Per altre sentenze vedi: Sentenze per esteso
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REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Reg. Dec. 354/06
N. 6154 Reg. Ric.
Anno: 2001
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta) ha pronunciato la
seguente
DECISIONE
sul ricorso in appello n.r.g. 6154 del 2001, proposto dalla sig. Elena
Esposito, rappresentata e difesa dall’avv. Mario Sanino ed elettivamente
domiciliata presso lo studio del medesimo, in Roma, viale Parioli, n. 180,
contro
la sig. Nunzia Guerricchio, rappresentata e difesa dall’avv. Maurizio Di Cagno
ed elettivamente domiciliata presso lo studio dell’ avv. Giovanni Pellegrino, in
Roma, via Giustiniani, n. 18,
e nei confronti
del Comune di Bernalda, rappresentato e difeso dall’avv. Michele Porcari ed
elettivamente con lui domiciliato presso lo studio dell’avv. Massimo Colarizi,
in Roma, via Panama, n. 12,
per l'annullamento
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale della Basilicata, n.
116/2001, pubblicata il 6 febbraio 2001.
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio delle parti suindicate;
Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
Visti gli atti tutti della causa;
Designato relatore, alla pubblica udienza del 12 luglio 2005, il consigliere
Giuseppe Farina ed uditi, altresì, i difensori delle parti, avv. Sanino, Di
Cagno e Colarizi, per delega Porcari, come da verbale d’udienza;
Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue.
FATTO
1. È oggetto d’impugnazione la sentenza del Tribunale amministrativo regionale
della Basilicata n. 116/2001, con la quale è stata annullata la concessione
edilizia n. 99/99, con relativa variante n. 6809/2000, rilasciate dal Comune di
Bernalda alla attuale appellante.
2. La pronunzia ha condiviso quattro delle censure dedotte col ricorso
introduttivo.
3. L’appello è affidato ad altrettante censure alla decisione impugnata e
confuta, altresì, i motivi del ricorso introduttivo, assorbiti dal primo
giudice. È stato notificato il 23/29 maggio 2001 e depositato il 12 giugno.
Sono stati notificati motivi aggiunti, in data 4 gennaio 2002, depositati il 17
gennaio.
4. La parte privata appellata si è costituita con memoria depositata il 9 luglio
2001, per contestare tutte le argomentazioni del ricorso in appello.
Ha notificato il 23 luglio 2001, e depositato il 12 settembre successivo,
appello incidentale avverso tre capi della sentenza suindicata.
Ha depositato documenti il 10 luglio 2001 ed il 10 giugno 2005, con una memoria
conclusiva in data 1° luglio 2005.
5. Il Comune di Bernalda si è costituito il 31 maggio 2002 per aderire
all’appello principale e contraddire all’appello incidentale.
Non ha prodotto altri scritti difensivi.
6. Alla camera di consiglio del 10 luglio 2001 è stata respinta la domanda di
sospensione dell’efficacia della decisione impugnata.
7. All’udienza del 12 luglio 2005, il ricorso è stato chiamato per la
discussione e poi trattenuto in decisione.
DIRITTO
1. L’originaria ricorrente, precisando di essere superficiaria - proprietaria di
un fondo e di un immobile nel Comune di Bernalda, a Metaponto Lido, ha chiesto
l’annullamento della concessione edilizia, e della relativa variante, n. 99/99,
che il Comune di Bernalda ha rilasciato alla attuale appellante.
La concessione concerne la “costruzione di un villa” previa demolizione
dell’esistente.
Il terreno, sul quale insiste l’immobile della ricorrente in primo grado,
confina con quello sul quale è stata consentita la costruzione oggetto di
controversia.
2. Il Tribunale amministrativo regionale della Basilicata ha condiviso, con la
sentenza impugnata, le seguenti censure:
2.1. contrasto con l’art. 3 delle norme tecniche di attuazione (NTA), che
prescrive che si lasci “inalterato l’impianto urbanistico e tipologico di zona
residenziale estiva e di villette isolate immerse nel verde”.
L’intervento edificatorio progettato dalla parte ed assentito dal Comune
consiste in una palazzina condominiale, con quattro appartamenti autonomi -
ciascuno dotato di distinti accessi - distribuiti su un piano seminterrato e due
piani fuori terra e con un ulteriore piano con terrazzi e con locali, che
sarebbero destinati a servizi tecnici. L’altezza complessiva è di metri dieci,
superiore, perciò, agli otto metri consentiti, come limite massimo dal citato
art. 3 NTA, per conservare le caratteristiche di villette “immerse nel verde”.
Pur consistendo il vizio riconosciuto in una violazione che comporta
l’annullamento in toto della concessione, il T.A.R. ha rilevato ulteriori
illegittimità:
2.2. violazione delle norme sulle distanze dettate dall’art. 41 quinquies
, primo comma, lett. c), l. 17 agosto 1942, n. 1150: metri 6,50, anziché metri
10,45;
2.3. violazione del limite di altezza massima di metri otto nella zona, secondo
quanto dispone il menzionato art. 3 NTA. Il Comune, infatti, ha illegittimamente
escluso dal computo i locali previsti sul terrazzo di copertura che non è
possibile definire “volumi tecnici”. Essi sono due locali di dieci metri
quadrati ciascuno, con finestre e bagni, collegati con una scala interna in via
esclusiva con l’appartamento sottostante, dei quali sono, perciò pertinenze. Non
quindi al servizio del condominio e liberamente praticabili;
2.4. violazione della disposizione sull’indice di fabbricabilità. Infatti, è
stata calcolata, come edificabile, una superficie di mq. 97,50. Ma l’area
occupata è ben maggiore, perché vi devono essere incluse sia quella coperta con
un loggiato, sia quella di un pergolato, sia le scale esterne di accesso ai due
appartamenti del primo piano.
Le altre censure sono state assorbite.
3. L’appello inizialmente proposto è stato integrato con motivi aggiunti, che
mirano a dimostrare il difetto di legittimazione della ricorrente ad impugnare
la concessione edilizia, perché essa non avrebbe “alcun titolo giuridico
sull’area” confinante con quella dove è sorta la costruzione assentita dal
Comune.
3.1. I motivi aggiunti sono inammissibili:
sia perché si tratta di negazione della situazione legittimante della
ricorrente originaria, con censure che non derivano dalla conoscenza di un
provvedimento sopravvenuto. Quindi non si può parlare di messa in discussione di
provvedimenti “adottati in pendenza del ricorso fra le stesse parti”, quali sono
quelli che il comma primo dall’art. 21 della legge 6 dicembre 1971, n. 1034 -
nel testo introdotto con l’art. 1 della l. 21 luglio 2000, n. 205 - consente che
siano portati alla cognizione dello stesso giudice, dinanzi al quale pende la
controversia sulla legittimità del provvedimento inizialmente impugnato;
sia per la ragione che, appunto perché non si discute di provvedimenti
adottati in pendenza del ricorso, si tratta di questione che doveva essere
tempestivamente proposta con l’ appello, a nulla rilevando che la parte avrebbe
avuto modo di conoscerla “in tempi recentissimi”. Essa è stata quindi dedotta
tardivamente, ad oltre sei mesi dalla notificazione del ricorso iniziale in
appello.
3.2. La questione dedotta, peraltro, è anche priva di fondamento.
Sostiene la parte che la ricorrente iniziale non avrebbe alcun titolo giuridico
sull’area confinante, perché né essa, né il suo dante causa avrebbero mai
acquistato il terreno dal demanio dello Stato, cui esso appartiene. Ed inoltre
nessuno, egualmente, avrebbe mai ottenuto titolo per la costruzione del
fabbricato, nel quale la persona suddetta abita. Ed infine questo stesso
fabbricato non rispetta la distanza minima di quattro metri dal confine.
3.2.1. Quest’ultima osservazione è priva di rilevanza, perché qui non si discute
della conformità a legge della villa posseduta dalla ricorrente iniziale.
3.2.2. Le altre due tesi trascurano considerazioni essenziali:
la prima è che l’appartenenza di un fondo al demanio statale è formula
nient’affatto univoca. Essa, nel linguaggio corrente della stessa
amministrazione e in quello legislativo (v. la recente costituzione della
“agenzia del demanio”) può indicare semplicemente beni appartenenti al
patrimonio statale, sia disponibile, sia indisponibile, sia propriamente
demaniale. Sicché le mere deduzioni dell’appellante non possono valere a far
concludere per l’inesistenza di un qualsiasi rapporto, rilevante per il diritto,
della ricorrente originaria con l’immobile che possiede o detiene. O del quale
questa si afferma (v. ricorso introduttivo) superficiaria, per il terreno, e
proprietaria, per l’edificio;
la seconda è che, a norma dell’art. 31 della legge 17 agosto 1942, n.
1150, modificato dalla l. 6 agosto 1967, n. 765, è consentito a “chiunque” di
impugnare concessioni edilizie ritenute illegittime. Secondo la ferma
giurisprudenza di questo Con siglio di Stato, la formula della legge ammette che
sia proposto ricorso da parte di chi si trovi in una situazione di stabile
collegamento con la zona interessata dalla costruzione. La indiscussa situazione
della ricorrente originaria, di sicura, quanto meno, detentrice dell’immobile
sito nel terreno confinante con quello in cui è stato realizzato l’edificio
contestato, ne fa ammettere, perciò, la legittimazione alla verifica
giurisdizionale della conformità a legge del titolo abilitativo a costruire (fra
le più recenti: V Sezione 13 luglio 2000, n. 3904 e 15 settembre 2003, n. 5172).
4. Con il primo motivo dell’appello si sostiene che “la villetta comprendente
quattro minialloggi armonizza pienamente” con il carattere di luogo di
villeggiatura; che è una villetta isolata “immersa nel verde preesistente che
non viene minimamente alterato”; che non è significativo che si tratti di un
edificio “mono” o plurifamiliare; che sono inconferenti le osservazioni del
T.A.R sull’esistenza di strutture in cemento armato e sul prezzo di vendita
degli alloggi; che non appare determinante rapportare l’altezza massima
consentita di otto metri alla altezza dei pini circostanti; che non c’è
condominio, perché non vi sono parti comuni; che non si può contestare la
caratteristica di “villetta immersa nel verde”, senza specificare che “cosa
debba intendersi per tale”; che, da ultimo, le sovrintendenze per i beni
ambientali ed architettonici di Matera e di Potenza “hanno positivamente
valutato sotto il profilo ambientale il progetto di cui trattasi”.
La censura, che mira a sottrarre fondamento alla statuizione del primo giudice
sulla totale illegittimità della concessione edilizia, non merita adesione.
Quelle dedotte, e succintamente sopra riferite, sono o mere asserzioni, prive di
contenuto “logico” contrario alle considerazioni del T.A.R., o spunti che si
soffermano su questioni non fondamentali affrontate nella sentenza impugnata e
che le enucleano non utilmente dal ragionamento concreto ed esauriente esposto
nella decisione.
Il punto essenziale è la valutazione generale che non può considerarsi una
“villetta immersa nel verde” una costruzione con quattro appartamenti,
distribuita su tre o quattro piani (il “seminterrato”, i due soprastanti e
quello ancora soprastante, che si afferma esse un “terrazzo con volumi tecnici”,
ma che tale non è definibile, sia per la consistenza dei locali, con bagni e con
accessi riservati ai soli appartamenti sottostanti, sia per la oggettiva
inesistenza di servizi comuni ivi situati). È sufficiente la mera descrizione
della costruzione assentita con la concessione edilizia, per negarne il
carattere di limitatezza del volume e di sostanziale completo “assorbimento”
nella zona ricca di verde, prescritto dall’art. 3 delle NTA, del quale il primo
giudice ha correttamente rilevato l’intento di non compromissione con fabbricati
di volumi ed altezze non coerenti con l’esistente.
Soffermarsi, perciò, sul riferimento all’altezza dei pini, fatto dal primo
giudice, o sulla non esistenza di un condominio, quando è certo che vi sono
quattro ingressi, quattro passaggi pedonali nello spazio che prima “serviva”
un’unica abitazione, e nessun volume tecnico, in senso proprio, appare un
argomentare su elementi secondari, che non inficiano la riconosciuta sostanziale
alterazione della regola di coerenza, per la zona, o di omogeneità dei singoli
edifici ammessi.
5. È utile, ora, l’esame del terzo motivo dell’appello, col quale si critica
l’accoglimento, da parte del primo giudice, della censura relativa alla
violazione dell’art. 3 NTA, sulla massima altezza degli edifici, realizzati in
sostituzione di quelli preesistenti e demoliti. L’altezza non può superare gli
otto metri.
La maggiore altezza consentita con la concessione è di oltre dieci metri
(esattamente m. 10,45), perché va computata anche quella dei locali situati sul
terrazzo di copertura, che, come si è già anticipato, non devono essere
trascurati dato che non sono definibili “volumi tecnici”.
Gli argomenti della appellante, volti a contrastare la statuizione del T.A.R.,
si possono così compendiare:
a) la giurisprudenza di questo Consiglio di Stato precisa che i “volumi tecnici”
sono quelli adibiti esclusivamente alla sistemazione di impianti aventi un
rapporto di strumentalità necessaria con l’utilizzo della costruzione;
b) il regolamento edilizio del Comune (art. 32) stabilisce che sono volumi
tecnici quelli “strettamente necessari a contenere gli impianti tecnologici
dell’edificio”, ma non escluderebbe che singoli appartamenti “possono avere
volumi tecnici”, quando tratta di impianti “particolari”;
c) i vani in contestazione sono destinati, secondo il progetto “a bagno e a vano
per i macchinari dell’aria condizionata” e la loro altezza è di solo metri 2,25;
d) questa altezza non consente di definirli abitabili;
e) sono, quindi, locali, destinati “ad ospitare impianti strumentali
all’utilizzo della parte abitativa”.
Il motivo non merita adesione.
È dalle stesse premesse alle quali si ricollega l’appellante che discende la
dimostrazione della infondatezza, in punto di fatto e di diritto, degli
argomenti esposti.
La definizione che danno le NTA, citate nell’appello, esclude che i locali in
questione, collegati esclusivamente ad un alloggio possano considerarsi come
“strettamente necessari a contenere impianti tecnologici”, poiché non si
chiarisce quali impianti possano avere l’esigenza di uno spazio di dieci metri
quadrati e di un bagno per un “mini appartamento”, come si definiscono le
singole unità dalla parte interessata. Il non essere a servizio di tutto
l’edificio rende evidente che si tratta di un accorgimento che mira a realizzare
volumi maggiori di quelli consentiti.
È sufficiente richiamare, a sostegno della esatta conclusione del primo giudice,
due pronunzie: è stato statuito che sono volumi tecnici quelli esclusivamente
adibiti alla sistemazione di impianti aventi un rapporto di strumentalità
necessaria con l’utilizzo della costruzione e che non possono essere ubicati
all’interno della parte abitativa, sicché non sono tali i locali complementari
all’abitazione (V Sez. 13 maggio 1997, n. 483), come le soffitte o i bagni o
qualsiasi altro locale del tipo di quelli progettati nel caso in esame e
destinati a formare un unica unità abitativa, da un lato, e privi di una
effettiva destinazione ad impianti tecnologici. È stato anche deciso che la
realizzazione di un locale “sottotetto” mediante vani distinti e comunicanti
attraverso una scala interna col piano sottostante , è indice rivelatore
dell’intento di rendere abitabile il locale o i locali, non potendosi detti vani
considerare volumi tecnici (C. si. 22 ottobre 2003, n. 337).
Ne segue che la parte di costruzione di cui si discute è stata esattamente
ricondotta fra quelle da computare ai fini dell’altezza massima consentita. Da
ciò consegue la violazione della relativa limitazione stabilita nelle NTA,
richiamate dal T.A.R.
Da ciò consegue, inoltre, una precisa conferma - anticipata al n. 4 che precede
- che l’edificio consentito con la concessione avversata col ricorso
introduttivo, per come emerge per altezza, non possiede il carattere di villetta
immersa nel verde preesistente, di cui al primo motivo accolto dal T.A.R.
6. Neanche ha fondamento il motivo riguardante la contestazione del capo di
sentenza che ha riconosciuto la violazione del più volte menzionato art. 3 NTA,
nella parte in cui è stabilito che la superficie coperta massima delle
costruzioni non può superare il limite di un sesto della superficie del lotto.
Il T.A.R. ha messo in rilievo che non sono state considerate le superfici
corrispondenti al loggiato, al pergolato, alle scalinate esterne di accesso.
La parte appellante si richiama, evidentemente per sostenere la non
computabilità delle suddette superfici, alla norma dell’art. 3 NTA, che esclude
che calcolino “balconi e pensiline sporgenti fino a mt. 1,20”. Sostiene che
anche le scale hanno tale larghezza e che la controparte avrebbe dovuto, perciò,
impugnare le norme tecniche di attuazione.
È agevole rilevare, innanzi tutto, che le scale esterne non sono escluse affatto
dal computo della superficie coperta dalla norma invocata dalla appellante.
Quanto al loggiato ed al pergolato non vi sono motivi, né la parte li ha
forniti, per concludere che essi sono assimilabili a balconi o pensiline, il
primo, quanto meno, essendo un corpo di arcate che si aprono verso l’esterno,
che si differenzia perciò da un semplice aggetto o “soletta” sporgente di un
edificio, come normalmente è definito un balcone.
Perciò, va tenuta ferma anche la statuizione per la quale la concessione ha
consentito la copertura di una superficie maggiore di quella massima consentita
dallo specifico indice di fabbricabilità per la zona.
7. Infondata è anche l’ultima censura che resta da esaminare e che riguarda
l’omessa osservanza della distanza minima di dieci metri fra la parete est
“finestrata” dell’edificio in costruzione e la parete della villetta di
proprietà della ricorrente originaria.
Il T.A.R. ha riconosciuto che la distanza è di metri 6.50, ma che essa non
poteva essere inferiore a metri 10. Ha perciò ritenuto violato l’art. 41
quinquies della l. 17 agosto 1942, n. 1150, introdotto dall’art. 17 della l. 6
agosto 1967, n. 765. Ed ha spiegato che la norma non si applica soltanto ai casi
di mancanza di uno strumento urbanistico (piano regolatore o programma di
fabbricazione), ma anche alle ipotesi in cui uno strumento esista senza però
contenere prescrizioni in tema di distanze fra pareti “finestrate” di edifici
antistanti.
La tesi dell’appellante è che invece la disposizione non si applica quando vi
sia un piano regolatore, ed il Comune di Bernalda è dotato di piano dal 1958. In
subordine, fa rilevare che le NTA stabiliscono distanze di quattro metri dai
confini del lotto. In ulteriore subordine, anche ammettendo che le NTA abbiano
illegittimamente omesso di prevedere per le nuove costruzioni il rispetto del
limite dei dieci metri, non poteva essere disapplicato quello dai confini del
lotto, sicché doveva impugnarsi il disposto delle N.T.A. Infine, neppure dal
d.m. 1444 del 1968 può farsi discendere l’obbligo di osservare la distanza
minima suddetta, perché esso non è immediatamente vincolante nei rapporti fra
privati.
Si possono trascurare tutte le osservazioni che precedono, perché è proprio
dall’art. 9 del d.m. 2 aprile 1968, n. 1444, che deriva l’obbligo per il Comune
di disporre affinché siano rispettate le distanze ivi stabilite. Invero, nel
comma 1, n. 2, dell’art. 9 in esame, si dispone che al di fuori delle “zone A” -
ed è esterna alla zona A quella che qui interessa, senza contestazione fra le
parti - è prescritta la distanza minima assoluta di dieci metri “tra le pareti
finestrate e pareti di edifici antistanti”.
In questa controversia si discute della legittimità di una concessione edilizia
rilasciata dal Comune di Bernalda. E perciò dell’obbligo del Comune stesso di
prestare osservanza alla predetta disposizione in sede di adozione del
provvedimento abilitativo. Sicché nessun rilievo ha l’orientamento
giurisprudenziale - del quale non è, di conseguenza, necessario verificare
neppure se sussista - affermato dalla parte appellante, secondo il quale quella
disposizione non sarebbe immediatamente vincolante nei rapporti fra privati.
In conclusione, rilevato che la disposizione sulla collocazione delle
costruzioni ad una certa distanza dai confini dal lotto non contrasta, né è
incompatibile con quella dettata in via generale, sulle distanze fra edifici
antistanti, si deve ritenere che, in ogni caso, andava osservata, per la
costruzione assentita dal Comune, la distanza minima di dieci metri dalla parete
più vicina e munita di finestre della controparte, ora resistente in appello.
8. Ulteriore conclusione è che l’appello principale deve essere respinto, con
integrale conferma della sentenza impugnata.
9. Non merita neppure adesione l’appello incidentale della controparte.
Sulla domanda risarcitoria, che essa aveva avanzato col ricorso introduttivo, il
Tribunale amministrativo regionale ha statuito che gli interventi di ripristino
dello stato dei luoghi, “che il Comune è tenuto ad adottare in conseguenza del
disposto annullamento giudiziale del provvedimento concessorio”, realizzano “una
forma di risarcimento in forma specifica, idonea a soddisfare compiutamente
l’interesse azionato”.
Si lamenta, invece, che la costruzione dissonante e disarmonica dall’edilizia
circostante e la distanza dalla proprietà, la volumetria e l’altezza
dell’immobile rendono “eccessivamente invasivo” il nuovo fabbricato, rispetto
alla villetta della appellata. Essa subisce un immediato e prolungato
pregiudizio, con godimento del suo bene “fortemente inciso e limitato”. Chiede
perciò la condanna delle controparti al pagamento di un risarcimento da
quantificare secondo i criteri da indicare da parte di questo Consiglio di
Stato, in “misura non inferiore” a lire dodici milioni.
La domanda è infondata.
Le statuizioni del primo giudice preludono a consistenti interventi demolitivi
da parte del Comune (o in esecuzione del giudicato). In ciò il Tribunale
amministrativo regionale ha correttamente ravvisato l’ipotesi di reintegrazione
in forma specifica, che può rendere pienamente soddisfatto l’interesse della
parte danneggiata dal provvedimento comunale.
I danni lamentati sinora sono, su un piano astratto, intuibili. Però, su un
piano di concretezza, per un verso, sono ancora “in fieri” - sino cioè al
momento in cui o per ottemperanza al giudicato o per accordo con il Comune sarà
definita la vicenda - e, per altro verso, privi di quelle precise indicazioni di
svantaggi incontrati, di rapporti giuridici non conclusi soddisfacentemente, di
quantificazione sufficientemente indicativa, se non puntuale, delle limitazioni
di godimento del bene subite e suscettibili di una precisa definizione monetaria
o di una liquidazione equitativa, che possano, quanto meno, dare sostegno ad una
definitiva pronuncia risarcitoria. In difetto di ciò ogni ulteriore domanda
risarcitoria non è definibile.
10. L’ultima critica recata con l’appello incidentale, alla statuizione di
compensazione delle spese del grado, va egualmente respinta.
Secondo la costante giurisprudenza, infatti, si tratta di statuizione riservata
alla piena discrezionalità del giudice. Essa è censurabile unicamente per
manifesta illogicità, quale può palesarsi in caso di condanna della parte
vittoriosa o al pagamento di somme evidentemente esorbitanti (fra le più
recenti: VI Sez. 21 marzo 2005, n. 1116). Nessuna di queste ipotesi si dà nel
caso concreto.
11. La reiezione dell’appello principale e dell’appello incidentale giustifica
la compensazione delle spese anche in questo grado.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quinta, respinge
l’appello principale e l’appello incidentale.
Spese compensate.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione
Quinta), nella camera di consiglio del 12 luglio 2005, con l’intervento dei
Signori:
Sergio Santoro Presidente
Giuseppe Farina estensore Consigliere
Paolo Buonvino Consigliere
Aldo Fera Consigliere
Gabriele Carlotti Consigliere
L’Estensore
Il Presidente
Il Segretario
f.to Giuseppe Farina
f.to Sergio Santoro
f.to Rosi Graziano
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
IL 31 GENNAIO 2006
(Art. 55, L. 27/4/1982, n. 186)
Il Dirigente
F.to Antonio Natale
1) Urbanistica e edilizia - Volumi tecnici - Individuazione - Presupposti. I “volumi tecnici” sono quelli adibiti esclusivamente alla sistemazione di impianti aventi un rapporto di strumentalità necessaria con l’utilizzo della costruzione. Pres. Santoro Est. Farina Esposito (avv. Sanino) c. Guerricchio (avv. Di Cagno) (conferma TAR Basilicata, n. 116/2001, pubblicata il 6 febbraio 2001). CONSIGLIO DI STATO Sez. V, 31 GENNAIO 2006 (c.c. 12 luglio 2005), Sentenza n. 354
2) Urbanistica e edilizia - Volumi tecnici - Nozione Rapporto di strumentalità - Necessità - Locali complementari all’abitazione - Esclusione - Locale “sottotetto” - Giurisprudenza. Sono volumi tecnici quelli esclusivamente adibiti alla sistemazione di impianti aventi un rapporto di strumentalità necessaria con l’utilizzo della costruzione e che non possono essere ubicati all’interno della parte abitativa, sicché non sono tali i locali complementari all’abitazione (V Sez. 13 maggio 1997, n. 483), come le soffitte o i bagni o qualsiasi altro locale del tipo di quelli progettati nel caso in esame e destinati a formare un unica unità abitativa, da un lato, e privi di una effettiva destinazione ad impianti tecnologici. Sicché, la realizzazione di un locale “sottotetto” mediante vani distinti e comunicanti attraverso una scala interna col piano sottostante, è indice rivelatore dell’intento di rendere abitabile il locale o i locali, non potendosi detti vani considerare volumi tecnici (C. si. 22 ottobre 2003, n. 337). Pres. Santoro Est. Farina Esposito (avv. Sanino) c. Guerricchio (avv. Di Cagno) (conferma TAR Basilicata, n. 116/2001, pubblicata il 6 febbraio 2001). CONSIGLIO DI STATO Sez. V, 31 GENNAIO 2006 (c.c. 12 luglio 2005), Sentenza n. 354
3) Procedure e varie - Compensazione delle spese - Discrezionalità del giudice - Limiti. La compensazione delle spese del grado, è una statuizione riservata alla piena discrezionalità del giudice. Essa è censurabile unicamente per manifesta illogicità, quale può palesarsi in caso di condanna della parte vittoriosa o al pagamento di somme evidentemente esorbitanti (fra le più recenti: VI Sez. 21 marzo 2005, n. 1116). Pres. Santoro Est. Farina Esposito (avv. Sanino) c. Guerricchio (avv. Di Cagno) (conferma TAR Basilicata, n. 116/2001, pubblicata il 6 febbraio 2001). CONSIGLIO DI STATO Sez. V, 31 GENNAIO 2006 (c.c. 12 luglio 2005), Sentenza n. 354
4) Procedure e varie - Impugnazione di concessioni edilizie ritenute illegittime - Giurisprudenza amministrativa. A norma dell’art. 31 della legge 17 agosto 1942, n. 1150, modificato dalla l. 6 agosto 1967, n. 765, è consentito a “chiunque” di impugnare concessioni edilizie ritenute illegittime. Secondo la ferma giurisprudenza del Consiglio di Stato, la formula della legge ammette che sia proposto ricorso da parte di chi si trovi in una situazione di stabile collegamento con la zona interessata dalla costruzione. (fra le più recenti: C.d.S. V Sezione 13 luglio 2000, n. 3904 e 15 settembre 2003, n. 5172). Pres. Santoro Est. Farina Esposito (avv. Sanino) c. Guerricchio (avv. Di Cagno) (conferma TAR Basilicata, n. 116/2001, pubblicata il 6 febbraio 2001). CONSIGLIO DI STATO Sez. V, 31 GENNAIO 2006 (c.c. 12 luglio 2005), Sentenza n. 354
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