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 Massime della sentenza

 

 

CONSIGLIO DI STATO Sez. V, 28 febbraio 2006 (c.c. 21.6.2005), Sentenza n. 879

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO


Reg. Dec. 851/06
N. 3371 Reg. Ric.
Anno: 2005

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta) ha pronunciato la seguente


DECISIONE


sul ricorso in appello n.r.g. 3371 del 2005, proposto dal sig- Giovanni Battista Ciccarelli, quale titolare e legale rappre-sentante della omonima ditta, con sede in Giugliano in Campania, rappresentato e difeso dagli avv. Giuseppe Minieri e Domenico Vitale ed elettivamente domiciliato con essi in Roma, presso la segreteria del Consiglio di Stato,
contro
il Comune di Giugliano in Campania, rappresentato e difeso dall’avv. Gherardo Marone e con lui elettivamente domiciliato presso lo studio dell’avv. Luigi Napolitano, in Roma, viale Angelico, n. 38,
e nei confronti
della s.p.a. I.GI.CA, con sede in Caivano, non costituita,
del Commissario straordinario per l’emergenza rifiuti in Campania, delegato con ordinanza del Presidente del consiglio dei ministri 27 febbraio 2004, n. 3341 e successive modificazioni, non costituito;
dell’Ufficio territoriale del Governo - Prefettura di Napoli, non costituito;
della Regione Campania, non costituita;
per l'annullamento
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale della Campania, I Sezione, n. 19713/2004, pubblicata il 27 dicembre 2004.
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio della parte suindicata;
Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
Visti gli atti tutti della causa;
Designato relatore, alla pubblica udienza del 15 novembre 2005, il consigliere Giuseppe Farina ed uditi, altresì, i difensori delle parti, avv.ti Minieri, Vitale e Marone, come da verbale d’udienza;
Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue.


FATTO


1. Il ricorso in appello n. 3371 del 2005 è proposto dal titolare della ditta G. B. Ciccarelli. È stato notificato in data 21 e 22 aprile 2005 e depositato il 26 aprile 2005.


2. È oggetto d’impugnazione la sentenza n. 19713 del 2004, con la quale il Tribunale amministrativo regionale della Campania, Sezione I, ha respinto due ricorsi della stessa impresa avverso la revoca dell’affidamento del servizio di “Igiene urbana”, nel Comune di Giugliano, ed una serie di atti connessi dell’Ufficio territoriale del Governo - Prefettura di Napoli, del Commissario di Governo per l’emergenza rifiuti nella Regione e dello stesso Sindaco nella medesima vicenda.


3. Sono dedotte due argomentate censure nei riguardi della decisione impugnata e dei provvedimenti suddetti ed è avanzata richiesta di risarcimento dei danni.


4. Il Comune intimato si è costituito per resistere al ricorso.


Nessuna delle altre parti intimate si è costituita in appello.


5. All’udienza del 15 novembre 2005, il ricorso è stato chiamato in discussione e, poi, trattenuto in decisione.


DIRITTO


1. Sono stati impugnati in primo grado:
1.1. il provvedimento, in data 29 gennaio 2004, del sindaco del Comune intimato, di revoca, a decorrere dal 9 febbraio 2004, dell’affidamento del servizio di igiene urbana nel Comune stesso, già conferito con deliberazione di giunta n. 219 del 24 ottobre 2001;
1.2. la precedente conforme deliberazione di giunta del 28 gennaio;
1.3. il provvedimento del sindaco in data 7 maggio 2004 e la deliberazione della giunta municipale n. 114 del 5 maggio 2004 di conferma delle misure sopra dette;
1.4. la connessa nota prefettizia n. 1/0897 del 15 ottobre 2003, recante “informativa interdittiva” ex art. 10 d.p.r. 3 giugno 1998, n. 252, in tema di elementi relativi a tentativi di infiltrazione mafiosa in società o imprese che hanno rapporti con amministrazioni pubbliche;
1.5. l’ordinanza 06/26 gennaio 2004, con la quale il sub commissario del Governo per l’emergenza rifiuti in Campania, vista l’informazione, fornita dal Comune in data 22 ottobre 2003, sulle ditte affidatarie del servizio di raccolta e trasporto dei rifiuti, ha disposto il subingresso della società per azioni indicata in epigrafe nei predetti servizi comunali;
1.6. una serie di altri atti connessi, la cui elencazione non è rilevante per questo grado di giudizio.


2.1. L’atto intorno al quale ruota la vicenda in esame è la predetta nota prefettizia del 15 ottobre 2003. Con essa si dà comunicazione all’ente locale che l’impresa, ora appellante, era stata oggetto di “informativa interdittiva” in data 23 agosto 1999, e che, come già era stato reso noto con una precedente lettera del 25 luglio 2002, quell’informativa poteva ritenersi “ancora attuale”.


2.2. La sentenza impugnata ha respinto, per quel che qui interessa, i ricorsi contro tutti gli atti concernenti l’informativa ostativa “antimafia” e la revoca dell’affidamento del servizio.


2.3. Si possono, in proposito, esporre le osservazioni che seguono, circa i criteri che devono ispirare sia l’azione degli enti, sia l’interpretazione delle norme che inibiscono, nei casi in esame, l’instaurazione od il proseguimento di rapporti, di regola contrattuali, con imprese suscettibili di tentativi di infiltrazioni della criminalità organizzata, che ne possano condizionare l’attività.


Vanno sin d’ora fatte queste premesse, circa:
2.2.1. la funzione fondamentale dell’informativa prefettizia, che, ove positiva, determina ineludibilmente la sorte dei contratti in essere con le amministrazioni pubbliche, senza spazi per valutazioni discrezionali;
2.2.2. la latitudine delle fonti d’indagine, che tuttavia, se al di fuori delle fattispecie tipiche enunciate nell’art. 10, comma 7, lett. a) e b), del citato d.p.r. 252 del 1998, esigono che si dia conto degli elementi specifici raccolti e del nesso fra questi e la situazione negativamente valutata dalla legge;
2.2.3. la natura degli interessi implicati, nel campo del contrasto alla criminalità organizzata, che sposta, con scopi di prevenzione, la soglia della difesa sociale a posizioni di rischio di condizionamenti e di interferenze, di carattere potenziale;
2.2.4. l’esigenza che sia, in ogni caso, garantito il sindacato giurisdizionale sulla concreta esistenza dei presupposti, cui la legge si richiama per consentire di comprimere talune situazioni soggettive.
3. Le considerazioni del primo giudice gravitano, nel caso in esame:
3.1. sul fatto che l’informazione, data dal prefetto, e che - si può qui aggiungere - consiste, più propriamente in una valutazione di una serie di circostanze di varia fonte, reputa ancora attuale una precedente conclusione esposta in una informazione “ostativa” del 23 agosto 1999. Il T.A.R. ha chiarito che, oltre gli elementi posti a fondamento della precedente informativa, erano da considerare una nota dell’Arma dei carabinieri del 2003, le risultanze del casellario giudiziario del 2002, la segnalazione di una serie di denunce ed arresti, per il titolare della ditta, la segnalazione di numerosi soggetti pregiudicati annoverati fra i dipendenti della ditta, la segnalazione di frequentazioni con pregiudicati appartenenti alla “camorra”, con indicazione di nove nomi cui erano ascritti vari precedenti penali;
3.2. sul fatto che la contestazione di “non attualità” degli accertamenti non era da condividere, in dipendenza dei dati sopra elencati;
3.3. sulla motivazione dell’atto prefettizio, avuto riguardo ai dati raccolti, da ritenere logica alla luce di una lettura non atomistica del complesso degli elementi indiziari.
4.1. Il primo motivo del ricorso in appello è imperniato sulla tesi della violazione dell’art. 10, comma 7, lettera c), del d.p.r. 3 giugno 1998, n. 252.
In sintesi, partendo dalla considerazione che i fatti sui quali si basa il giudizio del prefetto devono essere precisi, comprovati ed attuali, sì da dimostrare il persistere del condizionamento mafioso, si pone in rilievo che non sono da ritenere attuali situazioni risalenti nel tempo, vale a dire dall’anno 1964 all’anno 1999. Si esprime perciò critica alla valutazione negativa, sulla scorta:
- della precedente “informativa” del 23 agosto 1999;
- di una espressione contenuta in una nota del 3 aprile 2003 dei Carabinieri, circa l’assenza di “elementi oggettivi tali da far ritenere che” la persona in questione “sia appartenente alla criminalità organizzata”;
- delle risultanze del casellario giudiziario del 2002, nelle quali, si fa notare, è riportato, quale “fatto nuovo”, soltanto una condanna per lesioni colpose pronunciata nel 2000 e per un fatto risalente al 1993;
- della presenza, fra i dipendenti della ditta, di pregiudicati, mentre per tre di essi il rapporto di lavoro è stato risolto da anni e uno di essi non ha mai fatto parte del personale;
- della non incidenza del richiamo al comportamento del figlio dell’interessato, perché condotta che non può automaticamente convertirsi in cause di inaffidabilità del padre;
- del fatto che il comportamento del legale rappresentante della ditta non ha dato adito a censure di sorta dal 1996.


4.2. Il motivo non merita adesione.


Deve essere, certo, condivisa la premessa che - al di fuori delle ipotesi tipiche, descritte alle lettere a) e b) del comma 7, dell’art. 10 del citato d.p.r. 3 giugno 1998, n. 252, nelle quali sono precisati i provvedimenti donde si desumono immediatamente i tentativi di infiltrazione mafiosa nelle imprese - ogni altro accertamento di fatti, ammesso dalla lettera c) della stessa norma, si deve concretare in elementi puntuali, comprovati ed attuali, come anche ha riconosciuto la giurisprudenza di questo Consiglio di Stato. Ma l’attualità dei fatti e del rischio, che deriva dall’emersione di tentativi di infiltrazione della criminalità organizzata in organismi imprenditoriali, va intesa in senso diverso da quella sostenuta dalla parte appellante. Vale a dire che, se non vi sono fatti nuovi, rispetto ad una precedente valutazione di presenza di tentativi siffatti, non è ragionevole, per ciò solo, concludere per il venir meno di essa.


Invero, il divieto di contrarre, ex art. 10, comma 1, d.p.r. 252/98, o l’esigenza di annullare o revocare il provvedimento che ha consentito il contratto o la concessione, hanno una funzione spiccatamente cautelare. Prescindono, quindi, dal concreto accertamento, in sede penale, di reati, ma si basano sulla oggettiva rilevazione di fatti, suscettibili di condizionare scelte ed indirizzi di imprese che hanno, o mirano ad avere rapporti economici con pubbliche amministrazioni o con soggetti privati, che ne svolgono le funzioni. Si fondano, perciò, su fattori di pericolo.


Questi fattori si manifestano per evidenze oggettive. Ma il rischio si può considerare fugato, non tanto e non solo per il trascorrere di un più o meno breve lasso di tempo dall’ultima verifica fatta e senza che sia emersa alcuna nuova evenienza negativa, quanto per il sopraggiungere anche di fatti positivi, idonei a dar conto di un nuovo, e consolidato operare dei soggetti cui è stato ricollegato il pericolo, che persuasivamente e fattivamente giustifichi che si discostino ormai dalla situazione rilevata in precedenza.


Orbene, i fatti enunciati ed esaminati nell’appello non hanno la valenza positiva necessaria con riguardo alla situazione verificata pochi anni prima. Perché dimostrano soltanto che nessun ulteriore addebito può essere mosso, o è stato mosso, alla persona esaminata. Non che sia sicuramente scomparsa ogni situazione di rapporto con la malavita organizzata o, quanto meno, che se ne possa trarre un giudizio diverso, e ciò a causa del non consistente tempo trascorso dall’ultimo dei fatti di rischio accertati. In specie, quando viene riconosciuto che la situazione di “contatti” inquinanti si è protratta dal 1964 al 1999, per trentacinque anni (sopra: 4.1).


E poi, in punto di fatto, non vi sono elementi concreti sulla cessazione della frequentazione di persone pregiudicate. Invero, sono stati dal primo giudice, messi in luce collegamenti “inquinanti” del titolare della ditta con almeno otto (un nono sarebbe deceduto) appartenenti ad un preciso “clan” camorristico, senza che siano stati smentiti con il ricorso in questa sede.


5. Il secondo motivo dell’appello lamenta che è mancata la comunicazione di avvio del procedimento volto alla revoca dell’affidamento dell’appalto del servizio.


Viene, in proposito, richiamata la giurisprudenza che esige siffatta comunicazione, in mancanza di esigenze di celerità, e quella che afferma che si deve così procedere anche in vista di atti da assumere con contenutp vincolato.


Anche questa censura non può essere condivisa.


Si può, invero, omettere di verificare le singole situazioni che, in concreto, hanno indotto, nei giudizi citati dalla parte, alle affermazioni riportate, giacché, nella specie, è sufficiente rimarcare:
a) che certamente non corrisponde allo scopo partecipativo, cui mira l’art. 7 della l. 7 agosto 1990, n. 241, l’avvio di un accertamento indagatorio in tema di contatti con la criminalità organizzata;
b) che altrettanto negativamente va risolta la questione della previa conoscenza da darsi dell’avvio del procedimento di revoca in questione, dopo il compimento delle indagini. E ciò proprio per il carattere spiccatamente cautelare della misura, nella quale esso sfocia, e che fa rilevare quelle esigenze di celerità, che, nell’esplicita premessa dell’art. 7, comma 1, rendono giustificata l’omissione della notizia partecipativa altrimenti prescritta.


6. Dalla infondatezza dell’appello per quel che riguarda la revoca dell’appalto, deriva la mancanza di fondamento della domanda risarcitoria avanzata.


7. Alla conferma della sentenza impugnata può farsi seguire la compensazione delle spese fra le parti costituite.


P.Q.M.


Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quinta, respinge l’appello n. 3371 del 2005.


Spese compensate.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità amministrativa.


Così deciso in Roma, dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), nella camera di consiglio del 15 novembre 2005, con l'intervento dei Signori:
Sergio Santoro Presidente
Giuseppe Farina rel. est. Consigliere
Corrado Allegretta Consigliere
Chiarenza Millemaggi Consigliere
Nicola Russo Consigliere
L’Estensore Il Presidente
f.to Giuseppe Farina ff.to Sergio Santoro
Il Segretario


DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 28 febbraio 2006
(Art. 55. L. 27/4/1982, n. 186)
p.IL DIRIGENTE
F.to Livia Patroni Griffi
 

M A S S I M E

Sentenza per esteso


1) Appalti - Tentativi di infiltrazione mafiosa - Nozione di “attualità dei fatti e del rischio” - Art. 10, c. 7, lett. a) e b), D.P.R. 252/98. Al di fuori delle ipotesi tipiche, descritte alle lettere a) e b) del comma 7, dell’art. 10 del D.P.R. 3 giugno 1998, n. 252, nelle quali sono precisati i provvedimenti donde si desumono immediatamente i tentativi di infiltrazione mafiosa nelle imprese - ogni altro accertamento di fatti, ammesso dalla lettera c) della stessa norma, si deve concretare in elementi puntuali, comprovati ed attuali. Ma l’attualità dei fatti e del rischio, che deriva dall’emersione di tentativi di infiltrazione della criminalità organizzata in organismi imprenditoriali, va intesa: se non vi sono fatti nuovi, rispetto ad una precedente valutazione di presenza di tentativi siffatti, non è ragionevole, per ciò solo, concludere per il venir meno di essa. CONSIGLIO DI STATO Sez. V, 28 febbraio 2006 (C.C. 15/11/2005), Sentenza n. 851

2) Appalti - Divieto di contrarre, ex art. 10, c. 1, D.P.R. 252/98 - Esigenza di annullare o revocare il provvedimento - Funzione cautelare - Fattori di pericolo - Fattispecie: revoca dell’affidamento del servizio di “Igiene urbana” per tentativi di infiltrazione mafiosa. Il divieto di contrarre, ex art. 10, comma 1, D.P.R. 252/98, o l’esigenza di annullare o revocare il provvedimento che ha consentito il contratto o la concessione, hanno una funzione spiccatamente cautelare. Prescindono, quindi, dal concreto accertamento, in sede penale, di reati, ma si basano sulla oggettiva rilevazione di fatti, suscettibili di condizionare scelte ed indirizzi di imprese che hanno, o mirano ad avere rapporti economici con pubbliche amministrazioni o con soggetti privati, che ne svolgono le funzioni. Si fondano, perciò, su fattori di pericolo. Nella specie, l’informazione, data dal prefetto, consisteva, in una valutazione di una serie di circostanze di varia fonte, reputa ancora attuale una precedente conclusione esposta in una informazione “ostativa”. Il T.A.R. ha chiarito che, oltre gli elementi posti a fondamento della precedente informativa, erano da considerare una nota dell’Arma dei carabinieri del 2003, le risultanze del casellario giudiziario del 2002, la segnalazione di una serie di denunce ed arresti, per il titolare della ditta, la segnalazione di numerosi soggetti pregiudicati annoverati fra i dipendenti della ditta, la segnalazione di frequentazioni con pregiudicati appartenenti alla “camorra”, con indicazione di nove nomi cui erano ascritti vari precedenti penali; Ciccarelli (avv. Minieri e Vitale) c. Comune di Giugliano in Campania (avv. Marone) (conferma TAR Campania, I Sezione, n. 19713/2004, pubblicata il 27/12/2004). CONSIGLIO DI STATO Sez. V, 28 febbraio 2006 (C.C. 15/11/2005), Sentenza n. 851

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