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Rifiuti - Smaltimento dei rifiuti - Deposito temporaneo di rifiuti - Materie
prime secondarie - Esclusione - Deposito incontrollato - Art. 181, commi 6 e 13
D.lgs. n. 152/2006. In materia di rifiuti, deve escludersi che un materiale
possa qualificarsi "materia prima secondaria", ai sensi dell'art. 181, commi 6 e
13 del D.lgs. n. 152/2006 ed anche che possa essere in atto una legittima
operazione preliminare d'attività di gestione, preparatoria al recupero non
ricorrendo un deposito temporaneo di rifiuti nel rispetto di precise condizioni
temporanee, quantitative e qualitative nel caso in cui si proceda all’ammasso di
eterogenei materiali provenienti da demolizione e da costruzioni edili
accumulati alla rinfusa senza una preliminare attività di separazione e di
cernita in vista del loro "recupero". Pres. De Maio - Est. Teresi - Ric.
Bisogno. CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. III, 12 dicembre 2006 (Ud.
28/11/2006), Sentenza n. 40445
Rifiuti - Gestione dei rifiuti non autorizzata - Concetto normativo di
deposito temporaneo di rifiuti - Condizioni - D.lgs. n. 152/2006 - Art. 51 del
D.Lgs. 22/1997. In assenza delle condizioni previste nel D. Lgs. n.
152/2006, “il deposito dei rifiuti nel luogo diverso da quello in cui sono stati
prodotti è equiparabile giuridicamente alla attività di gestione dei rifiuti non
autorizzata prevista come reato dell'art. 51 del d.lgs. 22/1997" (Cass. Sez. III
n. 7140, 21.03.2000, Eterno, RV 216977). Nella specie, è stata esclusa la
ricorrenza delle condizioni che integrano il concetto normativo di deposito
temporaneo di rifiuti poiché risulta che non sono state rispettate le condizioni
relative alle cadenze temporali di raccolta e d'avviamento alle operazioni di
recupero o di smaltimento, ai termini massimi di durata e alle modalità del
deposito stesso. Pres. De Maio - Est. Teresi - Ric. Bisogno. CORTE DI
CASSAZIONE PENALE Sez. III, 12 dicembre 2006 (Ud. 28/11/2006), Sentenza n. 40445
Rifiuti - Attività di smaltimento mediante deposito incontrollato -
Qualificazione di rifiuto - D.lgs. n. 152/2006 - Art. 6 lett. m D. L.vo n.
22/1997 e s.m.. Ai sensi del decreto legislativo n. 152/2006, configura la
fattispecie di reato del deposito incontrollato il materiale depositato in modo
incontrollato e qualificabile come rifiuto in quanto non riutilizzabile
nell'attività senza alcuna trasformazione, cadenze temporali di raccolta e senza
pregiudizio per l'ambiente. Nella specie, il titolare di una ditta [impresa
esecutrice dei lavori edili che aveva prodotto i rifiuti], aveva depositato in
modo incontrollato [art. 6 lett. m decreto n. 22/1997 e s.m.], su un area
condotta in locazione, rifiuti di varia natura, tra cui calcinacci, cemento,
frammenti di mattoni, piastrelle, imballaggi, tavoli e sedie. Pres. De Maio -
Est. Teresi - Ric. Bisogno. CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. III, 12 dicembre
2006 (Ud. 28/11/2006), Sentenza n. 40445
Pubblica Udienza 28.11.2006
SENTENZA N. 1902
REG. GENERALE n. 07639/2005
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
Composta dagli III. mi Signori
Dott. Guido De
Maio Presidente
1. Dott. Alfredo Teresi Consigliere
rel.
2. Dott. Aldo Fiale Consigliere
3. Dott. Margherita Marmo Consigliere
4. Dott. Maria Silvia Sensini Consigliere
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da Bisogno
Mario, nato a Paciano il 20.06.1943, avverso la sentenza pronunciata dal
Tribunale di Montepulciano in data 9.07.2004 con cui è stato condannato alla
pena dell'ammenda per il reato di cui all'art. 51, commi 1 e 2, d.lgs. n.
22/1997;
Visti gli atti, la sentenza
denunciata e il ricorso;
Sentita in pubblica udienza la
relazione del Consigliere dott. Alfredo Teresi;
Sentito il P.M. nella persona del PG
dott. Giovani D'Angelo, il quale ha chiesto che il ricorso sia dichiarato
inammissibile;
Sentito il difensore del ricorrente,
avv. Carlo Stolzi, il quale ha chiesto l'accoglimento del ricorso;
osserva
Con sentenza in data 9.07.2004 il
Tribunale di Montepulciano condannava Bisogno Mario alla pena di €. 3.000
d'ammenda per avere, quale titolare dell'omonima ditta [impresa esecutrice dei
lavori edili che aveva prodotto i rifiuti], depositato in modo incontrollato,
su un area condotta in locazione, rifiuti di varia natura, tra cui calcinacci,
cemento, frammenti di mattoni, piastrelle, imballaggi, tavoli e sedie.
Rilevava il Tribunale che il
deposito era stato formato con materiale accumulato alla rinfusa costituito da "risulta
di vario genere" che non era suscettibile d'alcuna riutilizzazione e che
nella specie, non era ravvisabile un'ipotesi di deposito temporaneo di rifiuti.
Proponeva ricorso per cassazione
l'imputato denunciando la non configurabilità del reato perché il
materiale depositato non poteva qualificarsi rifiuto ai sensi dell'art. 14 del
d. l. n. 138/2002 perché riutilizzabile nell'attività edilizia senza alcuna
trasformazione e senza pregiudizio per l'ambiente e perché il deposito non era
incontrollato.
Chiedeva l'annullamento della
sentenza :
Il ricorso non è puntuale perchè
censura in punto di fatto la decisione fondata su congrue argomentazioni esenti
da vizi logico-giuridici perchè specifica gli elementi probatori emersi a carico
degli imputati e confuta le obiezioni difensive.
La sentenza, infatti, ha
correttamente ritenuto ricorrenti le condizioni che integrano il concetto
normativo di smaltimento di rifiuti [ art .6, comma 1, lettera g
del decreto n. 22/97 ] non pericolosi, nella specie costituiti da eterogenei
materiali da demolizione di costruzioni, accumulati alla rinfusa.
In tema di rifiuti, la nuova
definizione di rifiuto contenuta nell'art. 14 del decreto legge 8 luglio 2002 n.
138, convertito con legge 8 agosto 2002 n. 178, quale interpretazione autentica
della nozione dettata dell'art. 6 lett. a) del decreto legislativo 5 febbraio
1997 n. 22, definiva rifiuto ogni sostanza inclusa nelle categorie riportate
nell'allegato A del decreto citato di cui il detentore "si disfi",
che cioè il detentore sottoponga ad una delle attività di smaltimento o di
recupero che sono precisate negli allegati B e C del decreto o di cui il
detentore abbia "deciso di disfarsi", che cioè il detentore voglia
destinare ad una delle operazioni di smaltimento o di recupero, come sopra
individuate o di cui il detentore abbia "l'obbligo di disfarsi" in base
ad una disposizione di legge, ad un provvedimento della pubblica autorità o alla
natura stessa del materiale e, in particolare, in base alla natura di sostanze
pericolose come individuate nel allegato D del decreto.
Le ipotesi in cui il detentore
"abbia deciso" ovvero "abbia l'obbligo di disfarsi" non ricorrevano - per beni o
sostanze e materiali residuali di produzione o di consumo - effettivamente ed
oggettivamente riutilizzati nel medesimo o in analogo o diverso ciclo produttivo
o di consumo senza subire alcun intervento di trattamento preventivo, ma senza
che fosse necessaria alcuna operazione di recupero tra quelle individuate
nell'allegato C del decreto n. 22/97.
A seguito della procedura
d'infrazione aperta dalla Commissione europea nei confronti del Governo
italiano, la Corte di Giustizia, con sentenza 11.11.2004, Niselli, ha affermato
l'illegittimità comunitaria dell'art. 14 della legge n. 178/2002 e tale
decisione ha costituito il presupposto di una questione di legittimità
costituzionale del suddetto art. 14 che questa Corte ha sollevato con ordinanza
n. 1414 del 16.10.2006. Rubino.
Quindi allo stato, la questione va
riesaminata alla stregua delle disposizioni del decreto legislativo n. 152/2006,
attuativo della delega di cui alla legge n. 308/2004, che ha abrogato l'art. 14
della legge n. 178/2002 [art. 264, comma 1 lett. l)] secondo cui, ex art.
183, comma 1 lettera a), è rifiuto "qualsiasi sostanza od oggetto che
rientra nelle categorie riportate nell'allegato A della parte quarta del
presente decreto e di cui il detentore si disfi o abbia deciso di disfarsi o
abbia l'obbligo di disfarsi" e
rifiuti speciali sono "i rifiuti derivante dalle attività di demolizione,
costruzione..." [art. 184, comma 3 lett. b)]
Nel caso in esame è stato
correttamente ritenuto che il detentore si sia effettivamente disfatto dei
rifiuti effettuando un'attività di smaltimento mediante deposito incontrollato
al suolo per un prolungato periodo.
E' stato accertato, in fatto, che in
un'area di cui l'imputato aveva la disponibilità sono stati ammassati eterogenei
materiali provenienti da demolizione e da costruzioni edili accumulati alla
rinfusa senza una preliminare attività di separazione e di cernita in vista del
loro "recupero".
Le modifica di conservazione
denotano, infatti, che l'area dell'accumulo è stata trasformata di fatto in
deposito degli stessi, mediante una condotta consistente nell'abbandono - per un
tempo apprezzabile anche se non determinato - di una notevole quantità, che
occupava uno spazio cospicuo.
Deve, quindi escludersi che il
materiale potesse qualificarsi " materia prima secondaria ", ai sensi
dell'art. 181, commi 6 e 13 del d.lgs. n. 152/2006 ed anche che fosse in atto
una legittima operazione preliminare all'attività di gestione, preparatoria al
recupero non ricorrendo un deposito temporaneo di rifiuti [art. 6 lett. m
decreto n. 22/1997] "quale raggruppamento dei rifiuti effettuato, prima della
raccolta, nel luogo in cui gli stessi sono prodotti" nel rispetto di precise
condizioni temporanee, quantitative e qualitative.
Pertanto, puntualizzando che in
assenza di tali condizioni, il deposito dei rifiuti nel luogo diverso da quello
in cui sono stati prodotti è equiparabile giuridicamente alla attività di
gestione dei rifiuti non autorizzata prevista come reato dell'art. 51 del d.lgs.
22/1997" (Cass. Sez. III n. 7140, 21.03.2000, Eterno, RV 216977), va rilevato
che correttamente è stata esclusa la ricorrenza delle condizioni che integrano
il concetto normativo di deposito temporaneo di rifiuti poiché risulta che non
sono state rispettate le condizioni relative alle cadenze temporali di raccolta
e d'avviamento alle operazioni di recupero o di smaltimento; ai termini massimi
di durata e alle modalità del deposito stesso.
L'inammissibilità del ricorso
comporta condanna al pagamento delle spese del procedimento e della somma di
1.000.00 euro in favore della cassa della ammende.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il
ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e
della somma di € 1.000 in favore della casa delle ammende.
Così deciso a Roma nella pubblica
udienza del 28.11.2006
L' estensore
Il presidente
Alfredo Teresi
Guido De Maio
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