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registrata - Tribunale di Patti - n. 197 del 19/07/2006
INQUINAMENTO IDRICO - ACQUE - Fanghi provenienti da perforazione - Natura di
reflui industriali - Scarico in difetto di autorizzazione - Reato di cui
all'art. 59 D.Lgs. n. 152/1999 ora art. 137, D.Lgs. n. 152/2006 -
Configurabilità - Fattispecie: lavori di trivellazione del suolo e costruzione
di un pozzo artesiano. I reflui di attività di perforazione (costituiti da
acqua e inerti naturali), costituiscono acque reflue industriali, in quanto non
provenienti dal metabolismo umano e da attività domestiche, per cui il loro
sversamento richiede il preventivo rilascio dell'autorizzazione, in difetto
della quale si configura il reato di cui all'art. 59 del D.Lgs. n. 152 del 1999
(ora sostituito dall'art. 137 del D.Lgs. 3 aprile 2006 n. 152). Fattispecie:
realizzazione di un pozzo artesiano. Presidente: Papa, Estensore: Squassoni,
Imputato: P.M. in proc. Cogito. CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. III, 1
Dicembre 2006 (C.c. 17/10/2006), Sentenza n. 39854
Camera di consiglio del 17.10.2006
SENTENZA N. 00988
REG. GENERALE n. 020032/2006
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
Composta dagli III. mi Signori
1. Dott. PAPA Enrico Presidente
2. Dott. TARDINO Vincenzo Luigi Consigliere
3. Dott. SQUASSONI Claudia Consigliere
4. Dott. GENTILE Mario Consigliere
5. Dott. SARNO Giulio Consigliere
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
PUBBLICO MINISTERO PRESSO TRIB.
LIBERTÀ di BARI;
nei confronti di:
COGITO BRUNO FORTUNATO, N. IL 26/11/1937;
avverso ORDINANZA del 08/06/2006 TRIB. LIBERTÀ di BARI;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. SQUASSONI CLAUDIA;
sentite le conclusioni del P.G. Dr. GERACI Vincenzo annullamento con rinvio.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con ordinanza 8 giugno 2006, il Tribunale di Bari ha accolto la richiesta di
riesame di un sequestro preventivo non ravvisando la configurabilità del reato
contestato dal Pubblico Ministero (D.Lgs. n. 152 del 1999, art. 59).
In fatto, i Giudici hanno rilevato che l'indagato in zona protetta, munito di
autorizzazione per il trivellamento del suolo, effettuava lavori di escavazione
per la ricerca di acque finalizzata alla costruzione di un pozzo artesiano; in
tale contesto, aveva realizzato una condotta che versava sul suolo i fanghi
provenienti dalla perforazione (costituiti da acqua, sostanza schiumosa non
inquinante e facilmente biodegradabile, detriti di terreno e roccia). Lo scarico
era - secondo il Tribunale - consentito a sensi del D.Lgs. n. 152 del 1999, art.
29, comma 1, lett. d in quanto i fanghi erano costituiti da acqua e inerti
naturali e non comportavano danneggiamento delle falde acquifere o instabilità
dei suoli.
Per l'annullamento della ordinanza,
ricorre in Cassazione il Procuratore della Repubblica deducendo violazione di
legge. Sostiene che si deve prescindere dalla applicabilità della previsione di
cui al D.Lgs. n. 152 del 1999, art. 29 e rilevare come lo scarico sia stato
effettuato senza autorizzazione con conseguente configurabilità del reato di cui
all'art. 59, comma 1 del menzionato D.Lgs.; il Ricorrente precisa che le acque
reflue in questione devono qualificarsi industriali.
Le censure non sono meritevoli di accoglimento anche se sono puntuali le
deduzioni relative alla sussumibilità della fattispecie concreta nella
contestata ipotesi di reato.
La previsione del D.Lgs. n. 152 del 1999, art. 29, comma 1, lett. d costituisce
una eccezione al divieto di scarico sul suolo o negli strati superficiali del
sottosuolo. La deroga facoltizza tale tipo di scarico che, tuttavia, non sfugge
alla regola generale dell'art. 45 comma 1 e necessita di preventiva
autorizzazione; la Pubblica amministrazione deve essere posta in grado di
valutare se l'attività comporti conseguenze negative, cioè, danneggiamento delle
falde acquifere o instabilità dei suoli.
La mancanza del provvedimento autorizzatorio integra una violazione
amministrativa, se riferita ad acque reflue domestiche, e configura la
fattispecie di reato prevista dal D.Lgs. n. 152 del 1999, art. 59 se inerente
alle acque reflue industriali; tali sono, secondo la definizione normativamente
data dall'art. 2, sub h D.Lgs. citato, quelle - diverse dalle acque domestiche e
meteoriche di dilavamento - scaricate da edifici od installazioni in cui si
svolgono attività commerciali o produzione di beni (la attuale normativa, di cui
al D.Lgs. n. 152 del 2006, non ha mutato i termini della definizione e la
problematica in esame).
Ora, nel caso concreto, avendo come referente gli accertamenti fattuali dei
Giudici di merito, si deve concludere che i reflui fossero da considerarsi
industriali in quanto non provenienti dal metabolismo umano e da attività
domestiche; di conseguenza, la mancanza di autorizzazione integra la ipotesi di
reato contestata. Tale conclusione non è sufficiente per ritenere la legittimità
della misura cautelare reale essendo necessaria l'individuazione di esigenze di
cautela che giustificano la ablazione dei beni allo avente diritto.
Su questo tema le deduzioni del ricorrente sono generiche e prive della
necessaria concretezza in quanto si limitano ad una parafrasi del testo
normativo senza alcun riferimento alla peculiarità del caso in esame; inoltre,
dal momento che la attività è sospesa (come risulta dal testo del
provvedimento), non si presenta il concreto pericolo che la libera disponibilità
dei beni possa prolungare nel tempo ed incrementare in intensità le conseguenze
del commesso reato.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso del Pubblico Ministero.
Così deciso in Roma, il 17 ottobre 2006.
Depositato in Cancelleria il 1 dicembre 2006
L' estensore
Il presidente
Amedeo Franco
Enrico Papa
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