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registrata presso il Tribunale di Patti Reg. n. 197 del 19/07/2006
Inquinamento idrico - Reflui da allevamento zootecnico - Utilizzazione
esclusiva dei residui dell'attività agricola - Presupposti - Codice
dell’ambiente - Rapporto tra vecchia e nuova disciplina - Art. 101 c. 7° D. L.vo
n. 152/2006 - Leggi nn. 319/1976, 690/1976 e D. L.vo 152/1999. L’articolo
101 comma settimo del D. L.vo n. 152/2006 non introduce, rispetto alla
previgente disciplina regolata dalle leggi nn. 319/1976, 690/1976 e D. L.vo
152/1999, norme pro reo. Sicché, solo quando un allevamento, per il numero dei
suoi capi e l'estensione del fondo disponibile, consente l'utilizzazione
esclusiva dei residui dell'attività agricola, può, in considerazione del
limitato impatto ambientale, invocarsi il regime giuridico relativo alle acque
domestiche (ex plurimis sentenza 13345/1998). Pres. Postiglione - Est. Squassoni
- Ric. Bruni. (conferma, Tribunale di Viterbo sentenza del 11/02/2005). CORTE
DI CASSAZIONE PENALE Sez. III, 9 ottobre 2006 (Ud. 9/06/2006), Sentenza n. 33896
Udienza pubblica del 9.6.2006
SENTENZA N. 01082/2006
REG. GENERALE n. 033389/2005
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
Composta dagli III.mi Signori
Dott. POSTIGLIONE AMEDEO Presidente
1. Dott. TERESI ALFREDO Consigliere
2. Dott. SQUASSONI CLAUDIA Consigliere
3. Dott. LOMBARDI ALFREDO MARIA Consigliere
4. Dott. FRANCO AMEDEO Consigliere
ha pronunciato la seguente
SENTENZA/ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
1) BRUNI ENRICO
N. IL 11/04/1953
2) BRUNI ALDO
N. IL 18/11/1960
avverso SENTENZA del 11/02/2005
GIUDICE UDIENZA PRELIMINA DI VETERBO
Visti gli atti, Ia sentenza ed il procedimento
Udita in PUBBLICA UDIENZA Ia relazione fatta dal consigliere SQUASSONI
CLAUDIA,
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Meleni Vittorio
che ha concluso per l'inammissibilità del ricorso.
Udito, per la parte civile, l'Avv.
Udito il difensore Avv. Marini Fabio Massimo di Roma
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con sentenza 11 febbraio 2005, il Tribunale di Viterbo ha ritenuto Bruni Enrico
e Bruni Aldo responsabili del reato previsto dall'art. 59 c.1 DLvo 152/1999 (perché, quali titolari di una azienda agricola con circa 9000 bovini,
effettuavano lo scarico di acque reflue industriali rappresentate dalle
deiezioni degli animali e dal lavaggio delle stalle in un corso d'acqua senza la
necessaria autorizzazione) ed ha condannato ciascuno alla pena di euro mille di
ammenda.
Per giungere a tale conclusione, il Giudice - dopo avere accertato l'esistenza
del fatto materiale per cui è processo - ha rilevato che, pur prescindendo dal
rapporto tra peso vivo del bestiame ed estensione del fondo, lo scarico dei
liquami zootecnici necessitava di autorizzazione; ciò in quanto non si era
realizzata in concreto la fertirrigazione mediante totale utilizzo dei rifiuti
come concimi ovvero attraverso l'integrale sversamento degli stessi nel fondo.
Per l'annullamento della sentenza, gli imputati ricorrono in Cassazione
deducendo violazione di legge, in particolare, rilevando:
= che per le imprese agricole, in
quanto considerate insediamenti civili a sensi dell'art. l quater L.
690/1976, non si deve applicare la disciplina prevista dal DLvo 152/1999
valevole per gli insediamenti industriali;
= che il Giudice ha omesso di
valutare i criteri dettati dall'art. 28 c.7 del ricordato decreto per
individuare la categoria delle acque assimilabili a quelle domestiche.
Le censure non sono meritevoli di accoglimento.
Sotto la vigenza della L. 319/1976, l'art. l quater uc L. 690/1976
qualificava l'impresa agricola come insediamento civile successivamente la
delibera 8 maggio 1980 del Comitato interministeriale previsto dall'art. 3 della
L. 319/1976 indicava alcuni parametri di riferimento (che la giurisprudenza
riteneva non vincolanti) per stabilire la natura di insediamento civile, o meno,
della impresa agricola e zootecnica (estensione del terreno disponibile, peso
complessivo del bestiame, attività svolta et c.); in sintesi, si esulava dallo
insediamento civile quando l'allevamento del bestiame perdeva il suo
coordinamento funzionale con la coltivazione o lo sfruttamento del fondo e
doveva considerarsi diretto allo esercizio di una autonoma impresa commerciale
al cui servizio l'allevamento del bestiame era subordinato.
Il D. L.vo 152/1999, vigente alla epoca del fatto per cui è processo, non faceva
più riferimento alla natura dello insediamento (civile o produttivo), ma alla
tipologia dei reflui per cui l'art. 28 equiparava gli effluenti da allevamento
di bestiame alle acque domestiche (fatto salvo il disposto dell'art. 38 sulla
utilizzazione agronomica) a determinate condizioni ; tali requisiti, riferiti al
rapporto tra peso vivo degli animali ed estensione del fondo, erano
significativi della circostanza che la attività di allevamento si svolgeva in
connessione con la coltivazione della terra e questa era in grado di smaltire,
nell'ambito di un ciclo chiuso, il carico inquinante delle deiezioni.
La disciplina in esame è ora parzialmente modificata dall'art. 101 c. 7 D. L.vo
152/2006 che non introduce norme pro reo.
In conclusione: solo quando un allevamento, per il numero dei suoi capi e
l'estensione del fondo disponibile, consente l'utilizzazione esclusiva dei
residui dell'attività agricola, può, in considerazione del limitato impatto
ambientale, invocarsi il regime giuridico relativo alle acque domestiche (ex
plurimis sentenza 13345/1998).
La problematica sollevata dai ricorrenti, tuttavia, è ininfluente nel caso
concreto nel quale i liquami degli animali non erano usati concretamente ed
integralmente nel terreno come concime per il successivo ciclo produttivo, ma
immessi mediante canalizzazione in un corso l'acqua pubblico; tale attività
necessita di previa autorizzazione sia con riferimento alla pregressa normativa
sia alla attuale.
PQM
La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle
spese processuali.
Roma, 9 giugno 2006
Il consigliere estensore
Il presidente
Claudia SQUASSONI
Amedeo POSTIGLIONE
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