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CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNITA' EUROPEE, Sez. VI, 30 novembre 2006, Causa C-293/05



Inquinamento idrico - Trattamento delle acque reflue urbane - Provincia di Varese - Inquinamento e danni - Inadempimento di uno Stato - Direttiva 91/271/CEE. Non avendo adottato le misure per assicurare che al 31 dicembre 1998 le acque reflue urbane dell’agglomerato formato da vari comuni della provincia di Varese situati nel bacino del fiume Olona fossero soggette ad un trattamento più spinto di quello secondario o equivalente previsto dall’art. 4 della direttiva del Consiglio 21 maggio 1991, 91/271/CEE, concernente il trattamento delle acque reflue urbane (GU L 135, pag. 40), la Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi che ad essa incombono in forza dell’art. 5, nn. 2 e 5, di tale direttiva. Commissione delle Comunità europee c. Repubblica italiana. CORTE DI GIUSTIZIA CE, Sez. VI, 30 novembre 2006, Causa C-293/05




CORTE DI GIUSTIZIA

delle Comunità Europee,


SENTENZA DELLA CORTE (Sesta Sezione)

30 novembre 2006

«Inadempimento di uno Stato - Direttiva 91/271/CEE - Inquinamento e danni - Trattamento delle acque reflue urbane - Provincia di Varese»

Nella causa C-293/05,

avente ad oggetto un ricorso per inadempimento ai sensi dell’art. 226 CE, presentato il 20 luglio 2005,

Commissione delle Comunità europee, rappresentata dalle sig.re S. Pardo Quintillán e D. Recchia, in qualità di agenti, con domicilio eletto in Lussemburgo,

ricorrente,

contro

Repubblica italiana, rappresentata dal sig. I.M. Braguglia, in qualità di agente, assistito dal sig. M. Fiorilli, avvocato dello Stato, con domicilio eletto in Lussemburgo,

convenuta,

LA CORTE (Sesta Sezione),

composta dal sig. A. Borg Barthet (relatore), facente funzione di presidente della Sesta Sezione, dai sigg. J. Malenovský e A. Ó Caoimh, giudici,

avvocato generale: sig. P. Léger

cancelliere: sig. R. Grass

vista la fase scritta del procedimento,

vista la decisione, adottata dopo aver sentito l’avvocato generale, di giudicare la causa senza conclusioni,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1 Con il suo ricorso, la Commissione delle Comunità europee chiede alla Corte di constatare che, non avendo adottato le misure per assicurare che, al 31 dicembre 1998, le acque reflue dell’agglomerato formato da vari comuni della provincia di Varese situati nel bacino del fiume Olona (in prosieguo: l’«agglomerato interessato») fossero soggette ad un trattamento più spinto di quello secondario o equivalente previsto dall’art. 4 della direttiva del Consiglio 21 maggio 1991, 91/271/CEE, concernente il trattamento delle acque reflue urbane (GU L 135, pag. 40; in prosieguo: la «direttiva»), la Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi che ad essa incombono in forza dell’art. 5, nn. 2 e 5, di questa stessa direttiva.

Ambito normativo

2 L’art. 3, n. 1, della direttiva stabilisce:

«Gli Stati membri provvedono affinché tutti gli agglomerati siano provvisti di reti fognarie per le acque reflue urbane,

- entro il 31 dicembre 2000 per quelli con un numero di abitanti equivalenti (a.e.) superiore a 15 000 e

- entro il 31 dicembre 2005 per quelli con numero di a.e. compreso tra 2 000 e 15 000.

Per le acque reflue urbane che si immettono in acque recipienti considerate “aree sensibili” ai sensi della definizione di cui all’articolo 5, gli Stati membri garantiscono che gli agglomerati con oltre 10 000 a.e. siano provvisti di reti fognarie al più tardi entro il 31 dicembre 1998.

(…)».

3 Ai sensi dell’art. 4 della direttiva:

«1. Gli Stati membri provvedono affinché le acque reflue urbane che confluiscono in reti fognarie siano sottoposte, prima dello scarico, ad un trattamento secondario o ad un trattamento equivalente, secondo le seguenti modalità:

- al più tardi entro il 31 dicembre 2000 per tutti gli scarichi provenienti da agglomerati con oltre 15 000 a.e.

(…)».

4 L’art. 5 della direttiva prevede:

«1. Per conseguire gli scopi di cui al paragrafo 2, gli Stati membri individuano, entro il 31 dicembre 1993, le aree sensibili secondo i criteri stabiliti nell’allegato II.

2. Gli Stati membri provvedono affinché le acque reflue urbane che confluiscono in reti fognarie siano sottoposte, prima dello scarico in aree sensibili, ad un trattamento più spinto di quello descritto all’articolo 4 al più tardi entro il 31 dicembre 1998 per tutti gli scarichi provenienti da agglomerati con oltre 10 000 a.e.

3. Gli scarichi provenienti dagli impianti di trattamento delle acque reflue urbane descritti al paragrafo 2 devono soddisfare ai pertinenti requisiti previsti dall’allegato I B. Tali requisiti possono essere modificati secondo la procedura prevista all’articolo 18.

4. In alternativa, i requisiti stabiliti ai paragrafi 2 e 3 per i singoli impianti non necessitano di applicazione nelle aree sensibili in cui può essere dimostrato che la percentuale minima di riduzione del carico complessivo in ingresso a tutti gli impianti di trattamento delle acque reflue urbane in quella determinata area è pari almeno al 75% per il fosforo totale e almeno al 75% per l’azoto totale.

5. Gli scarichi provenienti dagli impianti di trattamento delle acque reflue urbane situati all’interno dei bacini drenanti in aree sensibili e che contribuiscono all’inquinamento di tali aree, sono soggetti ai paragrafi 2, 3 e 4.

(…)».

La fase precontenziosa del procedimento

5 In seguito a una denuncia che le era stata presentata, la Commissione, con lettera 22 agosto 2001, ha chiesto alla Repubblica italiana di fornirle informazioni relativamente allo scarico di acque reflue da parte dell’agglomerato interessato il cui numero di AE è superiore a 15 000.

6 Poiché le autorità italiane non hanno risposto alla richiesta di informazioni della Commissione, quest’ultima ha inviato loro in data 12 novembre 2001 una seconda lettera sottolineando i doveri di tale Stato membro ai sensi dell’art. 10 CE.

7 Durante una riunione tenutasi il 24 e il 25 gennaio 2002, le autorità italiane hanno informato la Commissione del fatto che un progetto per la realizzazione di un impianto di depurazione delle acque reflue, da situarsi in località Torba, presso il comune di Gornate Olona, era in corso di elaborazione. Esse hanno menzionato gli sforzi effettuati al fine del completamento del detto progetto e hanno indicato che gli impianti sarebbero stati operativi nel 2003. Con una lettera della rappresentanza permanente della Repubblica italiana presso l’Unione europea in data 30 gennaio 2002, le dette autorità hanno confermato le informazioni fornite durante tale riunione.

8 Ritenendo che, ai sensi dell’art. 5, n. 5, della direttiva, le acque reflue urbane derivanti dall’agglomerato interessato avrebbero dovuto essere assoggettate, entro il 31 dicembre 1998, ad un trattamento più spinto di quello secondario o equivalente previsto dall’art. 4 di tale direttiva, la Commissione, in data 17 ottobre 2003 e conformemente al procedimento previsto dall’art. 226 CE, ha inviato alla Repubblica italiana una lettera di diffida invitandola a presentare le sue osservazioni.

9 In risposta a tale richiesta, le autorità italiane, con nota 11 febbraio 2004, hanno inviato alla Commissione una lettera del Dipartimento per le risorse idriche - Direzione per la tutela delle acque interne del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del territorio, datata 31 dicembre 2003, nonché una relazione del Consorzio volontario per la tutela, il risanamento e la salvaguardia delle acque del fiume Olona, datata 19 dicembre 2003.

10 Ritenendo che questa risposta non fosse soddisfacente, la Commissione, in data 9 luglio 2004, ha emesso un parere motivato invitando la Repubblica italiana a prendere tutte le misure per conformarsi agli obblighi derivanti dall’art. 5, nn. 2 e 5, della direttiva per quanto riguarda l’agglomerato interessato, entro due mesi dalla notifica di tale parere. Le autorità italiane hanno risposto al detto parere con lettera 19 ottobre 2004.

11 Non essendo soddisfatta delle informazioni fornite dalla Repubblica italiana, la Commissione ha introdotto il presente ricorso.

Sul ricorso

Argomenti delle parti

12 La Commissione fa presente che l’agglomerato interessato ha un numero di AE superiore a 15 000. Essa precisa che non contesta, nell’ambito della presente causa, la mancata designazione da parte del governo italiano di questa area come area sensibile, in quanto è pendente a tal fine un’apposita procedura di infrazione. Tuttavia, la Commissione ritiene che il bacino drenante all’interno del quale si trova l’agglomerato interessato sia parte di un’area situata all’interno del bacino del Po, ufficialmente designata come area sensibile, di modo che, non adottando le misure per assicurare che entro il 31 dicembre 1998 le acque reflue urbane dell’agglomerato interessato fossero soggette a un trattamento più spinto di quello secondario o equivalente previsto dall’art. 4 della direttiva, la Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi che ad essa incombono in forza dell’art. 5, nn. 2 e 5, di questa stessa direttiva.

13 La Commissione sottolinea che, nonostante i notevoli sforzi delle autorità competenti, l’agglomerato interessato non è, a tutt’oggi, ancora provvisto di impianti di depurazione che assicurino alle acque reflue provenienti da questo agglomerato un trattamento più spinto di quello previsto dall’art. 4 della direttiva.

14 Dal canto suo, il governo italiano fa rilevare, innanzi tutto, che la lettera di diffida della Commissione menziona l’art. 5 della direttiva, mentre nella corrispondenza fino allora scambiata era stato menzionato l’art. 4 della stessa. A tal riguardo, il detto governo addebita alla Commissione di aver fatto riferimento, nel corso della fase preliminare del procedimento di infrazione costituita dalla lettera del 22 agosto 2001, all’art. 4 della direttiva, che prevede l’introduzione, per gli scarichi di acque reflue urbane che confluiscono in reti fognarie, di un trattamento secondario o equivalente entro il 31 dicembre 2000 per gli agglomerati con oltre 15 000 AE, prima di basarsi successivamente, nella fase della diffida del 17 ottobre 2003, sull’art. 5 della direttiva, il quale impone agli Stati membri di provvedere alla realizzazione di un trattamento più spinto rispetto al trattamento secondario previsto dall’art. 4 della stessa direttiva entro il 31 dicembre 1998 per gli agglomerati con oltre 10 000 AE, allorché le acque reflue urbane vengono scaricate in aree sensibili.

15 Il governo italiano afferma anche che la lettera di diffida che la Commissione ha inviato alla Repubblica italiana non indicava i motivi per cui il territorio interessato dal progetto di impianto di depurazione del comune di Gornate Olona è stato qualificato come «area sensibile».

16 Peraltro, tale governo sostiene che il termine di due mesi che è stato impartito alla Repubblica italiana nel parere motivato per conformarvisi è insufficiente. A tal riguardo fa rilevare che, in modo assoluto, i termini previsti dalle direttive non sono mai sufficientemente congrui, e in modo particolare quando, come nella fattispecie, è necessario prevedere ingenti risorse finanziare per conformarsi agli obblighi derivanti da una direttiva.

17 Infine, il governo italiano fa valere che la rappresentanza permanente della Repubblica italiana presso l’Unione europea, con lettera 14 febbraio 2005, con la quale si trasmetteva la nota del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del territorio del 27 gennaio 2005, ha comunicato alla Commissione che le risorse occorrenti per la realizzazione dell’impianto di depurazione del comune di Gornate Olona ammontavano a EUR 15 780 589,76 e che una parte dei fondi necessari per la costruzione di tale impianto in un’unica fase era stata anticipata dalla Regione Lombardia.

Giudizio della Corte

Sulla regolarità del procedimento

18 In via preliminare, occorre rilevare che il governo italiano, senza sollevare formalmente un’eccezione di irricevibilità, sembra affermare che il ricorso per inadempimento non può essere accolto poiché la Commissione ha avviato il procedimento di infrazione basandosi su un articolo della direttiva diverso da quello al quale si è riferito nella fase preliminare. Infatti, il detto governo fa valere che, in tale fase, la Commissione ha fatto riferimento unicamente all’art. 4 della direttiva, mentre, nella fase successiva costituita dalla diffida, ha fatto riferimento all’art. 5 della detta direttiva.

19 A tal riguardo, si deve ricordare che, secondo una costante giurisprudenza, in un ricorso per inadempimento la fase precontenziosa del procedimento ha lo scopo di offrire allo Stato membro interessato l’opportunità, da un lato, di conformarsi agli obblighi ad esso incombenti in forza del diritto comunitario e, dall’altro, di far valere utilmente i suoi motivi di difesa contro gli addebiti formulati dalla Commissione (v., in particolare, sentenza 24 giugno 2004, causa C‑350/02, Commissione/Paesi Bassi, Racc. pag. I-6213, punto 18 e giurisprudenza ivi richiamata).

20 La regolarità di tale procedimento costituisce una garanzia essenziale prevista dal Trattato CE non soltanto a tutela dei diritti dello Stato membro di cui trattasi, ma anche per garantire che l’eventuale procedimento contenzioso verta su una controversia chiaramente definita (v., in particolare, citata sentenza Commissione/Paesi Bassi, punto 19 e giurisprudenza ivi richiamata).

21 L’oggetto di un ricorso proposto ai sensi dell’art. 226 CE è pertanto determinato dalla fase precontenziosa del procedimento prevista dalla medesima disposizione. Il parere motivato della Commissione ed il ricorso devono essere basati sui medesimi motivi e mezzi, di modo che la Corte non può esaminare una censura che non sia stata sollevata nel parere motivato, il quale deve contenere un’esposizione coerente e particolareggiata delle ragioni che hanno indotto la Commissione al convincimento che lo Stato membro interessato sia venuto meno ad un obbligo ad esso incombente in forza del Trattato (v., in tal senso, citata sentenza Commissione/Paesi Bassi, punto 20 e giurisprudenza ivi richiamata).

22 In pratica, l’avvio di un procedimento di infrazione nei confronti di uno Stato membro è preceduto da una fase informale nel corso della quale la Commissione cerca di ottenere tutte le informazioni che essa ritiene necessarie al fine, e quindi prima, di procedere, eventualmente, all’invio di una lettera di diffida.

23 Nella fattispecie, dopo aver analizzato le informazioni contenute nella denuncia ad essa presentata, la Commissione ha chiesto alle autorità italiane di fornirle un certo numero di chiarimenti. Lo scambio di lettere che ne è conseguito costituisce precisamente questa fase preliminare al procedimento d’infrazione propriamente detto, il quale ha avuto inizio formalmente con l’invio della lettera di diffida, in data 17 ottobre 2003.

24 In tale contesto, non si può utilmente sostenere che il riferimento, nella lettera di diffida, ad un articolo della direttiva di cui non è stata fatta menzione nella fase preliminare, ha posto la Repubblica italiana nell’impossibilità di adempiere i suoi obblighi o di far valere utilmente i suoi motivi di difesa.

25 Per quanto riguarda l’argomento della Repubblica italiana secondo cui il termine che è stato ad essa impartito nel parere motivato era insufficiente, occorre ricordare che, secondo la giurisprudenza della Corte, il duplice scopo perseguito dalla fase precontenziosa del procedimento (v. punto 19 della presente sentenza) impone alla Commissione di concedere agli Stati membri un termine ragionevole per rispondere alla lettera di diffida e per conformarsi al parere motivato o, eventualmente, per preparare la propria difesa. Per valutare la ragionevolezza del termine impartito, si deve tener conto del complesso delle circostanze caratterizzanti la fattispecie (v. sentenze 2 febbraio 1988, causa 293/85, Commissione/Belgio, Racc. pag. 305, punto 14, e 28 ottobre 1999, causa C‑328/96, Commissione/Austria, Racc. pag. I-7479, punto 51).

26 Nella fattispecie, la Repubblica italiana ha avuto un termine di circa sei anni per conformarsi alle disposizioni dell’art. 5, nn. 2 e 5, della direttiva, ossia dal 31 dicembre 1998, data limite dell’adempimento stabilita da tale direttiva, al 9 settembre 2004, data di scadenza del termine fissato nel parere motivato.

27 Inoltre, la Commissione aveva ricordato alla Repubblica italiana già nel 2001 gli obblighi ad essa incombenti in forza della direttiva e il progetto di costruzione di un impianto di depurazione delle acque reflue urbane nell’agglomerato interessato aveva costituito oggetto di una riunione e di uno scambio di corrispondenza tra le autorità italiane e la Commissione all’inizio del 2002, ossia più di due anni e mezzo prima della scadenza del termine fissato nel parere motivato.

28 In tale contesto, occorre considerare che il termine stabilito dalla Commissione nel parere motivato è ragionevole e il ricorso presentato dalla Commissione è ricevibile.

Sulla fondatezza della censura

29 Occorre innanzi tutto ricordare che l’insieme delle acque reflue urbane che provengono da agglomerati aventi, come l’agglomerato interessato, oltre 10 000 AE, e che si riversano in un’area sensibile doveva, ai sensi dell’art. 5, n. 2, della direttiva, essere sottoposto, a decorrere al più tardi dal 31 dicembre 1998, ad un trattamento più spinto di quello previsto dall’art. 4 n. 1, della direttiva.

30 Occorre ricordare anche che la Corte ha già dichiarato che è indifferente, in relazione all’art. 5, n. 2, della direttiva, che le acque reflue urbane si riversino direttamente o indirettamente in un’area sensibile (v., in particolare, sentenza 25 aprile 2002, causa C-396/00, Commissione/Italia, Racc. pag. I‑3949, punto 29).

31 Infatti, l’art. 3, n. 1, secondo comma, della direttiva, che riguarda gli scambi di acque reflue urbane che si immettono in acque recipienti considerate aree sensibili, e l’art. 5, n. 2, della direttiva, che prescrive che le acque reflue urbane che confluiscono in reti fognarie siano sottoposte ad un trattamento più spinto prima dello scarico in aree sensibili, non fanno alcuna distinzione a seconda che gli scarichi in un’area sensibile siano diretti o indiretti (sentenza Commissione/Italia, sopraccitata, punto 30).

32 L’obbiettivo della direttiva, ossia proteggere l’ambiente, così come quello dell’art. 174, n. 2, CE, disposizione che mira ad assicurare un elevato livello di tutela in materia ambientale, sarebbero compromessi se unicamente le acque reflue che si riversano direttamente in un’area sensibile fossero sottoposte ad un trattamento più spinto di quello previsto all’art. 4 n. 1, della direttiva.

33 Ora, è pacifico che l’agglomerato interessato è situato all’interno di un bacino drenante in una zona corrispondente al Lambro‑Olona meridionale. Non è nemmeno contestato il fatto che tale bacino facesse parte esso stesso di un’area situata all’interno del bacino del Po, il quale si riversa in un’area designata come area sensibile.

34 Non risulta affatto dalle osservazioni presentate alla Corte dal governo italiano che le acque reflue urbane riversate, anche indirettamente, nell’area del bacino del fiume Olona siano state sottoposte ad un trattamento più spinto del trattamento secondario o equivalente previsto dall’art. 4, n. 1, della direttiva.

35 Per quanto riguarda l’argomento del governo italiano relativo alle ingenti risorse finanziarie necessarie per costruire l’impianto di depurazione richiesto per conformarsi ai requisiti della direttiva, occorre ricordare che, secondo una costante giurisprudenza, uno Stato membro non può eccepire difficoltà pratiche o amministrative per giustificare l’inosservanza degli obblighi e dei termini stabiliti da una direttiva. Lo stesso dicasi per le difficoltà finanziarie che spetta agli Stati membri superare adottando le misure adeguate (v. sentenze 5 luglio 1990, causa C-42/89, Commissione/Belgio, Racc. pag. I‑2821, punto 24; 15 maggio 2003, causa C‑419/01, Commissione/Spagna, Racc. pag. I‑4947, punto 22, e 16 ottobre 2003, causa C-433/02, Commissione/Belgio, Racc. pag. I‑12191, punto 22).

36 Si deve pertanto ritenere fondato il ricorso presentato dalla Commissione.

37 Di conseguenza, occorre constatare che, non avendo adottato le misure per assicurare che al 31 dicembre 1998 le acque reflue urbane dell’agglomerato interessato fossero soggette ad un trattamento più spinto di quello secondario o equivalente previsto dall’art. 4 della direttiva, la Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi che ad essa incombono in forza dell’art. 5, nn. 2 e 5, di tale direttiva.

Sulle spese

38 Ai sensi dell’art. 69, n. 2, del regolamento di procedura, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. Poichè la Commmissione ha chiesto la condanna alle spese della Repubblica italiana, rimasta soccombente nei suoi motivi, quest’ultima dev’essere condannata alle spese.

Per questi motivi, la Corte (Sesta Sezione) dichiara e statuisce:

1) Non avendo adottato le misure per assicurare che al 31 dicembre 1998 le acque reflue urbane dell’agglomerato formato da vari comuni della provincia di Varese situati nel bacino del fiume Olona fossero soggette ad un trattamento più spinto di quello secondario o equivalente previsto dall’art. 4 della direttiva del Consiglio 21 maggio 1991, 91/271/CEE, concernente il trattamento delle acque reflue urbane (GU L 135, pag. 40), la Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi che ad essa incombono in forza dell’art. 5, nn. 2 e 5, di tale direttiva.

2) La Repubblica italiana è condannata alle spese.

Firme


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