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Beni culturali e ambientali - Causa estintiva del reato paesaggistico -
Limiti - Estinzione del reato paesaggistico per spontaneo ripristino - Art. 181
c. 1-quinquies, D.Lgs. n. 42/2004. La causa estintiva del reato
paesaggistico, in base alla disposizione di cui all’articolo 181 comma
1-quinquies, del D.Lgs. n. 42/2004, (nel quale è stato trasfuso l’art. 163 D.Lgs.
490/1999), resta preclusa, oltre che dalla sentenza di condanna, anche
dall’emissione di un provvedimento amministrativo idoneo ad essere eseguito
d’ufficio. Pres. Papa - Est. Miranda - Ric. Pedrini. CORTE DI CASSAZIONE
PENALE Sez. III, 29 settembre 2006 (Ud. 23/06/2006), Sentenza n. 32553
Udienza pubblica del 23.6.2006
SENTENZA N. 1225/2006
REG. GENERALE n. 43891/2004
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
Composta dai Magistrati:
Dott. Enrico PAPA Presidente
Dott. Vincenzo MIRANDA Consigliere
Dott. Guido DE MAIO Consigliere
Dott. Alfredo TERESI Consigliere
Dott. Antonio IANNIELLO Consigliere
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da
PEDRINI RENATO, nato a Trento il 31 agosto 1962, e DALLAPE' CESARINO, nato a
Trento il 17 ottobre 1962, a mezzo dei difensori avv.ti Claudio Failoni e
Massimo Zanoni, con studio in Trento alla via Grazioli 106; avverso la sentenza
della Corte di appello di Trento n. 422/04 in data 6 ottobre 2004, di conferma
della condanna alla pena di giorni sei di arresto ed euro 10.400,00 di ammenda
ciascuno, per contravvenzione all'art. 163 del D.Lgs. 490/1999.
Udita la relazione del Cons. Vincenzo Miranda;
udito il P.G., in persona del dott. Francesco Salzano, che ha concluso per il
rigetto del ricorso;
udito il difensore avv. Claudio Failoni, che ha chiesto accogliersi il ricorso.
Svolgimento del processo
Renato Pedrini e Cesarino Dallapè, opponenti a decreto penale di condanna,
furono tratti a giudizio davanti al Tribunale di Trento, per rispondere: "a)
della contravvenzione p. e p. dall'art. 163 D.Lgs. 490/1999 perché, in p.f.
1959/2 e 1907 c.c. Lasìno, in zona sottoposta a tutela paesaggistica in quanto
sull'argine della roggia Calavino, senza l'autorizzazione paesaggistica,
realizzavano un muretto in calcestruzzo dell'altezza di cm. 40; b) della
contravvenzione prevista dall'art. 96 t.u. 523/2004 e punita dall'art. 374 L.
2248/1865 all. F, perché ponendo in essere il comportamento indicato al capo che
precede, realizzavano un'opera che poteva alterare lo stato, la forma, le
dimensioni, la resistenza e la convenienza all'uso degli argini della roggia di
Calavino. Fatti avvenuti in Lasino in data anteriore e prossima al 28.3.02".
All'esito, furono riconosciuti colpevoli del primo reato e condannati - in
concorso di attenuanti generiche e col beneficio della sospensione condizionale
- alla pena di cui in epigrafe; furono invece assolti dalla seconda imputazione
per insussistenza del fatto, essendosi escluso che la costruzione avesse
arrecato pregiudizio al regime delle acque.
Impugnavano sia gli imputati che il P.M., e la Corte d'appello, ritenuto
inammissibile il secondo gravame, ha respinto il primo, così confermando la
sentenza impugnata.
Per la cassazione ricorrono i difensori degli imputati, articolando quattro
motivi e adducendo un ulteriore complesso motivo nuovo.
Motivi della decisione
Col ricorso, comune ad entrambi gli imputati, vengono riproposte le questioni
già disattese dai giudici di merito. I motivi risultano infatti formulati, in
ordine successivo, come:
"I) manifesta illogicità della sentenza ex art. 606 n. 1 lett. e)
c.p.p. nella parte in cui si è ritenuto che la nuova opera fosse incidente su un
bene ambientale ricompresso nella categoria prevista dall'art. 146 comma 1 lett.
c) del D.Lgs. 1999 n. 490", per tale via ribadendo che il vincolo paesaggistico
è qualificazione ben diversa dalla 'zona di rispetto' in materia di acque
pubbliche;
"II) inosservanza ed erronea applicazione della legge penale ex art. 606
n. 1 lett. b) in relazione all'art. 54 c.p. in materia di stato di
necessità; mancanza di motivazione ex art. 606 n. 1 lett. e) c.p.p.",
sotto tale profilo censurando la sentenza per l'erronea esclusione della cause
di giustificazione invocata;
"III) inosservanza ed erronea applicazione della legge penale ex art. 606
n. 1 lett. b) c.p.p. in relazione all'art. 5 c.p. in materia di buona
fede per errore scusabile. Mancanza di motivazione ex art. 606 n. 1 lett.
e) c.p.p.", in tal guisa denunciando il superamento, ad opera del giudice a
quo, della dedotta carenza dell'elemento psicologico del reato;
"IV) inosservanza ed erronea applicazione della legge penale ex art. 606
n. 1 lett. b) in relazione all'art. 163 del D.Lgs. 490/1999 in relazione alla
insussistenza di alcun danno all'ambiente. Mancanza di motivazione ex
art. 606 n. 1 lett. e) c.p.p.", così deducendo infine, la mancanza di
offensività della condotta in concreto posta in essere.
Col motivo nuovo si fa poi valere la disposizione sopravvenuta, introdotta
dall'art. 1 comma 36 lett. c) della legge 15 dicembre 2004 n. 308 con il
comma 1-quinquies dell'art. 181 della legge 42/2004 - che aveva
sostituito l'originario art. 163 del D.Lgs. 490/1999 -, per inferirne
l'estinzione del reato, in dipendenza della intervenuta rimessione in pristino
dell'area interessata dalla contestazione.
Le censure mosse col ricorso sono certamente prive di pregio, per le ragioni già
addotte dalla corte territoriale, che, immuni da errori di diritto, appaiono
tutte sostenute da idonea motivazione, andando così esenti da censure in sede di
legittimità. Fondato, invece, è il nuovo motivo, dedotto in dipendenza della
richiamata disciplina di ius superveniens, a mente dell'art. 609,
comma 2, inciso finale, c.p.p.
Il comma 1-quinquies del D.Lgs. 42/2004 - come sopra introdotto -
stabilisce, infatti, che "la rimessione in pristino delle aree o degli
immobili soggetti a vincoli paesaggistici, da parte del trasgressore, prima che
venga disposta di ufficio dall'autorità amministrativa, e comunque prima che
intervenga la condanna, estingue il reato di cui al comma 1" (nel quale è
stato trasfuso quello, originariamente contestato, ex art. 163 D.Lgs. 490/1999).
La rimessione in pristino, nel caso in esame, è già attestata nella sentenza di
primo grado, là dove si legge che, "secondo i tempi concordati con il Servizio
tecnico del Comune, i signori Pedrini e Dallapè provvedevano alla demolizione
dei muretti in calcestruzzo, ripristinando l'originario stato dei luoghi e così
consentendo l'inizio dei lavori rivolti a risolvere il problema idraulico legato
alle esondazioni della roggia" (ivi, p. 2). Onde essa, intervenuta comunque
prima della condanna, appare eseguita in assenza di una disposizione di
ripristino di ufficio propriamente detta, carattere non rivestito dal mero
ordine in tal senso rivolto dalla autorità amministrativa.
Ritiene infatti il collegio che la disposizione sopra indicata vada interpretata
nel senso che la causa estintiva resta preclusa (oltre che dalla condanna) dalla
emissione di un provvedimento amministrativo idoneo ad essere eseguito di
ufficio.
La causa di estinzione sopravvenuta si applica alla fattispecie in esame in
virtù dei principi fissati nell'art. 2 c.p.
La sentenza impugnata va pertanto annullata, senza rinvio, per effetto della
rilevata estinzione.
P. Q . M .
La Corte annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il reato e estinto
per intervenuta demolizione del manufatto.
Così deciso in Roma, il 23 giugno 2006.
Il consigliere estensore
Il presidente
Vincenzo Miranda
Enrico Papa
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