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registrata presso il Tribunale di Patti Reg. n. 197 del 19/07/2006
Rifiuti - Gestione di rifiuti speciali pericolosi - Attività di recupero di
rifiuti di legno, scarti di legno e sughero, imballaggi di legno - Assenza della
prescritta autorizzazione o iscrizione per revoca - Art. 14 DL n. 138/2002 -
Artt. 181 e 183, D.L.vo n. 152/2006. In materia di gestione dei rifiuti, non
è astrattamente riconducibile alla nozione di materia prima secondaria già
contemplata dall’abrogato art. 14 DL n. 138/2002 né a quella di MPS ora
disciplinata dall’art. 181 lettera b) D.L.vo n. 152/2006 o di sottoprodotto
definita dall’art. 183 lettera n) del medesimo D.L.vo, l’attività di recupero di
rifiuti speciali pericolosi costituiti da scarti di legno e sughero e imballaggi
di legno, consistente nell’acquisizione e nel primo assemblaggio degli scarti da
cedere ad altri in vista di successive trasformazioni che ne consentano
l’utilizzo. Pres. Papa - Est. Sarno - Ric. Nataloni. CORTE DI CASSAZIONE
PENALE Sez. III, 10 novembre 2006 (Ud. 4/10/2006), Sentenza n. 37303
Rifiuti - Definizione di rifiuto - Nozione di sottoprodotto - Materia prima
secondaria - Vicende legislative - Disciplina vigente - L. 308/2004 - D.lgs. n.
152/2006 - Direttiva 75/442/CEE - Dir. 2006/12/CE. Il d.lgs. n. 152 del 2006
ha espressamente abrogato, all'art. 264, comma 1, lettera l), la norma di
interpretazione autentica di cui all'art. 14 del d.l. n. 138 del 2002, - pure
originariamente tenuta ferma in alcune disposizioni della L. 308/2004 ed ha
provveduto con l'art. 183 a ridefinire la nozione di rifiuto (lettera a)
introducendo, al contempo, alla lettera n) la nozione di sottoprodotto e
prevedendo alla lettera q) quella di materia prima secondaria. Peraltro, come
osservato dalla stessa Corte Costituzionale, il quadro normativo di riferimento
deve contemporaneamente registrare anche l'abrogazione della direttiva
75/442/CEE ad opera della nuova direttiva in materia di rifiuti 2006/12/CE del 5
aprile 2006 del Parlamento europeo e del Consiglio, pubblicata nella Gazzetta
Ufficiale dell'Unione europea del 27 aprile 2006, n. L 114, ed entrata in vigore
17 maggio 2006 che, tra l'altro, all'art. 1, paragrafo 1, lettera a), modifica
anche, sia pure parzialmente, la precedente definizione di rifiuto espressamente
includendo nella definizione anche i beni dei quali vi sia "l'intenzione di
disfarsi". Pres. Papa - Est. Sarno - Ric. Nataloni. CORTE DI CASSAZIONE
PENALE Sez. III, 10 novembre 2006 (Ud. 4/10/2006), Sentenza n. 37303
Udienza pubblica del 4.10.2006
SENTENZA N. 01545/2006
REG. GENERALE n. 033712/2005
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
Composta dagli III. mi Signori
1. Dott. PAPA ENRICO Presidente
2. Dott. TERESI ALFREDO Consigliere
3. Dott. TARDINO VINCENZO LUIGI Consigliere
4. Dott. IANNIELLO ANTONIO Consigliere
5. Dott. SARNO GIULIO Consigliere
ha pronunciato la seguente
SENTENZA/ORDINANZA
sul ricorso proposto da :
1) NATALONI PAOLO
N. IL 07/02/1958
avverso SENTENZA del 14/02/2005
TRIBUNALE di ROMA
visti gli atti, la sentenza ed il procedimento
udita in PUBBLICA UDIENZA la relazione fatta dal Consigliere SARNO GIULIO
Udito il Procuratore Generale in persona del dott. Izzo Gioacchino
che ha concluso per il rigetto del
ricorso
Udito, per la parte civile il l'Avv. /
Udito il difensore avv. Liberali
Alberto
Nataloni Paolo imputato del reato di cui agli articoli 51 comma 1 lettera a) d.
L. vo n. 22/97, perchè, in qualità di legale rappresentante della ditta "Ecolegno
Roma srl" effettuava dal 13.6.2001 al 9.5.2002 attività di recupero di rifiuti
speciali pericolosi, costituiti da scarti di legno e sughero, imballaggi di
legno senza la prescritta autorizzazione o iscrizione in quanto revocata dalla
provincia di Roma in data 5.6.2001 e avendo iniziato la predetta attività prima
del 90 giorni previsti dall'art. 33 comma 1 del d. Lvo 22/97 dalla comunicazione
di inizio attività inoltrata alla provincia di Roma in data 22.2.2002, propone
ricorso per cassazione avverso la sentenza del tribunale di Roma con la quale
veniva condannato alla pena di euro 1800 di ammenda, con pena sospesa.
Eccepisce il ricorrente l'illegittimità costituzionale dell'articolo 14 DL n
138/2002, così come convertito con modificazione nella legge n 178/2002 recante
interpretazione autentica della definizione di rifiuto di cui all'articolo 6
comma 1 lettera a) d.Lvo n 22/1997 per violazione dell'articolo 25 comma 2 della
Costituzione attinente al principio di legalità della pena nonché a quello
connesso di tassatività e sufficiente determinatezza della fattispecie penale;
dell'articolo 112 della Costituzione relativo all'obbligatorietà dell'azione
penale; dell'articolo 111 della Costituzione relativo al diritto di difesa; e
dell'articolo 3 comma 2 della Costituzione relativo all'uguaglianza sostanziale
dei cittadini.
Eccepisce inoltre l'inosservanza o erronea applicazione dell'articolo 14 d.l. n
138/2002 così come convertito con modificazione della legge numero 178/2002.
Il
ricorso è infondato e va pertanto rigettato.
Motivi della decisione
Il ricorso deve essere rigettato.
Le questioni poste dal ricorrente, accomunando profili diversi e non tutti
omogenei, impongono anzitutto che si faccia ordine sotto il profilo logico nella
trattazione di esse.
In questa sede il ricorrente, richiamando il disposto dell'art. 14, nega la
necessità dell'autorizzazione per lo svolgimento della sua attività ritenendo
che in base alla predetta disposizione gli scarti trattati non potevano essere
considerati rifiuti ma invece materia prima secondaria in quanto riutilizzata in
diversi cicli produttivi senza pregiudizio per l'ambiente.
In subordine eccepisce l'illegittimità costituzionale dell'art. 14 stesso sul
presupposto che manca nell'ordinamento una nozione definita di rifiuto, e che,
comunque, non può riconoscersi efficacia diretta della normativa comunitaria.
Orbene, in ordine alla prima questione va anzitutto premesso che il d. l.vo n.
22/1997, - analogamente a quanto attualmente dispone l'allegato D del d. l.vo n.
152/2006 - includeva tra i rifiuti anche quelli della lavorazione del legno
(03.01).
Ciò posto, rispetto all'obiezione del ricorrente secondo cui nella
specie si sarebbe in presenza non già di rifiuti ma di materia prima secondaria
si rendono
preliminarmente necessarie alcune puntualizzazioni in relazione alla
delimitazione delle due nozioni.
Per quanto concerne la nozione di materia prima secondaria nell'art. 4, comma 1,
lett. b) del d.lgs. n. 22/1977 si faceva riferimento alla "materia prima"
ottenuta dal recupero di rifiuti e l'art. 3, comma 1, del d.m. 5 febbraio 1998,
adottato in attuazione di quanto disposto dall'art. 31 del citato d.lgs. n.
22/1997, espressamente precisava che "restano sottoposti al regime dei rifiuti i
prodotti, le materie prime e le materie prime secondarie ottenuti dalle attività
di recupero che non vengono destinati in modo oggettivo ed effettivo
all'utilizzo nei cicli di consumo o di produzione."
L'art. 14 del d.l. 8 luglio 2002 n. 138, convertito con modificazioni nella
legge 8 agosto 2002 n. 178 esclude dal concetto di rifiuto "beni, sostanze e
materiali residui di produzione" che possano essere e siano effettivamente e
oggettivamente reimpiegati nello stesso o in diverso ciclo produttivo, e ciò sia
che si renda necessario, ovvero che non sia necessario, un qualche trattamento
preventivo, purché non si tratti di una delle operazioni di trasformazione di
cui all'allegato C del d.lgs. n. 22 del 1997.
In relazione alla disposizione citata questa stessa Sezione con una decisione ha
sollevato la questione di legittimità costituzionale della norma citata
essendosi ritenuta non manifestamente infondata la questione di legittimità
costituzionale dell'art. 14 del D.L. n. 8 luglio 2002 n. 138, convertito in
legge 8 agosto 2002 n. 178, di interpretazione autentica della nozione di
rifiuto contenuta nell'art. 6 del D.Lgs. 5 febbraio 1997 n. 22, attuativo delle
direttive 91/156/CEE, 91/689/CEE e 94/62/CE sui rifiuti, come ulteriormente
definita dalla Corte di Giustizia europea, per contrasto con gli artt. 11 e 117
Cost. (Sez. 3, Ordinanza n. 1414 del 14/12/2005 Rv. 232603).
La Corte infatti sostiene che "l'art. 14 ha introdotto una doppia deroga alla
definizione comunitaria di rifiuto, sia laddove ha identificato l'attività di
"disfarsi" della sostanza con quella di smaltimento o di recupero della medesima
(escludendo così l'attività di abbandono), sia laddove ha escluso la volontà o
l'obbligo di "disfarsi" di residui di produzione o di consumo quando questi sono
o possono essere riutilizzati tal quali senza trattamenti recuperatori e senza
pregiudizio per l'ambiente. In tal modo ha esonerato dal controllo
amministrativo e dalla disciplina sui rifiuti attività con cui il detentore si
disfa di residui di produzione o di consumo, creando pericolo per l'ambiente.
In altre decisioni, invece, e da ultimo nella sentenza n. 20499 del 14/04/2005,
Colli ed altri, Rv. 231528, si è comunque ritenuto che anche per la normativa
nazionale deve accedersi, quanto all'ipotesi dei residui di produzione, ad
un'interpretazione della fattispecie derogatoria del secondo comma dell'art. 14 cit., orientata dall'esigenza di conformità alla normativa comunitaria e, di
conseguenza
si è affermato che al fine di delineare l'ambito di operatività della nozione di
rifiuto occorre distinguere tra i "residui di produzione" che, pur se
suscettibili di eventuale successiva utilizzazione previa trasformazione, vanno
qualificati come rifiuti ed i "sottoprodotti" che non vi rientrano, atteso che
solo ciò che non nuoce all'ambiente e può essere inequivocabilmente ed
immediatamente utilizzato come materia prima secondaria senza previa
trasformazione in un processo produttivo si sottrae alla disciplina sui rifiuti
di cui al D lgs. 5 febbraio 1997 n. 22.
Ciò che interessa comunque evidenziare ai fini della decisione in esame è che in
entrambe le situazioni si è comunque ritenuto che l'ordinamento nazionale non
potesse che uniformarsi ai principi comunitari per la nozione di rifiuto.
Nelle more della pronuncia della Corte Costituzionale il quadro normativo è
ancora mutato.
la Corte Costituzionale, chiamata a pronunciarsi sulla legittimità
costituzionale dell'art. 14 del decreto-legge 8 luglio 2002, n. 138 (Interventi
urgenti in materia tributaria, di privatizzazioni, di contenimento della spesa
farmaceutica e per il sostegno dell'economia anche nelle aree svantaggiate),
convertito, con modificazioni, in legge 8 agosto 2002, n. 178, e dell'art. 1,
commi 25, 26, 27, 28 e 29, della legge 15 dicembre 2004, n. 308 (Delega al
Governo per il riordino,
coordinamento e l'integrazione della legislazione in materia ambientale e misure
di diretta applicazione), con riferimento agli artt. 11 e 117 della
Costituzione, con ordinanza del 3 luglio 2006 n. 288, ha ordinato la
restituzione degli atti ai giudici a quibus ai fini di una nuova valutazione
circa la rilevanza e la non manifesta infondatezza delle questioni sollevate
alla luce dello ius superveniens.
Ed, invero, ha osservato la Corte che, successivamente alle ordinanze di
rimessione, è intervenuto il decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in
materia ambientale), pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 88 del 14 aprile
2006, supplemento ordinario, il quale, in attuazione della delega conferita
dall'art. 1 della legge n. 308 del 2004, reca, nella parte quarta (Norme in tema
di gestione dei rifiuti e di bonifica dei siti inquinati), una nuova disciplina
della gestione dei rifiuti, integralmente sostitutiva di quella gia contenuta
nel d.lgs. n. 22 del 1997.
Il d.lgs. n. 152 del 2006 ha espressamente abrogato, infatti, all'art. 264,
comma 1, lettera l), la norma di interpretazione autentica di cui all'art. 14
del d.l. n. 138 del 2002, - pure originariamente tenuta ferma in alcune
disposizioni della l. 308/2004 ed ha provveduto con l'art. 183 a ridefinire la
nozione di rifiuto (lettera a) introducendo, al contempo, alla lettera n) la
nozione di sottoprodotto e prevedendo alla lettera q) quella di materia prima
secondaria.
Peraltro, come osservato dalla stessa Corte Costituzionale, il quadro normativo
di riferimento deve contemporaneamente registrare anche l'abrogazione della
direttiva 75/442/CEE ad opera della nuova direttiva in materia di rifiuti
2006/12/CE del 5 aprile 2006 del Parlamento europeo e del Consiglio, pubblicata
nella Gazzetta
Ufficiale dell'Unione europea del 27 aprile 2006, n. L 114, ed entrata in vigore
17 maggio 2006 che, tra l'altro, all'art. 1, paragrafo 1, lettera a), modifica
anche, sia pure parzialmente, la precedente definizione di rifiuto espressamente
includendo nella definizione anche i beni dei quali vi sia "l'intenzione di
disfarsi".
Venendo ora alla specifica questione osserva il Collegio che la
motivazione della sentenza impugnata sottolinea che, pure a seguito di revoca
dell'autorizzazione da parte della provincia di Roma, la società del ricorrente
ha continuato a svolgere la sua attività di ricevimento di rifiuti in legno,
compattazione degli stessi anche mediante il taglio, adeguamento volumetrico e
realizzazione di colli cubici da imballare per la destinazione successiva verso
la ditta di vera e propria trasformazione.
Si evidenzia, dunque, che l'attività del ricorrente consisteva nell'acquisizione
ed in un primo assemblaggio di scarti - e, quindi, di rifiuti - da cedere ad altri
in vista di successive trasformazioni che ne consentissero l'utilizzo.
In questo senso, il materiale "lavorato" dalla ditta del ricorrente, ancora
privo di una specifica identità, correttamente è stato ritenuto essere ancora
rifiuto alla luce dell'interpretazione dell'art. 14 costituzionalmente orientata
in rapporto ai principi comunitari.
Se è vero, infatti, che la Corte di Giustizia ha affermato che in determinate
situazioni, un bene, un materiale o una materia prima che deriva da un processo
di estrazione o di fabbricazione che non è principalmente destinato a produrlo
può costituire non tanto un residuo, quanto un sottoprodotto, del quale
l'impresa non cerca di «disfarsi» ai sensi dell'art. 1, lett. a), primo comma,
della direttiva 75/442, ma che essa intende sfruttare o commercializzare a
condizioni ad essa favorevoli, in un processo successivo, senza operare
trasformazioni preliminari, occorre anche ricordare come nella stessa occasione
la Corte ha ritenuto che l'interpretazione risultante da una disposizione quale
l'art. 14 del decreto legge n. 138/02, secondo la quale affinché un residuo di
produzione o di consumo sia sottratto alla qualifica come rifiuto sarebbe
sufficiente che esso sia o possa essere riutilizzato in qualunque ciclo di
produzione o di consumo, vuoi in assenza di trattamento preventivo e senza
arrecare danni all'ambiente, vuoi previo trattamento ma senza che occorra
tuttavia un'operazione di recupero ai sensi dell'allegato II B della direttiva
75/442, si risolve manifestamente nel sottrarre alla qualifica come rifiuto
residui di produzione o di consumo che invece corrispondono alla definizione
sancita dall'art. 1, lett. a), primo comma, della direttiva 75/442.
(La Corte ha successivamente precisato, peraltro, che la nozione di
sottoprodotto non dipende necessariamente dal fatto che sia impiegato dallo
stesso operatore che l'ha generato, potendo soddisfare anche il bisogno di altre
imprese. causa C-121/03 e C-416/02)
Ed a fronte della tesi difensiva secondo cui nel caso di specie rottami ferrosi
successivamente sottoposti a cernita ed a taluni trattamenti, costituivano una
materia prima secondaria destinata alla siderurgia, la Corte ha obiettato che
essi dovevano tuttavia conservare la qualifica di rifiuti finchè non venivano
effettivamente riciclati in prodotti siderurgici, finche cioè non costituivano
prodotti finiti del processo di trasformazione cui sono destinati. (Corte di
Giustizia Comunità Europee, - Sentenza 11 novembre 2004, causa C-457/02, Niselli).
Alla medesima conclusione si deve pervenire anche alla luce delle nuove
disposizioni contenute nel D.Lvo n. 152/2006.
Quest'ultimo, infatti, per un verso all'art. 181 lett. b) – richiamato dall'art.
183 lett. q) – ribadisce che la materia prima secondaria si ottiene all'esito di
un'attività di recupero, e per altro alla lettera n) dell'art. 183, mutuando
almeno in parte i concetti elaborati dalla Corte di Giustizia, fornisce la
nozione di sottoprodotto definendo tali i prodotti dell'attività dell'impresa
che, pur non costituendo l'oggetto dell'attività principale, scaturiscono in via
continuativa dal processo industriale dell'impresa stessa e sono destinati ad un
ulteriore impiego o al consumo.
Si precisa, tuttavia, anche che non sono soggetti alle disposizioni di cui alla
parte quarta del decreto i sottoprodotti di cui l'impresa non si disfi, non sia
obbligata a disfarsi e non abbia deciso di disfarsi ed in particolare i
sottoprodotti impiegati direttamente dall'impresa che li produce o li
commercializza a condizioni economicamente favorevoli per l'impresa stessa
direttamente per il consumo o per l'impiego, senza la necessità di operare
trasformazioni preliminari in un successivo processo produttivo; e che, a
quest'ultimo fine, per trasformazione preliminare s'intende qualsiasi operazione
che faccia perdere al sottoprodotto la sua identità, ossia le caratteristiche
merceologiche di qualità e le proprietà che esso gia possiede, e che si rende
necessaria per il successivo impiego in un processo produttivo o per il consumo.
Si aggiunge anche che l'utilizzazione del sottoprodotto deve essere certa e non
eventuale e, soprattutto che deve essere attestata la destinazione del
sottoprodotto ad effettivo utilizzo in base a tali standard e norme tramite una
dichiarazione del produttore o detentore, controfirmata dal titolare
dell'impianto dove avviene l'effettivo utilizzo.
Il che evidentemente non è avvenuto nel caso di specie.
Peraltro nemmeno la nuova normativa è stata ritenuta da più parti conforme ai
principi comunitari ed in particolare alla nozione di rifiuto ivi elaborata.
In
questo senso si è già eccepita, infatti, anche per gli artt. 181, commi 7-11,
183, comma 1, lettere g), h), m), n), q) ed u), del d.lgs. n. 152 del 2006, i
quali, rispettivamente, riguardano la previsione di accordi di programma per la
definizione dei metodi di recupero dei rifiuti destinati all'ottenimento di
materie prime secondarie, di combustibili o di prodotti e la fissazione delle
nozioni di
"smaltimento", "recupero", "deposito temporaneo", "sottoprodotto", "materia
prima secondaria", "materia prima secondaria per attività siderurgiche e
metallurgiche",il contrasto con gli artt. 11, 76, 117 e 118 della Costituzione,
operando essi una deregolamentazione del settore e riducendo, mediante
l'introduzione di definizioni di sottoprodotto e materia prima secondaria
contrastanti con la disciplina comunitaria, l'area di applicazione del regime
dei rifiuti. (vd. Corte Costituzionale ord. n. 245 del 2006 che ha dichiarato
non luogo a provvedere sull'istanza di sospensione degli artt. 63, 64, 101,
comma 7, 154, 155, 181, commi da 7 ad 11, 183, comma 1, 186, 189, comma 3, 214,
commi 3 e 5, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 proposta dalla
Regione Emilia-Romagna).
Appare, correttamente formulata, dunque la decisione
impugnata, né, come detto vi può essere spazio per eccepire ancora la
prospettata questione di legittimità costituzionale che, dunque, per le ragioni
indicate appare nella specie irrilevante.
Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle
spese processuali
P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali.
Così deciso in Roma il 4.10.2006
L' estensore
Il presidente
Sarno Giulio
Enrico Papa
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