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CORTE COSTITUZIONALE, 1 Febbraio 2006 (Ud. 23/01/2006) Sentenza n. 32
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
SENTENZA N. 32
ANNO 2006
composta dai signori:
- Annibale MARINI Presidente
- Franco BILE Giudice
- Giovanni Maria FLICK ”
- Francesco AMIRANTE ”
- Ugo DE SIERVO ”
- Romano VACCARELLA ”
- Paolo MADDALENA ”
- Alfio FINOCCHIARO ”
- Alfonso QUARANTA ”
- Franco GALLO ”
- Luigi MAZZELLA ”
- Gaetano SILVESTRI ”
- Sabino CASSESE ”
- Maria Rita SAULLE ”
- Giuseppe TESAURO ”
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 6, comma 3, in relazione all’art. 3, comma 1, lettera a), della legge della Regione Marche 4 ottobre 2004, n. 18 (Norme relative al controllo dei pericoli di incidenti rilevanti decreto legislativo 17 agosto 1999, n. 334 sul rischio industriale attuazione della direttiva 96/82/CE), promosso con ricorso del Presidente del Consiglio dei ministri, notificato il 9 dicembre 2004, depositato in cancelleria il successivo 15 dicembre 2004 ed iscritto al n. 111 del registro ricorsi 2004.Visto l’atto di costituzione della Regione Marche;
udito nell’udienza pubblica del 10 gennaio 2006 il Giudice relatore Gaetano Silvestri;
uditi l’avvocato dello Stato Giorgio D’Amato per il Presidente del Consiglio dei ministri e l’avvocato Stefano Grassi per la Regione Marche.
Ritenuto in fatto
1. – Con ricorso notificato il 9 dicembre 2004 e depositato il 15 dicembre 2004, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha promosso questione di legittimità costituzionale dell’art. 6, comma 3, in relazione all’art. 3, comma 1, lettera a), della legge della Regione Marche 4 ottobre 2004, n. 18 (Norme relative al controllo dei pericoli di incidenti rilevanti decreto legislativo 17 agosto 1999, n. 334 sul rischio industriale attuazione della direttiva 96/82/CE), in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettere a), f) e s), e terzo comma, e all’art. 118 della Costituzione.
L’Avvocatura dello Stato ricostruisce, preliminarmente, il quadro normativo in cui si colloca la norma impugnata, evidenziando che la legge regionale in esame disciplina le competenze amministrative in materia di attività a rischio di incidenti rilevanti connessi a determinate sostanze pericolose. La difesa erariale sottolinea, al riguardo, come la normativa in parola, secondo quanto affermato nella sentenza n. 407 del 2002 di questa Corte, incida su una pluralità di interessi ed oggetti, in parte di competenza esclusiva dello Stato ed in parte di competenza concorrente.
In particolare, la legge della Regione Marche dà attuazione all’art. 18 del decreto legislativo 17 agosto 1999, n. 334 (Attuazione della direttiva 96/82/CE relativa al controllo dei pericoli di incidenti rilevanti connessi con determinate sostanze pericolose). Tale norma stabilisce che «La Regione disciplina, ai sensi dell'articolo 72 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112, l'esercizio delle competenze amministrative in materia di incidenti rilevanti. A tal fine la Regione: a) individua le autorità competenti titolari delle funzioni amministrative e dei provvedimenti discendenti dall'istruttoria tecnica e stabilisce le modalità per l'adozione degli stessi, prevedendo la semplificazione dei procedimenti ed il raccordo con il procedimento di valutazione di impatto ambientale; b) definisce le modalità per il coordinamento dei soggetti che procedono all'istruttoria tecnica, raccordando le funzioni dell'ARPA con quelle del comitato tecnico regionale di cui all'articolo 20 del decreto del Presidente della Repubblica 29 luglio 1982, n. 577, e degli altri organismi tecnici coinvolti nell'istruttoria, nonché, nel rispetto di quanto previsto all'articolo 25, le modalità per l'esercizio della vigilanza e del controllo; c) definisce le procedure per l'adozione degli interventi di salvaguardia dell'ambiente e del territorio in relazione alla presenza di stabilimenti a rischio di incidente rilevante».
La difesa erariale si sofferma, altresì, sull’art. 20 del citato d.lgs. n. 334 del 1999, evidenziando come la norma in questione disponga che, per gli stabilimenti per i quali il gestore è tenuto a redigere un rapporto di sicurezza, «il prefetto, d'intesa con le Regioni e gli enti locali interessati, previa consultazione della popolazione e nell'ambito delle disponibilità finanziarie previste dalla legislazione vigente, predispone il piano di emergenza esterno allo stabilimento e ne coordina l'attuazione». In particolare, il comma 2 dell’art. 20 stabilisce che il piano di emergenza esterno debba essere elaborato «tenendo conto almeno delle indicazioni di cui all’allegato IV, punto 2». Queste ultime consistono nei seguenti dati e informazioni: «a) nome o funzione delle persone autorizzate ad attivare le procedure di emergenza e delle persone autorizzate a dirigere e coordinare le misure di intervento adottate all'esterno del sito; b) disposizioni adottate per essere informati tempestivamente degli eventuali incidenti: modalità di allarme e richiesta di soccorsi; c) misure di coordinamento delle risorse necessarie per l'attuazione del piano di emergenza esterno; d) disposizioni adottate per fornire assistenza con le misure di intervento adottate all'interno del sito; e) misure di intervento da adottare all'esterno del sito; f) disposizioni adottate per fornire alla popolazione informazioni specifiche relative all'incidente e al comportamento da adottare; g) disposizioni intese a garantire che siano informati i servizi di emergenza di altri Stati membri in caso di incidenti rilevanti che potrebbero avere conseguenze al di là delle frontiere».
Ad avviso del ricorrente il quadro normativo richiamato dimostrerebbe che le operazioni in questione «possono andare» e «spesso vanno ben al di là» del territorio della Provincia o della stessa Regione o addirittura dello Stato. Pertanto, la Regione Marche, trattandosi della materia «tutela dell’ambiente» di cui all’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., avrebbe dovuto tenere presente i limiti deducibili dall’art. 20 del d.lgs. n. 334 del 1999, dai quali, sempre a detta della difesa erariale, deriverebbe che «all’elaborazione ed attuazione del piano di emergenza non può che presiedere un organo statale».
Invece, l’art. 6, comma 3, in relazione all’art. 3, comma 1, lettera a), della legge della Regione Marche n. 18 del 2004, stabilendo che l'elaborazione, l'approvazione e l'attuazione del piano di emergenza esterno sono effettuate dalla Provincia sentiti la Regione, l'ARPAM, l'ufficio territoriale del governo, il comando dei vigili del fuoco competente per territorio, il Comune interessato e gli enti che concorrono nella gestione delle emergenze, violerebbe, secondo l’Avvocatura dello Stato, uno dei principi fondamentali stabilito dalle summenzionate disposizioni del d.lgs. n. 334 del 1999, nonché dall’art. 5 del decreto-legge 7 settembre 2001, n. 343 (Disposizioni urgenti per assicurare il coordinamento operativo delle strutture preposte alle attività di protezione civile e per migliorare le strutture logistiche nel settore della difesa civile).
Il ricorrente sostiene, inoltre, che la competenza statale in materia troverebbe fondamento nell’art. 118 Cost. ed in particolare nei principi di sussidiarietà e di adeguatezza; al riguardo, il rilievo nazionale delle funzioni amministrative in questione sarebbe confermato dalla previsione di cui all’art. 20 del d.lgs. n. 334 del 1999, il quale stabilisce che il piano di emergenza esterno sia predisposto da un organo dello Stato, il prefetto, sia pure d’intesa con le Regioni e gli enti locali interessati.
Sarebbe violato anche l’art. 117, secondo comma, lettera a), Cost., poiché l’eventuale informazione dei servizi di emergenza di altri Stati non potrebbe che essere attuata a cura dello Stato.
Infine, l’Avvocatura dello Stato censura l’art. 6, comma 3, della legge reg. Marche n. 18 del 2004, in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera f), Cost., in quanto le misure di coordinamento delle risorse necessarie previste nel punto 2, lettera c), dell’allegato IV del d.lgs. n. 334 del 1999, investirebbero anche organi dello Stato, rispetto ai quali la Provincia «non può avere nessun potere […] non solo per ragioni di gerarchia, ma soprattutto perché il loro utilizzo deve essere disposto tenendo conto delle esigenze di intervento al di fuori della Provincia o della Regione».
2. – Si è costituita in giudizio, con memoria depositata il 28 dicembre 2004, la Regione Marche, chiedendo che il ricorso sia dichiarato infondato.
3. – In data 22 dicembre 2005 la Regione Marche ha depositato una memoria illustrativa con la quale, preliminarmente, ricostruisce l’evoluzione del quadro normativo sia interno che comunitario in materia. In particolare, la difesa regionale sottolinea l’importanza della direttiva del Consiglio delle Comunità europee del 24 giugno 1982, 82/501 (Direttiva del Consiglio sui rischi di incidenti rilevanti connessi con determinate attività industriali), a partire dalla quale la finalità principale perseguita dalla legislazione in esame è stata quella della prevenzione di siffatti incidenti.
La normativa in parola e la successiva direttiva del Consiglio dell’Unione europea del 9 dicembre 1996, 96/82 (Direttiva del Consiglio sul controllo dei pericoli di incidenti rilevanti connessi con determinate sostanze pericolose) sono state attuate, rispettivamente, con il d.P.R. 17 maggio 1988, n. 175 (Attuazione della direttiva CEE n. 82/501, relativa ai rischi di incidenti rilevanti connessi con determinate attività industriali, ai sensi della legge 16 aprile 1987, n. 183) e con il citato d.lgs. n. 334 del 1999. Al riguardo, la Regione Marche ricorda come questa Corte (da ultimo, nella sentenza n. 214 del 2005) abbia considerato il d.lgs. n. 334 del 1999, sia prima che dopo la riforma del Titolo V della Parte II della Costituzione, alla stregua di una legge-quadro in materia, in quanto recante i principi generali, le finalità e le linee guida che debbono informare il contenuto del piano di emergenza esterno.
La difesa regionale esamina, poi, il contenuto dell’art. 18 del detto d.lgs. n. 334 e dell’art. 72 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112 (Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle Regioni ed agli enti locali, in attuazione del capo I della legge 15 marzo 1997, n. 59), individuando le competenze regionali in materia ed evidenziando come le norme citate debbano essere lette alla luce della riforma del Titolo V; pertanto, a detta della resistente, l’esigenza di coordinamento fra l’ente statale e quello regionale sarebbe rimessa alla cooperazione fra i diversi livelli di governo.
Dopo aver ricostruito il quadro normativo di riferimento, la Regione Marche prende in esame le argomentazioni sviluppate da questa Corte nella sentenza n. 214 del 2005 per escludere l’illegittimità di una analoga normativa contenuta nella legge della Regione Emilia-Romagna 17 dicembre 2003, n. 26 (Disposizioni in materia di pericoli di incidenti rilevanti connessi con determinate sostanze pericolose). La resistente ricorda, inoltre, come la normativa impugnata sarà operativa solo a decorrere dalla stipulazione dell’accordo di programma di cui all’art. 72, comma 3, del d.lgs. n. 112 del 1998 (secondo quanto previsto dall’art. 17 della legge reg. Marche n. 18 del 2004, analogamente a quanto stabilito dalla richiamata legge reg. Emilia-Romagna n. 26 del 2003). In proposito, la difesa regionale allega alla memoria in questione una comunicazione del Dipartimento territorio e ambiente della Regione Marche, datata 28 ottobre 2005, nella quale si precisa che «l’accordo Stato/Regione di cui all’art. 72 del d.lgs. n. 112 del 1998 non è stato ad oggi stipulato, essendo il testo-base ancora in discussione tra i rappresentanti dei Ministeri competenti e le Regioni presso l’Ufficio per il federalismo amministrativo della Presidenza del Consiglio dei ministri».
Sulla base di siffatte argomentazioni la resistente esclude l’esistenza di un contrasto tra la normativa impugnata e l’art. 20 del d.lgs. n. 334 del 1999; è infatti proprio questo articolo, al comma 7, a stabilire come limite della sua vigenza l’attuazione dell’art. 72 del d.lgs. n. 112 del 1998.
Vengono, poi, prese in rassegna altre normative regionali che prevedono la competenza regionale sui piani di emergenza esterni; in particolare, la difesa regionale si sofferma sull’art. 4 della legge della Regione Toscana 20 marzo 2000, n. 30 (Nuove norme in materia di attività a rischio di incidenti rilevanti), sull’art. 10, comma 2, della citata legge reg. Emilia-Romagna n. 26 del 2003, sull’art. 5, comma 2, della legge della Regione Emilia-Romagna 7 febbraio 2005, n. 1 (Norme in materia di protezione civile e volontariato. Istituzione dell’agenzia regionale di protezione civile) e sull’art. 74 della legge della Regione Liguria 21 giugno 1999, n. 18 (Adeguamento delle discipline e conferimento delle funzioni agli enti locali in materia di ambiente, difesa del suolo ed energia).
In merito all’asserita violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., la Regione Marche ricorda la giurisprudenza di questa Corte secondo cui la tutela dell’ambiente si configura come una competenza sì statale ma «sovente connessa e intrecciata inestricabilmente con altri interessi e competenze regionali concorrenti», come ad esempio per la protezione civile. Questa impostazione confermerebbe, a detta della Regione, «la piena legittimità delle norme dirette ad attuare il principio di corresponsabilità nella tutela del valore costituzionale “ambiente”, con la conseguente permanenza in vigore del sistema di distribuzione delle competenze tra Stato e Regione delineato […] dal c.d. “terzo trasferimento” delle funzioni amministrative attuato dal d.lgs. n. 112 del 1998».
Per quanto riguarda la portata «ultraregionale» del pericolo, che, secondo l’Avvocatura dello Stato, implicherebbe la competenza di un organo statale per l’elaborazione ed attuazione del piano di emergenza, la difesa regionale sottolinea come questa Corte, nella sentenza n. 327 del 2003, abbia chiarito che con l’istituzione del Servizio nazionale della protezione civile (ad opera della legge 24 febbraio 1992, n. 225 recante “Istituzione del Servizio nazionale della protezione civile”) «il legislatore statale ha rinunciato ad un modello centralizzato per una organizzazione diffusa a carattere policentrico».
Inoltre, la Regione Marche ricorda che con il d.lgs. n. 112 del 1998 (art. 108) si è avuto il riconoscimento della competenza regionale per le procedure di emergenza, previa distinzione dell’ambito di intervento statale da quello regionale e locale.
La difesa regionale conclude sul punto sostenendo la piena legittimità delle norme impugnate, in quanto la legge regionale disciplinerebbe «funzioni espressamente attribuite alle Regioni e mantenute alla competenza dello Stato solo fino al verificarsi delle condizioni di cui al comma 3 dell’art. 72 del d.lgs. n. 112 del 1998».
In relazione all’asserita violazione dell’art. 118 Cost. ed in particolare dei principi di sussidiarietà ed adeguatezza, la Regione afferma che, proprio in virtù di tali principi, le funzioni amministrative devono essere svolte a livello locale. Si sottolinea, infine, che una piena attuazione dei principi in parola non può prescindere dalla necessaria cooperazione e coesione tra i vari soggetti coinvolti. La legge regionale impugnata, movendosi in questa prospettiva, non si porrebbe, pertanto, in contrasto con l’art. 118 Cost.
Considerato in diritto
1. – Con ricorso notificato il 9 dicembre 2004 e depositato il 15 dicembre 2004, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha promosso questione di legittimità costituzionale dell’art. 6, comma 3, in relazione all’art. 3, comma 1, lettera a), della legge della Regione Marche 4 ottobre 2004, n. 18 (Norme relative al controllo dei pericoli di incidenti rilevanti decreto legislativo 17 agosto 1999, n. 334 sul rischio industriale attuazione della direttiva 96/82/CE), in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettere a), f) e s), e terzo comma, e all’art. 118 della Costituzione.
2. – Ad avviso del ricorrente la norma impugnata, nello stabilire che l’elaborazione, l’approvazione e l’attuazione del piano di emergenza esterno sono effettuati dalla Provincia, sentiti la Regione, l’ARPAM, l’ufficio territoriale del Governo, il comando dei vigili del fuoco competente per territorio, il Comune interessato e gli enti che concorrono nella gestione delle emergenze, violerebbe l’art. 117, terzo comma, Cost. perché in contrasto con uno dei principi fondamentali stabiliti dalle disposizioni del decreto legislativo 17 agosto 1999, n. 334 (Attuazione della direttiva 96/82/CE relativa al controllo dei pericoli di incidenti rilevanti connessi con determinate sostanze pericolose), nonché dall’art. 5 del decreto-legge 7 settembre 2001, n. 343 (Disposizioni urgenti per assicurare il coordinamento operativo delle strutture preposte alle attività di protezione civile e per migliorare le strutture logistiche nel settore della difesa civile), convertito, con modificazioni, dall’art. 1 della legge 9 novembre 2001, n. 401, tutte da considerarsi norme interposte. La difesa erariale fa specifico riferimento all’art. 20 del citato d.lgs. n. 334 del 1999, che prevede, in materia, la competenza del prefetto.
La Regione Marche eccepisce che il suddetto art. 20 del d.lgs. n. 334 del 1999 fissa come limite della sua vigenza l’attuazione dell’art. 72 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112 (Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle Regioni ed agli enti locali, in attuazione del capo I della legge 15 marzo 1997, n. 59). La difesa regionale conclude sul punto osservando che la legge reg. n. 18 del 2004, nell’attribuire alla Provincia una competenza amministrativa trasferita dallo Stato ai sensi del d.lgs. n. 112 del 1998, non invade la sfera di competenza legislativa riservata allo Stato stesso, come esplicitamente riconosciuto dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 214 del 2005.
Osserva inoltre la resistente che la normativa regionale citata non è ancora operativa, come espressamente previsto dall’art. 17 della citata legge reg. n. 18 del 2004, per il quale «le disposizioni della presente legge hanno efficacia a decorrere dalla stipulazione dell’accordo di programma di cui all’art. 72, comma 3, del d.lgs. n. 112 del 1998», che a tutt’oggi non risulta perfezionato.
La questione non è fondata.
Questa Corte ha già messo in rilievo nella sentenza n. 214 del 2005, con riferimento a questione analoga a quella oggetto del presente giudizio, che l’art. 18 del d.lgs. n. 334 del 1999 – da ritenersi legge-quadro in materia anche dopo la riforma del Titolo V della Parte II della Costituzione – ha attribuito alla Regione la disciplina dell’esercizio delle competenze amministrative in materia di incidenti rilevanti, con il compito di individuare le autorità titolari delle funzioni stesse, competenti ad emanare i provvedimenti discendenti dall’istruttoria tecnica, e di stabilire le modalità per l’adozione di questi ultimi, prevedendo la semplificazione dei procedimenti ed il raccordo con il procedimento di valutazione di impatto ambientale. Si legge infatti nella sentenza citata: «È evidente, allora, che è la stessa normativa statale a consentire interventi sulle competenze amministrative da parte della legge regionale»; inoltre «è lo stesso art. 20 del d.lgs. n. 334 del 1999 […] a porre (ultimo comma) come limite della sua vigenza l’attuazione dell’art. 72 del d.lgs. n. 112 del 1998, il quale conferisce alla Regione le competenze amministrative in materia, fra l’altro, di adozione di provvedimenti in tema di controllo dei pericoli da incidenti rilevanti, discendenti dall’istruttoria tecnica». La pronuncia conclude nel senso che l’attribuzione alla Provincia, da parte della Regione, di una competenza amministrativa ad essa attribuita dal suddetto art. 72 del d.lgs. n. 112 del 1998 «non solo non viola la potestà legislativa dello Stato (sentenza n. 259 del 2004), ma costituisce applicazione di quanto alla Regione consente la stessa legge statale, sia pure in attesa dell’accordo di programma previsto dalla norma statale».
La sentenza n. 214 del 2005 si attaglia perfettamente al presente giudizio e vale, pertanto, a sostenere la dichiarazione di non fondatezza della questione riguardante la norma della Regione Marche impugnata dal Presidente del Consiglio dei ministri.
3. – Il ricorrente censura la norma impugnata anche in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., che riserva allo Stato la materia della tutela dell’ambiente.
La questione non è fondata.
Va ribadito nel presente giudizio l’orientamento interpretativo e ricostruttivo di questa Corte sull’identificazione della materia «tutela dell’ambiente». La competenza statale al riguardo si presenta «sovente connessa e intrecciata inestricabilmente con altri interessi e competenze regionali concorrenti» (sentenza n. 214 del 2005), con la conseguenza che essa si connette in modo quasi naturale con la competenza regionale concorrente della «protezione civile». Si legge ancora nella medesima sentenza: «A tale proposito l’art. 20 del d.lgs. n. 334 del 1999, sulla disciplina dei piani di emergenza esterni, riserva allo Stato il compito di fissare standard di tutela uniformi sull’intero territorio nazionale […]; detta regolamentazione esclude la incompatibilità della competenza esclusiva dello Stato con interventi specifici del legislatore regionale […]».
Le conclusioni appena evocate si attagliano perfettamente alla questione oggetto del presente giudizio e vanno integralmente richiamate per dichiararne l’infondatezza.
4. – Il ricorrente lamenta anche l’asserita violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera f), Cost., in quanto la Provincia non potrebbe avere alcun potere di coordinamento nei confronti di organi dello Stato, «non solo per ragioni di gerarchia, ma soprattutto perché il loro utilizzo deve essere disposto tenendo conto delle esigenze di intervento al di fuori della Provincia o della Regione».
La questione non è fondata.
È ormai un dato acquisito, pienamente confermato dalla giurisprudenza di questa Corte, che «con l’istituzione del Servizio nazionale della protezione civile ad opera della legge di riforma n. 225 del 1992 il legislatore statale ha rinunciato ad un modello centralizzato per una organizzazione diffusa a carattere policentrico» (sentenza n. 327 del 2003). Gli «indirizzi per la predisposizione dei piani provinciali di emergenza in caso di eventi calamitosi di cui all’art. 2, comma 1, lettera b) della legge n. 225 del 1992» sono di competenza regionale ai sensi dell’art. 108, comma 1, lettera a), numero 3, del d.lgs. n. 112 del 1998, che stabilisce altresì – all’art. 108, comma 1, lettera b), numero 2 – la competenza della Provincia per la predisposizione dei piani provinciali di emergenza, sulla base degli indirizzi regionali. Le competenze dello Stato in materia sono elencate tassativamente dall’art. 107 del medesimo d.lgs. n. 112 del 1998 e, per quanto riguarda i piani di emergenza, hanno ad oggetto «la predisposizione, d’intesa con le Regioni e gli enti locali interessati, dei piani di emergenza in caso di eventi calamitosi di cui all’art. 2, comma 1, lettera c), della legge 24 febbraio 1992, n. 225 e la loro attuazione». La norma da ultimo citata si riferisce a «calamità naturali, catastrofi o altri eventi che, per intensità ed estensione, debbono essere fronteggiati con mezzi e poteri straordinari».
La distinzione degli ambiti di competenza dello Stato e della Regione in subiecta materia è ben delineata quindi dalle norme statali indicate e non risulta intaccata dalla norma regionale impugnata, che si limita a disciplinare solo quelle funzioni che sono state trasferite espressamente alle Regioni, per l’esercizio delle quali la Provincia viene individuata come l’ente cui spetta il compito di predisporre i piani e coordinare gli interventi sul territorio di propria competenza, salvo che non si tratti di calamità che richiedono l’impiego di poteri straordinari, che rimangono nella sfera di attribuzioni dello Stato.
5. – Secondo il ricorrente sarebbe violato anche l’art. 118 Cost., stante il rilievo nazionale delle competenze amministrative in questione. Alla luce dei principi di sussidiarietà e di adeguatezza solo un organo dello Stato potrebbe realizzare l’intesa con le Regioni.
La questione non è fondata.
Sono proprio i principi di sussidiarietà e di adeguatezza ad aver indotto il legislatore statale a prevedere un’articolazione delle competenze amministrative in maniera tale da conciliare le necessarie esigenze unitarie ed il carattere decentrato e diffuso dell’organizzazione della protezione civile. Il punto di equilibrio individuato dalla legge statale poggia su una precisa ripartizione di compiti, già illustrata, la cui concreta configurazione dipenderà anche dall’accordo Stato/Regioni non ancora perfezionato, al quale è subordinata l’operatività della norma impugnata, come già sottolineato dalla citata sentenza n. 214 del 2005 di questa Corte.
6. – Il ricorrente solleva, infine, questione di legittimità costituzionale della norma impugnata anche in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera a), in quanto l’eventuale informazione dei servizi di sicurezza di altri Stati non potrebbe che essere attuata a cura dello Stato.
La questione non è fondata.
La competenza legislativa esclusiva dello Stato, di cui alla lettera a) del secondo comma dell’art. 117 Cost., riguarda la politica estera ed i rapporti internazionali dello Stato e non viene certamente intaccata dalla semplice ed eventuale trasmissione di informazioni riguardanti piani di emergenza locali, che può essere peraltro effettuata attraverso gli appropriati organi statali.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 6, comma 3, in relazione all’art. 3, comma 1, lettera a), della legge della Regione Marche 4 ottobre 2004, n. 18 (Norme relative al controllo dei pericoli di incidenti rilevanti decreto legislativo 17 agosto 1999, n. 334 sul rischio industriale attuazione della direttiva 96/82/CE), promossa, in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettere a), f) e s), e terzo comma, e all’art. 118 della Costituzione, dal Presidente del Consiglio dei ministri, con il ricorso in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 23 gennaio 2006.
F.to:
Annibale MARINI, Presidente
Gaetano SILVESTRI, Redattore
Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria l’1 febbraio 2006.
1) Inquinamento - Pericoli di incidenti rilevanti - Rischio industriale - Attuazione della direttiva 96/82/CE - Regione Marche n. 18/2004 - Questione di legittimità - Infondatezza. Non è fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 6, comma 3, in relazione all’art. 3, comma 1, lettera a), della legge della Regione Marche 4 ottobre 2004, n. 18 (Norme relative al controllo dei pericoli di incidenti rilevanti decreto legislativo 17 agosto 1999, n. 334 sul rischio industriale attuazione della direttiva 96/82/CE), promossa, in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettere a), f) e s), e terzo comma, e all’art. 118 della Costituzione, dal Presidente del Consiglio dei ministri. CORTE COSTITUZIONALE, 1 FEBBRAIO 2006 (ud. 23/01/2006) Sentenza n. 32 (vedi: sentenza per esteso)
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