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Testata registrata presso il Tribunale di Patti Reg. n. 197 del 19/07/2006


CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. III, 9 ottobre 2006 (C. c.. 15/06/2006), Sentenza n. 33882



Rifiuti - Materiali provenienti da demolizione - Materie prime secondarie - Esclusione - Presupposti - Nozione di rifiuto -  Disciplina applicabile - Artt. 181 e 183, lett. a), D. L.vo n. 152/2006 - Dir. n. 2006/12/CE. Alla luce della nozione di rifiuto elaborata dalla giurisprudenza comunitaria, i materiali provenienti da demolizioni, devono considerarsi rifiuti a tutti gli effetti né può applicarsi agli stessi, se necessitano di operazioni di recupero quali la cernita e la selezione, la disciplina prevista dall’articolo 181 D.Lv. 152 del 2006 in tema di “materie prime secondarie”. (Le caratteristiche principali della nozione di "rifiuto", in ambito europeo, sono individuate dall'art. 1 della direttiva del Consiglio 15.7.1975, n. 75/442/CEE (sui rifiuti in generale), modificata dalla direttiva 18.3.1991, n. 91/156/CEE [sostituita dalla direttiva del Parlamento e del Consiglio dell'Unione Europea 5.4.2006, n. 2006/12/CE] e dall'art. 1 della direttiva del Consiglio 20.3.1978, n. 78/319/CEE (sui rifiuti tossici e pericolosi), modificata dalla direttiva 12.12.1991, n. 91/689/CEE. Secondo tali direttive "per rifiuto si intende qualsiasi sostanza od oggetto [che attualmente rientri nelle categorie riportate nell'Allegato I alla direttiva n. 2006/12/CE] di cui il detentore si disfi o abbia l'intenzione o l'obbligo di disfarsi". La nozione medesima è stata altresì recepita dall'art. 2, lett. a), del Regolamento del Consiglio CEE 1 febbraio 1993, n. 259/93, relativo ai trasporti transfrontalieri di rifiuti, immediatamente e direttamente applicabile in Italia secondo Corte Cost. n. 170/1984). Pres. Lupo - Est. Fiale - Ric. P.M. in proc. Barbati. CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. III, 9 ottobre 2006 (C. c. 15/06/2006), Sentenza n. 33882

Rifiuti - Gestione e smaltimento - Residui delle attività di demolizioni edili - Impossibilità di utilizzo nel ciclo produttivo - Rifiuti speciali - Sequestro preventivo - Art. 184, 3° c. - lett. b), D.Lgs. n. 152/2006. In tema di gestione e smaltimento dei rifiuti, i residui delle attività di demolizioni edili trasportati in altra area ed ivi ammassati in cumuli, quando non possono essere riutilizzati, oggettivamente, in alcun ciclo produttivo, per la particolare composizione degli stessi di varia natura (nella fattispecie non selezionabili: pietre, macerie, plastica, acciaio, isolanti, ferro etc.), costituiscono "rifiuti speciali" ai sensi dell'art. 7, 3° comma - lett. b), del D.Lgs. n. 22/1997 e dell'art. 184, 3° comma - lett. b), del D.Lgs. n. 152/2006 costituendo i presupposti al sequestro preventivo. Pres. Lupo - Est. Fiale - Ric. P.M. in proc. Barbati. CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. III, 9 ottobre 2006 (C. c. 15/06/2006), Sentenza n. 33882

Procedure e varie - Sequestro - Verifica delle condizioni di legittimità delle misure - Accertamento della sussistenza del fumus commissi delicti. La verifica delle condizioni di legittimità di una misura (in specie aree sequestrate), non può tradursi in un’anticipata decisione della questione di merito concernente la responsabilità dell'indagato in ordine al reato o ai reati oggetto di investigazione, ma deve limitarsi al controllo di compatibilità tra fattispecie concreta e fattispecie legale ipotizzata, mediante una valutazione prioritaria ed attenta della antigiuridicità penale del fatto. Pertanto, l'accertamento della sussistenza del fumus commissi delicti va compiuto sotto il profilo della congruità degli elementi rappresentati, che non possono essere censurati in punto di fatto, per apprezzarne la coincidenza con le reali risultanze processuali, ma che vanno valutati cosi come esposti, al fine di appurare se essi consentono di sussumere l'ipotesi formulata in quella tipica. Sicché, il Tribunale non deve instaurare un processo nel processo, ma svolgere l'indispensabile ruolo di garanzia, tenendo nel debito conto le contestazioni difensive sull'esistenza della fattispecie dedotta ed esaminando sotto ogni aspetto l'integralità dei presupposti che legittimano il sequestro. (Cass., Sez. Un., 29.1.1997, n. 23, ric. P.M. in proc. Bassi e altri - Cass., Sez. Un., 7.11.1992, Ric. Midolini). Pres. Lupo - Est. Fiale - Ric. P.M. in proc. Barbati. CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. III, 9 ottobre 2006 (C. c. 15/06/2006), Sentenza n. 33882



Udienza in Camera di consiglio del 15.6.2006
SENTENZA N. 687
REG. GENERALE n. 29279/2005


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE


Composta dagli III.mi Sigg:


1. Dott. Ernesto LOPO                                               Presidente
2. Dott. Amedeo POSTIGLIONE                                  Consigliere
3. Dott. Claudia SQUASSONI                                     Consigliere
4. Dott. Aldo FIALE                                                    Consigliere
5. Dott. Antonio IANNIELLO                                        Consigliere
 

ha pronunciato la seguente


SENTENZA


sul ricorso proposto dal procuratore della Repubblica preso il Tribunale di Modena

Avverso l'ordinanza 24-5-2005 emessa dal Tribunale per il riesame di Modena nei confronti di:

 

1- B. M., n. a Montefiorino il x-xx-xxxx

 

2- B. L., n. a Sassuolo il 24-2-1969

 

3- P. N., n. a Prignano sulla Secchia il 20-8-1959

 

Sentita la relazione fatta dal Consigliere M. Aldo FIALE
Udito il  Pubblico Ministero nella persona del M.G. Passacantando
che ha concluso per l'annullamento con rinvio della ordinanza impugnata

 


FATTO E DIRITTO


Il G.I.P. del Tribunale di Modena, con ordinanza del 20.4.2005, disponeva il sequestro preventivo di due aree - una relativa al cantiere di demolizione presso l'ex sala cinematografica di Prignano sulla Secchia e l'altra in località Volta di Saltino, sempre nel Comune di Prignano, ai margini della strada provinciale Val Rossenna - evidenziando che, in assenza delle prescritte autorizzazioni, il materiale ricavato dalla demolizione, considerato rientrante nella nozione di "rifiuto" posta dal D.Lgs. n. 22/1997, veniva trasportato nella seconda area ed ivi ammassato in cumuli.


La misura di cautela reale veniva adottata in relazione al reato di cui all'art. 51, 1° comma, del D.Lgs. n. 22/1997 [attività non autorizzata di gestione di rifiuti], ipotizzato nei confronti di B. M. (proprietario dell'area di conferimento dei materiali derivati dalla demolizione), B. L. (legale rappresentante della società appaltatrice dei lavori di demolizione) e P. N. (legale rappresentante della società proprietaria dell' immobile in demolizione).


Il Tribunale di Modena, con ordinanza del 24.5.2005, accoglieva l'istanza di riesame proposta nell'interesse degli indagati Barbati e Barchi e revocava il sequestro.


Rilevava il Tribunale che nella fattispecie in oggetto - con riferimento all'art. 14 del D.L. n. 138/2002. convertito nelle legge n. 178/2002 e tenuto conto delle previsioni contenute nella legge-delega per l'ambiente n. 308/2004 - ai materiali derivanti dalla demolizione, "in considerazione della destinazione che le parti interessate hanno previsto per tali beni", non poteva riconoscersi la qualificazione di "rifiuto".


Trattavasi, invero:


- nella maggior parte, "di sassi e/o pietre che vengono, senza alcun trattamento preventivo, riutilizzate per la costruzione di altri immobili nelle zone di montagna. Tali pietre, peraltro, siccome ricercate dalle imprese edili in quanto di non facile reperimento, hanno un valore di mercato significativo, in quanto conferiscono pregio estetico alle costruzioni di montagna e per tale motivo, negli accordi tra proprietario dell'immobile ed appaltatore, era stato previsto l'acquisto di tali beni alla cifra forfetaria di euro 16.000". Le pietre in questione, inoltre, dovevano ritenersi "momentaneamente stoccate, per ragioni logistiche in area appositamente individuata";


- in una parte marginale, di materiali ferrosi o di plastica, per i quali "la già predisposta attività di smaltimento (come da documentazione prodotta agli atti) elimina in radice pericolo di aggravamento o protrazione delle conseguenze dannose dello stoccaggio".


Avverso tale ordinanza ha proposto ricorso il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Modena, il quale - sotto il profilo della violazione di legge - ha eccepito che:


 - il giudice del riesame ha omesso di valutare che: a) nel cantiere di demolizione era in atto un'attività di grossolana separazione dei vari rifiuti, distinti per categorie (pietre, plastica, materiali ferrosi etc.); b) trattasi di "rifiuti speciali" che venivano altresì trasportati dal luogo di produzione a quello di stoccaggio; c) nessuna autorizzazione a tali operazioni di recupero, trasporto e deposito era in possesso degli indagati;


- ai rifiuti di demolizione di un edificio non è applicabile l'art. 14 del D.L. n. 138/2002, trattandosi di una congerie di materiali di varia natura (pietre, macerie, plastica, acciaio, isolanti, ferro etc.) che necessitano, per ricavare materiali da riutilizzare, di un preventivo trattamento con connesso rischio per l'ambiente (cernita, separazione, rimozione di sostanze contaminanti, riciclo/recupero di metalli e composti metallici, riciclo/recupero di altre sostanze inorganiche, smaltimento etc.). La previsione di un prezzo di vendita per i materiali riutilizzabili non fa venire meno la natura dei rifiuti da demolizioni oggetto di smaltimento/recupero/trasporto;

- il Barchi aveva presentato (in data 27.4.2005 e 23.5.2005) un "piano di recupero dei rifiuti" presenti nell'area di accumulo, nel quale veniva previsto che:


- per taluni rifiuti (ferro e acciaio, plastica e materiali isolanti) il trasporto e lo smaltimento sarebbero stati effettuati da apposita società;


- le macerie presenti sul terreno sarebbero state sottoposte a vagliatura manuale per il recupero dei sassi e dei mattoni vecchi da riutilizzare in opere edilizie;


- le macerie restanti sarebbero state utilizzate presso atti cantieri di proprietà della società rappresentata dallo stesso Barchi.


Tutto ciò confermava la circostanza che i materiali pietrosi riutilizzabili costituivano l prodotto di un'attività di smaltimento e recupero di cui agli allegati B) e C) del D.Lgs. n. 22/1997;


- il piano di recupero dianzi citato, in quanto presentato successivamente all'applicazione della misura reale di cautela, non incide sulla legittimità genetica ed originaria del provvedimento di sequestro, ma avrebbe potuto giustificare soltanto una richiesta di revoca ex art. 321, 3° comma, c.p.p.

II ricorso del P.M. è fondato e merita di essere accolto.


1. Determinazione ed evoluzione della nozione di "rifiuto"


1.1 Le caratteristiche principali della nozione di "rifiuto", in ambito europeo, sono individuate dall'art. 1 della direttiva del Consiglio 15.7.1975, n. 75/442/CEE (sui rifiuti in generale), modificata dalla direttiva 18.3.1991, n. 91/156/CEE [sostituita, nelle more della redazione della presente sentenza, dalla direttiva del Parlamento e del Consiglio dell'Unione Europea 5.4.2006, n. 2006/12/CE] e dall'art. 1 della direttiva del Consiglio 20.3.1978, n. 78/319/CEE (sui rifiuti tossici e pericolosi), modificata dalla direttiva 12.12.1991, n. 91/689/CEE.


Secondo tali direttive "per rifiuto si intende qualsiasi sostanza od oggetto [che attualmente rientri nelle categorie riportate nell'Allegato I alla direttiva n. 2006/12/CE] di cui il detentore si disfi o abbia l'intenzione o l'obbligo di disfarsi".


La nozione medesima è stata altresì recepita dall'art. 2, lett. a), del Regolamento del Consiglio CEE 1 febbraio 1993, n. 259/93, relativo ai trasporti transfrontalieri di rifiuti (immediatamente e direttamente applicabile in Italia secondo Corte Cost. n. 170/1984).


1.2
Nel nostro Paese le caratteristiche che, in ambito comunitario, individuano la nozione di "rifiuto", sono state riprodotte nell'art. 6, comma 1 - lett. a), del D.Lgs. n. 22/1997 [ed attualmente nell'art. 183, lett. a), del D.Lgs. 3.4.2006, n. 152, pubblicato nella G. U. n. 96/L del 14.4.2006] secondo cui "è rifiuto qualsiasi sostanza od oggetto che rientra nelle categorie riportate nell'Allegato A (attualmente alla parte IV del D.Lgs. n. 152/2006) e di cui il detentore si disfi o abbia deciso o abbia l'obbligo di disfarsi".


Tale normativa - attraverso il rinvio all'Allegato A), che riproduce l'Allegato I della direttiva n. 75/442/CEE e della direttiva n. 2006/12/CE - riporta l'elenco delle 16 categorie di rifiuti individuate in sede comunitaria.


II primo elemento essenziale della nozione di "rifiuto", nel nostro ordinamento, è costituito, pertanto, dall'appartenenza ad una delle categorie di materiali e sostanze individuate nel citato Allegato A), ma l'elenco delle 16 categorie di rifiuti in esso contenuto non è esaustivo ed ha un valore puramente indicativo, poiché lo stesso Allegato "A) comprende due voci residuali capaci di includere qualsiasi sostanza od oggetto, da qualunque attività prodotti:

-  la voce Q1, che riguarda "i residui di produzione o di consumo in appresso non specificati";

 

- la voce Q16, che riguarda "qualunque sostanza, materia o prodotto che non rientri nelle categorie sopra elencate".


E' necessario tenere essenzialmente conto, pertanto, delle ulteriori condizioni imposte dalla legge, e verificare cioè, anche e soprattutto, che il detentore della sostanza o del materiale:

 

- se ne disfi;
- o abbia deciso di disfarsene;
- o abbia l'obbligo di disfarsene.


1.3 Le tre diverse previsioni del concetto di "disfarsi" avevano trovato "interpretazione autentica" nell'art. 14 del D.L. 8.7.2002, n. 138, pubblicato in pari data nella Gazzetta Ufficiale e convertito nella legge 8.8.2002, n. 178.


Secondo quella interpretazione:


a) "si disfi" doveva intendersi: qualsiasi comportamento attraverso il quale in modo diretto o indiretto una sostanza; un materiale o un bene sono avviati o sottoposti ad attività di smaltimento o di recupero, secondo gli allegati B) e C) del D.Lgs. n. 22/1997;


b) "abbia deciso di disfarsi"' doveva intendersi: la volontà di destinare sostanze, materiali o beni ad operazioni di smaltimento e di recupero, secondo gli allegati B) e C) del D.Lgs. n. 22/1997;


c) "abbia l'obbligo di disfarsi" doveva intendersi: l'obbligo di avviare un materiale, una sostanza a un bene ad operazioni di recupero o di smaltimento, stabilito da una disposizione di legge o da un provvedimento delle pubbliche autorità o imposto dalla natura stessa del materiale, della sostanza e del bene o dal fatto che i medesimi siano compresi nell'elenco dei rifiuti pericolosi di cui all'Allegato D) del D.Lgs. n. 22/1997 (che riproduce la lista di rifiuti che, a norma della direttiva n. 91/689/CEE, sono classificati come pericolosi)


Le fattispecie di cui alle lettere b) e c) [cioè le ipotesi in cui il detentore della sostanza o del materiale "abbia deciso" ovvero "abbia l'obbligo di disfarsi"' e non anche l'ipotesi in cui esso "si disfi"] non ricorrevano - per beni o sostanze e materiali residuali di produzione o di consumo - ove sussistesse una delle seguenti condizioni:


1) gli stessi potessero essere e fossero effettivamente e oggettivamente riutilizzati nel medesimo o in analogo o diverso ciclo produttivo o di consumo, senza subire alcun intervento preventivo di trattamento e senza recare pregiudizio all'ambiente;


2) gli stessi potessero essere e fossero effettivamente e oggettivamente riutilizzati nel medesimo o in analogo o diverso ciclo produttivo a di consumo, dopo aver subito un trattamento preventivo, senza che si renda necessaria alcuna operazione di recupero tra quelle individuate nell'Allegato C) del D.Lgs. n. 22/1997.


Era stata cosi introdotta una doppia deroga alla nozione generale di "rifiuto", in relazione alla quale la Commissione Europea ha aperto una procedura di infrazione (ex art. 169/226 del Trattato) nei confronti del Governo italiano, per mancato rispetto della direttiva n. 75/442/CEE come modificata dalla direttiva n. 91/156/CEE, conclusasi con un invito di conformazione rivolto al nostro Paese, essendo stata ravvisata "un 'indebita limitazione del campo di applicazione della nozione di rifiuto", nozione che "non può, essere commisurata allo specifico tipo di operazione di recupero o smaltimento che viene effettuata".


1.4 La Corte Europea di giustizia -  con la sentenza 11.11.2004, Niselli - ha affermato che:


a) "La direttiva 75/442 non suggerisce alcun criterio determinante per individuare la volontà del detentore di disfarsi di una determinata sostanza o di un determinato materiale. In mancanza di disposizioni comunitarie, gli Stati membri sono liberi di scegliere le modalità di prova dei diversi elementi definiti nelle direttive da essi trasposte, purché ciò non pregiudichi l'efficacia del diritto comunitario ... Dal fatto che su una sostanza venga eseguita un'operazione menzionata negli allegati II a o II B della direttiva 75/442 non discende necessariamente che l'operazione consista nel disfarsene e che, quindi, tale sostanza vada considerata rifiuto". Ne consegue che " la definizione di rifiuto contenuta nell'art. 1, lett. a) 1° comma, della direttiva 75/442, non può essere interpretata nel senso che essa ricomprenderebbe tassativamente le sostanze o i materiali destinati o soggetti alle operazioni di smaltimento o di recupero menzionate negli allegati II a e II B di delta direttiva, oppure in elenchi equivalenti, o il cui detentore abbia l'intenzione o l'obbligo di destinarli a siffatte operazioni". La qual coca equivale ad escludere che la nozione di rifiuto possa dipendere, in definitiva, da un'elencazione chiusa di comportamenti e sostanze.


b) "La definizione di rifiuto, contenuta nell'art. 1, lett. a) - 1° comma, della direttiva 75/442, non deve essere interpretata nel senso che essa escluderebbe l'insieme dei residui di produzione o di consumo che possono essere o sono riutilizzati in un ciclo di produzione o di consumo, vuoi in assenza di trattamento preventivo e senza arrecare danni all'ambiente, vuoi previa trattamento ma senza che occorra tuttavia un'operazione di recupero ai sensi dell'allegato II B di tale direttiva".


E' ammissibile e non contrasta con le finalità della direttiva 75/442 "un'analisi secondo la quale un bene, un materiale o una materia prima derivante da un processo di fabbricazione o di estrazione che non è principalmente destinato a produrlo può costituire non un residuo, bensì un sottoprodotto, del quale l'impresa non ha intenzione di disfarsi ai sensi dell'art. 1, lett. a) 1° comma, della direttiva 75/442, ma che essa intende sfruttare o commercializzare a condizioni per lei favorevoli, in un processo successivo, senza operare trasformazioni preliminari".


Né è derivata la affermazione della illegittimità comunitaria dell'art. 14 del D.L. n. 138/2002, perché i materiali che non sono riutilizzati in maniera certa e richiedono una previa trasformazione sono semplici sostanze di cui i detentori si sono voluti disfare, che "devono tuttavia conservare la qualifica di rifiuti finche non siano effettivamente riciclati [...], finché cioè non costituiscano i prodotti finiti del processo di trasformazione cui sono destinati. Nelle fasi precedenti essi non possono ancora, infatti, essere considerati riciclati, poiché il detto procedimento di trasformazione non è terminato. Viceversa, fatto salvo il caso in cui i prodotti ottenuti siano a loro volta abbandonati, il momento in cui i materiali in questione perdono la qualifica di rifiuto non può essere fissato ad uno stadio industriale o commerciale successivo alla loro trasformazione [.. poiché, a partire da tale momento, essi non possono più essere distinti da altri prodotti scaturiti da materie prime primarie".


1.5 La sentenza interpretativa della Corte di Giustizia ha costituito il presupposto di una questione di legittimità costituzionale dell'art. 14 del D.L. n. 138/2002 (convertito nella legge n. 178/2002), per violazione degli artt. 11 e 117 Cost., sollevata da questa Corte Suprema con ordinanza n. 1414 del 16.1.2006, Rubino (ud. pubbl. del 14.12.2005).


La questione dovrà essere riesaminata, comunque, alla stregua delle nuove previsioni contenute, al riguardo, nel D.Lgs. 3.4.2006, n. 152, pubblicato nella G. U. 96/L del 14.4.2006, attuativo della delega di cui alla legge n. 308/2004, che ha abrogato l'art. 14 del D.L. n. 138/2002 (art. 264, 1° comma, lett. 1).


1.6 L'art. 183, 1° comma - lett. a), del D.Lgs n. 152/2006 definisce rifiuto "qualsiasi sostanza od oggetto che rientra nelle categorie riportate nell'allegato A della parte quarta del presente decreto e di cui il detentore si disfi o abbia deciso o abbia l'obbligo di disfarsi".


Accanto a tale nozione, però, lo stesso decreto legislativo pone anche quelle di "materia prima secondaria" (art. 183, 1° comma, lett. q, in relazione all'art. 181) e di "sottoprodotto" (art. 183, 1° comma, lett. n), escludendo cosi molti beni e sostanze dal novero dei rifiuti.

2. La nozione di "rifiuto" ed i materiali insistenti nelle aree sequestrate.

Ai sensi dell'art. 7, .3° comma - lett. b), del D.Lgs. n. 22/1997 e dell'art. 184, 3° comma - lett. b), del D.Lgs. n. 152/2006 sono rifiuti speciali "i rifiuti derivanti dalle attività di demolizione, costruzione ..."


Dei residui delle attività di demolizioni edili e del loro reimpiego si è occupata questa Sezione con la sentenza n. 46680 dell' 1.12.2004, che, in relazione agli stessi, ha ritenuto applicabile l'art. 14 del D.L. n. 138/2002, a condizione che risulti certa: a) l'individuazione del produttore e/o detentore dei materiali, b) la provenienza degli stessi, c) la sede ove sono destinati, d) il loro riutilizzo in un ulteriore ciclo produttivo.


Nella fattispecie in esame, però, è l'oggettività del fatto a conferire agli specifici materiali derivanti da demolizione la qualificazione di "rifiuti". Ed infatti:


- nelle aree assoggettate a sequestro erano depositati anche materiali che non potevano essere riutilizzati in alcun ciclo produttivo;


- le pietre ed i mattoni riutilizzabili in attività costruttive dovevano subire una preliminare attività di separazione e di cernita anteriormente alla quale essi conservano la qualifica di rifiuti.


La situazione è ancora più chiara alla stregua della normativa introdotta dal D.Lgs. n. 152/2006, in quanto:


- il materiale complessivamente ricavato nella fattispecie non può qualificarsi - allo stato -"materia prima secondaria", ai sensi dell'art. 181, commi 6 e 13, del D.Lgs. n. 152/2006, anche in mancanza del decreto ministeriale di attuazione previsto dal 6° comma;


- a norma dell'art. 181, comma 12, del D.Lgs. n. 152/2006, "la disciplina in materia di gestione dei rifiuti si applica fino al completamento delle operazioni di recupero, che si realizza quando non sono necessari ulteriori trattamenti perché le sostanze, i materiali e gli oggetti ottenuti possono essere usati in un processo industriale o commercializzati come materia prima secondaria, combustibile o come prodotto da collocare, a condizione che il detentore non se ne disfi o non abbia deciso, o non abbia l'obbligo, di disfarsene";


- tra le operazioni di "recupero", ex art. 183, lett. h), del D.Lgs. n. 152/2006, sono espressamente "incluse la cernita o la selezione".


Né alto stato sembrano sussistere elementi che rendano applicabile, ad evidenza, disposto dell'art. 6, comma 1, lett. m), del D. Lgs. n. 22/1997 (con le modifiche introdotte dal D.Lgs. n. 389/1997) ed attualmente dell'art. 183, lett. m), del D.Lgs. n. 152/2006, al fine di argomentare che non si verterebbe in tema di "gestione di rifiuti", bensì sarebbe configurabile soltanto una legittima operazione preliminare all'attività di gestione, preparatoria al recupero. Tali norme definiscono il deposito temporaneo dei rifiuti quale "raggruppamento dei rifiuti effettuato, prima della raccolta, nel luogo in cui gli stessi sono prodotti" nel rispetto di specifiche condizioni riferite: ai limiti della presenza di determinate sostanze; alle cadenze temporali di raccolta e di avviamento alle operazioni di recupero o di smaltimento; ai termini massimi di durata; alle modalità del deposito stesso.


Nella specie la verifica della sussistenza di dette condizioni non risulta effettuata.


3. I limiti dell'accertamento incidentale demandato al Tribunale del riesame.


Secondo la giurisprudenza delle Sezioni Unite di questa Corte Suprema, nei procedimenti incidentali aventi ad oggetto il riesame di provvedimenti di sequestro:


- la verifica delle condizioni di legittimità della misura da parte del Tribunale non può tradursi in una anticipata decisione della questione di merito concernente la responsabilità dell'indagato in ordine al reato o ai reati oggetto di investigazione, ma deve limitarsi al controllo di compatibilità tra fattispecie concreta e fattispecie legale ipotizzata, mediante una valutazione prioritaria ed attenta della antigiuridicità penale del fatto (Cass., Sez. Un., 7.11.1992, Ric. Midolini);


- "l'accertamento della sussistenza del fumus commissi delicti va compiuto sotto il profilo della congruità degli elementi rappresentati, che non possono essere censurati in punto di fatto, per apprezzarne la coincidenza con le reali risultanze processuali, ma che vanno valutati cosi come esposti, al fine di verificare se essi consentono di sussumere l'ipotesi formulata in quella tipica. Il Tribunale, dunque, non deve instaurare un processo nel processo, ma svolgere l'indispensabile ruolo di garanzia, tenendo nel debito conto le contestazioni difensive sull'esistenza della fattispecie dedotta ed esaminando sotto ogni aspetto l'integralità dei presupposti che legittimano il sequestro" (Cass., Sez. Un., 29.1.1997, n. 23, ric. P.M. in proc. Bassi e altri).


4. Per tutte le considerazioni svolte, deve disporsi l'annullamento dell'ordinanza impugnata ed il rinvio al Tribunale di Modena per un nuovo esame della vicenda alla stregua dei principi di diritto dianzi enunciati, dovendosi in particolare tenere conto che:


- i materiali risultanti dall'attività demolitoria in oggetto e depositati nelle due aree assoggettate a sequestro costituiscono "rifiuti speciali" ai sensi dell'art. 7, 3° comma - lett. b), del D.Lgs. n. 22/1997 e dell'art. 184, 3° comma - lett. b), del D.Lgs. n. 152/2006. Una parte dei materiali medesimi, nella specie, non poteva sicuramente essere riutilizzata in alcun ciclo produttivo;


- quanto alle pietre ed ai mattoni riutilizzabili in attività costruttive, va verificato quale intervento preventivo di trattamento dovevano eventualmente subire detti materiali al fine della loro effettiva riutilizzazione, con connessa valutazione della possibilità di incidenze pregiudizievoli all'ambiente, tenuto conto comunque che tra le operazioni di "recupero", ex art. 183, lett. h), del D.Lgs. n. 152/2006, sono espressamente "incluse la cernita o la selezione";


- deve altresì riscontrarsi la eventuale sussistenza delle condizioni che rendano applicabile ad evidenza, allo stato, il disposto dell'art. 6, comma 1, lett. m), del D. Lgs. n. 22/1997 (con le modifiche introdotte dal D.Lgs. n. 389/1997) come trasfuso nell'art. 183, lett. m), del D.Lgs. n. 152/2006.


P.Q.M.


la Corte Suprema di Cassazione,


visti gli artt. 127 e 325 c.p.p.,


annulla l'ordinanza impugnata con rinvio al Tribunale di Modena.

 

Così deciso in ROMA, nella camera di consiglio del 15.6.2006.


Il consigliere estensore              Il presidente
   Aldo FIALE                         Ernesto LUPO


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