Per altre sentenze vedi: Sentenze per esteso
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REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
N.330/2006
Reg.Dec.
N. 2360 Reg.Ric.
ANNO 2005I
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) ha pronunciato la seguente
DECISIONE
sul ricorso in appello proposto da Comune di Sant’Anastasia in persona
del Sindaco p.t. rappresentato e difeso dall'avv. Corrado Diaco e con questi
elettivamente domiciliato presso l’avv. Alberto D’Auria in Roma via Calcutta n.
45;
contro
H3G SPA in persona del legale rappresentante p.t. rappresentato e difeso
dall’avv. Prof. Marcello Clarich presso cui è elettivamente domiciliato in Roma,
piazza di Monte Citorio n. 115;
per l'annullamento
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale della Campania - Sezione
Prima - n.16284 del 3 novembre 2004.
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di H3G SpA;
Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
Visti gli atti tutti della causa;
Alla pubblica udienza del 25 ottobre 2005 relatore il Consigliere Luciano Barra
Caracciolo.
Uditi l’avv. Fantini per delega dell’avv. Diaco e l’avv. Clarich;
Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:
F A T T O
Con la sentenza in epigrafe, resa ai sensi dell’art. 26, comma 4, l. n.1034 del
1971, è stato accolto il ricorso proposto dalla H3G SPA avverso la nota del
Sindaco del Comune di Sant’Anastasia con cui veniva negato il nulla osta
paesistico per la realizzazione di un impianto di telefonia UMTS, sul lastrico
solare di un edificio sito in via Mosè Coppola n.22 “…in quanto non rientra tra
gli interventi ammissibili dal vigente P.T.P. e perché costituisce impatto
ambientale, in conformità del parere espresso dalla Commissione edilizia
integrata nella seduta del 26 aprile 2004”. Riteneva il Tar che fosse fondato il
primo motivo di ricorso, atteso che gli impianti di telefonia mobile vanno
ricompresi tra gli impianti tecnologici ed infrastrutturali la cui realizzazione
era consentita dall’art.21 del P.T.P., anche in deroga alle norme e prescrizioni
delle singole zone; accoglieva altresì il secondo motivo di ricorso, perché
l’Amministrazione avrebbe dovuto motivare in modo più specifico
l’incompatibilità dell’impianto con il paesaggio circostante, affermandosi solo
un generico impatto ambientale, mentre si trattava di “un modestissimo manufatto
tale da sfuggire a un osservatore di media attenzione anche per la presenza
circostante di fabbricati più elevati e per nulla dotati di omogeneità
stilistico formale preclusiva dell’inserimento di un piccolo corpo estraneo”.
Appella il Comune deducendo i seguenti motivi:
1. La zona interessata dall’installazione rientra in pieno centro storico
cittadino, in zona classificata di Recupero urbanistico edilizio e di Restauro
paesistico ambientale- RUA- dall’art.13 del PTP dei Comuni vesuviani, che
prevede l’assoluto divieto di interventi che comportino l’incremento dei volumi
esistenti. L’opera in questione non è irrilevante da un punto di vista
urbanistico, non essendo né precaria né priva di impatto estetico ambientale (si
tratterebbe di un finto camino in vetroresina dell’altezza di circa 6 mt, con
una sezione di 1mq., da apporre sul terrazzo di un immobile sito in zona
densamente abitata). Dunque, l’atto impugnato è congruamente motivato dal
contrasto con i valori ambientai e paesaggistici concretamente tutelati con la
normativa del PTP per la zone RUA, che vieta l’edificazione privata. Inoltre,
l’istanza presentata da H3G non è conforme a quanto previsto dall’art.87 D.lgs.259\2003,
non essendo corredata da tutta la documentazione richiesta dalla previsione
normativa, onde consentire una corretta valutazione dell’impatto ambientale.
Questo va valutato non solo sotto il profilo urbanistico-edilizio, ma anche
sotto quello sanitario e di tutela della salute, di inderogabile competenza
dell’ente locale.
2. Una volta valutata la incompatibilità dell’intervento con le specifiche
esigenze di salvaguardia ambientale della zona, non può esigersi dall’autorità
emanante un’ulteriore comparazione con interessi di diversa natura, poiché la
tutela del paesaggio costituisce valore costituzionalmente primario e
prevalente. E in tal senso va letto l’art.21 PTP, che non attribuisce ai
soggetti privati gestori di telefonia mobile il potere o la pretesa di poter
individuare a loro piacimento i siti dove posizionare gli impianti
radioelettrici. L’art.21 si limita solo a riconoscere al Comune la possibilità
di autorizzare la realizzazione dell’impianto anche in deroga alla disciplina
urbanistica di zona, previa valutazione dell’impatto ambientale, che nel caso è
stata operata nel senso della ritenuta prevalenza della tutela dell’area sita in
pieno centro storico e classificata RUA, con divieto di interventi che
comportino incremento dei volumi esistenti.
3. La legge 36\2002 attribuisce ai Comuni un generale potere di regolamentazione
e individuazione delle zone ove ubicare impianti generatori di campi
elettromagnetici, tra cui rientrano i ripetitori di telefonia mobile. La
valutazione nel caso è stata effettuata in considerazione della densità di
abitanti dell’area interessata dalla struttura, posta su un edificio che è
circondato da molte altre costruzioni più elevate, esponendo centinaia di
persone a rischi alla salute. H3G poteva invece ricorrere alla coubicazione e
condivisione della infrastruttura con altro operatore ai sensi dell’art.89, co.2,
del D.lgs. 259\2003.
4. La sentenza impugnata è ingiusta e illegittima in quanto non si limita a
valutare la legittimità del provvedimento impugnato, ma opera una valutazione
delle scelte urbanistiche, non consentita al giudice amministrativo che non può
sostituire la propria valutazione tecnica a quella dell’Amministrazione. L’ente
nella specie ha solo valutato l’impatto ambientale della costruzione con un
apprezzamento non microscopicamente illegittimo né affetto da incongruenze
manifeste. La sentenza ha oltretutto riportato un passaggio relativo alla
descrizione del tessuto urbanistico circostante il manufatto da realizzare,
ripreso da altra sentenza, citata a pag. 11 del ricorso introduttivo.
Si è costituita la società appellata deducendo l’integrale infondatezza del
gravame.
D I R I T T O
1. Le disposizioni dell’art.13 del P.T.P. dei comuni vesuviani, che includono
l’edificio sopra il quale è da effettuarsi l’installazione dell’impianto in
contestazione nella zona di Recupero urbanistico edilizio e di Restauro
paesistico ambientale- RUA- sono compatibili con le previsioni dell’art.21 dello
stesso P.T.P., che consentono “in tutte le zone del presente piano, anche in
deroga alle norme e prescrizioni delle singole zone di cui alla presente
normativa”, tra l’altro, la realizzazione di “impianti telefonici” (comma 1),
ammettendo le “volumetrie strettamente indispensabili alla realizzazione e
funzionalità dei predetti impianti” (comma 2).
E’ pertanto da respingere il primo motivo di appello che fa leva invece sulla
impossibilità “tout court” in base all’art.13 P.T.P. di interventi che
comportino incrementi volumetrici nella zona RUA, motivazione che, oltre a
essere errata in punto di diritto, non è neppure esplicitata nel provvedimento
impugnato.
Va sottolineato infatti come il provvedimento stesso neppure menzioni il
predetto art.13, e in alcun modo contenga uno svolgimento fattuale e giuridico
che sia identificabile come una motivazione su un concreto contrasto con valori
paesistici e ambientali.
2. Sussiste pienamente perciò il difetto di motivazione rilevato dal Tar,
oltrechè la violazione di legge per avere, il provvedimento impugnato, sostenuto
che l’intervento “de quo”: a) “non rientra fra gli interventi ammissibili dal
vigente PTP” ( il che, appunto, nasce dall’evidenziata erronea lettura dell’art.21
in combinazione con l’art.13 da parte del Comune); b)”costituisce impatto
ambientale”, asserzione sintetica non sostenuta da alcun processo valutativo
opportunamente esternato.
3. Costituisce poi un’inammissibile integrazione postuma dell’atto impugnato,
operata in sede processuale sub specie di atto di parte, l’affermazione che la
documentazione a corredo della domanda di H3G sia incompleta, affermazione
oltretutto indimostrata, attesa anche al sua genericità.
4. Infondate sono poi le ulteriori censure d’appello, posto che la soccombenza
del Comune attiene da una lato all’ammissibilità dell’intervento alla luce del
vigente P:T.P., dall’altro all’assoluta genericità della motivazione, da cui
discende che, contrariamente a quanto sostiene l’appellante, ciò che risulta
mancante è proprio una seria valutazione di incompatibilità ambientale che,
comunque, non può giungere a negare la previsione dell’art.21 P.T.P., nei
termini dianzi precisati, né a contraddire ciò che è scontato in tale
previsione, e cioè che gli impianti di telefonia possono naturalmente essere
ubicati anche in zone ad alta densità abitativa, purché siano rispettate le
prescrizioni tecniche dettate dalla normativa di settore (la cui mancata
osservanza non è però in discussione nel provvedimento impugnato).
5. Da ultimo va chiarito che la sentenza appellata, nell’affermare “ad
abundantiam” che si tratta di “un modestissimo manufatto tale da sfuggire a un
osservatore di media attenzione, anche per la presenza circostante di fabbricati
più elevati e per nulla dotati di omogeneità stilistico formale, preclusiva
dell’inserimento di un piccolo corpo estraneo”, non travalica nel merito
tecnico. Piuttosto compie una notazione didascalica, tesa cioè a chiarire i
termini della questione per le parti in controversia e meglio indirizzare il
successivo esercizio della potestà amministrativa, e ciò in base ad una mera
enunciazione descrittiva, la cui valenza sul piano estetico è esprimibile
secondo ragionevolezza, tenuto conto di dati sensibili e della comune
esperienza.
Va al riguardo notato che la descrizione dell’esistenza di circostanti
fabbricati più elevati risulta ammessa dallo stesso appellante (cfr; pag.5, sub
3, dell’appello) e se richiama in termini un precedente giurisprudenziale, ciò
risulta obiettivamente compiuto nell’ottica rafforzativa del “dictum” decisorio,
senza che risulti inficiato nella sua verità storica.
Da quanto precede deriva l’integrale reiezione dell’appello. Le spese seguono la
soccombenza e sono liquidate in dispositivo.
P. Q. M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Sesta, respinge il
ricorso in appello indicato in epigrafe, confermando per l’effetto la sentenza
impugnata.
Condanna l’appellante alla rifusione delle spese di giudizio, liquidate, in
complessivi euro 4000, di cui 3500 per diritti ed onorari, oltre a IVA e oneri
di legge.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, il 25 ottobre 2005 dal Consiglio di Stato in sede
giurisdizionale - Sez.VI -, riunito in Camera di Consiglio, con l'intervento dei
Signori:
Giorgio GIOVANNINI Presidente
Carmine VOLPE Consigliere
Luciano BARRA CARACCIOLO Consigliere Est.
Lanfranco BALUCANI Consigliere
Rosanna DE NICTOLIS Consigliere
Presidente
Consigliere
Segretario
GIORGIO GIOVANNINI
LUCIANO BARRA CARACCIOLO
GLAUCO SIMONINI
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
il 31/01/2006
(Art. 55, L.27/4/1982, n.186)
Il Direttore della Sezione
MARIA RITA OLIVA
1) Inquinamento elettromagnetico - Diniego del nulla osta paesistico per la realizzazione di un impianto di telefonia UMTS, sul lastrico solare di un edificio – Illegittimità - Profilo urbanistico-edilizio – Motivazione – Obbligo – Sussiste. Sotto il profilo urbanistico-edilizio, deve essere motivata tecnicamente la non precarietà delle opere finalizzate ad “impianti telefonici” e il conseguente impatto estetico ambientale. Inoltre, deve essere puntualmente dimostrata e non generica, l’affermazione che la documentazione a corredo della domanda sia incompleta. In specie, risulta mancante, anche, una seria valutazione di incompatibilità storico-ambientale collegata ad uno svolgimento fattuale e giuridico che sia identificabile come una motivazione su un concreto contrasto con valori paesistici e ambientali. Pres. GIOVANNINI - Est. BARRA CARACCIOLO - Comune di Sant’Anastasia (avv. Diaco) c. H3G SPA (avv. Clarich) (conferma T.A.R. Campania - Sezione Prima - n.16284 del 3 novembre 2004). CONSIGLIO DI STATO Sez. VI, 31/01/2006 (CC 25/10/2005), Sentenza n. 330
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