Per altre sentenze vedi: Sentenze per esteso
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REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
N.3452/06
Reg. Dec.
N. 6029-8406 Reg. Ric.
ANNO 2005
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) ha pronunciato la
seguente
DECISIONE
sui ricorsi riuniti in appello nn. 6029/2005 e 8406/2005 proposti
rispettivamente:
a) per quanto riguarda il ric. n. 6029/2005 dalla Telecom Italia Mobile (T.I.M.)
s.p.a, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa, dagli
avvocati Giovanni Zucchi e Mario Sanino ed elettivamente domiciliata in Roma,
viale Parioli 180, presso il secondo;
contro
il Comune di Napoli, in persona del Sindaco p.t., rappresentato e difeso
dagli avv.ti Edoardo Barone e Giuseppe Tarallo ed elettivamente domiciliato in
Roma, Lungotevere Flaminio 46, presso il dott. Gian Marco Grez;
e nei confronti
della Provincia di Napoli, in persona del presidente p.t., non costituita;
il Ministero dell’Interno, in persona del ministro p.t., rappresentato e difeso
dall’Avvocatura Generale dello Stato ed elettivamente domiciliata in Roma, via
dei Portoghesi n. 12;
per l’annullamento
della sentenza resa dal Tribunale Amministrativo Regionale della Campania, sez.
I, n. 3587 dell’8 aprile 2005.
b) per quanto riguarda il ricorso n. 8406/2005 dal Comune di Napoli, come sopra
rappresentato difeso,
contro
Telecom Italia Mobile (T.I.M.) s.p.a, come sopra rappresentata e difesa;
per l’annullamento
della sentenza resa dal Tribunale Amministrativo Regionale della Campania, sez.
I, n. 3587 dell’8 aprile 2005;
Visti i ricorsi ed i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio delle parti in epigrafe specificate;
Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
Visti gli atti tutti di causa;
Uditi alla pubblica udienza del 24 gennaio 2006 - relatore il Consigliere
Francesco Caringella - gli avv.ti riportati a verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:
FATTO E DIRITTO
1. Con la sentenza appellata il Tribunale ha accolto in parte il ricorso
proposto da TIM s.p.a. avverso: a) il regolamento del comune di Napoli per la
disciplina delle procedure per le installazioni e la modifica degli impianti
radioelettrici operanti tra le frequenze di 100 kHz e 300 GHz, approvato dal
consiglio comunale con delibera n. 104 del 18 giugno 2003 in accoglimento, con 5
emendamenti, della proposta della giunta comunale di cui alla delibera n. 4937
del 30 dicembre 2002; b)gli atti applicativi adottati nei confronti della
società in parola.
La società ricorrente in prime cure ed il Comune di Napoli appellano per quanto
di ragione la sentenza.
Le parti hanno altresì affidato al deposito di memorie l’ulteriore illustrazione
delle rispettive tesi difensive.
All’udienza del 24 gennaio 2006 la causa è stata trattenuta per la decisione.
2. L’identità della sentenza appellata impone la riunione degli epigrafati
appelli.
3. In via preliminare deve essere disattesa l’eccezione spiegata dalla TIM
s.p.a. intesa a revocare in dubbio l’ammissibilità del ricorso proposto dal
Comune di Napoli in ragione dell’assenza della delibera dirigenziale
autorizzativa della promozione della lite da parte del Sindaco.
In base ad un autorevole orientamento della Cassazione al quale questo Collegio
ritiene di aderire, nel nuovo ordinamento delle autonomie locali (vedi artt. 36
e 35 comma 2 Legge 142/90 poi trasfusi negli artt. 48 comma 2 e 50 commi 2 e 3
del D. Lgs. 267/90) compete al Sindaco conferire la procura alle liti al
difensore del Comune senza che sia necessaria alcuna preventiva autorizzazione
della Giunta municipale (ovvero di altro organo), dato che al Sindaco è
attribuita la rappresentanza dell'ente ed alla Giunta spetta una competenza
residuale nei limiti in cui le norme legislative e statutarie non la riservino
al Sindaco (Sez. Un. 186/01; Sez. Un. 17750/02).
Si deve per completezza soggiungere che, secondo la condivisibile ricostruzione
offerta dalla Suprema Corte con la sentenza 10 gennaio 2004, n. 16362 della I
sezione, l’autorizzazione a stare in giudizio, ove ritenuta necessaria,
spetterebbe al dirigente e non alla Giunta solo in presenza di esplicita
previsione statutaria in tale senso, non potendosi ricomprendere tale specifica
funzione nel novero delle competenze enucleate dall’art. 107 del D. Lgs. n.
267/00.
4. Si possono a questo punto esaminare, stante la loro pregiudizialità rispetto
a tutti gli altri motivi di appello, le censure con le quali anche in appello la
società ricorrente contesta in radice l’esistenza del potere regolamentare speso
dal Comune di Napoli.
Dette censure sono infondate.
La Sezione condivide l’assunto sostenuto dal primo Giudice secondo cui può
prescindersi nella presente controversia dall’esame della questione se il potere
regolamentare comunale subordinato all’integrale, previo esercizio, da parte
dello Stato, della funzione regolamentare prevista dall’articolo 4 della legge
quadro n. 36 del 2001, ovvero all’esercizio, da parte della regione, delle
funzioni di cui all’articolo 8, comma 1, lettere a) e c), della stessa legge, in
tema di individuazione dei siti di trasmissione e degli impianti per telefonia
mobile e di definizione delle modalità per il rilascio delle autorizzazioni alla
installazione degli impianti. Detta ultima funzione è stata infatti esercitata
dalla regione Campania con la ripetuta legge regionale n. 14 del 2001 (il cui
testo attualmente vigente va coordinato con il sopravvenuto d.lgs. n. 198 del
2002, vigente al tempo dell’adozione del regolamento impugnato, i cui contenuti
normativi sono sostanzialmente rifluiti nel codice delle comunicazioni
elettroniche di cui al decreto legislativo n. 259/2003). Non vale poi insistere
sull’esaustività della disciplina regionale, atteso che i profili per i quali la
Regione non ha dettato specifiche prescrizioni devo intendersi rimessi alla
potestà comunale in omaggio al principi di sussidiarietà.
Si deve poi aggiungere che una diversa soluzione ermeneutica, la quale
pretendesse di ricavare dalla premessa dell’incompletezza dell’intervento
regionale la paralisi del potere comunale di cui all’art. 8, comma 6,
risulterebbe in contrasto non solo con la lettera di detta ultima prescrizione,
il che avvalora la tesi dell’immediata precettività, ma anche con la sua ratio,
data dall’esigenza di assicurare la minimizzazione dell’esposizione della
popolazione ai campi elettromagnetici.
Non coglie poi nel segno neanche la censura con la quale si ripropone la
questione dell’omesso espletamento dell’iter procedurale necessario per il varo
degli atti di pianificazione urbanistica, con connesso assenso regionale,
essendo chiara la specialità dello strumento regolamentare di cui all’articolo
8, comma 2, cit, alla quale si connette l’inestensibilità delle prescrizioni
relative al varo dei piani urbanistici.
5. Vanno a questo punto sottoposte a scrutinio le censure articolate dalla
società appellante riguardanti lo strumento del piano annuale delle
installazioni.
L’articolo 2 del regolamento impone agli operatori, quale condizione per poter
ottenere le autorizzazioni dell’articolo 4 del d.lgs. 198 del 2002 (ora art. 87
d.lgs. 259 del 2003), la presentazione, annualmente, di un piano delle
installazioni “nel quale devono essere riportati . . . gli impianti da
installare nonché tutti gli impianti esistenti, compresi quelli da modificare
successivamente all’approvazione del piano”. La norma prevede che il piano
presentato dal gestore è soggetto ad approvazione e che ha validità di 12 mesi.
Esclude l’installazione di singoli impianti non compresi nel piano. Stabilisce
alcune prescrizioni per gli impianti esistenti (i gestori devono assumersi
l’impegno di dimettere o adeguare entro 18 mesi quelli - anche se già
autorizzati - che non dovessero risultare conformi al piano approvato).
L’articolo 3 disciplina la procedura autorizzativa: il comune entro, venti
giorni, invia il piano all’Arpa Campania ai fini della pronuncia di questa
struttura di controllo ambientale ai sensi dell’articolo 5, comma 3, dell’allora
vigente d.lgs. 198 del 2002. L’Arpa si pronuncia entro venti giorni dalla
comunicazione. Nei venti giorni successivi il comune approva il piano.
Conseguentemente, una volta approvato il piano, i singoli impianti sono
autorizzati con denuncia di inizio di attività se di potenza in singola antenna
fino a 20 W, con specifico titolo autorizzativo se di potenza da 20 fino a 100
W, con la specifica autorizzazione provinciale di cui all’articolo 3, comma 1,
della legge regionale 24 novembre 2001, n. 14, se di potenza superore a 100 W,
ferma restando la necessità del separato titolo edilizio.
A fronte delle censure con le quali la parte privata appellante torna a ribadire
l’illegittimità radicale della previsione di una procedura non considerata dalla
legislazione statale e regionale, la Sezione condivide le considerazioni svolte
dal Tribunale alla stregua delle quali detto strumento, in sé considerato, non è
illegittimo in quanto risponde ad criteri di razionalità dell’azione
amministrativa l’esigenza di introdurre criteri minimi di conoscenza preventiva
e di pianificazione dell’installazione degli impianti al fine di orientare
l’attività amministrativa di controllo preventivo urbanistico edilizio, nonché
ambientale, in merito all’ assentibilità di queste installazioni. Con il che è
concettualmente corretta l’affermazione secondo cui detta previsione, nella sua
finalità istruttorio-ricognitiva, presenta una stretta inerenza allo svolgimento
della funzione autorizzatoria. I timori che l’utilizzo di detto strumento
inneschi una dilatazione dei tempi procedimentali per le singole installazioni,
incompatibile con l’esigenza di una disciplina uniforme sul piano nazionale alla
stregua delle superiori norme statali oggi confluite nel codice delle
comunicazioni elettroniche, risultano in buona misura fugati dal rilievo del
Tribunale secondo cui i termini previsti per l’esame del piano vanno intesi come
perentori con la conseguenza che il loro inutile decorso equivale a silenzio
assenso dell’amministrazione. L’intima inerenza della procedura relativa
all’esame del piano annuale alla procedura autorizzatoria, porta a rendere
necessari gli ulteriori correttivi dati dalla possibilità per le società, di
presentare aggiornamenti del piano anche nel corso dell’anno, non essendo
esigibile, da parte dell’impresa, la conoscenza preventiva e dettagliata di
tutte le installazioni che nel corso dell’anno si renderanno necessarie; e, in
generale, va riconosciuta la possibilità della presentazione congiunta
dell’istanza sopravvenuta rispetto all’aggiornamento del piano. Sempre la
rammentata inerenza allo strumento autorizzatorio porta a concludere nel senso
dell’applicabilità anche a detta procedura della prescrizione ora recata
dall’art. 86, comma 5, del decreto legislativo 259/2003, secondo cui il termine
per la definizione del procedimento può essere interrotto una sola volta in caso
di necessità di chiarimenti documentali ed istruttori.
6. Si deve ora passare all’analisi delle censure incrociate che investono l’art.
4 del regolamento. Detta norma detta particolari “prescrizioni”, premettendo, al
comma 1, che tali disposizioni non costituiscono limitazioni di tipo
urbanistico, ma solo condizioni finalizzate a garantire il rispetto, da parte
dei gestori, dell’obbligo di utilizzare impianti adeguati allo sviluppo delle
conoscenze tecnologiche e al relativo perfezionamento tecnico. Le prescrizioni
sono così riepilogabili:
1) gli impianti devono essere installati in modo che gli edifici distanti da
essi meno di 50 metri non siano interessati dal lobo principale di irradiazione
delle antenne;
2) gli impianti (ad eccezione delle microcelle) non possono essere installati a
meno di 25 metri (distanza calcolata tra gli elementi radianti e gli edifici
prospicienti ad essi più vicini) da edifici adibiti a civile abitazione, luogo
di lavoro o comunque tali da comportare una permanenza umana (media) superiore
alle quattro ore (di cui all’art. 4, comma 2. del d.m. - allora vigente - 10
settembre 1998, n. 381);
3) è vietato installare impianti su coperture sulle quali prospettano
direttamente unità immobiliari appartenenti allo stesso fabbricato adibite a
luoghi di permanenza superiori alle quattro ore;
4) è vietato installare impianti a meno di 50 metri dalle strutture sanitarie e
scolastiche; è vietato installare più di due impianti per ogni condominio avente
più di 6 unità immobiliari e più di un impianto per quelli fino a 6 unità
immobiliari;
5) tutti gli impianti devono essere muniti di un dispositivo di controllo
continuo delle potenze elettriche di alimentazione, provvisto di interruttore
automatico quando la potenza utilizzata risulti superiore a quella massima
consentita, nonché di un sistema di trasmissione dati a un server remoto per il
telecontrollo.
La questione involge la vexata quaestio della portata della previsione
dell’articolo 8, comma 6, della vigente legge quadro n. 36 del 2001 (che assegna
ai comuni il potere di adottare un regolamento per assicurare il corretto
insediamento urbanistico e territoriale degli impianti e minimizzare
l'esposizione della popolazione ai campi elettromagnetici) nell’ambito del
quadro giuridico mutato a seguito dell’entrata in vigore del d.lgs. n. 198 del
2002 (poi annullato per eccesso di delega da Corte cost. n. 303 del 2003), le
cui previsioni sono confluite nel codice delle comunicazioni elettroniche di cui
al d.lgs. 259 del 2003.
La nuova disciplina (vedi, in particolare, gli articoli 86 e 87 del d.lgs.
259/2003) prevede che le infrastrutture di reti pubbliche di comunicazione sono
assimilate ad ogni effetto alle opere di urbanizzazione primaria e sono soggette
(art. 87) a procedimenti autorizzatori speciali improntati a criteri di massima
accelerazione ed efficienza, imperniati sugli istituti del silenzio assenso e
della denuncia di inizio di attività, minutamente descritti dalla norma statale.
6.1. Con la sentenza 7 novembre 2003, n. 331 la Consulta ha esaminato la censura
di invasione della sfera di attribuzione normativa statale sollevata dal
Presidente del Consiglio dei Ministri avverso la norma regionale (legge
regionale della Lombardia 6 marzo 2002, n. 4) che stabilisce un generale divieto
di installazione di impianti per le telecomunicazioni e per la radiotelevisione
entro il limite inderogabile di 75 metri di distanza dal perimetro di proprietà
di asili, edifici scolastici, nonché strutture di accoglienza
socio-assistenziali, ospedali, carceri, oratori, parchi gioco, case di cura,
residenze per anziani, orfanotrofi e strutture similari, e relative pertinenze.
Al riguardo la Corte ha rilevato che la legge quadro 36/2001 affronta
specificamente il problema della protezione speciale degli ambienti abitativi,
degli ambienti scolastici e dei luoghi adibiti a permanenze prolungate, in vista
delle finalità di cui all’art. 1, lettere b) e c), della legge medesima,
prevedendo speciali valori di attenzione [art. 3, comma 1, lettera c)] - più
rigorosi dei generali limiti di esposizione posti a salvaguardia della salute
della popolazione in generale [art. 3, comma 1, lettera b)]. Sulla base di
questa premessa il giudice delle leggi ha giudicato incostituzionale la norma
regionale censurata sul rilievo che “Per far fronte alle esigenze di protezione
ambientale e sanitaria dall’esposizione a campi elettromagnetici, il legislatore
statale, con le anzidette norme fondamentali di principio, ha prescelto un
criterio basato esclusivamente su limiti di immissione delle irradiazioni nei
luoghi particolarmente protetti, un criterio che è essenzialmente diverso da
quello stabilito (sia pure non in alternativa, ma in aggiunta) dalla legge
regionale, basato sulla distanza tra luoghi di emissione e luoghi di
immissione”. “Né, a giustificare il tipo di intervento della legge lombarda, ha
proseguito la Corte, è sufficiente il richiamo alla competenza regionale in
materia di governo del territorio, che la legge quadro, al numero 1) della
lettera d) dell’art. 3, riconosce quanto a determinazione dei "criteri
localizzativi". A tale concetto non possono infatti ricondursi divieti come
quello in esame, un divieto che, in particolari condizioni di concentrazione
urbanistica di luoghi specialmente protetti, potrebbe addirittura rendere
impossibile la realizzazione di una rete completa di infrastrutture per le
telecomunicazioni, trasformandosi così da "criteri di localizzazione" in
"limitazioni alla localizzazione", dunque in prescrizioni aventi natura diversa
da quella consentita dalla citata norma della legge n. 36. Questa
interpretazione, d’altra parte, non è senza una ragione di ordine generale,
corrispondendo a impegni di origine europea e all’evidente nesso di
strumentalità tra impianti di ripetizione e diritti costituzionali di
comunicazione, attivi e passivi”. Al fine di motivare questa scelta la Corte si
è premurata altresì di dichiarare non più attuale un suo precedente orientamento
(sentenza n. 382 del 1999) che aveva invece giudicato conforme al riparto
costituzionale delle competenze una norma regionale del Veneto che aveva
prescritto distanze di rispetto dagli elettrodotti maggiori e più severe
rispetto a quelle statali allora vigenti. La Corte ha in proposito osservato che
“da questa pronuncia, a parte la non puntuale coincidenza di materia, non può
trarsi in generale il principio della derogabilità in melius (rispetto alla
tutela dei valori ambientali), da parte delle Regioni, degli standard posti
dallo Stato. La questione allora decisa non si collocava entro un’organica
disciplina statale di principio, mentre ora esiste una legge quadro statale che
detta una disciplina esaustiva della materia, attraverso la quale si persegue un
equilibrio tra esigenze plurime, necessariamente correlate le une alle altre,
attinenti alla protezione ambientale, alla tutela della salute, al governo del
territorio e alla diffusione sull’intero territorio nazionale della rete per le
telecomunicazioni (cfr. la sentenza di questa Corte n. 307 del 2003, punto 7 del
"considerato in diritto"). In questo contesto, interventi regionali del tipo di
quello ritenuto dalla sentenza del 1999 non incostituzionale, in quanto
aggiuntivo, devono ritenersi ora incostituzionali, perché l’aggiunta si traduce
in una alterazione, quindi in una violazione, dell’equilibrio tracciato dalla
legge statale di principio.
La Corte costituzionale ha, con la stessa sentenza, giudicato conforme a
Costituzione un’altra norma della legge lombarda impugnata, che vietava
“l’installazione di impianti per le telecomunicazioni e per la radiotelevisione
"in corrispondenza" delle aree "sensibili" che si sono in precedenza dette”, e
ciò perché, secondo la Consulta, tale previsione “non si discosta
sostanzialmente, sotto il profilo che qui interessa, da altra disposizione
regionale che vieta l’installazione dei medesimi impianti "su ospedali, case di
cura e di riposo, scuole e asili nido", ritenuta da questa Corte, con la già
citata sentenza n. 307 del 2003 (v. il punto 20 del "considerato in diritto"),
compatibile con la legge quadro n. 36 del 2001. Il divieto ora in questione,
come quello esaminato in questa sentenza, non eccede l’ambito di un "criterio di
localizzazione", sia pure formulato in negativo, la cui determinazione, a norma
dell’art. 3, comma 1, lettera d), numero 1), e dell’art. 8, comma 1, lettera e),
della legge quadro, spetta alle Regioni. Esso, infatti, a differenza di quello
contenuto nell’art. 3, comma 12, lettera a), della legge regionale n. 4 del
2002, precedentemente esaminato, comporta la necessità di una sempre possibile
localizzazione alternativa, ma non è tale da poter determinare l’impossibilità
della localizzazione stessa.
Con la citata sentenza n. 307 del 2003 la Corte aveva difatti giudicato conforme
a Costituzione l’articolo 10, comma 1, della legge della Puglia 8 marzo 2002, n.
5, recante “Norme transitorie per la tutela dall’inquinamento elettromagnetico
prodotto da sistemi di telecomunicazioni e radiotelevisivi operanti
nell’intervallo di frequenza fra 0 Hz e 300 GHz” ai cui sensi è vietata
l’installazione di sistemi radianti relativi agli impianti di emittenza
radiotelevisiva e di stazioni radio base per telefonia mobile su “ospedali, case
di cura e di riposo, scuole e asili nido”. In questa occasione la Corte ha
respinto la censura statale secondo cui tale divieto assoluto avrebbe un
contenuto diverso ed eccedente rispetto all’unico parametro del valore di campo
elettromagnetico prescritto dal d.m. n. 381 del 1998, cui rinvia la norma
transitoria dell’art. 16 della legge quadro. Il divieto in questione, siccome
riferito a specifici edifici, è stato giudicato non eccedente l’ambito di un
“criterio di localizzazione”, in negativo, degli impianti, e dunque rientrante
nell’ambito degli “obiettivi di qualità” consistenti in criteri localizzativi,
la cui definizione è rimessa alle Regioni dall’art. 3, comma 1, lettera d, e
dall’art. 8, comma 1, lettera e, della legge quadro, né di per sé è suscettibile
di pregiudicare la realizzazione delle reti.
La Corte, con la pronuncia n. 307 del 2003, ha invece annullato la previsione
dell’articolo 7, comma 3, della legge regionale della Marche n. 25 del 13
novembre 2001 che stabilisce che con atto della Giunta regionale sono
determinate le distanze minime, da rispettare nell’installazione degli impianti,
dal perimetro esterno di edifici “destinati ad abitazioni, a luoghi di lavoro o
ad attività diverse da quelle specificamente connesse all’esercizio degli
impianti stessi”, di ospedali, case di cura e di riposo, edifici adibiti al
culto, scuole ed asili nido, nonché di immobili vincolati ai sensi della
legislazione sui beni storico-artistici o individuati come edifici di pregio
storico-architettonico, di parchi pubblici, parchi gioco, aree verdi attrezzate
ed impianti sportivi. Anche questo annullamento è basato sul rilievo della
“genericità ed eterogeneità delle categorie di aree e di edifici rispetto a cui
il vincolo di distanza minima viene previsto, tali da configurare non già un
quadro di prescrizioni o standard urbanistici, bensì un potere amministrativo in
contrasto con il principio di legalità sostanziale e tale da poter pregiudicare
l’interesse, protetto dalla legislazione nazionale, alla realizzazione delle
reti di telecomunicazione”.
6.2. Tale essendo il quadro della giurisprudenza costituzionale, il Tribunale ha
correttamente enucleato il criterio applicativo secondo cui è consentito alle
regioni ed ai comuni, ciascuno per la sua competenza, introdurre criteri
localizzativi degli impianti de quibus, nell’ambito della funzione di
definizione degli “obiettivi di qualità” consistenti in criteri localizzativi,
di cui all’art. 3, comma 1, lettera d, ed all’art. 8, comma 1, lettera e, e
comma 6 della legge quadro; non è invece consentito introdurre limitazioni alla
localizzazione. Sono criteri localizzativi (legittimi, ancorché espressi “in
negativo”) i divieti di installazione su ospedali, case di cura e di riposo,
scuole e asili nido, siccome riferiti a specifici edifici; sono, invece,
limitazioni alla localizzazione (vietate) i criteri distanziali generici ed
eterogenei, quali la prescrizione di distanze minime, da rispettare
nell’installazione degli impianti, dal perimetro esterno di edifici destinati ad
abitazioni, a luoghi di lavoro o ad attività diverse da quelle specificamente
connesse all’esercizio degli impianti stessi, di ospedali, case di cura e di
riposo, edifici adibiti al culto, scuole ed asili nido, nonché di immobili
vincolati ai sensi della legislazione sui beni storico-artistici o individuati
come edifici di pregio storico-architettonico, di parchi pubblici, parchi gioco,
aree verdi attrezzate ed impianti sportivi.
In ultima analisi i comuni possono legittimamente vietare l’installazione su
specifici edifici e dettare criteri distanziali concreti, omogenei e specifici.
Non possono introdurre misure di cautela distanziali generiche ed eterogenee.
6.3. A detta enunciazione corretta del discrimen ai nostri fini rilevante non ha
corrisposto una applicazione completamente condivisibile del criterio enunciato.
Non risultano infatti legittime, diversamente da quanto opinato dal Primo
Giudice, le prescrizioni dettate dal comma 2 dell’art. 4, laddove si stabilisce
che gli impianti devono essere installati in modo che gli edifici distanti da
essi meno di 50 metri non siano interessati dal lobo principale di irradiazione
delle antenne; e che ad eccezione delle microcelle, inoltre devono esservi
almeno 25 metri tra gli elementi radianti e gli edifici prospicienti ad essi più
vicini adibiti a civile abitazione, luogo di lavoro o comunque tali da
comportare una permanenza umana media superiore alle quattro ore. La norma
detta, infatti, un criterio distanziale generico ed eterogeneo, che si traduce
nella prescrizione di distanze minime, da rispettare nell’installazione degli
impianti, dal perimetro esterno non già di edifici specifici di carattere
scolastico e sanitario, ma rispetto alla generalità degli edifici destinati ad
abitazioni ed a luoghi di lavoro. Si tratta allora di un limite alla
localizzazione e non di un criterio localizzativo. Né vale a mutare questa veste
della prescrizione, legata alla sua portata generale ed indistinta volta a
sovrapporsi alle scelte statali imperniate sui valori di emissione e non su
logiche distanziali, il correttivo elaborato dal Tribunale, dato dalla
possibilità di una deroga al divieto ove il gestore dimostri l’assoluta
impossibilità di conseguire il completamento della rete cellulare, o la efficace
copertura di un’area con il segnale irradiato, se non posizionando la stazione
radio base esattamente nel punto che sarebbe vietato in base al criterio
distanziale. Si deve osservare che detto correttivo è frutto di una
inammissibile integrazione del regolamento comunale, per non dire della
nebulosità della sua concrete applicazione in assenza di specifiche prescrizioni
al riguardo. L’appello della società ricorrente va pertanto accolto con
riferimento a detta prescrizione meritevole di annullamento.
Gli stessi ordini di argomenti conducono all’annullamento, in accoglimento
dell’appello della parte privata, della analoga prescrizione dettata dal comma 3
dell’art. 4, ove si prevede, in modo parimenti generico ed indistinto, il
divieto di installare impianti su coperture sulle quali prospettano direttamente
unità immobiliari appartenenti allo stesso fabbricato adibite a luoghi di
permanenza per un periodo superiore alle quattro ore.
Legittima è invece la misura, di cui al comma 4 dell’art. 4, di divieto di
installazione di impianti a meno di 50 metri dalle strutture sanitarie e
scolastiche. Soccorre sul punto testualmente la richiamata giurisprudenza
costituzionale (sentenze 307/2003 e 331/2003) che ha giudicato legittima la
previsione regionale di divieto di installazione di impianti per le
telecomunicazioni "su ospedali, case di cura e di riposo, scuole e asili nido" e
"in corrispondenza" delle aree "sensibili", in quanto previsione compatibile con
la legge quadro n. 36 del 2001, perché non eccedente l’ambito di un "criterio di
localizzazione", sia pure formulato in negativo. Si tratta, infatti, come
osservato dalla Corte, di un criterio che comporta la necessità di una sempre
possibile localizzazione alternativa, ma non è tale da poter determinare
l’impossibilità della localizzazione stessa.
Per le stesse ragioni va reputata legittima la previsione e di specifiche misure
di salvaguardia dettate dall’art. 6 in considerazione della specifica situazione
collegata al risanamento della collina di Camaldoli.
L’appello della società già ricorrente in primo grado va allora per questa parte
respinto.
Risulta coerente, infine, con i criteri enunciati l’annullamento, disposto dal
Tribunale, della previsione regolamentare che stabilisce il divieto di
installazione di più di due impianti per ogni condominio avente più di 6 unità
immobiliari e di più di un impianto per quelli fino a 6 unità immobiliari. Detto
divieto, infatti, mira a evitare gli effetti negativi della sovrapposizione dei
campi elettromagnetici generati da una pluralità di impianti ubicati nello
stesso luogo. Ma esso, in tal modo, elude le prescrizioni dell’allegato C al
d.m. 381 del 1998 (oggi d.P.C.M. del 10 luglio 2003), dirette per l’appunto a
realizzare la riduzione a conformità in caso di superamento del tetto di
radiofrequenza consentito a causa della sommatoria di più campi elettromagnetici
concentrati nello stesso luogo.
7. Va altresì respinto l’appello proposto dal Comune di Napoli avverso la
statuizione con la quale il Primo Giudice ha disposto l’annullamento, per
difetto di istruttoria, dell’articolo 4, commi 6 e 7, nella parte in cui impone
sistemi di telecontrollo a distanza e in automatico. Anche in sede di appello il
Comune non è riuscito a fornire una convincente dimostrazione della
sostenibilità tecnico- economica di detti dispositivi, prova vieppiù necessaria
alla luce dell’aggravio che si va a determinare rispetto al quadro della
normativa statale.
8. Sfugge del pari al rimprovero mosso dal Comune appellante l’annullamento
della previsione regolamentare che impone retroattivamente l’adeguamento alla
disciplina regolamentare degli impianti già installati,in chiara violazione del
principio, di derivazione comunitaria, di tutela dell’affidamento e di stabilità
dei rapporti giuridici.
9. E’, ancora, corretta la declaratoria di illegittimità dell’articolo 7, nella
parte in cui impone un onere aggiuntivo di euro 500 ad impianto, poiché in
contrasto con l’articolo 93 del codice delle comunicazioni elettroniche, ove si
esclude che possano essere imposti oneri finanziari ulteriori rispetto a quelli
previsti dalla legge statale, in base all'articolo 4 della legge 31 luglio 1997,
n. 249, in conseguenza dell'esecuzione delle opere di cui al Codice, fatta salva
l'applicazione della tassa per l'occupazione di spazi ed aree pubbliche di cui
al capo II del decreto legislativo 15 novembre 1993, n. 507, oppure del canone
per l'occupazione di spazi ed aree pubbliche di cui all'articolo 63 del decreto
legislativo 15 dicembre 1997, n. 446, e successive modificazioni ed
integrazioni, calcolato secondo quanto previsto dal comma 2, lettera e), del
medesimo articolo, ovvero dell'eventuale contributo una tantum per spese di
costruzione delle gallerie di cui all'articolo 47, comma 4, del predetto decreto
legislativo 15 novembre 1993, n. 507.
10. Venendo alle questioni relative all’articolo 9 del regolamento il Collegio
osserva che la previsione del potere comunale contingibile e urgente a tutela
della salute pubblica “in presenza di particolari concentrazioni di inquinanti o
di rischi sanitari”, è conforme alle disciplina recata a tutela di detti
interessi dal testo unico degli enti locali oltre che coerente con gli obiettivi
di cui all’articolo 8, comma 6, della legge n. 36/2001. contemplato
dall’articolo 9. E’ poi superfluo aggiungere che detto potere va speso nel
rispetto dei generali canoni e limiti imposti dal diritto vivente all’esercizio
di poteri straordinari d’urgenza. Si risolve poi in un rinvio all’allegato C al
d.m. 381 del 1998 (vigente all’atto dell’adozione del regolamento), la
previsione della possibilità di adozione di misure atte a pervenire alla
riduzione a conformità.
Il Tribunale ha infine correttamente annullato le norme recate dall’art. 9
medesimo, laddove si stabiliscono sanzioni afflittive in violazione della
riserva di legge scaturente dalla generale previsione dell’articolo 1 della
legge 689 del 1981. Non rileva la pretesa identità della sanzione regolamentare
rispetto a quella prevista dalla legge regionale, se si considera, per un verso,
che detta identità non sussiste applicando la conversione in euro degli importi
in lire stabiliti dalla legge regionale e che in ogni caso, ove l’operatività
della sanzione di cui alla norma regolamentare non fosse pregiudicata
dall’annullamento disposto dal Tribunale, non ricorrerebbe neanche il
presupposto dell’interesse all’appello.
Tanto detto in ordine all’illegittimità delle sanzioni afflittive, le sanzioni
ripristinatorie trovano invece fondamento nel potere autorizzatorio di cui
rappresentano una sostanziale estrinsecazione.
Va poi chiarito che per mero errore materiale il Tribunale ha disposto
l’annullamento, nella parte dispositiva, dell’articolo 8 del regolamento, non
gravato da impugnazione, piuttosto che dell’ora esaminato art. 9.
11. Le considerazioni che precedono impongono il parziale accoglimento, nei
sensi sopra specificati, dell’appello della società privata e la reiezione
dell’appello del Comune di Napoli.
Sussistono giusti motivi per compensare le spese di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente
pronunciando, previa riunione, accoglie in parte il ricorso n. 6029/2005 e
respinge il ricorso n. 8406/2005.
Spese compensate
Così deciso in Roma, addì 24 gennaio 2006 dal Consiglio di Stato in s.g. (Sez.
VI) riunito in camera di consiglio con l'intervento dei seguenti Magistrati:
Claudio Varrone Presidente
Sabino Luce Consigliere
Luciano Barra Caracciolo Consigliere
Lanfranco Balucani Consigliere
Francesco Caringella Consigliere Est.
Presidente
Consigliere
Segretario
f.to Claudio Varrone
f.to Francesco Caringella
f.to Anna Maria Ricci
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
il..................09/06/2006...................
(Art. 55, L.27/4/1982, n.186)
Il Direttore della Sezione
f.to Maria Rita Oliva
1) Procedure e varie - Comune - Conferimento della procura alle liti al difensore - Competenza - Sindaco - Preventiva autorizzazione della Giunta - Necessità - Esclusione - Artt. 48, c 2 e 50, cc. 2 e 3 D.Lgs. 267/90. Nel nuovo ordinamento delle autonomie locali (vedi artt. 36 e 35 comma 2 Legge 142/90 poi trasfusi negli artt. 48 comma 2 e 50 commi 2 e 3 del D. Lgs. 267/90) compete al Sindaco conferire la procura alle liti al difensore del Comune senza che sia necessaria alcuna preventiva autorizzazione della Giunta municipale (ovvero di altro organo), dato che al Sindaco è attribuita la rappresentanza dell'ente ed alla Giunta spetta una competenza residuale nei limiti in cui le norme legislative e statutarie non la riservino al Sindaco (Sez. Un. 186/01; Sez. Un. 17750/02). Pres. Varrone, Est. Caringella - T. s.p.a. (avv.ti Zucchi e Sanino) c. Comune di Napoli (avv.ti Barone e Tarallo), riunito ad altro ric. - CONSIGLIO DI STATO, Sez. VI - 9 giugno 2006 (c.c. 24 gennaio 2006), sentenza n. 3452
2) Inquinamento elettromagnetico - Infrastrutture di reti pubbliche - Natura - Opere di urbanizzazione primaria - Regime autorizzatorio. Le infrastrutture di reti pubbliche di comunicazione sono assimilate ad ogni effetto alle opere di urbanizzazione primaria e sono soggette (art. 87 d.lgs. 259/2003) a procedimenti autorizzatori speciali improntati a criteri di massima accelerazione ed efficienza, imperniati sugli istituti del silenzio assenso e della denuncia di inizio di attività, minutamente descritti dalla norma statale. Pres. Varrone, Est. Caringella - T. s.p.a. (avv.ti Zucchi e Sanino) c. Comune di Napoli (avv.ti Barone e Tarallo), riunito ad altro ric. - CONSIGLIO DI STATO, Sez. VI - 9 giugno 2006 (c.c. 24 gennaio 2006), sentenza n. 3452
3) Inquinamento elettromagnetico - Impianti radioelettrici - Competenze di regioni e comuni - Limiti - Sentt. Corte Cost. nn. 307 e 331 del 2003 - Criteri localizzativi distanziali concreti, omogenei e specifici - Limiti alla localizzazione generici ed eterogenei - Differenza. Per effetto delle sentenze della Corte Costituzionale nn. 331 e 307 del 2003, deve ritenersi che sia consentito alle regioni ed ai comuni, ciascuno per la sua competenza, introdurre criteri localizzativi degli impianti radioelettrici, nell’ambito della funzione di definizione degli “obiettivi di qualità” consistenti in criteri localizzativi, di cui all’art. 3, comma 1, lettera d, ed all’art. 8, comma 1, lettera e, e comma 6 della legge quadro; non è invece consentito introdurre limitazioni alla localizzazione. Sono criteri localizzativi (legittimi, ancorché espressi “in negativo”) i divieti di installazione su ospedali, case di cura e di riposo, scuole e asili nido, siccome riferiti a specifici edifici; sono, invece, limitazioni alla localizzazione (vietati) i criteri distanziali generici ed eterogenei, quali la prescrizione di distanze minime, da rispettare nell’installazione degli impianti, dal perimetro esterno di edifici destinati ad abitazioni, a luoghi di lavoro o ad attività diverse da quelle specificamente connesse all’esercizio degli impianti stessi, di ospedali, case di cura e di riposo, edifici adibiti al culto, scuole ed asili nido, nonché di immobili vincolati ai sensi della legislazione sui beni storico-artistici o individuati come edifici di pregio storico-architettonico, di parchi pubblici, parchi gioco, aree verdi attrezzate ed impianti sportivi. In altri termini, i comuni possono legittimamente vietare l’installazione su specifici edifici e dettare criteri distanziali concreti, omogenei e specifici, non possono invece introdurre misure di cautela distanziali generiche ed eterogenee. Pres. Varrone, Est. Caringella - T. s.p.a. (avv.ti Zucchi e Sanino) c. Comune di Napoli (avv.ti Barone e Tarallo), riunito ad altro ric. - CONSIGLIO DI STATO, Sez. VI - 9 giugno 2006 (c.c. 24 gennaio 2006), sentenza n. 3452
4) Inquinamento elettromagnetico - Impianti di comunicazioni elettroniche - Comuni - Imposizione di oneri finanziari aggiuntivi - Illegittimità - Art. 93 D.Lgs. 259/2003. E’ illegittima l’imposizione, da parte dei Comuni, di oneri finanziati aggiuntivi per l’installazione di impianti di comunicazioni elettroniche, perché in contrasto con l’art. 93 del codice delle comunicazioni elettroniche. Pres. Varrone, Est. Caringella - T. s.p.a. (avv.ti Zucchi e Sanino) c. Comune di Napoli (avv.ti Barone e Tarallo), riunito ad altro ric. - CONSIGLIO DI STATO, Sez. VI - 9 giugno 2006 (c.c. 24 gennaio 2006), sentenza n. 3452
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