Per altre sentenze vedi: Sentenze per esteso
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REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
N. 5077/06 REG.DEC.
N. 8491 REG.RIC.
ANNO 1997
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Quinta Sezione ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso n. 8491/1997, proposto dalla s.r.l. S.A.B. Chimica Mineraria con
sede in Villaverla in persona del suo amministratore unico e legale
rappresentante pro tempore, sig. Stefano Gamba, rappresentato e difeso dagli avv.ti
Luigi Manzi e Franco Zambelli ed elettivamente domiciliato, in Roma alla via F.
Confalonieri, n. 7 presso lo studio del secondo;
contro
il comune di Posina, in persona del sindaco pro tempore, non costituitosi;
per la riforma
del sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale del Veneto, Sez. II, 5
ottobre 1996, n. 1612;
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visti gli atti tutti della causa e la produzione documentale delle parti;
Relatore, alla pubblica udienza del 14 marzo 2006 il cons. Cesare Lamberti e
udito l’avv. Andrea Manzi per delega dell’avv. Luigi Manzi.
Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue.
FATTO E DIRITTO
1) L’appellante, s.r.l. S.A.B. Chimica Mineraria è titolare dal 1951 della
concessione mineraria denominata "Zanoni" nel Comune di Posina. Espone di avere
chiesto il 23 giugno 1994 alla Regione Veneto lo svincolo idrogeologico per
l'ampliamento del cantiere minerario in località Boaro entro il perimetro
dell'anzidetta concessione mineraria. Sull’istanza, si esprimeva favorevolmente
la commissione consultiva in materia di lavori pubblici presso il genio civile
di Vicenza e la giunta regionale, con provvedimento 4 aprile 1995 n.. 1793,
autorizzava l’ampliamento del cantiere minerario, a parziale sanatoria ai fini
del vincolo idrologico, subordinando la realizzazione degli interventi alle
prescrizioni di massima e di polizia forestale vigenti. Con provvedimento 30
novembre 1995, il comune di Posina, vietava di effettuare interventi estrattivi
nel raggio di duecento metri dalla sorgente Laba al fine di evitare attività
pericolose alle caratteristiche potabili dell'acqua utilizzata perché difformi
al divieto di apertura di cave e pozzi in prossimità della sorgente stessa.
Avverso la sentenza del Il Tar del Veneto, rejettiva dei ricorsi, propone
appello la società.
2) Dei motivi di appello, è infondato il primo, con il quale si censura
l’assimilazione dell’attività mineraria alle aperture delle cave e dei pozzi per
il rispetto per le risorse idriche previste dall’art. 6 del D.P.R. 24 maggio
1988 n. 236: l’appellante ribadisce la diversità dell’attività mineraria a
quella di escavazione di pozzi o di estrazione di cava, per la diversità di
regimi autorizzatori e per le caratteristiche del materiale; l’art. 6 del D.P.R.
n. 236/88 vieta poi l’esercizio dell’attività estrattiva e non quella già
intrapresa, come quella di specie, corso sin dal 1951. Il Collegio osserva che
la decisione impugnata ha rapportato il divieto alla finalità di salvaguardare
le acque destinate al consumo umano di cui alla direttiva CE n. 80/778, attuato
con il regolamento di che trattasi. Il divieto di aprire cave nel raggio di 200
mt. dai punti di captazione delle acque risponde all’intento di non cagionare
l’inquinamento delle acque con l’attività estrattiva, comune sia alle cave che
alle miniere perché comunque impattanti il territorio. La comunanza d’intenti
giustifica l’assimilazione delle due categorie (“miniere” e “cave e torbiere”)
già nell’interpretazione della legge di delega 14 aprile 1927 n. 571 e nel
R.D.L.vo 29 luglio 1927 n. 1443: non avrebbe senso alcuno limitare l’attività di
cava meno invasiva del territorio, se le stesse limitazioni non fossero soggette
anche le miniere.
3) Perché attuativo di una direttiva comunitaria, il DPR n. 236/1988 ha
efficacia innovativa del DPR n. 128/1959 sul piano della competenza ad
autorizzare le attività di che trattasi, a prescindere dalla specialità delle
disposizioni. Vanno perciò respinte anche le ulteriori censure dell’appellante
sulla mancanza di potestà del sindaco a disporre delle suddette limitazioni nei
confronti degli organi centrali dell’amministrazione.
4) E’ poi infondato il terzo mezzo di gravame, per mancanza di contraddittorietà
fra il provvedimento sindacale e la delibera regionale del 4 aprile 1995 n.
1793. L’autorizzazione, a fini idrogeologici, ad ampliare il cantiere minerario,
non implica alcuna limitazione alla potestà locale di salvaguardare la
captazione di acque destinate al consumo umano, esercitata dall’autorità locale.
5) Sono infine privi di fondamento ambedue i profili del quarto motivo. Non era
anzitutto necessaria la previa delimitazione della zona, in quanto l’imposizione
della zona di rispetto non esula dei limiti dei duecento metri normativamente
previsti. Né poi è ravvisabile nel provvedimento sindacale impugnato, alcun
contenuto proprio delle ordinanze contingibili e urgenti, stante la mera
applicazione che si limita a fare dei divieti propri delle zone di rispetto
stabiliti nell’art.. 6 del D.P.R. 24 maggio 1988 n. 236.
L’appello deve essere respinto e va confermata la sentenza impugnata. In
mancanza di costituzione degli intimati, non occorre provvedere sulle spese del
grado.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quinta, pronunziando
sull’appello lo respinge confermando la sentenza di primo grado. Nulla per le
spese.
Così deciso in Roma nella Camera di Consiglio del 14 marzo 2006 con l’intervento
dei sigg.:
Agostino Elefante Presidente
Corrado Allegretta Consigliere
Paolo Buonvino Consigliere
Cesare Lamberti Consigliere, est.
Nicola Russo Consigliere
L'ESTENSORE
IL PRESIDENTE
f.to Cesare Lamberti
f.to Agostino Elefante
IL SEGRETARIO
f.to Cinzia Giglio
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 30 agosto 2006
(Art. 55. L. 27/4/1982, n. 186)
IL DIRIGENTE
f.to Antonio Natale
1) Acqua - Cave e miniere - D.P.R. n. 236/1988 - Tutela delle risorse idriche - Assimilazione delle miniere alle cave - Legittimità. E’ legittima l’assimilazione dell’attività mineraria all’apertura di cave e pozzi ai fini dell’applicazione della disciplina a tutela delle risorse idriche di cui al D.P.R. n. 236/1988. Il divieto di aprire cave nel raggio di 200 mt dai punti di captazione delle acque destinate al consumo umano risponde infatti all’intento di non cagionare l’inquinamento delle acque con l’attività estrattiva, comune sia alle cave che alle miniere perché comunque impattanti il territorio. La comunanza d’intenti giustifica pertanto l’assimilazione delle due categorie (“miniere” e “cave e torbiere”). Pres. Elefante, Est. Lamberti - S. s.r.l. (avv.ti Manzi e Zambelli) c. Comune di Posina (n.c.) - (Conferma TA.R. Veneto n. 1612/96) - CONSIGLIO DI STATO, Sez. V - 30 agosto 2006 (c.c. 14 marzo 2006), sentenza n. 5077
2) Acqua - Cave e miniere - Autorizzazione a fini idrogeologici - Potestà dell’ente locale a salvaguardare le acque destinate al consumo umano - Permanenza. L’autorizzazione, a fini idrogeologici, ad ampliare un cantiere minerario, non implica alcuna limitazione alla potestà di salvaguardare la captazione di acque destinate al consumo umano, esercitata dall’ente locale. Pres. Elefante, Est. Lamberti - S. s.r.l. (avv.ti Manzi e Zambelli) c. Comune di Posina (n.c.) - (Conferma TA.R. Veneto n. 1612/96) - CONSIGLIO DI STATO, Sez. V - 30 agosto 2006 (c.c. 14 marzo 2006), sentenza n. 5077
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