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registrata presso il Tribunale di Patti Reg. n. 197 del 19/07/2006
Urbanistica e edilizia - Notificazione della D.I.A. - Termini (30 gg.) -
Decorrenza - Inizio lavori - P.A. - Poteri di autotutela, di vigilanza e
sanzionatori - D.P.R. n. 380/2001 (T.U. edilizia). Il T.U. edilizia colloca
alla scadenza del trentesimo giorno dalla notificazione della D.I.A. il termine
dopo il quale l’interessato può iniziare i lavori ed il termine ultimo entro il
quale la P.A. può inibire l’inizio delle opere, ai sensi dell'art. 23, comma 6,
d.p.R. 6 giugno 2001, n. 380 (cfr. Cons. Stato, Sez. V, n. 308/2004; Sez. IV, n.
3498/2005), fermo restando il potere di far cessare i lavori che dovessero
risultare illegittimi con gli opportuni poteri di autotutela, di vigilanza e
sanzionatori. Pres. Postiglione - Est. Franco - Ric. Ercolino. CORTE DI
CASSAZIONE PENALE Sez. III, 4 ottobre 2006 (C. c. 25/5/2006), Sentenza n. 33034
Camera di consiglio del 25.5.2006
SENTENZA N. 626
REG. GENERALE n. 13818/2006
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
Composta dagli III.mi Signori
1. Dott. Amedeo POSTIGLIONE Presidente
2. Dott. Alfredo TERESI Consigliere
3. Dott. Mario GENTILE Consigliere
4. Dott. Amedeo FRANCO (est.) Consigliere
5. Dott. Antonio IANNIELLO Consigliere
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da Ercolino Giovanni, nato ad Avella il 21 settembre
1968, e da Ercolino Carmine, nato ad Avella il 7 luglio 1931;
avverso l'ordinanza emessa il 10 marzo 2006 dal tribunale di Avellino, quale
giudice del riesame;
udita nella udienza in camera di consiglio del 25 maggio 2006 la
relazione fatta dal Consigliere Amedeo Franco;
udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore Generale dott.
Guglielmo Passacantando, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
Svolgimento del processo
Con decreto del 20 febbraio 2006 il giudice per le indagini preliminari del
tribunale di Avellino dispose il sequestro preventivo, in relazione al reato di
cui all'art. 44, lett. b), d.p.R. 6 giugno 2001, n. 380, di un'area interessata
ai lavori di ampliamento di un impianto di distribuzione di g.p.l. facente capo
ai due indagati.
Il tribunale del riesame di Avellino, con la ordinanza impugnata, respinse la
richiesta di riesame osservando: a) che il responsabile comunale aveva chiesto,
sia pur tardivamente, una integrazione della documentazione allegata alla
denunzia di inizio attività relativa ai lavori in questione, e che i documenti
richiesti non risultavano ancora prodotti; b) che quindi, nonostante il decorso
del termine di trenta giorni di cui all'art. 23 testo unico dell'edilizia,
doveva essere ancora valutata la sussistenza delle condizioni per poter
utilmente seguire la procedura di cui alla detta disposizione; c) che sussisteva
il periculum in mora a nulla rilevando che i lavori fossero stati sospesi
dopo la richiesta di integrazione documentale.
Gli indagati propongono ricorso per cassazione deducendo:
a) violazione di legge e mancanza di motivazione sulla sussistenza delle
esigenze cautelari;
b) violazione dell'art. 23 testo unico dell'edilizia. Osservano che non
sussisteva il fumus del reato contestato dal momento che era gia decorso
il termine di 30 giorni di cui all'art. 23 d.p.R. 6 giugno 2001, n. 380, dalla
data del 4.11.05 in cui era stata depositata la denunzia di inizio attività.
Motivi della decisione
II ricorso è fondato essendo l'ordinanza impugnata chiaramente erronea.
Dallo stesso testo dell'ordinanza si ricava, infatti, che gli odierni ricorrenti
avevano regolarmente presentato al comune la denunzia di inizio attività per
l'esecuzione dei lavori di ampliamento dell'impianto di distribuzione e che
erano decorsi i 30 giorni previsti dall'art. 23 d.p.R. 6 giugno 2001, n. 380,
senza che il comune avesse effettuato alcun rilievo e soprattutto senza che
avesse esercitato il potere inibitorio previsto dal comma 6 del medesimo
articolo, notificando agli interessati l'ordine motivato di non effettuare il
previsto intervento avendo riscontrato l'assenza di una o più delle condizioni
stabilite.
Essendo quindi decorso il termine di 30 giorni senza l'emanazione di un
provvedimento inibitorio da parte del comune, si era ormai formato il
provvedimento amministrativo abilitativo e quindi gli indagati erano muniti di
un valido ed efficace titolo che attribuiva loro il diritto di eseguire
l'intervento di cui alla denuncia di attività.
Né potrebbe pensarsi che il comune abbia esercitato legittimamente il potere
inibitorio dopo la scadenza del termine di 30 giorni, dal momento che deve
ritenersi - conformemente del resto all'orientamento della giurisprudenza
amministrativa - che alla scadenza del trentesimo giorno senza l'emanazione di
un ordine del comune di non effettuare l'intervento, da un lato, si forma il
titolo abilitativo e sorge il diritto dell'interessato ad eseguire i lavori e,
dall'altro lato, viene meno il potere del comune di emanare legittimamente un
provvedimento inibitorio ai sensi dell'art. 23, comma 6, d.p.R. 6 giugno 2001,
n. 380 (cfr. Cons. Stato, Sez. V, n. 308/2004; Sez. IV, n. 3498/2005).
E difatti, il citato art. 23 prescrive al comma 1 che «il proprietario
dell'immobile o chi abbia titolo per presentare la denuncia di inizio attività,
almeno trenta giorni prima dell'effettivo inizio dei lavori, presenta allo
sportello unico la denuncia... », e al comma 6 che «il dirigente o il
responsabile del competente ufficio comunale, ove entro il termine indicato al
comma 1 sia riscontrata l'assenza di una o più delle condizioni stabilite,
notifica all'interessato l'ordine motivato di non effettuare il previsto
intervento.... ».
II testo unico dell'edilizia, pertanto, ha espressamente collocato allo scadere
del trentesimo giorno dalla notificazione della D.I.A. il termine dopo il quale
l'interessato può iniziare i lavori e il termine ultimo entro il quale la P.A.
può inibire l'inizio delle opere.
Ciò, ovviamente, non significa che la pubblica amministrazione, allo scadere del
trentesimo giorno, abbia perso ogni potere di far cessare l'esecuzione di lavori
che dovessero rilevarsi illegittimi, ma solo che non può più esercitare lo
specifico potere inibitorio previsto dall'art. 23 cit. Ben può invece il comune
continuare ad esercitare eventualmente tutti gli opportuni poteri di autotutela,
di vigilanza e sanzionatori. Ad esempio, potrebbe essere ordinata la immediata
sospensione dei lavori ai sensi dell'art. 27, terzo comma, testa unico
dell'edilizia, con conseguente eventuale configurabilità del reato di cui all'
art. 44, lett. b), d.p.R. 6 giugno 2001, n. 380, nel caso di prosecuzione dei
lavori nonostante l'ordine di sospensione.
Nel caso di specie, però, non risulta che tali poteri di autotutela e
sanzionatori siano stati esercitati dal comune. Anzi, dal testo della ordinanza
impugnata nemmeno risulta che sia stato - sia pure tardivamente ed
illegittimamente- esercitato il potere inibitorio di cui all'art. 23, comma 6,
cit. L'ordinanza impugnata, infatti, ha ritenuto illecito il comportamento degli
indagati esclusivamente in base alla circostanza che il comune - peraltro oltre
il termine di 30 giorni - ha richiesto una integrazione della documentazione
allegata alla DIA. E' però di tutta evidenza che questa semplice richiesta di
documentazione non poteva certamente far venir meno l'efficacia e la validità
del titolo abilitativo che si era ormai formato con la scadenza del termine e
far qualificare come illecito un comportamento lecitamente tenuto dagli indagati
nell'esercizio del diritto loro conferito dal titolo abilitativo già formatosi.
Non è quindi in alcun modo configurabile il reato ipotizzato solo perché gli
indagati hanno continuato i lavori dopo la richiesta di integrazione documentale
effettuata dopo che il titolo si era già formato.
Per completezza deve anche osservarsi che nel ricorso i ricorrenti affermano che
in data 5.1.06 il comune avrebbe emesso un ordine di sospensione dei lavori, che
gli stessi allegano essere illegittimo. L'ordinanza impugnata non parla in alcun
modo di questo ordine di sospensione dei lavori e deve pertanto ritenersi che il
provvedimento cautelare non sia basato su questo provvedimento. In ogni modo,
quand'anche questo ordine di sospensione fosse stato effettivamente emesso e
dovesse ritenersi legittimo, risulta dalla stessa ordinanza impugnata, e
comunque non è contestato, che gli indagati hanno eseguito tale ordine ed hanno
immediatamente sospeso i lavori (l'ordinanza impugnata afferma che i lavori sono
stati sospesi addirittura in conseguenza della richiesta di integrazione
documentale) sicché, anche sotto questo profilo, non è allo stato configurabile
il reato di cui all'art. 44, lett. b), d.p.R. 6 giugno 2001, n. 380.
Consegue da quanto evidenziato che devono essere annullati senza rinvio - per
mancanza del fumus del reato ipotizzato - sia l'ordinanza impugnata sia
il decreto di sequestro preventivo emesso dal giudice per le indagini
preliminari del tribunale di Avellino il 20.2.2006 e che va ordinata la
restituzione di quanto in sequestro agli aventi diritto.
Per questi motivi
La Corte Suprema di Cassazione
annulla senza rinvio l'ordinanza impugnata nonché il decreto di sequestro
preventivo ed ordina la restituzione di quanto in sequestro agli aventi diritto.
Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all'art. 626 cod. proc. pen.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte Suprema di Cassazione, il 25 maggio
2006.
Il consigliere estensore
Il presidente
Amedeo FRANCO
Amedeo POSTIGLIONE
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