositivo.
Per questi motivi
La Corte Suprema di Cassazione
annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il reato è estinto per prescrizione.
Conferma le statuizioni civili e condanna il ricorrente alla refusione in favore
della parte civile delle spese del grado, che liquida in complessivi € 1.700,00,
di cui 1.500,00 per onorari, oltre spese generali ed accessori di Legge.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte Suprema di Cassazione, il 7 giugno
2006
Il consigliere estensore
Il presidente
Amedeo FRANCO Ernesto
LUPO
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