Per altre sentenze vedi: Sentenze per esteso
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REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
N.4290/06
Reg. Dec.
N. 2416 Reg. Ric.
ANNO 2005
Disp.vo 214/2006
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) ha pronunciato la
seguente
DECISIONE
sul ricorso in appello proposto da EDIPOWER SPA, rappresentata e difesa
dagli Avv.ti Aldo Travi e Francesco Guido Romanelli con domicilio eletto in Roma
via Cosseria n. 5, presso lo studio dell’ultimo;
contro
- CASSA CONGUAGLIO PER IL SETTORE ELETTRICO,
- AEM SPA,
- GESTORE DELLA RETE DI TRASMISSIONE NAZIONALE non costituitisi;
- AUTORITA' PER L'ENERGIA ELETTRICA E IL GAS, rappresentata e difesa
dall’Avvocatura Generale dello Stato con domicilio in Roma via dei Portoghesi n.
12;
per l'annullamento
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale della Lombardia sede
di Milano Sez. IV n. 6100/2004;
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio dell’Autorità per l’Energia Elettrica e
il Gas;
Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
Visti gli atti tutti della causa;
Alla pubblica udienza del 21 marzo 2006 relatore il Consigliere Giancarlo
Montedoro. Uditi l’Avv. Travi e l’Avv. dello Stato Tortora;
Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:
FATTO
Con il ricorso di primo grado EDIPOWER SPA ha impugnato la delibera
dell’Autorità per l’energia elettrica ed il gas che ha riconosciuto gli oneri
sostenuti dai produttori di energia elettrica che hanno adempiuto all’obbligo di
cui all’art. 11 del decreto legislativo 16 marzo 1999 n. 79, limitatamente
all’energia prodotta da fonti non rinnovabili destinata ai clienti del mercato
vincolato nell’anno 2001, poiché, a suo avviso, illegittima per contrasto con il
citato decreto legislativo, con la precedente delibera n. 227 del 2002, con il
principio di remuneratività delle prestazioni e sotto altri diversi profili che
saranno più avanti esaminati.
In sintesi la ricorrente, per quanto riguarda la quota del 2 per cento di
energia da fonti rinnovabili, che è tenuta ad immettere sul mercato dei clienti
vincolati di cui al citato art. 11, reputa di avere diritto all’integrale
rimborso dei costi sostenuti per l’acquisto dei diritti da altri produttori da
fonti rinnovabili, ivi compreso il Gestore della rete di trasmissione nazionale
spa.
Hanno resistito in primo grado l’Autorità e la Cassa Conguaglio che ritengono il
ricorso infondato.
Il Tar ha rigettato il ricorso.
Appella l’originario ricorrente.
Resiste in appello l’Autorità.
DIRITTO
L’appello è infondato.
Giova alla esatta comprensione della vicenda una breve ricostruzione del sistema
normativo.
Cenni generali sul sistema normativo dei certificati verdi.
L’incremento dell’utilizzo delle fonti rinnovabili ( invece dei combustibili
fossili ) per la produzione dell’energia elettrica si pone come una delle
modalità più efficaci attraverso le quali perseguire obiettivi di tutela
dell’ambiente, in ottemperanza agli obblighi internazionalmente assunti
dall’Italia e conseguenti alla Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui
cambiamenti climatici, ratificato con legge 1 giugno 2002 n. 120 (c.d.
protocollo di Kyoto).
Il d.lgs. n. 79/1999 introduce , in proposito, misure incentivanti la
realizzazione di misure eco-compatibili.
Detta finalità, che l’Autorità ha inteso perseguire con la delibera n. 8 del
2004, ridonda non solo a favore dei consumatori finali ma di tutto il sistema
produttivo nazionale, poiché esso dipenderà in misura minore da combustibili
fossili i cui costi sono in continuo aumento, ed assicurerà minori emissioni
inquinanti.
In aggiunta alla realizzazione di detti nuovi impianti la legge prevede altresì
la possibilità di acquistare certificati rappresentativi della produzione da
fonti rinnovabili.
Tra questi si ricomprendono i certificati emessi dal Gestore della Rete di
trasmissione nazionale, a fronte della produzione ex art. 3 comma 7 della legge
n. 481/1995.
L’acquisto dei certificati GRTN rappresenta, la modalità di ultima istanza e la
più onerosa a cui ricorrere fintanto che non siano stati realizzati impianti
eco-compatibili.
In altri termini è possibile affermare che l’acquisto di certificato GRTN
rappresenta una sorta di alternativa di “second best” rispetto alla modalità di
adempimento dell’obbligo di incremento dell’uso di fonti rinnovabili
rappresentata dalla creazione di impianti eco-compatibili (IAFR) che è l’unica,
tra quelle possibili, a realizzare compiutamente gli obiettivi di riduzione
della dipendenza da combustibili fossili e di abbassamento delle emissioni
inquinanti.
Alla luce di tanto discende che gli oneri associati all’acquisto di certificati
GRTN (proprio perché sostenuti in luogo della creazione di nuovi impianti
eco-compatibili, di cui beneficiano sia i produttori sia i consumatori)
dovrebbero essere sostenuti equamente sia dai produttori sia dai clienti finali.
E ciò perché l’art. 1 della legge 14 novembre 1995 n. 481 recante “Norme per la
concorrenza e la regolazione dei servizi di pubblica utilità. Istituzione delle
Autorità di regolazione dei servizi di pubblica utilità” delinea una prospettiva
ordinamentale nella quale gli obiettivi economico-finanziari degli operatori
devono essere armonizzati con la tutela del consumatore (nella fattispecie che
ci occupa il cliente del mercato vincolato) nonché con gli obiettivi generali di
carattere sociale, di tutela ambientale e di uso efficiente delle risorse.
L’Autorità, con l’atto impugnato, ha riconosciuto in favore dei produttori non
la sola metà degli oneri in esame, ma circa il 75% dei predetti oneri, tenendo
particolarmente conto della posizione dei produttori.
Dal punto di vista normativo, quindi, è evidente che l’art.1 della legge n.
481/1995 prevede una armonizzazione degli obiettivi economico-finanziari dei
soggetti esercenti il servizio con gli obiettivi generali di tutela
ambientale,mentre l’art. 11 del d.lgs. n. 79/1999 ha introdotto l’obbligo, a
carico dei produttori ed importatori di energia elettrica , di immissione nel
sistema elettrico nazionale di una quota di energia elettrica prodotta da fonti
rinnovabili.
In forza del successivo art. 2 comma 12 lettera e) della legge n. 481/1995
l’Autorità stabilisce poi “le modalità per il recupero dei costi eventualmente
sostenuti nell’interesse generale in modo da assicurare … la realizzazione degli
obiettivi generali di carattere sociale, di tutela ambientale e di uso
efficiente delle risorse di cui al comma 1 dell’articolo 1.”
E’ evidente che , in questo sistema , l’Autorità è titolare di un ampio potere
discrezionale nello stabilire le modalità di recupero dei costi sostenuti dai
produttori nell’interesse generale dovendo provvedere nell’esercizio di tale
potere ad un’opera di bilanciamento degli obiettivi economico-finanziari degli
operatori con quelli, di rilevanza generale, declinati nella norma, fra cui vi
sono le finalità di tutela ambientale.
Va da sé che l’incremento delle fonti rinnovabili è uno dei modi più efficaci
per rispettare gli obblighi internazionali assunti dall’Italia con il protocollo
di Kyoto ovvero imposti dalla normativa di diritto interno (cfr. art. 36 della
legge 24 aprile 1998 n. 128 che delegava il governo ad emanare norme di
attuazione della direttiva 96/92 in materia di mercato interno dell’energia
elettrica poi – come è noto attuata con il d.lgs. n. 79/1999).
L’art. 11 del d.lgs. n. 79/1999, recependo i criteri direttivi dettati dal
legislatore delegante, ha sancito l’obbligo, in capo ai produttori ed
importatori da fonti non rinnovabili, di immettere nel sistema una quantità di
energia prodotta da nuovi impianti alimentati da fonti rinnovabili, in misura
pari al 2 per cento dell’energia elettrica prodotta ed importata da fonti non
rinnovabili nell’anno solare precedente.
Lo scopo perseguito dal legislatore è quello di incrementare l’utilizzo - a
monte della filiera di produzione-distribuzione dell’energia - di fonti
rinnovabili, perché tale incremento concorre a determinare un miglioramento
delle condizioni ambientali, attraverso la riduzione delle emissioni inquinanti
dovute all’impiego dei combustibili fossili.
L’obbligo può essere rispettato sia in via diretta, immettendo nel sistema una
certa quota di energia prodotta da nuovi impianti alimentati da fonti
rinnovabili (impianti qualificati IAFR realizzati direttamente da produttori ed
importatori soggetti all’obbligo), sia in via indiretta, acquistando in tutto o
in parte l’equivalente quota o i relativi diritti da altri produttori, purché
immettano energia da fonti rinnovabili.
Pertanto, in aggiunta alla produzione da nuovi impianti, la legge prevede la
possibilità di acquistare i c.d. certificati verdi.
I certificati verdi possono essere acquistati da altri produttori di fonti
rinnovabili (certificati IAFR) con riferimento alla loro produzione da impianti
qualificati come IAFR dal GRTN (sono gli impianti alimentati da fonti
rinnovabili entrati in esercizio a seguito di nuova realizzazione, riattivazione
, potenziamento o rifacimento in data successiva al 1 aprile 1999 ) oppure dallo
stesso GRTN (certificati GRTN) con riferimento alla produzione ex art. 3 comma 7
della legge n. 481/1995, che, peraltro è stata promossa da normative
preesistenti (sono impianti CIP n. 6/92 alimentati da fonti rinnovabili la cui
realizzazione era stata già promossa).
Il sistema normativo indicato, indubitabilmente, individua nella creazione dei
nuovi impianti eco-compatibili (IAFR) la modalità preferibile di adempimento
dell’obbligo perché è l’unica che consente di ridurre la dipendenza da
combustibili fossili, di abbassare effettivamente le emissioni inquinanti, di
contenere oneri per utenti e consumatori (poiché l’acquisto dei certificati
verdi è oneroso).
Solo con la creazione di nuovi impianti si realizza effettivamente un incremento
della capacità produttiva da fonti rinnovabili, risolvendosi le altre modalità
di adempimento in sistemi di sostegno alle imprese eco-compatibili preesistenti.
La norma tende all’incremento della capacità produttiva da fonti rinnovabili,
quindi, le diverse modalità di adempimento all’obbligo di immissione di energia
pulita nella rete non sono perfettamente equivalenti.
Quando gli operatori tenuti all’obbligo di cui all’art. 11 operano nel mercato
vincolato, ove non sono configurabili prezzi liberi, gli oneri dell’adempimento
dell’obbligo avvengono nell’ambito del riconoscimento delle tariffe
amministrate.
Il primo intervento dell’Autorità si è avuto con la delibera n. 227/02 per
l’anno 2002 ed è avvenuto mediante l’istituzione di un’apposita componente
tariffaria e di un apposito conto presso la Cassa Conguaglio del Settore
elettrico, al quale destinare il gettito derivante dall’applicazione di tale
componente, rinviando ad un successivo provvedimento dell’Autorità la
definizione dei parametri e delle modalità per il riconoscimento dei contributi
a produttori e distributori.
La voce tariffaria introdotta è denominata componente VE.
Con successiva delibera n. 228/02 l’Autorità ha fissato prudenzialmente il
livello della predetta componente VE da applicare a decorrere dal 1 gennaio
2003, a 0,09 centesimi di euro/kWh e ciò in attesa che sia condotta un’analisi
puntuale volta ad accertare il livello dei costi effettivamente sostenuto dai
produttori, per far fronte all’obbligo loro imposto dall’articolo 11, del
decreto legislativo n. 79/99 ed in attesa che l’Autorità definisca il grado di
copertura di tali costi.
La delibera n. 8/04 – impugnata – ha infine previsto in attuazione dell’art. 2
comma 6 della delibera n. 227/02, le concrete misure di riconoscimento degli
oneri sostenuti dai produttori che. in relazione all’energia elettrica prodotta
od importata da fonti non rinnovabili e destinata al mercato vincolato nell’anno
2001, hanno adempiuto all’obbligo derivante dall’art. 11.
Il contenuto della delibera n. 8 del 2004 dell’Autorità ( atto impugnato).
L’Autorità ha individuato Enel Produzione ed Enipower come soggetti che hanno sostenuto oneri da ammettere a riconoscimento.
Successivamente ha determinato il numero dei certificati da riconoscere per
ciascuno dei predetti produttori.
L’Autorità poi ha escluso di potere effettuare un riconoscimento integrale dei
predetti costi, anche per evitare che la scelta della soluzione meno virtuosa
venisse incentivata in modo improprio.
Il prezzo dei certificati GRTN è fissato in via autoritativa ai sensi dell’art.
9 del d.m. 11 novembre 1999, mentre il prezzo dei certificati IAFR si determina
sul mercato assumendo il primo come parametro di riferimento.
Il ridursi progressivo del numero dei clienti del mercato vincolato avrebbe
determinato oneri per gli utenti gradatamente crescenti nel tempo, in relazione
all’apertura del mercato.
L’Autorità ha quindi esaminato diverse metodologie di determinazione del calcolo
del valore medio dei certificati da riconoscere agli operatori.
Per la prima metodologia c.d. del prezzo medio di mercato dei certificati IAFR
si sarebbe riconosciuto il prezzo medio dei certificati verdi negoziati con i
produttori IAFR, ma ciò avrebbe disincentivato i produttori IAFR a produrre a
prezzi nel corso del tempo sempre più vantaggiosi per i consumatori finali.
Il criterio del costo medio a consuntivo era rappresentato da una media
comprensiva sia dei prezzi pagati al GRTN sia dei prezzi IAFR ma ciò avrebbe
comportato il riconoscimento del 97,8 per cento dei costi.
Si è quindi adottato il costo del valore medio ponderato fra prezzi di mercato
da un lato e risultante dell’applicazione del criterio costo/opportunità
dall’altro.
La formula adottata è la seguente
Vm = Pgrtn* Qgrtn + Piafr * Qiafr
In tale formula VM è il valore medio dei certificati verdi che si riconosce.
Pgrtn è il prezzo medio di negoziazione dei certificati IAFR
Qgrtn è la quota dei certificati verdi nella titolarità del GRTN pari al 72,3
per cento del totale.
Piafr è il prezzo medio di generazione che remunera i costi sostenuti per la
realizzazione dei nuovi impianti alimentati da fonti rinnovabili, al netto dei
ricavi derivanti dalla vendita di energia elettrica al mercato dei clienti
idonei, tenendo conto della ripartizione percentuale delle diverse categorie di
IAFR.
Qiafr è la quota dei certificati verdi ISFR sul totale.
I certificati verdi del GRTN vengono valutati secondo un costo medio di
negoziazione.
In sostanza il meccanismo di riconoscimento dei detti costi non è stato
vincolato al criterio del riconoscimento dei costi reali per ragioni
perequative.
L’esclusione dell’energia derivata dall’impianto di pompaggio.
In un impianto idroelettrico, l’acqua accumulata nel serbatoio a monte viene utilizzata per produrre energia elettrica e, successivamente, viene scaricata, nel serbatoio a valle.
In particolari impianti c.d. di pompaggio, l’acqua del serbatoio a valle viene
sollevata fino al serbatoio a monte per essere utilizzata nuovamente al fine di
produrre energia.
L’energia elettrica che alimenta le pompe può essere proveniente da fonte di
qualsiasi tipo (rinnovabile o non rinnovabile).
Se l’energia per muovere le pompe è prodotta da fonti non rinnovabili essa –
secondo l’Autorità - rientra nella base sulla quale calcolare l’energia di fonti
rinnovabili da immettere nel sistema elettrico.
Così l’energia prodotta da impianti di pompaggio nella quota parte non
ascrivibile ad apporti naturali ossia quella prodotta dopo il sollevamento
dell’acqua, non rientra nel novero dell’energia prodotta da fonti rinnovabili
quando il sollevamento è dovuto all’uso di energia prodotta da fonti non
rinnovabili.
L’Autorità si era proposta di riconoscere una parte dei predetti oneri e lo ha
poi fatto con la delibera n. 101/05 per cui sulla questione non vi è più
controversia alcuna fra le parti.
Il merito del ricorso.
Con il primo motivo di appello ( pag. 24 -27) si lamenta, in primo luogo l’erroneità dell’argomento speso in sentenza , per cui essendo l’obbligo di immettere in rete energia pulita previsto sin dal 1999, l’azienda avrebbe avuto tutto il tempo per adempiere e si denuncia, in sostanza, la violazione di parametri di logicità e ragionevolezza dell’azione amministrativa nonché violazione dell’art. 1 della legge n. 481/1995 poiché l’Autorità, selezionando fra le metodiche astrattamente possibili sulla base di canoni di convenienza rispetto ad una politica di incentivazione all’adozione di misure ambientali, avrebbe assunto impropri compiti di indirizzo della politica delle fonti energetiche, esercitando per giunta questi compiti in modo del tutto irragionevole, non tenendo conto delle difficoltà nella realizzazione degli impianti di energia da fonti rinnovabili.
I procedimenti autorizzativi per la realizzazione e l’attivazione delle centrali
ed tempi di costruzione delle stesse sono molto lunghi tali da rendere
irrealizzabili gli obiettivi posti dal legislatore. Il mercato non sarebbe
dotato dell’elasticità supposta dall’Autorità.
Né sarebbe logico un incentivo, per il futuro, che si risolva in una misura
volta a disciplinare la copertura di costi sostenuti nel passato.
L’art.1 della legge n. 481/1995 impone politiche tariffarie certe, trasparenti e
basate su criteri predefiniti.
Punire coloro i quali avevano solo acquistato i certificati invece di produrre
energia eco-compatibile non sarebbe ragionevole, poiché gli acquirenti dei
certificati non sapevano che, alla fine sarebbero stati penalizzati ed il
mercato offriva solo pochi certificati verdi.
Rileva il Collegio che la delibera n. 8 del 2004 si è limitata a dare attuazione
all’obbligo di cui all’art. 11 esistente fino dal 1999.
Dal 1999 al 2004, tenuto conto della dimensione raggiunta da Edipower nel
settore vi sarebbe stato tutto il tempo per avviare seriamente tali attività ,
ma Edipower non è stata in grado di provare nemmeno di avere tentato di
realizzare l’obiettivo della creazione di nuovi impianti IAFR.
Inoltre avendo Edipower acquistato Eurogen avrebbe potuto progettare per tempo,
senza eccessive difficoltà, l’acquisto dei certificati verdi per rispettare gli
obblighi di legge, senza ricorrere necessariamente all’acquisto dei certificati
GRTN.
Tale avrebbe dovuto essere – come ha rilevato il giudice di prime cure – il
comportamento di un imprenditore oculato.
Non può dirsi in alcun modo provata la impossibilità di realizzare o,
quantomeno, di avviare la realizzazione di tali impianti di nuova concezione.
In tale situazione inerziale il riconoscimento a piè di lista dei costi
sopportati per l’acquisto dei certificati potrebbe innescare abitudini di stampo
monopolistico od oligopolistico per le quali le inefficienze aziendali possono
poi, in qualche modo, essere scaricate sulle collettività di utenti con la
cooperazione dell’autorità di settore, “catturata” dai soggetti regolati.
E’ evidente invece che l’Autorità si è mossa in un’apprezzabile logica di
equilibrio, volto ad “alleggerire” gli oneri dei produttori, riconoscendo loro
un rimborso che non è espressamente previsto, ma che è stato considerato dovuto
sulla base del principio di rispondenza delle tariffe amministrate ai costi,
senza che ciò comportasse il sacrificio definitivo di altri beni pure protetti
dalla normativa come i beni ambientali.
Ne deriva il rigetto del motivo di appello incentrato sulla illegittima
esclusione del recupero integrale dei costi basata su finalità incentivanti non
effettivamente e realisticamente perseguibili.
In realtà anche questo appello muove, come quello proposto da Enelproduzione,
dall’intento di criticare la sentenza nella parte in cui disconosce la
sussistenza dell’obbligo di rimborsare i costi per l’acquisto da altri
produttori di energie da fonti rinnovabili in modo integrale, affermando la
piena legittimità del rimborso parziale.
La sentenza non terrebbe conto del contrasto fra la delibera impugnata e la
legge n. 481/1995 che riconoscerebbe il principio del rimborso integrale dei
costi.
L’obbligo di immettere nel sistema elettrico nazionale energia proveniente da
fonti rinnovabili si configurerebbe come un obbligo di servizio pubblico, di cui
l’Autorità non può non tenere conto nella determinazione della tariffa sul
mercato vincolato, essendo i costi per gli oneri da immissione nella rete di
energia proveniente da fonti rinnovabili, sul mercato libero incorporati nel
prezzo.
La tariffa deve essere determinata, tenendo conto della copertura dei costi e
dell’equo compenso dell’imprenditore.
In particolare ove la legge n. 481/1995, prevede che l’Autorità garantisca
adeguati livelli di qualità nei servizi di pubblica utilità in condizioni di
economicità e redditività ed il recupero dei costi eventualmente sostenuti
nell’interesse generale (art. 2 comma 12, lett. e) della legge n. 481/1995) si
deve intendere sia disposta la regola del recupero integrale dei costi sostenuti
per l’incentivazione dell’energia elettrica prodotta con fonti rinnovabili ed
assimilate (art. 3 comma 2 legge n. 481/1995).
L’Autorità con il rimborso parziale avrebbe stabilito un contributo al di fuori
del principio di legalità.
Inoltre, considerando che il prezzo dei certificati del GRTN è autoritativamente
prefissato, la legge prima imporrebbe, per ragioni di servizio pubblico, un
costo e poi non consentirebbe il suo recupero a mezzo della tariffa.
Ritiene il Collegio che la legge n. 481/1995 non abbia sancito alcun principio
giuridico che imponga il recupero integrale dei costi sostenuti dalle imprese
elettriche per l’adempimento agli obblighi di cui all’art. 11 del d.lgs. n.
79/1999.
L’Autorità deve garantire il recupero in condizioni di economicità e redditività
agli operatori, ma, nel contempo deve promuovere la tutela di molti altri
interessi, fra cui quello dei consumatori –utenti e quello della protezione
dell’ambiente.
Si tratta quindi di contemperare le esigenze di equilibrio economico
–finanziario delle imprese con gli obiettivi generali tra i quali assume
particolare rilievo quello della tutela ambientale.
Il legislatore ha inteso incentivare la produzione di energia “pulita” o
eco-compatibile, da sfruttamento di fonti rinnovabili, meno inquinanti e
rispondenti ad obiettivi di carattere sociale.
Un ripianamento dei costi con il sistema a piè di lista comprometterebbe il
disegno del legislatore di incentivazione della creazione di nuove centrali per
la produzione di energia da fonti rinnovabili.
I comportamenti degli operatori che si sono limitati ad acquistare sul mercato
dei certificati verdi sono inefficienti, in quanto non producono alcun
incremento della capacità produttiva di energia da fonti rinnovabili che è il
vero obiettivo che il legislatore ha voluto perseguire.
Il riconoscimento dei costi mediante un parametro di media ponderata mira
proprio a garantire economicità e redditività degli operatori stimolando
comportamenti virtuosi dal punto di vista ambientale sicché si deve ritenere
pienamente legittimo.
Ne deriva quindi la legittimità del recupero parziale dei costi.
Il secondo motivo di ricorso di appello ( pag. 26, in fondo-27 ), infine,
riproponendo il sesto motivo del ricorso di primo grado, è relativo alla
contraddittorietà fra la delibera n. 227/2002 e la delibera impugnata in primo
grado.
La delibera n. 227/2002 aveva previsto il recupero totale degli oneri mentre la
nuova prevede il recupero parziale e spiega efficacia anche retroattivamente.
Inoltre si rileva che la ragione dell’introduzione della componente tariffaria
VE è proprio nell’esigenza di permettere anche sul mercato vincolato quell’incorporazione
dei costi nel prezzo che, in quel caso è dovuta alla libera e normale scelta
dell’imprenditore.
La delibera n. 227/2002 parla di copertura degli oneri ad intendere il ristoro
totale dai predetti costi.
In nessun caso tale delibera avrebbe potuto fare presagire un abbattimento del
recupero.
Rileva il Collegio che nella delibera n. 227/2002 non v’è traccia
dell’affermazione del principio del recupero integrale dei costi, ma c’è solo il
riconoscimento del principio del recupero con modalità da stabilirsi.
La delibera si limita a prevedere un meccanismo individualizzato basato
sull’energia prodotta dai singoli operatori rinviando la determinazione dei
criteri di quantificazione degli oneri da riconoscere ad un successivo
provvedimento.
Inoltre proprio nella delibera n,. 227/2002 venivano esclusi dal recupero gli
importatori di lungo periodo perché aventi margini di assorbimento parziale
degli oneri sopportati, con implicita affermazione del principio della
compensabilità parziale.
Nessuna contraddittorietà esiste fra le delibere richiamate, potendosi anzi
affermare che la delibera n. 8 del 2004 costituisca attuazione dell’altra.
Inoltre il riconoscimento della transitorietà del regime stabilito nella
delibera n. 227/2002 esclude la tutelabilità di qualsiasi affidamento , non
essendo certo il grado e l’intensità e la definitività della copertura garantita
ai costi sopportati per gli obblighi ambientali.
In ultimo va ribadito che non v’è alcuna violazione di principi perequativi
derivante dall’esclusione dalla compensazione di una quota consistente degli
oneri affrontati dai produttori dell’energia, poiché la compensazione parziale
disposta ha proprio un’esigenza perequativa.
La sentenza, sul punto, non merita alcuna censura.
Ne deriva il rigetto del secondo motivo di appello.
Con il terzo motivo di appello si ripropongono il secondo e terzo motivo del
ricorso (pag. 27 lett. C) criticando la sentenza nella parte in cui afferma che
la decisione dell’Autorità di disporre un rimborso solo parziale dei costi
sostenuti dai produttori di energia destinata al mercato vincolato, sarebbe
stata del tutto legittima.
L’Autorità – secondo i giudici di prime cure - avrebbe inteso evitare un
ricarico integrale del costo di acquisto che sarebbe andato a gravare sui
clienti del mercato vincolato,
Inoltre tale rimborso integrale avrebbe determinato un pagamento dell’energia
pulita di tipo doppio: già essendovi in tariffa la voce A3 collegata alle
agevolazioni alle imprese CIP 6, non si poteva aggiungere integralmente la voce
VE introdotta per i rimborsi alle imprese elettriche acquirenti di certificati
verdi.
In particolare, l’appello sostiene che l’Autorità non potrebbe derogare alla
struttura legale della tariffa, per non danneggiare gli utenti, disponendo di
altri strumenti per evitare maggiorazioni sugli utenti finali quali la Cassa
Conguaglio.
Inoltre si contesta nell’appello la duplicazione degli oneri in presenza di due
differenti voci A3 e VE , disposte a compensazione, l’una degli oneri generali
del sistema e l’altra del rimborso del costo dell’acquisto dei certificati
verdi.
Il problema è quello della compatibilità con il sistema di tariffe amministrate
l’addossamento sui produttori di un onere nuovo rimasto senza rimborso.
Si contesta, inoltre, il passaggio argomentativo della sentenza impugnata nel
quale si evidenziava che l’impianto del ricorso di primo grado partiva da una
concezione meramente contabile degli obblighi, sostenendosi che il problema è
dato dall’utilizzazione di valori incoerenti rispetto ai costi sopportati.
Ritiene il Collegio che la sentenza abbia correttamente valutato il rischio di
duplicazione ingiustificata dei costi a carico degli utenti, analizzando le
conseguenze di un riconoscimento pieno dei costi d’acquisto dei certificati
verdi quando gli utenti sono già gravati dei costi sopportati dal sistema per
l’agevolazione delle aziende CIP 6.
Inoltre va considerato che la legge non ha previsto espressamente che le aziende
elettriche dovessero essere integralmente tenute indenni dei costi sopportati
dall’acquisto dei certificati verdi e dall’adempimento degli obblighi di cui
all’art. 11.
Né tale regola di rimborso integrale può farsi derivare dalla natura delle
tariffe amministrate ed, in particolare dall’art. 2 comma 12, lettera e) della
legge n. 481/1995 poiché le modalità del recupero dei costi eventualmente
sostenuti nell’interesse generale devono essere stabiliti in modo da assicurare
la realizzazione degli obiettivi generali di carattere sociale, di tutela
ambientale e di uso efficiente delle risorse, il che, secondo il Collegio,
giustifica l’effettuato contemperamento degli interessi che peraltro garantisce
ai produttori il rimborso di oltre il 70% dei costi sopportati per effetto di
scelte inefficienti.
L’Autorità – rileva il Collegio - ha operato con riferimento al costo dei
certificati IAFR perché recepire il costo del certificato GRTN avrebbe condotto
gli operatori a preferire proprio quella modalità di adempimento degli obblighi
di cui all’art. 11 citato ritenuta meno virtuosa.
Inoltre, essendo i certificati GRTN negoziabili solo al prezzo autoritativamente
fissato, ragionevole appare, al fine di incentivare la corretta utilizzazione
delle energie da fonti rinnovabili, il tener conto del prezzo di mercato del
bene più vicino a quello privo di prezzo di mercato (ossia il certificato verde
IAFR) ponderandolo con il criterio del costo/opportunità ovvero con il criterio
del costo evitato di impianto di generazione.
In ultimo va considerato che la componente tariffaria A 3 pagata sia sul mercato
libero che su quello vincolato già remunera la differenza pagata per l’acquisto
del certificato GRTN rispetto ai prezzi di mercato, così rendendo ragionevole ed
in concreto non disparitario il riferimento al prezzo di mercato come parametro
base per la ponderazione.
Non può sostenersi che il metodo di calcolo adottato dall’Autorità sia privo di
ragionevolezza e del tutto avulso da dati reali ed effettivi, anzi è un modo –
sofisticato - per tener conto di varie circostanze verificabili, accogliendo
significativamente la richiesta delle imprese in relazione sia alla effettiva
situazione di mercato che alla ponderazione con il criterio costo/opportunità
ottenuto dando rilievo al c.d. prezzo medio di generazione ( con intenti di
regolazione virtuosa del settore a fini ambientali ).
Per cui l’Autorità , nel calcolare, nella media ponderata, i valori Pgrtn e
Piafr, non ha tenuto conto né del prezzo effettivamente corrisposto per i
certificati GRTN né del prezzo effettivamente corrisposto per certificati IAFR
ma solo, nel primo caso, del prezzo medio IAFR indicativo del valore reale di
mercato da riconoscersi al certificato GRTN (e sul punto si veda quanto detto
nell’esame del quarto motivo a conferma della ragionevolezza di tale criterio)
e, nel secondo caso, solo del costo di generazione dell’energia da fonti
rinnovabili, calcolato con riferimento al 2001, ma anche alla situazione
prospettica degli impianti in corso di realizzazione , il tutto al netto dei
ricavi ottenibili dalla commercializzazione dei certificati IAFR.
Si tratta di valori che sono sicuramente ragionevoli e tecnicamente spiegabili,
in modo tale che non consente al giudice, una volta chiarito che non vi sono
motivi che impongano il recupero a piè di lista, di ritenere illegittimo
l’operato dell’Amministrazione, rispondente a canoni di discrezionalità tecnica.
Ne deriva il rigetto anche del terzo motivo di appello.
Con il quarto motivo di appello ( pag. 29 lett D ) si ripropone il quarto motivo
di ricorso e si contesta l’affermazione della sentenza secondo la quale la
tariffa garantisce la giusta remunerazione complessiva e non il recupero
integrale di ogni componente di costo.
Il motivo di appello ricorda che il danno sopportato da Edipower è pari a sette
milioni di euro.
Si conviene, nel motivo di appello, sul principio della giusta remunerazione
complessiva ma si sostiene che, nella specie, non vi sarebbe alcuna
compensazione in altre voci tariffarie.
Orbene il Collegio rileva che la tariffa deve assicurare la giusta remunerazione
e non il rimborso di analitiche voci di costo.
Ciò non comporta in caso di riconoscimento solo parziale di oneri sostenuti per
ragioni generali da operatori del mercato elettrico che debba essere prevista
un’altra componente tariffaria a compensazione degli oneri non riconosciuti,
poiché il mancato riconoscimento può trovare giustificazione nella necessità di
mantenere il mercato efficiente e di incentivare il ricorso a forme di energia
eco-compatibili , come nella specie.
Da ciò il rigetto del quarto motivo di appello.
Con il quinto motivo di appello ( lettera E ) si ripropone il quinto motivo di
ricorso.
Esso ripercorre le argomentazioni della sentenza relative alla necessità di una
maggiore oculatezza dei comportamenti imprenditoriali; sottolinea , in senso
contrario, l’impossibilità di realizzare centrali elettriche che usino fonti
rinnovabili in tempi brevi, rimarca l’avvenuto adempimento degli obblighi di cui
all’art. 11 mediante acquisto di certificati.
Il motivo è in parte ripetitivo di argomenti già avanzati in altre parti del
ricorso ma nasce da due presupposti erronei :
1) l’impossibilità di realizzare centrali elettriche che usino fonti rinnovabili
assunta come un dato assoluto ed indiscutibile, mentre tale obbligo è stato
previsto dal legislatore come obbligo principale,unico in grado di realizzare
perfettamente la voluntas legis, verso il quale doveva essere concentrato il
diligente sforzo degli imprenditori, che invece non sono stati in grado di
provare nemmeno di avere avviato progetti in tal senso e di averne in corso la
realizzazione;
2) l’equivalenza delle diverse modalità di adempimento degli obblighi di cui
all’art.11, equivalenza che invece non è possibile ritenere vigente nel sistema,
poiché l’acquisto dei certificati verdi non realizza alcun aumento della
capacità produttiva, in termini reali, di energia prodotta da fonti rinnovabili.
In tal senso la decisione del giudice di prime cure non merita riforma poiché è
legittima la valutazione discrezionale compiuta nella determinazione tariffaria,
con finalità incentivanti.
Il sesto motivo di ricorso (lett. F pag. 30 dell’atto di appello) ripropone il
sesto motivo del ricorso di primo grado relativo alla contraddittorietà fra
delibera impugnata e delibera n. 227/2004.
Di ciò si è già detto esaminando il secondo motivo di appello di cui il sesto
appare una riformulazione.
Il fatto poi che l’ammontare non rimborsato sia ingente non toglie nulla alla
legittimità della condotta assunta dall’amministrazione indipendente.
Ne deriva il rigetto dell’appello.
Sussistono giusti motivi per compensare le spese del giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Sesta, respinge
l’appello.
Spese compensate.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, il 21 marzo 2006 dal Consiglio di Stato, in sede
giurisdizionale - Sez.VI - nella Camera di Consiglio, con l'intervento dei
Signori:
Claudio VARRONE Presidente
Luigi MARUOTTI Consigliere
Lanfranco BALUCANI Consigliere
Rosanna DE NICTOLIS Consigliere
Giancarlo MONTEDORO Consigliere Est.
Presidente
CLAUDIO VARRONE
Consigliere
GIANCARLO MONTEDORO
Segretario
ANNAMARIA RICCI
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
il 06/07/2006
(Art. 55, L.27/4/1982, n.186)
Il Direttore della Sezione
MARIA RITA OLIVA
1) Inquinamento – Energia elettrica – D. lgs. 79/1999, art. 11 – Immissione nel sistema elettrico nazionale – Quota di energia prodotta da fonti rinnovabili – Certificati verdi – L. 481/1995 – Autorità per l’Energia Elettrica – Delibera n. 8/2004 – Recupero parziale dei costi – Legittimità. La legge n. 481/1995 non sancisce alcun principio giuridico che imponga il recupero integrale dei costi sostenuti dalle imprese elettriche per l’adempimento agli obblighi di cui all’art. 11 del d.lgs. n. 79/1999 (immissione nel sistema elettrico nazionale di una quota di energia elettrica pari al 2% prodotta da fonti rinnovabili, raggiungibile eventualmente con il sistema dei “certificati verdi”). Pertanto, l’Autorità per l’Energia Elettrica, nel garantire il recupero dei costi, deve mirare al contemperamento delle esigenze di equilibrio economico – finanziario delle imprese con altri obiettivi generali tra i quali assume particolare rilievo quello della tutela ambientale. Il riconoscimento dei costi mediante un parametro di media ponderata è diretto proprio a garantire economicità e redditività degli operatori stimolando comportamenti virtuosi dal punto di vista ambientale, ed incentivando la produzione di energia “pulita” o “eco-compatibile”, da sfruttamento di fonti rinnovabili. Ne deriva quindi la piena legittimità del recupero parziale di cui alla delibera n. 8/2004. Pres. Varrone, Est. Montedoro – E. s.p.a. (avv.ti Travi e Romanelli) c. Autorità per l’Energia Elettrica e il Gas (Avv. Stato) e altri (n.c.) - (conferma T.A.R. Lombardia, Milano, n. 6100/2004) - CONSIGLIO DI STATO, Sez. VI – 6 luglio 2006 (c.c. 21 marzo 2006), sentenza n. 4290
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