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registrata presso il Tribunale di Patti Reg. n. 197 del 19/07/2006
Beni culturali e ambientali - Impossessamento illecito di beni culturali
appartenenti allo Stato - Formale dichiarazione della pubblica amministrazione -
Esclusione - Desumibilità della sua natura culturale - Sufficiente - Art. 125
D.Lgs. n. 490/1999 - D.L.vo 22.1.2004 n. 42 (Codice dei beni culturali o del
paesaggio). Ai fini della configurabilità del reato di cui all’art. 125 del
D.Lgs. 29 ottobre 1999 n. 490, impossessamento illecito di beni culturali
appartenenti allo Stato, non è necessario che i beni siano qualificati come tali
da un formale provvedimento della pubblica amministrazione, essendo sufficiente
la desumibilità della sua natura culturale dalle stesse caratteristiche
dell'oggetto, non essendo richiesto un particolare pregio per i beni culturali
di cui all’art 1 comma primo, del citato decreto n. 490.” (sez. III, 200347922,
Petroni, RV 226870; sez. III 200145814, Cricelli, RV 220742; 200142291,
Licciardello, RV 220626). Pres. Papa - Est. Lombardi - Ric. Palombo. CORTE DI
CASSAZIONE PENALE Sez. III, 28 Novembre 2006 (Ud. 24/10/2006), Sentenza n. 39109
Beni culturali e ambientali - D.L.vo 22.1.2004 n. 42 - Codice dei beni
culturali o del paesaggio - Beni d’interesse artistico, storico, archeologico o
etnoantropologico - Proprietà dello Stato di tutti i beni immobili e mobili -
Individuazione. L’art. 91, Co. 1, del Codice dei beni culturali e del
paesaggio (D.L.vo 22.1.2004 n. 42), attribuisce alla proprietà dello Stato tutti
i beni immobili e mobili, oggetto di ritrovamento, da "chiunque ed in qualunque
modo" che presentano interesse artistico, storico, archeologico o
etnoantropologico, analogamente a quanto previsto dall'art. 88 del D.L.vo n.
490/99, senza che sia necessario un formale provvedimento che riconosca il loro
interesse culturale, emesso dall’autorità amministrativa ai sensi dell’art. 13
del citato D.L.vo n. 42/2004. Pres. Papa - Est. Lombardi - Ric. Palombo.
CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. III, 28 Novembre 2006 (Ud. 24/10/2006), Sentenza
n. 39109
Beni culturali e ambientali - Tutela dei beni culturali - Art. 10, co. 3 e
co. 1, del D.L.vo n, 42/2004 - Differenza. In materia di tutela dei beni
culturali, un formale provvedimento emesso dall’autorità amministrativa che
riconosca l’interesse culturale di un bene, è necessario solo per i beni di cui
all’art. 10, co. 3, del D.L.vo n. 42/2004 e, cioè, per quei beni che risultino
appartenere a privati in base ad in titolo che ne legittimi disponibilità. In
tutti gli altri casi, i beni di cui all’art. 10, co. 1, del D.L.vo n. 42/2004
appartengono allo Stato sulla base del mero accertamento del loro interesse
culturale. Pres. Papa - Est. Lombardi - Ric. Palombo. CORTE DI CASSAZIONE
PENALE Sez. III, 28 Novembre 2006 (Ud. 24/10/2006), Sentenza n. 39109
Beni culturali e ambientali - Impossessamento di cose d’interesse artistico,
storico, archeologico e etnoantropoIogico - Fattispecie criminosa - Requisiti
"culturali" del bene. Per integrare la fattispecie criminosa di cui all’art.
176, co. l, del D.L.vo n. 42/2004, che si pone in evidente continuità normativa
con il reato già previsto dall’art. 125 del D.L..vo n, 490/99, non occorre alcun
provvedimento formale, che dichiari l’interesse artistico, storico, archeologico
e etnoantropoIogico delle cose di cui il privato sia stato trovato in possesso,
allorché quest’ultimo non dimostri di esserne legittimo proprietario, sicché si
possa affermare, anche sulla base di adeguati elementi indiziari, che gli stessi
sano stati oggetto di ritrovamento ed essendo, peraltro, sufficiente
l'accertamento dei requisiti culturali del bene, secondo le indicazioni
contenute nel citato articolo 10. Pres. Papa - Est. Lombardi - Ric. Palombo.
CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. III, 28 Novembre 2006 (Ud. 24/10/2006), Sentenza
n. 39109
P.U. 24.10.2006
SENTENZA N. 1670
REG. GENERALE n. 2146/2005
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
Composta dagli III. mi Signori
Dott. Enrico Papa Presidente
Dott. Pierluigi Onorato Consigliere
Dott. Claudia Squassoni Consigliere
Dott. Alfredo Maria Lombardi Consigliere
Dott. Antonio Ianniello
Consigliere
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
Sul ricorso proposto dall'Avv.
Domenico Oropallo, difensore di fiducia di Palombo Angelo, n. a Latina il
27.3.1957, avverso la semenza in data 2.2.2004 della Corte di Appello di Roma,
con la quale, a conferma di quella del Tribunale di Latina in data 18.2.2003,
venne condannato alla pena di mesi due di reclusione € 50,00 di multa, quale
colpevole del reato di cui all’art. 125 del D.L.vo n. 490/99.
Visti gli atti, la sentenza denunziata ed il ricorso;
Udita in pubblica udienza la relazione del Consigliere Dott. Alfredo Maria
Lombardi;
Udito il P.M., in persona del Sost.
Procuratore Generale Dott. Guglielmo Passacantado, che ha concluso per il rigetto
del ricorso;
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con la sentenza impugnata la Corte di Appello di Roma ha confermato la pronuncia
di colpevolezza di Palombo Angelo in ordine al reato di cui all’art. 125 del
D.L.vo n. 490/99, attualmente art. 176, co. I, del D.L.vo n. 42/2004, ascrittogli
per essersi impossessato di due monete e di un’ansa di bronzo di epoca romana,
classificati quali beni culturali appartenenti allo Stato.
La Corte territoriale ha rigettato i motivi di gravame con i quali l'appellante
aveva contestato l'esistenza dell'elemento psicologico del reato o chiesto, in
subordine, la riduzione della pena inflitta dal giudice di primo grado.
Avverso la sentenza ha proposto ricorso il difensore dell'imputato, che la
denuncia per violazione di legge e vizi della motivazione.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con un unico motivo di impugnazione il ricorrente denuncia la violazione ed
errata applicazione della norma incriminatrice, nonché la mancanza o manifesta
illogicità della motivazione dalla sentenza.
Si osserva, in sintesi, che per la configurazione del reato di cui alla
contestazione è necessario accertare che il possessore di uno dei beni tutelati
dalla norma penale sia stato consapevole della natura del medesimo quale oggetto
di interesse storico o artistico; che, nel caso in esame, ai fini
dell'accertamento della natura delle cose rinvenute presso l’imputato, si è
fatto ricorso, nella fase delle indagini preliminari, al giudizio di un esperto,
il quale ha escluso la rilevanza della maggior parte degli oggetti rinvenuti ed
ha attribuito interesse archeologico, non senza qualche dubbio, alle sole monete
di cui alla contestazione.
Si deduce, quindi, che nel caso in esame, considerato che la natura delle
predette monete non si palesava ictu oculi riconoscibile, la
sussistenza dell'elemento psicologico del reato doveva formare oggetto di uno
scrupoloso accertamento, di cui la motivazione della sentenza impugnata non
da affatto conto. Nel prosieguo del motivo di gravame
si censurano, poi, sul piano della congruenza logica, gli argomenti addotti nella sentenza impugnata sostegno del convincimento espresso dai giudici di
merito circa la consapevolezza da parte dell’imputato del valore archeologico
delle cose da lui possedute.
Il ricorso, che è al limite dell'ammissibilità, risolvendosi prevalentemente
nella censura della valutazione delle risultanze probatorie da parte dei giudici
di merito, non è fondato.
Preliminarmente il Collegio osserva che non si ravvisano ragioni per
discostarsi, dopo la riforma di cui al D.L.vo 22.1.2004 n. 42 (Codice dei beni
culturali o del paesaggio) dall'indirizzo interpretativo, ribadito da questa
Suprema Corte con varie pronunce nella vigenza dell'abrogato D.L.vo n. 490/99,
secondo il quale, “Ai fini della configurabilità del reato di cui all’art. 125
del D.Lgs. 29 ottobre 1999 n. 490, impossessamento illecito di beni culturali
appartenenti allo Stato, non è necessario che i beni siano qualificati come tali
da un formale provvedimento della pubblica amministrazione, essendo sufficiente
la desumibilità della sua natura culturale dalle stesse caratteristiche
dell'oggetto, non essendo richiesto un particolare pregio per i beni culturali
di cui all’art 1 comma primo, del citato decreto n. 490.” (sez. III, 200347922, Petroni, RV 226870; sez. III 200145814, Cricelli, RV 220742; 200142291,
Licciardello, RV 220626)
L’art. 91, Co. 1, del Codice dei beni culturali e del paesaggio attualmente
vigente, infatti, attribuisce alla proprietà dello Stato tutti i beni immobili e
mobili, oggetto di ritrovamento, da "chiunque ed in qualunque modo"
che presentano interesse artistico, storico, archeologico o
etnoantropologico, analogamente a quanto previsto dall'art 88
del D.L.vo n. 490/99, senza che sia necessario un formale provvedimento
che riconosca il loro interesse culturale, emesso dall’autorità
amministrativa ai sensi dell’art. 13 del citato D.L.vo n.
42/2004.
Detto provvedimento è invece, necessario solo per i beni di cui all’art.
10, co. 3, del D.L.vo n. 42/2004 e, cioè, per quei beni che risultino
appartenere a privati in base ad in titolo che ne legittimi disponibilità.
In tutti gli altri casi, perciò, i beni di cui all’art. 10,
co. 1, del D.L.vo n. 42/2004 appartengono allo Stato sulla base
del mero accertamento del loro interesse culturale.
Per integrare la fattispecie criminosa di cui all’art. 176, co. l, del
D.L.vo n. 42/2004, che si pone in evidente continuità normativa con il
reato già previsto dall’art. 125 del D.L..vo n, 490/99, di cui alla
contestazione, pertanto, non occorre alcun provvedimento formale,
che dichiari l’interesse artistico, storico, archeologico e
etnoantropoIogico delle cose di cui il privato sia stato trovato in
possesso, allorché quest’ultimo non dimostri di esserne legittimo
proprietario, sicché si possa affermare, anche sulla base di
adeguati elementi indiziari, che gli stessi sano stati oggetto di
ritrovamento ed essendo, peraltro, sufficiente l'accertamento dei requisiti
culturali del bene, secondo le indicazioni contenute nel citato articolo 10.
Non appare, perciò, condivisibile il diverso orientamento interpretativo
espresso da questa Corte in altra pronuncia (sez. III 200428929,
Mugnaini, RV 229491), peraltro riferentesi a misura
cautelare, salvo che le affermazioni contenute nella citata sentenza non
debbano interpretassi con esclusivo riferimento ai beni che
rientrano con certezza nella categoria di quelli di cui all’art. 10 co. 3, del D.L.vo n. 42/2004.
Passando all’esame dei vizi di motivazione denunciati dal ricorrente,
si deve rilevare che la sentenza impugnata la valorizzato, al fine di
affermare la consapevolezza da parte dell'imputato dell’interesse
archeologico delle monete di cui al capo di imputazione, le
contraddizioni riscontrate tra le successive versioni riferite dallo
stesso circa le modalità attraverso le quali ne era venuto in possesso
(prima avrebbe affermato di averle acquistate presso un mercatino unitamente
agli altri oggetti, che si è accertato essere privi di interesse
storico, e successivamente di averle ricevute dal
nonno).
I giudici di merito hanno altresì valorizzato, ai fini
dell’accertamento dell’elemento psicologico del reato, il possesso da parte
deIl’imputato di un metaldetector abitualmente utilizzato da chi
effettua scavi archeologici; possesso che non può essere contestato per
la prima volta in sede di legittimità, così come dedotto in ricorso.
Si palesa inoltre inconferente quale argomento addotto a sostegno
delle difficoltà di classificazione delle predette monete di epoca
romana, il fatto che nel corso delle indagini preliminari sia stato chiesto
il giudizio di un esperto, in quanto la consulenza tecnica costituisce,
in ogni caso, nelle indagini relative a reati che abbiano ad oggetto beni
di interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico uno strumento
indispensabile per l’accertamento della configurabilità del fatto.
Non sussiste,
pertanto, la denunciata contraddittorietà o carenza della motivazione dalla
sentenza in punto di accertamento della consapevolezza da parte dell’imputato del
valore archeologico dello monete di epoca romana di cui alla contestazione.
Il ricorso, pertanto, deve essere rigettato
Ai sensi dell’art. 616 c.p.p. al rigetto dell’impugnazione segue a carico del
ricorrente l’onere delle spese processuali.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali.
Così deciso in Roma nella pubblica udienza del 24.10.2006
L' estensore
Il presidente
Alfredo Maria Lombardi
Enrico Papa
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