Per altre sentenze vedi: Sentenze per esteso
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REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
N. 5239/06
Reg.Dec.
N.1368-1507 Reg.Ric.
ANNO 2002
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) ha pronunciato la seguente
DECISIONE
1) sul ricorso in appello n. 1368/2002, proposto da RAUTY FRANCESCO
rappresentato e difeso dall’Avv. Tommaso Stanghellini con domicilio eletto in
Roma Via Celimontana 38, presso lo studio dell’Avv. Benito Panariti;
contro
il MINISTERO PER I BENI CULTURALI E AMBIENTALI in persona del Ministro p.t., non
costituito;
la SOPRINTENDENZA B.A.A. DI FIRENZE, PRATO E PISTOIA in persona del
Soprintendente p.t., rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato
con domicilio in Roma Via dei Portoghesi 12;
Interveniente ad Adiuvandum
il CONSIGLIO NAZIONALE DEGLI INGEGNERI in persona del Presidente p.t.,
rappresentato e difeso dall’Avv. Salvatore Bellomia con domicilio eletto in Roma
Via Gradisca n.7;
2) sul ricorso in appello n. 1507/2002, proposto dall’ORDINE DEGLI INGEGNERI
DELLA PROVINCIA DI PISTOIA rappresentato e difeso dall’Avv. Roberto Righi con
domicilio eletto in Roma Via G.Carducci 4;
contro
RAUTY FRANCESCO, MINISTERO PER I BENI E LE ATTIVITA' CULTURALI non costituiti;
Interveniente ad Adiuvandum
il CONSIGLIO NAZIONALE DEGLI INGEGNERI in persona del Presidente p.t.,
rappresentato e difeso dall’Avv. Salvatore Bellomia con domicilio eletto in Roma
Via Gradisca 7;
per l'annullamento, in entrambi i ricorsi
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale della Toscana, Sez. III 22
dicembre 2000, n. 2674;
Visti i ricorsi con i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio delle parti appellate;
Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
Vista l’ordinanza della Sezione 11 maggio 2005, n. 2379;
Visti gli atti tutti della causa;
Alla pubblica udienza del 21 marzo 2006 relatore il Consigliere Lanfranco
Balucani. Uditi altresì l’Avv. dello Stato Guida, l’Avv. Stanghellini e l’Avv.
Bellomia;
Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:
FATTO
Con ricorso giurisdizionale proposto dinanzi al TAR Toscana l’ing. Francesco
Rauty, laureato in Ingegneria civile nell’anno 1979 e iscritto all’albo degli
ingegneri di Pistoia, impugnava il provvedimento del 2.9.1997 con il quale la
Soprintendenza per i beni ambientali e architettonici di Firenze, Pistoia e
Prato ha negato il rilascio del nulla osta per lavori di straordinaria
manutenzione di un immobile sottoposto a vincolo di interesse storico-artistico
con la motivazione che <<il progetto non può essere accolto in quanto è stato
redatto da un tecnico non abilitato, in quanto non iscritto all’albo degli
architetti>>.
A fondamento del gravame il ricorrente deduceva:
- che la disposizione contenuta nell’art. 52 R.D. 22 ottobre 1925, n. 2537,
secondo cui <<le opere di edilizia civile che presentano rilevante carattere
artistico ed il restauro e il ripristino degli edifici contemplati dalla legge
20 giugno 1909, n. 364 per l’antichità e belle arti, sono di spettanza della
professione di architetto, ma la parte tecnica può essere compiuta tanto
dall’architetto quanto dall’ingegnere>>, deve ritenersi abrogata per effetto
delle successive disposizioni riguardanti la materia;
- che per effetto della direttiva comunitaria 10 giugno 1985, n. 384 in tema di
riconoscimenti dei titoli di studio, le cui disposizioni sono direttamente
applicabili e prevalgono sul diritto interno dei paesi membri della CEE, gli
ingegneri civili laureati prima della entrata in vigore della direttiva sono
automaticamente abilitati in tutta la Comunità (e quindi anche in Italia)
all’esercizio della professione di architetto.
Con la sentenza indicata in epigrafe il TAR adito ha respinto il ricorso avendo
ritenuto infondate le censure prospettate nel ricorso anche alla luce del parere
espresso dal Consiglio di Stato, Sez. II, con atto n. 386/97 del 23 luglio 1997.
Nei riguardi della anzidetta sentenza hanno proposto distinti atti di appello
l’ing. Rauty Francesco e l’Ordine degli Ingegneri della Provincia di Pistoia,
riproponendo le medesime questioni giuridiche prospettate in primo grado.
Con ordinanza n. 2379 del 2005 la Sezione ha rimesso alla Corte di Giustizia
delle Comunità europee di pronunciarsi pregiudizialmente sulla interpretazione
degli artt. 10 e 11 della direttiva comunitaria n. 384/1985.
Alla pubblica udienza del 21.3.2006 i due atti di appello sono stati trattenuti
in decisione.
DIRITTO
1. Va preliminarmente disposta, per evidenti ragioni di connessione, la riunione
dei due atti di appello in esame con i quali il dott. ing. Francesco Rauty, da
un lato, e l’Ordine degli Ingegneri della Provincia di Pistoia, dall’altro,
impugnano la sentenza del TAR Toscana che ha respinto il ricorso proposto dallo
stesso ing. Rauty avverso il provvedimento della Soprintendenza che negava la
competenza professionale degli ingegneri in tema di lavori da effettuarsi su
immobili tutelati dalla legge n. 1089/1939.
2. Le questioni sulle quali il Collegio deve pronunciarsi possono essere
riassunte nei termini che seguono:
a) se la limitazione posta dall’art. 52 del regolamento approvato con R.D. 23
ottobre 1925, n. 2537 (che riserva alla “professione di architetto” “le opere di
edilizia civile che presentano rilevante carattere artistico, e il restauro e il
ripristino degli edifici contemplati dalla legge 20 giugno 1909, n. 364” (poi
legge 1° giugno 1939, n. 1089), salvo che la “parte tecnica” che può essere
compiuta anche dall’“ingegnere”), risulti o meno superata dalla legislazione
successiva;
b) se in virtù della direttiva CEE 10 giugno 1985, n. 384 (recepita in Italia
con D.Lgs. 27 gennaio 1992, n. 129) debba ritenersi che il titolo di ingegnere
in ingegneria civile sia ormai equiparato a quello di architetto, ai fini
dell’accesso alle attività nel settore dell’architettura, con il conseguente
superamento della limitazione posta dal citato art. 52 R.D. n. 2537/1925;
c) se appartenga o meno alla competenza della Soprintendenza stabilire quando il
progetto delle opere di cui al citato art. 52 debba essere redatto da un
ingegnere o da un architetto.
3. Iniziando, per ordine logico, da quest’ultimo profilo non può essere
condivisa la tesi sostenuta nell’atto di appello dell’ing. Rauty, che ha negato
il potere della Soprintendenza di verificare la paternità professionale del
progetto richiamandosi ad un risalente parere del Consiglio di Stato (parere
Cons. St., 12 luglio 1969, n. 663/68).
Se è vero infatti che spetta alla Soprintendenza ai sensi dell’art. 18 L. n.
1089/1939 di autorizzare i progetti delle opere concernenti i beni sottoposti
alla legge stessa, il controllo del progetto - che mira ad assicurare la
conformità dell’intervento alla salvaguardia del valore storico-artistico del
bene - non può non estendersi anche alla verifica della idoneità professionale
del progettista (come stabilita dal legislatore), secondo quanto riconosciuto in
un più recente parere di questo Consiglio (Cfr. Cons. St. II, 23 luglio 1997, n.
386/97).
4. Assodato, per quanto precede, che nella fattispecie in esame il
Soprintendente aveva il potere di controllare se il progetto presentato si
conformasse alle regole in tema di competenza professionale, si tratta di
stabilire se la disposizione contenuta nell’art. 52 del Regolamento per la
professione di ingegnere e di architetto (approvato con R.D. n. 2537/1925) debba
considerarsi abrogata, come hanno prospettato gli odierni appellanti.
Nella ordinanza n. 2379 dell’11.5.2005, con la quale era stato rimesso alla
Corte di Giustizia delle Comunità Europee di decidere pregiudizialmente sulla
interpretazione della direttiva comunitaria n. 384/1985, la Sezione ha già
riconosciuto che tale asserita abrogazione non può essere comprovata facendo
riferimento al T.U. del 1933 sulla istruzione superiore (art. 173 e tabelle
allegate), ove il legislatore si è limitato ad equiparare le lauree di
architettura e di ingegneria civile in funzione dell’accesso alla professione di
architetto; e neppure richiamando la legge 7 dicembre 1961, n. 1264 (art. 15, 3°
comma) che, laddove prevede come requisito per ricoprire il ruolo di architetto
presso le Soprintendenze il possesso della laurea in architettura o in
ingegneria civile, non stabilisce con ciò alcuna equipollenza tra le due lauree
ai fini dello svolgimento della attività professionale.
Occorre aggiungere che la ripartizione delle competenze professionali tra
architetto e ingegnere, come delineata nel citato art. 52, R.D. n. 2537/1925,
non è venuta meno per effetto della normativa successiva che ha innovato la
disciplina per il conseguimento del titolo di architetto e di ingegnere.
È bensì vero infatti che nel 1925 per conseguire tali titoli era sufficiente il
semplice diploma di istruzione secondaria (e non già il diploma di laurea), e
che nell’attuale ordinamento universitario il laureato in ingegneria civile deve
avere acquisito una specifica preparazione anche nel campo dell’architettura,
talché potrebbe ritenersi ormai anacronistica la limitazione posta dal citato
art. 52 alla competenza professionale dell’odierno laureato in ingegneria, e in
ogni caso meritevole di essere adeguata alla mutata disciplina delle professioni
di architetto e di ingegnere civile.
Nondimeno la norma in questione, nella misura in cui vuole garantire che a
progettare interventi edilizi su immobili di interesse storico-artistico siano
professionisti forniti di una specifica preparazione nel campo delle arti, e
segnatamente di un adeguata formazione umanistica, deve ritenersi tuttora
vigente.
Fermo restando che, alla stregua della anzidetta disposizione, non la totalità
degli interventi concernenti gli immobili di interesse storico e artistico deve
essere affidata alla specifica professionalità dell’architetto, ma solo <<le
parti di intervento di edilizia civile che riguardino scelte culturali connesse
alla maggiore preparazione accademica conseguita dagli architetti nell’ambito
del restauro e risanamento degli immobili di interesse storico e artistico>>;
restando invece nella competenza dell’ingegnere civile la cd. parte tecnica,
cioè <<le attività progettuali e di direzione dei lavori che riguardano
l’edilizia civile vera e propria …>> (in questi termini Cons. St. II, n.
2038/2002 del 24 novembre 2004).
5. Si deve infine passare alla questione sulla quale si è maggiormente
incentrato il giudizio, vale a dire se la direttiva comunitaria 10 giugno 1985,
n. 384 abbia determinato la equiparazione dei titoli di architetto e di
ingegnere civile ai fini dell’esercizio delle attività professionali nel campo
della architettura, con conseguente superamento della normativa racchiusa
nell’art. 52 R.D. cit..
Al riguardo giova premettere che gli artt. 2 e segg. della direttiva dettano le
norme per il reciproco riconoscimento dei titoli di studio conseguiti dai
cittadini degli Stati membri a conclusione di studi universitari riguardanti
l’architettura, introducendo anche un regime transitorio di reciproco
riconoscimento di taluni titoli tassativamente indicati.
Tra i titoli che beneficiano di tale riconoscimento automatico l’art. 11
menziona per l’Italia:
<<- i diplomi di “laurea in architettura” rilasciati dalle università, dagli
istituti politecnici e dagli istituti superiori di architettura di Venezia e di
Reggio Calabria, accompagnati dal diploma di abilitazione all’esercizio
indipendente della professione di architetto, rilasciato dal ministro della
Pubblica Istruzione una volta che il candidato abbia sostenuto con successo,
davanti ad un’apposita Commissione, l’esame di Stato che abilita all’esercizio
indipendente della professione di architetto (dott. architetto);
- i diplomi di “laurea in ingegneria” nel settore della costruzione civile
rilasciati dalle università e dagli istituti politecnici, accompagnati dal
diploma di abilitazione all’esercizio indipendente di una professione nel
settore dell’architettura, rilasciato dal ministro della Pubblica Istruzione una
volta che il candidato abbia sostenuto con successo, davanti ad un’apposita
Commissione, l’esame di Stato che lo abilita all’esercizio indipendente della
professione (dott. ing. architetto o dott. ing. in ingegneria civile>>.
Con la ordinanza n. 2379 dell’11.5.2005 la Sezione ha rimesso alla Corte di
Giustizia delle Comunità Europee di decidere pregiudizialmente se per effetto
della applicazione degli artt. 10 e 11 della Direttiva dovesse ritenersi attuata
nell’ordinamento interno la equiparazione anzidetta. Con la stessa ordinanza si
sottoponeva alla Corte di Giustizia la prospettazione degli odierni appellanti
secondo cui, in difetto di una siffatta equiparazione, la normativa italiana
avrebbe potuto dar luogo ad una discriminazione alla rovescia poiché,
diversamente dagli ingegneri civili che hanno conseguito il titolo rilasciato in
Italia, i soggetti in possesso di un titolo di ingegnere civile rilasciato da
altro Stato membro avrebbero accesso (ove tale titolo sia menzionato nell’elenco
di cui all’art. 11 della Direttiva) alle attività che in Italia sono riservate
agli architetti, ai sensi del ripetuto art. 52 R.D. n. 2537/1925.
Ma alla ordinanza della Sezione la Corte ha risposto trasmettendo la decisione
già assunta in fattispecie del tutto identica a quella in esame, nella quale si
afferma che <<la Direttiva 85/384 non si propone di disciplinare le condizioni
di accesso alla professione di architetto, né di definire la natura delle
attività svolte da chi esercita tale professione>>; ma ha invece ad oggetto
solamente <<il reciproco riconoscimento, da parte degli Stati membri, dei
diplomi, dei certificati e degli altri titoli rispondenti a determinati
requisiti qualitativi e quantitativi minimi in materia di formazione allo scopo
di agevolare l’esercizio effettivo del diritto di stabilimento e di libera
prestazione dei servizi per le attività del settore della architettura…>>.
In definitiva, secondo la Corte, la direttiva non impone allo Stato membro di
porre i diplomi di laurea in architettura e in ingegneria civile indicati
all’art. 11 su un piano di perfetta parità per quanto riguarda l’accesso alla
professione di architetto in Italia; né tantomeno può essere di ostacolo ad una
normativa nazionale che riservi ai soli architetti i lavori riguardanti gli
immobili d’interesse storico-artistico sottoposti a vincolo.
Alla stregua delle conclusioni formulate dalla Corte deve dunque ritenersi
infondata la tesi degli appellanti secondo cui la disposizione dell’art. 52 R.D.
cit. sarebbe stata superata dalla direttiva comunitaria.
Residua il problema, prospettato nella stessa pronuncia della Corte di
Giustizia, se la disposizione in questione per effetto della direttiva
comunitaria realizzi una discriminazione vietata dal diritto nazionale in
relazione al trattamento che sarebbe riservato a chi è in possesso di uno dei
titoli di ingegneria civile elencati all’art. 11 della direttiva; e se dunque
possa essere sospettata di illegittimità costituzionale per contrasto con gli
artt. 3, 35 e 41 Cost. secondo quanto sostenuto dalle parti appellanti.
Ma siffatti dubbi non hanno ragion d’essere ove si consideri che la stessa Corte
di Giustizia ritiene che la direttiva non imponga allo Stato membro di porre su
un piano di perfetta parità i diplomi di laurea in architettura e in ingegneria
civile per quanto riguarda l’accesso all’attività di architetto in Italia.
In altri termini, dalla applicazione della direttiva non consegue affatto che
chi è in possesso di un diploma di laurea in ingegneria civile conseguito in un
altro Stato della Comunità possa accedere all’esercizio di attività
professionali riservate specificatamente agli architetti (secondo la
legislazione italiana), a differenza di chi tale titolo abbia conseguito in
Italia.
6. Alla stregua delle considerazioni che precedono i due atti di appello
all’esame del Collegio vanno respinti dovendosi riconoscere che nelle
fattispecie in questione la Soprintendenza ha correttamente applicato la
disposizione di cui all’art. 52 R.D. n. 2537/1925.
Sussistono giusti motivi per compensare le spese processuali del presente grado
di giudizio tra le parti in causa.
P.Q.M.
il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Sesta, riunisce i due
ricorsi in appello in epigrafe indicati e, definitivamente pronunciando sui
medesimi, li respinge.
Spese compensate.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, il 21 marzo 2006 dal Consiglio di Stato, in sede
giurisdizionale - Sez.VI - nella Camera di Consiglio, con l'intervento dei
Signori:
Claudio VARRONE Presidente
Luigi MARUOTTI Consigliere
Lanfranco BALUCANI Consigliere Est.
Rosanna DE NICTOLIS Consigliere
Francesco CARINGELLA Consigliere
Presidente
f.to Claudio Varrone
Consigliere
Segretario
f.to Lanfranco Balucani
f.to Anna Maria Ricci
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
il 11/09/2006.
(Art. 55, L.27/4/1982, n.186)
Il Direttore della Sezione
f.to Maria Rita Oliva
1) Beni culturali e ambientali - Autorizzazione progetti - Poteri di controllo e verifiche della Soprintendenza. Spetta alla Soprintendenza ai sensi dell’art. 18 L. n. 1089/1939 autorizzare i progetti delle opere concernenti i beni sottoposti alla legge stessa, il controllo del progetto - che mira ad assicurare la conformità dell’intervento alla salvaguardia del valore storico-artistico del bene - e la verifica della idoneità professionale del progettista, (Cfr. Cons. St. II, 23 luglio 1997, n. 386/97). Pres. Varrone - Est. Balucani - Rauty (Avv. Stanghellini) c. MINISTERO PER I BENI CULTURALI E AMBIENTALI (conferma TAR Toscana, Sez. III 22 dicembre 2000, n. 2674). CONSIGLIO DI STATO Sez. VI, 11 Settembre 2006 (C.c. 21/3/2006), Sentenza n. 5239
2) Beni culturali e ambientali - Ripartizione delle competenze professionali tra architetto e ingegnere. La ripartizione delle competenze professionali tra architetto e ingegnere, come delineata nell’art. 52, R.D. n. 2537/1925, non è venuta meno per effetto della normativa successiva che ha innovato la disciplina per il conseguimento del titolo di architetto e di ingegnere. Sicché, continua ad essere vigente, la norma diretta a garantire che a progettare interventi edilizi su immobili di interesse storico-artistico siano professionisti forniti di una specifica preparazione nel campo delle arti, e segnatamente di un adeguata formazione umanistica. Fermo restando che, alla stregua della anzidetta disposizione, non la totalità degli interventi concernenti gli immobili di interesse storico e artistico deve essere affidata alla specifica professionalità dell’architetto, ma solo <<le parti di intervento di edilizia civile che riguardino scelte culturali connesse alla maggiore preparazione accademica conseguita dagli architetti nell’ambito del restauro e risanamento degli immobili di interesse storico e artistico>>; restando invece nella competenza dell’ingegnere civile la cd. parte tecnica, cioè <<le attività progettuali e di direzione dei lavori che riguardano l’edilizia civile vera e propria …>> (in questi termini Cons. St. II, n. 2038/2002 del 24 novembre 2004). Pres. Varrone - Est. Balucani - Rauty (Avv. Stanghellini) c. MINISTERO PER I BENI CULTURALI E AMBIENTALI (conferma TAR Toscana, Sez. III 22 dicembre 2000, n. 2674). CONSIGLIO DI STATO Sez. VI, 11 Settembre 2006 (C.c. 21/3/2006), Sentenza n. 5239
3) Beni culturali e ambientali - Accesso alla professione in Italia - Competenze professionali - Direttiva 85/384. La Direttiva 85/384 non impone allo Stato membro di porre i diplomi di laurea in architettura e in ingegneria civile indicati all’art. 11 su un piano di perfetta parità per quanto riguarda l’accesso alla professione di architetto in Italia; né tantomeno può essere di ostacolo ad una normativa nazionale che riservi ai soli architetti i lavori riguardanti gli immobili d’interesse storico-artistico sottoposti a vincolo. In altri termini, dalla applicazione della direttiva non consegue affatto che chi è in possesso di un diploma di laurea in ingegneria civile conseguito in un altro Stato della Comunità possa accedere all’esercizio di attività professionali riservate specificatamente agli architetti (secondo la legislazione italiana), a differenza di chi tale titolo abbia conseguito in Italia. Pres. Varrone - Est. Balucani - Rauty (Avv. Stanghellini) c. MINISTERO PER I BENI CULTURALI E AMBIENTALI (conferma TAR Toscana, Sez. III 22 dicembre 2000, n. 2674). CONSIGLIO DI STATO Sez. VI, 11 Settembre 2006 (C.c. 21/3/2006), Sentenza n. 5239
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