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CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. III,6 dicembre 2006 (Ud. 26/09/2006), Sentenza n. 40173



Urbanistica e edilizia - Ristrutturazione attuata attraverso demolizione e ricostruzione - Manufatto nuovo e diverso rispetto al precedente in assenza del prescritto titolo abilitante - Demolizione delle opere abusive - Difformità totale e parziale - Art. 10, 1° c. - lett. c), del T.U. n. 380/2001, mod. dal D.Lgs. n. 301/2002. La difformità totale si verifica, allorché si costruisca «aliud pro alio” e ciò è riscontrabile allorché i lavori eseguiti portino alla realizzazione di opere non rientranti tra quelle consentite, che presentino, nel rapporto proporzionale, una difformità quantitativa tale da acquistare una sostanziale autonomia rispetto ad esse. Mentre, la difformità parziale si riferisce, ad ipotesi tra le quali possono farsi rientrare gli aumenti di cubatura o di superficie di scarsa consistenza, nonché le variazioni relative a parti accessorie che non abbiano specifica rilevanza e non siano suscettibili di utilizzazione autonoma. Pres. Lupo - Est. Fiale - Ric. Balletta. CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. III, 6 dicembre 2006 (Ud. 26/09/2006), Sentenza n. 40173

Urbanistica e edilizia - Opere eseguite in totale difformità dal titolo abilitante - Art. 31 del T.U. n. 380/2001 - L. n. 47/1985. A norma dell’art. 31 del T.U. n. 380/2001 (e già dell’art. 7 della legge n. 47/1985), devono ritenersi eseguite in totale difformità dal titolo abilitante quelle opere “che comportano la realizzazione di un organismo edilizio integralmente diverso per caratteristiche tipologiche, planovolumetriche o di utilizzazione da quello oggetto del permesso stesso, ovvero l’esecuzione di volumi edilizi oltre i limiti indicati nel progetto e tali da costituire un organismo edilizio o parte di esso con specifica rilevanza ed autonomamente utilizzabile”. Pres. Lupo - Est. Fiale - Ric. Balletta. CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. III, 6 dicembre 2006 (Ud. 26/09/2006), Sentenza n. 40173

Urbanistica e edilizia - Ristrutturazioni edilizie - Denunzia di inizio attività - Variazione del carico urbanistico - Esclusione - Edificio esistente - Interventi di ristrutturazione edilizia che comportino integrazioni funzionali o strutturali - Modifiche del volume - Permesso di costruire. Le ristrutturazioni edilizie di portata minore, sono sempre realizzabili previa mera denunzia di inizio attività, cioè quelle, che determinano una semplice modifica dell’ordine in cui sono disposte le diverse parti che compongono la costruzione, in modo che, pur risultando complessivamente innovata, questa conserva la sua iniziale consistenza urbanistica (diverse da quelle, descritte dall’art. 10, 1° comma - Iett. c), che comportano invece una variazione del carico urbanistico). Inoltre, sono realizzabili, in seguito a permesso di costruire ovvero (a scelta dell‘interessato) previa mera denunzia di inizio attività interventi di ristrutturazione edilizia che comportino integrazioni funzionali o strutturali dell’edificio esistente, pure con incrementi limitati di superficie e di volume. Pertanto, le «modifiche del volume” previste dall’art.10 possono consistere, in diminuzioni o trasformazioni dei volumi preesistenti ed in incrementi volumetrici modesti (tali da non configurare apprezzabili aumenti di volumetria) poiché, qualora si ammettesse la possibilità di un sostanziale ampliamento dell’edificio, verrebbe meno la linea di distinzione tra “ristrutturazione edilizia» e "nuova Costruzione”. Pres. Lupo - Est. Fiale - Ric. Balletta. CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. III, 6 dicembre 2006 (Ud. 26/09/2006), Sentenza n. 40173

Urbanistica e edilizia - Nozione di "ristrutturazione edilizia" - Fattispecie.
L’art. 3, 1° comma, lett. d), del TU. a 380/2001, come modificato dal D.Lgs. a 301/2002, ha esteso, la nozione di "ristrutturazione edilizia" ricomprendendovi pure gli interventi ricostruttivi “consistenti nella demolizione e ricostruzione con la stessa volumetria e sagoma di quello preesistente fatte salve le sole innovazioni necessarie per l’adeguamento alla normativa antisismica”. Volumetria e sagoma, debbono rimanere identiche nei casi di ristrutturazione attuata attraverso demolizione e ricostruzione mentre non si pongono come limiti per gli interventi di ristrutturazione che non comportino la previa demolizione. Nella specie, il risultato finale dell’attività demolitoria-ricostruttiva non coincideva nella volumetria e nella sagoma con l’edificio precedente. Pres. Lupo - Est. Fiale - Ric. Balletta. CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. III, 6 dicembre 2006 (Ud. 26/09/2006), Sentenza n. 40173

Procedure e varie - Proposizione del ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità - Spese del procedimento - Onere - Art. 616 c.p.p.. Quando non sussistono elementi per ritenere che “la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, alla declaratoria della inammissibilità medesima segue, a norma dell’art. 616 c.p.p., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento di una somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata. Corte Costituzionale 13.6.2000, sentenza n. 186. Pres. Lupo - Est. Fiale - Ric. Balletta. CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. III, 6 dicembre 2006 (Ud. 26/09/2006), Sentenza n. 40173



Pubblica udienza del 26.9.2006
SENTENZA N. 1463
REG. GENERALE n. 18515/06


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE


Composta dagli III. mi Signori
 

1. Dott. Ernesto Lupo                                            Presidente
2. Dott. Vincenzo Tardino                                      Consigliere
3. Dott. Claudia Squassoni                                    Consigliere
4. Dott. Aldo Fiale                                                Consigliere
5. Dott. Amedeo Franco                                        Consigliere
 

ha pronunciato la seguente


SENTENZA

 

sul ricorso proposto da:

BALLETTA Eugenio, nato a S. Maria a Vico (FR) l’1.7.1952


avverso la sentenza 7.2.2006 della Corte di Appello di Napoli

Visti gli atti, la sentenza impugnata ed il ricorso

Udita, in pubblica udienza, la relazione fatta dal Consigliere dr. Aldo Fiale

Udito il Pubblico Ministero, in persona del dr. Angelo Di Popolo, il quale ha concluso chiedendo la declaratoria di inammissibilità del ricorso.


SVOLGIMENTO DEL PROCESSO


La Corte di Appello di Napoli, con sentenza del 7.2.2006, confermava la sentenza 26.1.2005 del Tribunale di S. Maria Capua Vetere - Sezione distaccata di Marcianise, che aveva affermato la responsabilità penale di Balletta Eugenio in ordine al reato di cui:


- all’art. 20, lett. b), legge n. 47/1985 (per avere, previa demolizione di un fabbricato preesistente, realizzato un manufatto nuovo e diverso rispetto al precedente in assenza del prescritto titolo abilitante - acc. in S. Maria a Vivo, il 26.4.2002)


e, riconosciute circostante attenuanti generiche, lo aveva condannato alla pena - condizionalmente sospesa - di mesi due di reato ed euro 4.000,00 di ammenda, con ordine di demolizione delle opere abusive.

Avverso tale sentenza ha proposto ricorso il Balletta, il quale ha eccepito che la nuova opera edilizia, assentita con la procedura di DIA., non sarebbe "integralmente dissimile” da quella preesistente e demolita e che, sul punto, incongruamente la Corte di merito non aveva inteso escutere come teste il tecnico comunale, il quale avrebbe potuto descrivere esattamente il fabbricato esistente". Dovrebbe ritenersi illegittimo, in conseguenza, il disposto ordine di demolizione integrale del manufatto di nuova costruzione.


MOTIVI DELLA DECISIONE


Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, perché manifestamente infondato.

1.I giudici del merito hanno accertato, in punto di fatto, che il Balletta aveva presentato una denuncia di inizio attività esclusivamente per la demolizione di un fabbricato esistente (composto, secondo la prospettazione difensiva, da piano cantinato, piano terra e sottotetto), mentre dopo la demolizione aveva realizzato, in assenza di permesso di costruire, un diverso edificio articolato in piano cantinato, piano terra e primo piano, su una superficie totale di circa mq. 272 ed avente una volumetria di me. 3,162.

Assume il ricorrente che tale ricostruzione della vicenda non corrisponderebbe alla realtà effettiva, in quanto egli, a seguito di presentazione di D.I.A. riferita ai lavori nel loro complesso, avrebbe - previa demolizione del preesistente - edificato un immobile che risulta superiore, rispetto a quello autorizzato, per mq. 130,12 di superficie (oltre quella assentita di 142,72 mq.) e per mc. 1.656,45 di volume (oltre quello assentito di mc. 1505,69).


Una situazione siffatta - quand’anche detta prospettazione difensiva corrispondesse alla realtà fattuale - giustificherebbe comunque la pronunzia di condanna e l’ordine di demolizione integrale dell’edificio, in quanto il manufatto di nuova edificazione, nella sua interezza, risulta totalmente difforme da quello assentito e perciò privo di titolo abilitativo.


Legittimo deve ritenersi, pertanto, il diniego della richiesta integrazione probatoria opposto dalla Corte di merito, in quanto - essendo stato sentito in primo grado il vigile urbano verbalizzante ed essendo stata pure acquisita una relazione tecnica dei geometri del settore urbanistica del Comune — la ulteriore escussione testimoniale non avrebbe avuto alcun influenza sulla affermazione di responsabilità.

2. A norma dell’art. 31 del T.U. n. 380/2001 (e già dell’art. 7 della legge n. 47/1985), devono ritenersi eseguite in totale difformità dal titolo abilitante quelle opere “che comportano la realizzazione di un organismo edilizio integralmente diverso per caratteristiche tipologiche, planovolumetriche o di utilizzazione da quello oggetto del permesso stesso, ovvero l’esecuzione di volumi edilizi oltre i limiti indicati nel progetto e tali da costituire un organismo edilizio o parte di esso con specifica rilevanza ed autonomamente utilizzabile”,


La difformità totale si verifica, dunque, allorché si costruisca «aliud pro alio” e ciò è riscontrabile allorché i lavori eseguiti portino alla realizzazione di opere non rientranti tra quelle consentite, che presentino, nel rapporto proporzionale, una difformità quantitativa tale da acquistare una sostanziale autonomia rispetto ad esse.


Il concetto di difformità parziale si riferisce, invece, ad ipotesi tra le quali possono farsi rientrare gli aumenti di cubatura o di superficie di scarsa consistenza, nonché le variazioni relative a parti accessorie che non abbiano specifica rilevanza e non siano suscettibili di utilizzazione autonoma.


La fattispecie in oggetto è caratterizzata - anche secondo la prospettazione difensiva - dalla realizzazione di un piano abitabile al posto di quello che anteriormente era un sottotetto e dalla edificazione di volumi in eccesso la cui rilevante entità ha portato alla costruzione di una struttura integralmente diversa da quella del fabbricato preesistente e demolito: si profila ad evidenza, pertanto, l’intervenuta esecuzione di opere, non rientranti tra quelle denunciate, incidenti notevolmente sulle strutture essenziali del manufatto sia sul piano costruttivo sia su quello della valutazione economico-sociale.

3. L’art. 10, 1° comma - lett. c), del T.U. n. 380/2001, come modificato dal D.Lgs. n. 301/2002, assoggetta a permesso di costruire quegli interventi di ristrutturazione edilizia “che portino ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente, che comportino aumento di unità immobiliari, modifiche del volume, della sagoma, dei prospetti o delle superfici”, ovvero si connettano a mutamenti di destinazione d’uso, limitatamente, agli immobili compresi nelle zone omogenee A).


L’art. 22, 3° comma - lett. a), dello stesso TU., come modificato dal D.Lgs. n. 301/2002, prevede però, che - a . scelta dell'interessato - tali interventi possono essere realizzati anche in base a semplice denunzia di inizio attività.


Se ne deduce che:


a) sono sempre realizzabili previa mera denunzia di inizio attività le ristrutturazioni edilizie di portata minore: quelle, cioè, che determinano una semplice modifica dell’ordine in cui sono disposte le diverse parti che compongono la costruzione, in modo che, pur risultando complessivamente innovata, questa conserva la sua iniziale consistenza urbanistica (diverse da quelle, descritte dall’art. 10, 1° comma - Iett. c), che comportano invece una variazione del carico urbanistico).


b) sono realizzabili, in seguito a permesso di costruire ovvero (a scelta dell‘interessato) previa mera denunzia di inizio attività interventi di ristrutturazione edilizia che comportino integrazioni funzionali o strutturali dell’edificio esistente, pure con incrementi limitati di superficie e di volume.

Le «modifiche del volume” previste dall’art.10 possono consistere, però, in diminuzioni o trasformazioni dei volumi preesistenti ed in incrementi volumetrici modesti (tali da non configurare apprezzabili aumenti di volumetria) poiché, qualora si ammettesse la possibilità di un sostanziale ampliamento dell’edificio, verrebbe meno la linea di distinzione tra “ristrutturazione edilizia» e "nuova Costruzione”.

L’art. 3, 1° comma, lett. d), del TU. a 380/2001, come modificato dal D.Lgs. a 301/2002, ha esteso, inoltre, la nozione di "ristrutturazione edilizia" ricomprendendovi pure gli interventi ricostruttivi “consistenti nella demolizione e ricostruzione con la stessa volumetria e sagoma di quello preesistente fatte salve le sole innovazioni necessarie per l’adeguamento alla normativa antisismica”.


Volumetria e sagoma, dunque, debbono rimanere identiche nei casi di ristrutturazione attuata attraverso demolizione e ricostruzione mentre non si pongono come limiti per gli interventi di ristrutturazione che non comportino la previa demolizione.


Nella vicenda in esame, al contrario, il risultato finale dell’attività demolitoria-ricostruttiva non coincide nella volumetria e nella sagoma con l’edificio precedente.

4. Tenuto conto della sentenza 13.6.2000, n. 186 della Corte Costituzionale e rilevato che, nella specie, non sussistono elementi per ritenere che “la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, alla declaratoria della inammissibilità medesima segue, a norma dell’art. 616 c.p.p., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento di una somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di euro 1.000,00.


P.Q.M.


la Corte Suprema di Cassazione, visti gli art. 607,615 e 616 c.p.p.,

 

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché al versamento della somma di mille/00 euro in favore della Cassa delle ammende.
 

ROMA 26-9-2006

 


L' estensore              Il presidente
 Aldo Fiale                    Ernesto Lupo


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