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registrata presso il Tribunale di Patti Reg. n. 197 del 19/07/2006
CORTE DI
GIUSTIZIA DELLE COMUNITA' EUROPEE, Sez. VI, 30 novembre 2006, Causa C-293/05
Inquinamento idrico - Trattamento delle acque reflue urbane - Provincia
di Varese - Inquinamento e danni - Inadempimento di uno Stato - Direttiva
91/271/CEE. Non avendo adottato le misure per assicurare che al 31
dicembre 1998 le acque reflue urbane dell’agglomerato formato da vari comuni
della provincia di Varese situati nel bacino del fiume Olona fossero
soggette ad un trattamento più spinto di quello secondario o equivalente
previsto dall’art. 4 della direttiva del Consiglio 21 maggio 1991,
91/271/CEE, concernente il trattamento delle acque reflue urbane (GU L 135,
pag. 40), la Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi che ad essa
incombono in forza dell’art. 5, nn. 2 e 5, di tale direttiva. Commissione
delle Comunità europee c. Repubblica italiana. CORTE DI GIUSTIZIA CE,
Sez. VI, 30 novembre 2006, Causa C-293/05
CORTE DI
GIUSTIZIA
delle Comunità
Europee,
SENTENZA DELLA CORTE
(Sesta Sezione)
30 novembre 2006
«Inadempimento di uno Stato - Direttiva 91/271/CEE - Inquinamento e
danni - Trattamento delle acque reflue urbane - Provincia di Varese»
Nella causa C-293/05,
avente ad oggetto un ricorso per inadempimento ai sensi dell’art. 226
CE, presentato il 20 luglio 2005,
Commissione delle Comunità europee, rappresentata dalle sig.re S. Pardo
Quintillán e D. Recchia, in qualità di agenti, con domicilio eletto in
Lussemburgo,
ricorrente,
contro
Repubblica italiana, rappresentata dal sig. I.M. Braguglia, in qualità
di agente, assistito dal sig. M. Fiorilli, avvocato dello Stato, con
domicilio eletto in Lussemburgo,
convenuta,
LA CORTE (Sesta Sezione),
composta dal sig. A. Borg Barthet (relatore), facente funzione di
presidente della Sesta Sezione, dai sigg. J. Malenovský e A. Ó Caoimh,
giudici,
avvocato generale: sig. P. Léger
cancelliere: sig. R. Grass
vista la fase scritta del procedimento,
vista la decisione, adottata dopo aver sentito l’avvocato generale, di
giudicare la causa senza conclusioni,
ha pronunciato la seguente
Sentenza
1 Con il suo ricorso, la Commissione delle Comunità europee chiede alla
Corte di constatare che, non avendo adottato le misure per assicurare
che, al 31 dicembre 1998, le acque reflue dell’agglomerato formato da
vari comuni della provincia di Varese situati nel bacino del fiume Olona
(in prosieguo: l’«agglomerato interessato») fossero soggette ad un
trattamento più spinto di quello secondario o equivalente previsto
dall’art. 4 della direttiva del Consiglio 21 maggio 1991, 91/271/CEE,
concernente il trattamento delle acque reflue urbane (GU L 135, pag. 40;
in prosieguo: la «direttiva»), la Repubblica italiana è venuta meno agli
obblighi che ad essa incombono in forza dell’art. 5, nn. 2 e 5, di
questa stessa direttiva.
Ambito normativo
2 L’art. 3, n. 1, della direttiva stabilisce:
«Gli Stati membri provvedono affinché tutti gli agglomerati siano
provvisti di reti fognarie per le acque reflue urbane,
- entro il 31 dicembre 2000 per quelli con un numero di abitanti
equivalenti (a.e.) superiore a 15 000 e
- entro il 31 dicembre 2005 per quelli con numero di a.e. compreso tra 2
000 e 15 000.
Per le acque reflue urbane che si immettono in acque recipienti
considerate “aree sensibili” ai sensi della definizione di cui
all’articolo 5, gli Stati membri garantiscono che gli agglomerati con
oltre 10 000 a.e. siano provvisti di reti fognarie al più tardi entro il
31 dicembre 1998.
(…)».
3 Ai sensi dell’art. 4 della direttiva:
«1. Gli Stati membri provvedono affinché le acque reflue urbane che
confluiscono in reti fognarie siano sottoposte, prima dello scarico, ad
un trattamento secondario o ad un trattamento equivalente, secondo le
seguenti modalità:
- al più tardi entro il 31 dicembre 2000 per tutti gli scarichi
provenienti da agglomerati con oltre 15 000 a.e.
(…)».
4 L’art. 5 della direttiva prevede:
«1. Per conseguire gli scopi di cui al paragrafo 2, gli Stati membri
individuano, entro il 31 dicembre 1993, le aree sensibili secondo i
criteri stabiliti nell’allegato II.
2. Gli Stati membri provvedono affinché le acque reflue urbane che
confluiscono in reti fognarie siano sottoposte, prima dello scarico in
aree sensibili, ad un trattamento più spinto di quello descritto
all’articolo 4 al più tardi entro il 31 dicembre 1998 per tutti gli
scarichi provenienti da agglomerati con oltre 10 000 a.e.
3. Gli scarichi provenienti dagli impianti di trattamento delle acque
reflue urbane descritti al paragrafo 2 devono soddisfare ai pertinenti
requisiti previsti dall’allegato I B. Tali requisiti possono essere
modificati secondo la procedura prevista all’articolo 18.
4. In alternativa, i requisiti stabiliti ai paragrafi 2 e 3 per i
singoli impianti non necessitano di applicazione nelle aree sensibili in
cui può essere dimostrato che la percentuale minima di riduzione del
carico complessivo in ingresso a tutti gli impianti di trattamento delle
acque reflue urbane in quella determinata area è pari almeno al 75% per
il fosforo totale e almeno al 75% per l’azoto totale.
5. Gli scarichi provenienti dagli impianti di trattamento delle acque
reflue urbane situati all’interno dei bacini drenanti in aree sensibili
e che contribuiscono all’inquinamento di tali aree, sono soggetti ai
paragrafi 2, 3 e 4.
(…)».
La fase precontenziosa del procedimento
5 In seguito a una denuncia che le era stata presentata, la Commissione,
con lettera 22 agosto 2001, ha chiesto alla Repubblica italiana di
fornirle informazioni relativamente allo scarico di acque reflue da
parte dell’agglomerato interessato il cui numero di AE è superiore a 15
000.
6 Poiché le autorità italiane non hanno risposto alla richiesta di
informazioni della Commissione, quest’ultima ha inviato loro in data 12
novembre 2001 una seconda lettera sottolineando i doveri di tale Stato
membro ai sensi dell’art. 10 CE.
7 Durante una riunione tenutasi il 24 e il 25 gennaio 2002, le autorità
italiane hanno informato la Commissione del fatto che un progetto per la
realizzazione di un impianto di depurazione delle acque reflue, da
situarsi in località Torba, presso il comune di Gornate Olona, era in
corso di elaborazione. Esse hanno menzionato gli sforzi effettuati al
fine del completamento del detto progetto e hanno indicato che gli
impianti sarebbero stati operativi nel 2003. Con una lettera della
rappresentanza permanente della Repubblica italiana presso l’Unione
europea in data 30 gennaio 2002, le dette autorità hanno confermato le
informazioni fornite durante tale riunione.
8 Ritenendo che, ai sensi dell’art. 5, n. 5, della direttiva, le acque
reflue urbane derivanti dall’agglomerato interessato avrebbero dovuto
essere assoggettate, entro il 31 dicembre 1998, ad un trattamento più
spinto di quello secondario o equivalente previsto dall’art. 4 di tale
direttiva, la Commissione, in data 17 ottobre 2003 e conformemente al
procedimento previsto dall’art. 226 CE, ha inviato alla Repubblica
italiana una lettera di diffida invitandola a presentare le sue
osservazioni.
9 In risposta a tale richiesta, le autorità italiane, con nota 11
febbraio 2004, hanno inviato alla Commissione una lettera del
Dipartimento per le risorse idriche - Direzione per la tutela delle
acque interne del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del territorio,
datata 31 dicembre 2003, nonché una relazione del Consorzio volontario
per la tutela, il risanamento e la salvaguardia delle acque del fiume
Olona, datata 19 dicembre 2003.
10 Ritenendo che questa risposta non fosse soddisfacente, la
Commissione, in data 9 luglio 2004, ha emesso un parere motivato
invitando la Repubblica italiana a prendere tutte le misure per
conformarsi agli obblighi derivanti dall’art. 5, nn. 2 e 5, della
direttiva per quanto riguarda l’agglomerato interessato, entro due mesi
dalla notifica di tale parere. Le autorità italiane hanno risposto al
detto parere con lettera 19 ottobre 2004.
11 Non essendo soddisfatta delle informazioni fornite dalla Repubblica
italiana, la Commissione ha introdotto il presente ricorso.
Sul ricorso
Argomenti delle parti
12 La Commissione fa presente che l’agglomerato interessato ha un numero
di AE superiore a 15 000. Essa precisa che non contesta, nell’ambito
della presente causa, la mancata designazione da parte del governo
italiano di questa area come area sensibile, in quanto è pendente a tal
fine un’apposita procedura di infrazione. Tuttavia, la Commissione
ritiene che il bacino drenante all’interno del quale si trova
l’agglomerato interessato sia parte di un’area situata all’interno del
bacino del Po, ufficialmente designata come area sensibile, di modo che,
non adottando le misure per assicurare che entro il 31 dicembre 1998 le
acque reflue urbane dell’agglomerato interessato fossero soggette a un
trattamento più spinto di quello secondario o equivalente previsto
dall’art. 4 della direttiva, la Repubblica italiana è venuta meno agli
obblighi che ad essa incombono in forza dell’art. 5, nn. 2 e 5, di
questa stessa direttiva.
13 La Commissione sottolinea che, nonostante i notevoli sforzi delle
autorità competenti, l’agglomerato interessato non è, a tutt’oggi,
ancora provvisto di impianti di depurazione che assicurino alle acque
reflue provenienti da questo agglomerato un trattamento più spinto di
quello previsto dall’art. 4 della direttiva.
14 Dal canto suo, il governo italiano fa rilevare, innanzi tutto, che la
lettera di diffida della Commissione menziona l’art. 5 della direttiva,
mentre nella corrispondenza fino allora scambiata era stato menzionato
l’art. 4 della stessa. A tal riguardo, il detto governo addebita alla
Commissione di aver fatto riferimento, nel corso della fase preliminare
del procedimento di infrazione costituita dalla lettera del 22 agosto
2001, all’art. 4 della direttiva, che prevede l’introduzione, per gli
scarichi di acque reflue urbane che confluiscono in reti fognarie, di un
trattamento secondario o equivalente entro il 31 dicembre 2000 per gli
agglomerati con oltre 15 000 AE, prima di basarsi successivamente, nella
fase della diffida del 17 ottobre 2003, sull’art. 5 della direttiva, il
quale impone agli Stati membri di provvedere alla realizzazione di un
trattamento più spinto rispetto al trattamento secondario previsto
dall’art. 4 della stessa direttiva entro il 31 dicembre 1998 per gli
agglomerati con oltre 10 000 AE, allorché le acque reflue urbane vengono
scaricate in aree sensibili.
15 Il governo italiano afferma anche che la lettera di diffida che la
Commissione ha inviato alla Repubblica italiana non indicava i motivi
per cui il territorio interessato dal progetto di impianto di
depurazione del comune di Gornate Olona è stato qualificato come «area
sensibile».
16 Peraltro, tale governo sostiene che il termine di due mesi che è
stato impartito alla Repubblica italiana nel parere motivato per
conformarvisi è insufficiente. A tal riguardo fa rilevare che, in modo
assoluto, i termini previsti dalle direttive non sono mai
sufficientemente congrui, e in modo particolare quando, come nella
fattispecie, è necessario prevedere ingenti risorse finanziare per
conformarsi agli obblighi derivanti da una direttiva.
17 Infine, il governo italiano fa valere che la rappresentanza
permanente della Repubblica italiana presso l’Unione europea, con
lettera 14 febbraio 2005, con la quale si trasmetteva la nota del
Ministero dell’Ambiente e della Tutela del territorio del 27 gennaio
2005, ha comunicato alla Commissione che le risorse occorrenti per la
realizzazione dell’impianto di depurazione del comune di Gornate Olona
ammontavano a EUR 15 780 589,76 e che una parte dei fondi necessari per
la costruzione di tale impianto in un’unica fase era stata anticipata
dalla Regione Lombardia.
Giudizio della Corte
Sulla regolarità del procedimento
18 In via preliminare, occorre rilevare che il governo italiano, senza
sollevare formalmente un’eccezione di irricevibilità, sembra affermare
che il ricorso per inadempimento non può essere accolto poiché la
Commissione ha avviato il procedimento di infrazione basandosi su un
articolo della direttiva diverso da quello al quale si è riferito nella
fase preliminare. Infatti, il detto governo fa valere che, in tale fase,
la Commissione ha fatto riferimento unicamente all’art. 4 della
direttiva, mentre, nella fase successiva costituita dalla diffida, ha
fatto riferimento all’art. 5 della detta direttiva.
19 A tal riguardo, si deve ricordare che, secondo una costante
giurisprudenza, in un ricorso per inadempimento la fase precontenziosa
del procedimento ha lo scopo di offrire allo Stato membro interessato
l’opportunità, da un lato, di conformarsi agli obblighi ad esso
incombenti in forza del diritto comunitario e, dall’altro, di far valere
utilmente i suoi motivi di difesa contro gli addebiti formulati dalla
Commissione (v., in particolare, sentenza 24 giugno 2004, causa
C‑350/02, Commissione/Paesi Bassi, Racc. pag. I-6213, punto 18 e
giurisprudenza ivi richiamata).
20 La regolarità di tale procedimento costituisce una garanzia
essenziale prevista dal Trattato CE non soltanto a tutela dei diritti
dello Stato membro di cui trattasi, ma anche per garantire che
l’eventuale procedimento contenzioso verta su una controversia
chiaramente definita (v., in particolare, citata sentenza
Commissione/Paesi Bassi, punto 19 e giurisprudenza ivi richiamata).
21 L’oggetto di un ricorso proposto ai sensi dell’art. 226 CE è pertanto
determinato dalla fase precontenziosa del procedimento prevista dalla
medesima disposizione. Il parere motivato della Commissione ed il
ricorso devono essere basati sui medesimi motivi e mezzi, di modo che la
Corte non può esaminare una censura che non sia stata sollevata nel
parere motivato, il quale deve contenere un’esposizione coerente e
particolareggiata delle ragioni che hanno indotto la Commissione al
convincimento che lo Stato membro interessato sia venuto meno ad un
obbligo ad esso incombente in forza del Trattato (v., in tal senso,
citata sentenza Commissione/Paesi Bassi, punto 20 e giurisprudenza ivi
richiamata).
22 In pratica, l’avvio di un procedimento di infrazione nei confronti di
uno Stato membro è preceduto da una fase informale nel corso della quale
la Commissione cerca di ottenere tutte le informazioni che essa ritiene
necessarie al fine, e quindi prima, di procedere, eventualmente,
all’invio di una lettera di diffida.
23 Nella fattispecie, dopo aver analizzato le informazioni contenute
nella denuncia ad essa presentata, la Commissione ha chiesto alle
autorità italiane di fornirle un certo numero di chiarimenti. Lo scambio
di lettere che ne è conseguito costituisce precisamente questa fase
preliminare al procedimento d’infrazione propriamente detto, il quale ha
avuto inizio formalmente con l’invio della lettera di diffida, in data
17 ottobre 2003.
24 In tale contesto, non si può utilmente sostenere che il riferimento,
nella lettera di diffida, ad un articolo della direttiva di cui non è
stata fatta menzione nella fase preliminare, ha posto la Repubblica
italiana nell’impossibilità di adempiere i suoi obblighi o di far valere
utilmente i suoi motivi di difesa.
25 Per quanto riguarda l’argomento della Repubblica italiana secondo cui
il termine che è stato ad essa impartito nel parere motivato era
insufficiente, occorre ricordare che, secondo la giurisprudenza della
Corte, il duplice scopo perseguito dalla fase precontenziosa del
procedimento (v. punto 19 della presente sentenza) impone alla
Commissione di concedere agli Stati membri un termine ragionevole per
rispondere alla lettera di diffida e per conformarsi al parere motivato
o, eventualmente, per preparare la propria difesa. Per valutare la
ragionevolezza del termine impartito, si deve tener conto del complesso
delle circostanze caratterizzanti la fattispecie (v. sentenze 2 febbraio
1988, causa 293/85, Commissione/Belgio, Racc. pag. 305, punto 14, e 28
ottobre 1999, causa C‑328/96, Commissione/Austria, Racc. pag. I-7479,
punto 51).
26 Nella fattispecie, la Repubblica italiana ha avuto un termine di
circa sei anni per conformarsi alle disposizioni dell’art. 5, nn. 2 e 5,
della direttiva, ossia dal 31 dicembre 1998, data limite
dell’adempimento stabilita da tale direttiva, al 9 settembre 2004, data
di scadenza del termine fissato nel parere motivato.
27 Inoltre, la Commissione aveva ricordato alla Repubblica italiana già
nel 2001 gli obblighi ad essa incombenti in forza della direttiva e il
progetto di costruzione di un impianto di depurazione delle acque reflue
urbane nell’agglomerato interessato aveva costituito oggetto di una
riunione e di uno scambio di corrispondenza tra le autorità italiane e
la Commissione all’inizio del 2002, ossia più di due anni e mezzo prima
della scadenza del termine fissato nel parere motivato.
28 In tale contesto, occorre considerare che il termine stabilito dalla
Commissione nel parere motivato è ragionevole e il ricorso presentato
dalla Commissione è ricevibile.
Sulla fondatezza della censura
29 Occorre innanzi tutto ricordare che l’insieme delle acque reflue
urbane che provengono da agglomerati aventi, come l’agglomerato
interessato, oltre 10 000 AE, e che si riversano in un’area sensibile
doveva, ai sensi dell’art. 5, n. 2, della direttiva, essere sottoposto,
a decorrere al più tardi dal 31 dicembre 1998, ad un trattamento più
spinto di quello previsto dall’art. 4 n. 1, della direttiva.
30 Occorre ricordare anche che la Corte ha già dichiarato che è
indifferente, in relazione all’art. 5, n. 2, della direttiva, che le
acque reflue urbane si riversino direttamente o indirettamente in
un’area sensibile (v., in particolare, sentenza 25 aprile 2002, causa
C-396/00, Commissione/Italia, Racc. pag. I‑3949, punto 29).
31 Infatti, l’art. 3, n. 1, secondo comma, della direttiva, che riguarda
gli scambi di acque reflue urbane che si immettono in acque recipienti
considerate aree sensibili, e l’art. 5, n. 2, della direttiva, che
prescrive che le acque reflue urbane che confluiscono in reti fognarie
siano sottoposte ad un trattamento più spinto prima dello scarico in
aree sensibili, non fanno alcuna distinzione a seconda che gli scarichi
in un’area sensibile siano diretti o indiretti (sentenza
Commissione/Italia, sopraccitata, punto 30).
32 L’obbiettivo della direttiva, ossia proteggere l’ambiente, così come
quello dell’art. 174, n. 2, CE, disposizione che mira ad assicurare un
elevato livello di tutela in materia ambientale, sarebbero compromessi
se unicamente le acque reflue che si riversano direttamente in un’area
sensibile fossero sottoposte ad un trattamento più spinto di quello
previsto all’art. 4 n. 1, della direttiva.
33 Ora, è pacifico che l’agglomerato interessato è situato all’interno
di un bacino drenante in una zona corrispondente al Lambro‑Olona
meridionale. Non è nemmeno contestato il fatto che tale bacino facesse
parte esso stesso di un’area situata all’interno del bacino del Po, il
quale si riversa in un’area designata come area sensibile.
34 Non risulta affatto dalle osservazioni presentate alla Corte dal
governo italiano che le acque reflue urbane riversate, anche
indirettamente, nell’area del bacino del fiume Olona siano state
sottoposte ad un trattamento più spinto del trattamento secondario o
equivalente previsto dall’art. 4, n. 1, della direttiva.
35 Per quanto riguarda l’argomento del governo italiano relativo alle
ingenti risorse finanziarie necessarie per costruire l’impianto di
depurazione richiesto per conformarsi ai requisiti della direttiva,
occorre ricordare che, secondo una costante giurisprudenza, uno Stato
membro non può eccepire difficoltà pratiche o amministrative per
giustificare l’inosservanza degli obblighi e dei termini stabiliti da
una direttiva. Lo stesso dicasi per le difficoltà finanziarie che spetta
agli Stati membri superare adottando le misure adeguate (v. sentenze 5
luglio 1990, causa C-42/89, Commissione/Belgio, Racc. pag. I‑2821, punto
24; 15 maggio 2003, causa C‑419/01, Commissione/Spagna, Racc. pag.
I‑4947, punto 22, e 16 ottobre 2003, causa C-433/02, Commissione/Belgio,
Racc. pag. I‑12191, punto 22).
36 Si deve pertanto ritenere fondato il ricorso presentato dalla
Commissione.
37 Di conseguenza, occorre constatare che, non avendo adottato le misure
per assicurare che al 31 dicembre 1998 le acque reflue urbane
dell’agglomerato interessato fossero soggette ad un trattamento più
spinto di quello secondario o equivalente previsto dall’art. 4 della
direttiva, la Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi che ad
essa incombono in forza dell’art. 5, nn. 2 e 5, di tale direttiva.
Sulle spese
38 Ai sensi dell’art. 69, n. 2, del regolamento di procedura, la parte
soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. Poichè
la Commmissione ha chiesto la condanna alle spese della Repubblica
italiana, rimasta soccombente nei suoi motivi, quest’ultima dev’essere
condannata alle spese.
Per questi motivi, la Corte (Sesta Sezione) dichiara e statuisce:
1) Non avendo adottato le misure per assicurare che al 31 dicembre 1998
le acque reflue urbane dell’agglomerato formato da vari comuni della
provincia di Varese situati nel bacino del fiume Olona fossero soggette
ad un trattamento più spinto di quello secondario o equivalente previsto
dall’art. 4 della direttiva del Consiglio 21 maggio 1991, 91/271/CEE,
concernente il trattamento delle acque reflue urbane (GU L 135, pag.
40), la Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi che ad essa
incombono in forza dell’art. 5, nn. 2 e 5, di tale direttiva.
2) La Repubblica italiana è condannata alle spese.
Firme
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