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registrata presso il Tribunale di Patti Reg. n. 197 del 19/07/2006
CORTE DI
GIUSTIZIA DELLE COMUNITA' EUROPEE, Sez. II, 23 novembre 2006, Procedimento
C-315/05
Consumatore - Etichettatura dei prodotti alimentari - Consumatore finale
- Portata degli obblighi derivanti dagli artt. 2, 3 e 12 Direttiva
2000/13/CE - Indicazione obbligatoria, per talune bevande alcoliche, del
titolo alcolometrico volumico - Bevanda alcolica prodotta in uno Stato
membro diverso da quello in cui ha sede il distributore − “Amaro alle erbe”
- Titolo alcolometrico volumico effettivo inferiore a quello indicato
sull'etichetta - Superamento del margine di tolleranza - Sanzione
amministrativa pecuniaria − Responsabilità del distributore. Gli artt.
2, 3 e 12 della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 20 marzo
2000, 2000/13/CE, relativa al ravvicinamento delle legislazioni degli Stati
membri concernenti l'etichettatura e la presentazione dei prodotti
alimentari, nonché la relativa pubblicità, devono essere interpretati nel
senso che non ostano ad una normativa di uno Stato membro, come quella
controversa nella causa principale, che prevede la possibilità per un
operatore, stabilito in tale Stato membro, che distribuisce una bevanda
alcolica destinata ad essere consegnata come tale, ai sensi dell'art. 1 di
detta direttiva, e prodotta da un operatore stabilito in un altro Stato
membro, di essere considerato responsabile di una violazione di detta
normativa, constatata da una pubblica autorità, derivante dall'inesattezza
del titolo alcolometrico volumico indicato dal produttore sull'etichetta di
detto prodotto, e di subire conseguentemente una sanzione amministrativa
pecuniaria, mentre esso si limita, nella sua qualità di semplice
distributore, a commercializzare tale prodotto così come a lui consegnato da
detto produttore. Lidl Italia Srl c. Comune di Arcole (VR). CORTE DI
GIUSTIZIA CE, Sez. II, 23 novembre 2006, procedimento C-315/05
CORTE DI
GIUSTIZIA
delle Comunità
Europee,
SENTENZA DELLA CORTE
(Seconda Sezione)
23 novembre 2006(*)
«Direttiva 2000/13/CE − Etichettatura dei prodotti alimentari destinati
ad essere consegnati come tali al consumatore finale - Portata degli
obblighi derivanti dagli artt. 2, 3 e 12 - Indicazione obbligatoria, per
talune bevande alcoliche, del titolo alcolometrico volumico - Bevanda
alcolica prodotta in uno Stato membro diverso da quello in cui ha sede
il distributore − “Amaro alle erbe” - Titolo alcolometrico volumico
effettivo inferiore a quello indicato sull'etichetta - Superamento del
margine di tolleranza - Sanzione amministrativa pecuniaria −
Responsabilità del distributore»
Nel procedimento C-315/05,
avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla
Corte, ai sensi dell'art. 234 CE, dal Giudice di pace di Monselice, con
ordinanza 12 luglio 2005, pervenuta in cancelleria il 12 agosto 2005,
nella causa
Lidl Italia Srl
contro
Comune di Arcole (VR),
LA CORTE (Seconda Sezione),
composta dal sig. C.W.A. Timmermans (relatore), presidente di sezione,
dai sigg. R. Schintgen, P. Kūris, J. Makarczyk e G. Arestis, giudici,
avvocato generale: sig.ra C. Stix-Hackl
cancelliere: sig.ra L. Hewlett, amministratore principale
vista la fase scritta del procedimento e in seguito all'udienza del 29
giugno 2006,
considerate le osservazioni presentate:
- per la Lidl Italia Srl, dagli avv.ti F. Capelli e M. Valcada;
- per il governo italiano, dal sig. I.M. Braguglia, in qualità di
agente, assistito dal sig. G. Aiello, avvocato dello Stato;
- per il governo spagnolo, dalla sig.ra N. Díaz Abad, in qualità di
agente;
- per il governo francese, dalla sig.ra R. Loosli-Surrans e dal sig. G.
de Bergues, in qualità di agenti;
- per il governo dei Paesi Bassi, dalle sig.re H.G. Sevenster e M. de
Mol, in qualità di agenti;
- per la Commissione delle Comunità europee, dai sigg. A. Aresu e J.‑P.
Keppenne, in qualità di agenti,
sentite le conclusioni dell'avvocato generale, presentate all'udienza
del 12 settembre 2006,
ha pronunciato la seguente
Sentenza
1 La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull'interpretazione degli
artt. 2, 3 e 12 della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio
20 marzo 2000, 2000/13/CE, relativa al ravvicinamento delle legislazioni
degli Stati membri concernenti l'etichettatura e la presentazione dei
prodotti alimentari, nonché la relativa pubblicità (GU L 109, pag. 29).
2 Tale domanda è stata presentata nell'ambito di un ricorso intentato
dalla Lidl Italia Srl (in prosieguo: la «Lidl Italia») contro un
provvedimento del direttore generale del Comune di Arcole che infliggeva
a tale società una sanzione amministrativa pecuniaria a seguito della
commercializzazione di una bevanda alcolica, denominata «amaro alle
erbe», in violazione della normativa nazionale che impone l'indicazione
del titolo alcolometrico volumico di talune bevande alcoliche nella loro
etichetta.
Contesto normativo
Normativa comunitaria
3 Il sesto ‘considerando’ della direttiva 2000/13 prevede:
«Qualsiasi regolamentazione relativa all'etichettatura dei prodotti
alimentari deve essere fondata anzitutto sulla necessità d'informare e
tutelare i consumatori».
4 Ai sensi dell'ottavo ‘considerando’ della detta direttiva:
«Un'etichettatura adeguata concernente la natura esatta e le
caratteristiche del prodotto, che consente al consumatore di operare la
sua scelta con cognizione di causa, è il mezzo più adeguato in quanto
crea meno ostacoli alla libera circolazione delle merci».
5 L’art. 1, n. 1, della direttiva 2000/13 dispone:
«La presente direttiva riguarda l'etichettatura dei prodotti alimentari
destinati ad essere consegnati come tali al consumatore finale, nonché
determinati aspetti concernenti la loro presentazione e la relativa
pubblicità».
6 L’art. 1, n. 3, di tale direttiva contiene la seguente definizione:
«(…)
«b) prodotto alimentare in imballaggio preconfezionato: l'unità di
vendita destinata ad essere presentata come tale al consumatore finale
ed alle collettività, costituita da un prodotto alimentare e
dall'imballaggio in cui è stato confezionato prima di essere messo in
vendita, avvolta interamente o in parte da tale imballaggio, ma comunque
in modo che il contenuto non possa essere modificato senza che
l'imballaggio sia aperto o alterato».
7 L’art. 2, n. 1, della direttiva 2000/13 dispone:
«L'etichettatura e le relative modalità di realizzazione non devono:
a) essere tali da indurre in errore l'acquirente, specialmente:
i) per quanto riguarda le caratteristiche del prodotto alimentare e in
particolare la natura, l'identità, le qualità, la composizione, la
quantità, la conservazione, l'origine o la provenienza, il modo di
fabbricazione o di ottenimento,
(…)».
8 L’art. 3, n. 1, della stessa direttiva contiene un elenco tassativo di
indicazioni che debbono obbligatoriamente figurare nell'etichetta dei
prodotti alimentari.
9 Il punto 7 di tale disposizione prescrive l'apposizione
dell'indicazione del «nome o [della] ragione sociale e [dell]'indirizzo
del fabbricante o del condizionatore o di un venditore stabilito nella
Comunità».
10 Il punto 10 di questa stessa disposizione impone, «per le bevande con
contenuto alcolico superiore all'1,2% in volume, l'indicazione del
titolo alcolometrico volumico effettivo».
11 L’art. 12 della direttiva 2000/13 prevede:
«Le modalità per l'indicazione del titolo alcolometrico volumico sono
definite, per i prodotti delle voci 22.04 e 22.05 della tariffa doganale
comune, dalle disposizioni comunitarie specifiche ad essi applicabili.
Per le altre bevande con contenuto alcolico superiore all'1,2% in
volume, esse sono stabilite secondo la procedura di cui all'articolo 20,
paragrafo 2».
12 Le modalità considerate al secondo comma del detto art. 12 sono
disciplinate dalla direttiva della Commissione 15 aprile 1987,
87/250/CEE, relativa all'indicazione del titolo alcolometrico volumico
nell'etichettatura di bevande alcoliche destinate al consumatore finale
(GU L 113, pag. 57).
13 L’art. 3, n. 1, della direttiva 87/250 dispone:
«Le tolleranze in più o in meno concesse per l'indicazione del titolo
alcolometrico e espresse in valori assoluti, sono le seguenti:
a) bevande diverse da quelle elencate qui di seguito:
0,3% vol.;
(…)»
14 L’art. 16, nn. 1 e 2, della direttiva 2000/13 dispone:
«1. Gli Stati membri vietano nel proprio territorio il commercio dei
prodotti alimentari per i quali le indicazioni previste dall'articolo 3
e dall'articolo 4, paragrafo 2, non figurano in una lingua facilmente
compresa dal consumatore, a meno che l'informazione di quest'ultimo sia
effettivamente assicurata da altre misure stabilite secondo la procedura
di cui all'articolo 20, paragrafo 2, per una o più indicazioni
dell'etichettatura.
2. Lo Stato membro in cui il prodotto è commercializzato può, nel
rispetto delle regole del trattato, imporre nel proprio territorio che
tali indicazioni dell'etichettatura siano scritte almeno in una o più
lingue da esso stabilite tra le lingue ufficiali della Comunità».
15 Ai sensi del dodicesimo ‘considerando’ del regolamento (CE) del
Parlamento europeo e del Consiglio 28 gennaio 2002, n. 178, che
stabilisce i principi e i requisiti generali della legislazione
alimentare, istituisce l'Autorità europea per la sicurezza alimentare e
fissa procedure nel campo della sicurezza alimentare (GU L 31, pag. 1):
«Per garantire la sicurezza degli alimenti occorre considerare tutti gli
aspetti della catena di produzione alimentare come un unico processo, a
partire dalla produzione primaria inclusa, passando per la produzione di
mangimi fino alla vendita o erogazione di alimenti al consumatore
inclusa, in quanto ciascun elemento di essa presenta un potenziale
impatto sulla sicurezza alimentare».
16 Il trentesimo ‘considerando’ del detto regolamento recita:
«Gli operatori del settore alimentare sono in grado, meglio di chiunque
altro, di elaborare sistemi sicuri per l'approvvigionamento alimentare e
per garantire la sicurezza dei prodotti forniti; essi dovrebbero
pertanto essere legalmente responsabili, in via principale, della
sicurezza degli alimenti. Sebbene tale principio sia affermato in alcuni
Stati membri e in alcuni settori della legislazione alimentare, in altri
settori esso non è esplicito o la responsabilità viene assunta dalle
autorità competenti dello Stato membro attraverso lo svolgimento di
attività di controllo. Tali disparità possono creare ostacoli al
commercio e distorsioni della concorrenza tra operatori del settore
alimentare di Stati membri diversi».
17 All'art. 3, punto 3, del regolamento n. 178/2002 figura la seguente
definizione:
«“operatore del settore alimentare”, la persona fisica o giuridica
responsabile di garantire il rispetto delle disposizioni della
legislazione alimentare nell'impresa alimentare posta sotto il suo
controllo».
18 L’art. 17 del detto regolamento, intitolato «Obblighi», dispone:
«1. Spetta agli operatori del settore alimentare e dei mangimi garantire
che nelle imprese da essi controllate gli alimenti o i mangimi
soddisfino le disposizioni della legislazione alimentare inerenti alle
loro attività in tutte le fasi della produzione, della trasformazione e
della distribuzione e verificare che tali disposizioni siano
soddisfatte.
2. Gli Stati membri applicano la legislazione alimentare e controllano e
verificano il rispetto delle pertinenti disposizioni della medesima da
parte degli operatori del settore alimentare e dei mangimi, in tutte le
fasi della produzione, della trasformazione e della distribuzione.
A tal fine essi organizzano un sistema ufficiale di controllo e altre
attività adatte alle circostanze, tra cui la comunicazione ai cittadini
in materia di sicurezza e di rischio degli alimenti e dei mangimi, la
sorveglianza della sicurezza degli alimenti e dei mangimi e altre
attività di controllo che abbraccino tutte le fasi della produzione,
della trasformazione e della distribuzione.
Gli Stati membri determinano inoltre le misure e le sanzioni da
applicare in caso di violazione della legislazione sugli alimenti e sui
mangimi. Le misure e le sanzioni devono essere effettive, proporzionate
e dissuasive».
19 L’art. 1 della direttiva del Consiglio 25 luglio 1985, 85/374/CEE,
relativa al ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari
ed amministrative degli Stati membri in materia di responsabilità per
danno da prodotti difettosi (GU L 210, pag. 29; in prosieguo: la
«direttiva»), dispone:
«Il produttore è responsabile del danno causato da un difetto del suo
prodotto».
20 Ai sensi dell'art. 3 di questa stessa direttiva:
«1. Il termine “produttore” designa il fabbricante di un prodotto
finito, il produttore di una materia prima o il fabbricante di una parte
componente, nonché ogni persona che, apponendo il proprio nome, marchio
o altro segno distintivo sul prodotto, si presenta come produttore dello
stesso.
2. Senza pregiudizio della responsabilità del produttore, chiunque
importi un prodotto nella Comunità europea ai fini della vendita, della
locazione, del “leasing” o di qualsiasi altra forma di distribuzione
nell’ambito della sua attività commerciale, è considerato produttore del
medesimo ai sensi della presente direttiva ed è responsabile allo stesso
titolo del produttore.
3. Quando non può essere individuato il produttore del prodotto si
considera tale ogni fornitore a meno che quest’ultimo comunichi al
danneggiato, entro un termine ragionevole, l’identità del produttore o
della persona che gli ha fornito il prodotto. Le stesse disposizioni si
applicano ad un prodotto importato, qualora questo non rechi il nome
dell’importatore di cui al paragrafo 2, anche se è indicato il nome del
produttore».
Normativa nazionale
21 Il decreto legislativo 27 gennaio 1992, n. 109, recante attuazione
delle direttive 89/395/CEE e 89/396/CEE concernenti l'etichettatura, la
presentazione e la pubblicità dei prodotti alimentari (Supplemento
ordinario alla GURI n. 39 del 17 febbraio 1992), è stato modificato dal
decreto legislativo 23 giugno 2003, n. 181, recante attuazione della
direttiva 2000/13/CE relativa al ravvicinamento delle legislazioni degli
Stati membri concernenti l'etichettatura e la presentazione dei prodotti
alimentari, nonché la relativa pubblicità (GURI n. 167 del 21 luglio
2003; in prosieguo: il «decreto legislativo n. 109/92»).
22 L’art. 12, n. 3, del decreto legislativo n. 109/92 dispone:
«Al titolo alcolometrico si applicano le seguenti tolleranze in più o in
meno, espresse in valori assoluti:
(…)
d) 0,3% vol. per le bevande diverse da quelle indicate alle lettere a),
b) e c)».
23 L’art. 18, n. 3, di detto decreto legislativo prevede:
«La violazione delle disposizioni [dell'art. 12] è punita con la
sanzione amministrativa pecuniaria da euro seicento a euro
tremilacinquecento».
Controversia nella causa principale e questioni pregiudiziali
24 La Jürgen Weber GmbH produce in Germania una bevanda alcolica,
denominata «amaro alle erbe», sulla cui etichetta viene indicato un
titolo alcolometrico volumico di 35%.
25 Il 13 marzo 2003, le competenti autorità sanitarie regionali
prelevavano cinque campioni di tale bevanda in un punto di vendita,
appartenente alla rete della Lidl Italia, situato a Monselice.
26 Dalle analisi di tali campioni, effettuate in laboratorio il 17 marzo
2003, risultava un titolo alcolometrico volumico effettivo del 33,91%,
inferiore a quello menzionato nell'etichetta del prodotto interessato.
27 Successivamente, la Lidl Italia chiedeva una controperizia. A tal
fine, altri campioni del prodotto controverso venivano prelevati e le
analisi di questi ultimi, effettuate da un laboratorio il 20 novembre
2003, rivelavano un titolo alcolometrico volumico effettivo che, per
quanto più elevato, e cioè del 34,54%, era sempre inferiore a quello
figurante sull'etichetta del detto prodotto.
28 Con verbale del 3 luglio 2003, le competenti autorità sanitarie
regionali contestavano alla Lidl Italia la violazione dell'art. 12, n.
3, lett. d), del decreto legislativo n. 109/92, in quanto il titolo
alcolometrico volumico effettivo della bevanda in questione era
inferiore a quello figurante sulla sua etichetta, tenendo conto del
margine di tolleranza dello 0,3%.
29 Al termine di un procedimento amministrativo, il Comune di Arcole,
con provvedimento del suo direttore generale del 23 dicembre 2004,
constatava l'esistenza di un'infrazione e, ai sensi dell'art. 18, n. 3,
del decreto legislativo n. 109/92, ingiungeva alla Lidl Italia di pagare
una sanzione amministrativa pecuniaria di EUR 3 115.
30 La Lidl Italia proponeva ricorso contro tale provvedimento
amministrativo dinanzi al Giudice di pace di Monselice.
31 Il giudice del rinvio rileva che la Lidl Italia ha sostenuto dinanzi
ad esso che le prescrizioni comunitarie in materia di etichettatura dei
prodotti e degli alimenti destinati ad essere consegnati come tali non
si rivolgono all'operatore economico che si limita a commercializzare
l'alimento, ma riguardano esclusivamente il fabbricante di tale
alimento.
32 Il distributore, infatti, non potrebbe essere a conoscenza del
carattere esatto o erroneo delle informazioni figuranti sull'etichetta
apposta sul prodotto dal produttore e non potrebbe in nessun caso
intervenire nella fabbricazione del prodotto né nella redazione
dell'etichetta con la quale quest'ultimo è venduto al consumatore
finale.
33 Il giudice del rinvio aggiunge che la Lidl Italia ha fatto valere
inoltre che, nel diritto comunitario, il principio della responsabilità
del produttore risulta anche dalla direttiva 85/374.
34 Alla luce di quanto sopra, il Giudice di pace di Monselice, ritenendo
che l'interpretazione della normativa comunitaria fosse necessaria per
la soluzione della controversia a lui sottoposta, ha deciso di
sospendere il giudizio e di proporre alla Corte le seguenti questioni
pregiudiziali:
«1) Se la direttiva 2000/13/CE (…), per quanto riguarda i prodotti
preconfezionati di cui all'articolo 1 della [detta] direttiva (…), debba
essere interpretata nel senso che gli obblighi normativi in essa
previsti, ed in particolare quelli di cui agli articoli 2, 3 e 12,
debbano essere considerati imposti esclusivamente al produttore
dell'alimento preconfezionato.
2) In caso di risposta affermativa al primo quesito, se gli articoli 2,
3 e 12 della direttiva 2000/13/CE debbano essere interpretati nel senso
che escludono che il semplice distributore, situato all'interno di uno
Stato membro, di un prodotto preconfezionato (come definito
dall'articolo 1 della direttiva 2000/13/CE) da un operatore situato in
uno Stato membro diverso dal primo - possa essere considerato
responsabile di una violazione contestata da un'Autorità pubblica,
consistente nella differenza tra il valore (nella fattispecie titolo
alcolometrico) indicato dal produttore sull'etichetta del prodotto
alimentare preconfezionato e venga di conseguenza sanzionato anche se lo
stesso (il semplice distributore) si limita a commercializzare il
prodotto alimentare così come consegnato dal produttore dell'alimento
stesso».
Sulle questioni pregiudiziali
35 Con le sue due questioni, che occorre esaminare congiuntamente, il
giudice del rinvio chiede sostanzialmente se gli artt. 2, 3 e 12 della
direttiva 2000/13 debbano essere interpretati nel senso che ostano ad
una normativa di uno Stato membro, come quella controversa nella causa
principale, che prevede la possibilità per un operatore, stabilito in
tale Stato membro, che distribuisce una bevanda alcolica destinata ad
essere consegnata come tale, ai sensi dell'art. 1 della detta direttiva,
e prodotta da un operatore stabilito in un altro Stato membro, di essere
considerato responsabile di una violazione di detta normativa,
constatata da una pubblica autorità, derivante dall'inesattezza del
titolo alcolometrico volumico indicato dal produttore sull'etichetta di
detto prodotto, e di subire conseguentemente una sanzione amministrativa
pecuniaria, mentre si limita, nella sua qualità di semplice
distributore, a commercializzare tale prodotto così come a lui
consegnato dal produttore.
36 L’art. 2, n. 1, della direttiva 2000/13 vieta in particolare che
l'etichettatura e le modalità con le quali essa è effettuata inducano
l'acquirente in errore su una delle caratteristiche dei prodotti
alimentari.
37 Questo divieto generale è concretizzato all'art. 3, n. 1, di detta
direttiva che contiene un elenco tassativo di indicazioni che devono
obbligatoriamente figurare nell'etichetta dei prodotti alimentari
destinati ad essere consegnati come tali al consumatore finale.
38 Per quanto riguarda le bevande con contenuto alcolico superiore
all'1,2% in volume, come la bevanda denominata «amaro alle erbe» di cui
trattasi nella causa principale, il punto 10 di detta disposizione
impone l'indicazione del titolo alcolometrico volumico effettivo
nell'etichetta delle bevande stesse.
39 Le modalità per l'indicazione del titolo alcolometrico volumico, di
cui all'art. 12, secondo comma, della direttiva 2000/13, sono
disciplinate dalla direttiva 87/250, il cui art. 3, n. 1, prevede un
margine di tolleranza in più o in meno dello 0,3%.
40 Se discende così dal combinato disposto degli artt. 2, 3 e 12 della
direttiva 2000/13 che l'etichettatura di talune bevande alcoliche, come
quella di cui trattasi nella causa principale, deve indicare, salvo un
certo margine di tolleranza, il titolo alcolometrico volumico effettivo
di queste ultime, non è meno vero che tale direttiva, contrariamente ad
altri atti comunitari che impongono obblighi in materia di etichettatura
(v., in particolare, la direttiva controversa nella causa C‑40/04, in
cui è stata pronunciata la sentenza 8 settembre 2005, Yonemoto, Racc.
pag. I‑7755), non designa l'operatore che deve adempiere tale obbligo in
materia di etichettatura e non contiene neppure alcuna norma ai fini
della designazione dell'operatore che può essere considerato
responsabile in caso di violazione di detto obbligo.
41 Pertanto, non risulta dalla formulazione degli artt. 2, 3 e 12 né del
resto da quella di altre disposizioni della direttiva 2000/13 che, in
forza di detta direttiva, il controverso obbligo in materia di
etichettatura sia, come sostiene la Lidl Italia, imposto esclusivamente
al produttore di tali bevande alcoliche o che tale direttiva escluda che
il distributore sia considerato responsabile in caso di violazione di
questo stesso obbligo.
42 D'altro canto, secondo una giurisprudenza costante, ai fini
dell'interpretazione di una norma di diritto comunitario si deve tener
conto non soltanto del suo tenore letterale, ma anche del sistema e del
contesto della norma e degli scopi perseguiti dalla normativa di cui
essa fa parte (v., in questo senso, in particolare, sentenze 17
settembre 1997, causa C‑83/96, Dega, Racc. pag. I‑5001, punto 15, e 13
novembre 2003, causa C‑294/01, Granarolo, Racc. pag. I‑13429, punto 34).
43 Orbene, da un esame sistematico degli artt. 2, 3 e 12 della direttiva
2000/13, del contesto in cui essi si collocano nonché degli obiettivi
perseguiti da tale direttiva risulta una serie sufficiente di indizi
concordanti che consentono di giungere alla conclusione che la direttiva
stessa non osta ad una normativa nazionale, come quella controversa
nella causa principale, ai sensi della quale un distributore può essere
considerato responsabile di una violazione dell'obbligo in materia di
etichettatura imposto da dette disposizioni.
44 Infatti, per quanto riguarda, in primo luogo, il sistema delle citate
disposizioni della direttiva 2000/13 e il contesto nel quale esse si
collocano, è importante rilevare che altre disposizioni di tale
direttiva si riferiscono ai distributori nell'ambito dell'adempimento di
taluni obblighi in materia di etichettatura.
45 Ciò si verifica in particolare nel caso dell'art. 3, n. 1, punto 7,
di detta direttiva, che include tra le indicazioni obbligatorie in
materia di etichettatura «il nome o la ragione sociale e l'indirizzo del
fabbricante o del condizionatore o di un venditore stabilito nella
Comunità».
46 Per quanto riguarda la disposizione, identica a quella di tale punto
7, di cui all'art. 3, n. 1, punto 6, della direttiva del Consiglio 18
dicembre 1978, 79/112/CEE, relativa al ravvicinamento delle legislazioni
degli Stati membri concernenti l'etichettatura e la presentazione dei
prodotti alimentari destinati al consumatore finale, nonché la relativa
pubblicità (GU 1979, L 33, pag. 1), direttiva abrogata e sostituita
dalla direttiva 2000/13, la Corte ha già dichiarato che tale
disposizione ha come obiettivo principale quello di consentire che i
responsabili del prodotto, tra i quali, oltre ai produttori e ai
condizionatori, si trovano anche i venditori, siano facilmente
identificabili dal consumatore finale affinché quest'ultimo possa, se
del caso, comunicare loro le sue critiche positive o negative relative
al prodotto acquistato (v., in questo senso, citata sentenza Dega, punti
17 e 18).
47 Per quanto riguarda, in secondo luogo, la finalità della direttiva
2000/13, sia dal sesto ‘considerando’ di tale direttiva sia dal suo art.
2 discende che essa è stata concepita con l'intento di informare e
tutelare il consumatore finale dei prodotti alimentari, segnatamente per
quanto concerne la natura, l'identità, le qualità, la composizione, la
quantità, la conservazione, l'origine o la provenienza e il modo di
fabbricazione o di ottenimento di questi prodotti (v., per quanto
riguarda la direttiva 79/112, citata sentenza Dega, punto 16).
48 La Corte ha dichiarato che, se una materia non è disciplinata da una
direttiva a causa dell'armonizzazione incompleta che essa comporta, gli
Stati membri restano in linea di principio competenti a prescrivere
norme in materia, purché tuttavia tali norme non siano tali da
compromettere seriamente il risultato prescritto dalla direttiva di cui
trattasi (citata sentenza Granarolo, punto 45).
49 Orbene, una normativa nazionale, come quella controversa nella causa
principale, che prevede, in caso di violazione di un obbligo in materia
di etichettatura imposto dalla direttiva 2000/13, la responsabilità non
solo dei produttori ma anche dei distributori non è assolutamente tale
da compromettere il risultato prescritto da tale direttiva.
50 Al contrario, una siffatta normativa, in quanto dà una definizione
ampia della cerchia degli operatori che possono essere considerati
responsabili di violazioni degli obblighi in materia di etichettatura
contenuti nella direttiva 2000/13, è manifestamente idonea a contribuire
al conseguimento dell'obiettivo di informazione e di protezione del
consumatore finale dei prodotti alimentari perseguito da tale direttiva.
51 Questa conclusione non può essere rimessa in discussione
dall'argomento, sollevato dalla Lidl Italia sia dinanzi al giudice del
rinvio sia dinanzi alla Corte, secondo il quale il diritto comunitario
imporrebbe il principio della responsabilità esclusiva del produttore
per quanto riguarda l'esattezza delle indicazioni figuranti
nell'etichetta dei prodotti destinati ad essere consegnati come tali al
consumatore finale, principio che risulterebbe anche dalla direttiva
85/374.
52 Al riguardo, si deve innanzi tutto constatare che il diritto
comunitario non sancisce un siffatto principio generale.
53 Al contrario, anche se il regolamento n. 178/2002 non è applicabile
ratione temporis ai fatti della causa principale, dall'art. 17, n. 1, di
detto regolamento, intitolato «Obblighi», risulta che spetta agli
operatori del settore alimentare garantire che nelle imprese da essi
controllate gli alimenti soddisfino le disposizioni della legislazione
alimentare inerenti alle loro attività in tutte le fasi della
produzione, della trasformazione e della distribuzione e verificare che
tali disposizioni siano soddisfatte.
54 Per quanto riguarda poi la direttiva 85/374, è giocoforza constatare
che tale direttiva non è pertinente nel contesto di una situazione come
quella di cui trattasi nella causa principale.
55 Infatti, la responsabilità del distributore per infrazioni alla
normativa in materia di etichettatura dei prodotti alimentari, che
espone detto distributore in particolare al pagamento di sanzioni
amministrative pecuniarie, è estranea al campo di applicazione specifico
del regime di responsabilità oggettiva istituito dalla direttiva 85/374.
56 Pertanto, gli eventuali principi in materia di responsabilità che la
direttiva 85/374 comporterebbe non sono trasponibili nel contesto degli
obblighi in materia di etichettatura prescritti dalla direttiva 2000/13.
57 In ogni caso, la direttiva 85/374 prevede effettivamente, al suo art.
3, n. 3, una responsabilità, per quanto limitata, del fornitore nella
sola ipotesi in cui il produttore non possa essere individuato (sentenza
10 gennaio 2006, causa C-402/03, Skov e Bilka, Racc. pag. I‑199, punto
34).
58 Infine, occorre ricordare che, secondo una giurisprudenza costante
della Corte relativa all'art. 10 CE, pur conservando la scelta delle
sanzioni, gli Stati membri devono segnatamente vegliare a che le
violazioni del diritto comunitario siano punite, sotto il profilo
sostanziale e procedurale, in forme analoghe a quelle previste per le
violazioni del diritto interno simili per natura e importanza e che, in
ogni caso, conferiscano alla sanzione stessa un carattere effettivo,
proporzionale e dissuasivo (v., in particolare, sentenza 3 maggio 2005,
cause riunite C‑387/02, C‑391/02 e C‑403/02, Berlusconi e a., Racc. pag.
I‑3565, punto 65 e giurisprudenza ivi citata).
59 Nei limiti così posti dal diritto comunitario, spetta in linea di
principio al diritto nazionale fissare le modalità secondo le quali un
distributore può essere considerato responsabile di una violazione
dell'obbligo in materia di etichettatura imposto dagli artt. 2, 3 e 12
della direttiva 2000/13 e, in particolare, disciplinare la ripartizione
delle responsabilità rispettive dei vari operatori che intervengono
nell'immissione in commercio del prodotto alimentare considerato.
60 Alla luce di tutto quanto precede, occorre risolvere le questioni
sollevate dichiarando che gli artt. 2, 3 e 12 di direttiva 2000/13
devono essere interpretati nel senso che non ostano ad una normativa di
uno Stato membro, come quella controversa nella causa principale, che
prevede la possibilità per un operatore, stabilito in tale Stato membro,
che distribuisce una bevanda alcolica destinata ad essere consegnata
come tale, ai sensi dell'art. 1 di detta direttiva, e prodotta da un
operatore stabilito in un altro Stato membro, di essere considerato
responsabile di una violazione di detta normativa, constatata da una
pubblica autorità, derivante dall'inesattezza del titolo alcolometrico
volumico indicato dal produttore sull'etichetta di detto prodotto, e di
subire conseguentemente una sanzione amministrativa pecuniaria, mentre
esso si limita, nella sua qualità di semplice distributore, a
commercializzare tale prodotto così come a lui consegnato da detto
produttore.
Sulle spese
61 Nei confronti delle parti nella causa principale il presente
procedimento costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice
nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da
altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar
luogo a rifusione.
Per questi motivi, la Corte (Seconda Sezione) dichiara:
Gli artt. 2, 3 e 12 della direttiva del Parlamento europeo e del
Consiglio 20 marzo 2000, 2000/13/CE, relativa al ravvicinamento delle
legislazioni degli Stati membri concernenti l'etichettatura e la
presentazione dei prodotti alimentari, nonché la relativa pubblicità,
devono essere interpretati nel senso che non ostano ad una normativa di
uno Stato membro, come quella controversa nella causa principale, che
prevede la possibilità per un operatore, stabilito in tale Stato membro,
che distribuisce una bevanda alcolica destinata ad essere consegnata
come tale, ai sensi dell'art. 1 di detta direttiva, e prodotta da un
operatore stabilito in un altro Stato membro, di essere considerato
responsabile di una violazione di detta normativa, constatata da una
pubblica autorità, derivante dall'inesattezza del titolo alcolometrico
volumico indicato dal produttore sull'etichetta di detto prodotto, e di
subire conseguentemente una sanzione amministrativa pecuniaria, mentre
esso si limita, nella sua qualità di semplice distributore, a
commercializzare tale prodotto così come a lui consegnato da detto
produttore.
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