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 Massime della sentenza

 

 

T.A.R. Napoli, Sez. VI, 12 settembre 2006, Sentenza n. 8044

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO



IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE per la CAMPANIA
- NAPOLI - Sezione VI

 

n. 8044 Reg.Sent.

Anno 2006

R.G.

3814/03

8526/05

 


ha pronunciato la seguente


SENTENZA


sui ricorsi:


A - 3814 del 2003 proposto da ESPOSITO Maria Rosaria, rappresentata e difesa dall’avv. Concetta Saetta, presso il cui studio è elettivamente domiciliata in Napoli alla via San Carlo n.26;

 

CONTRO


-Ministero per i Beni Ambientali e Culturali, Soprintendenza per i beni architettonici ed il paesaggio e per il patrimonio storico artistico e demoetnoantropologico di Napoli e Provincia, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Napoli, presso cui ope legis domicilia alla via Diaz n. 11;
-Comune di Pozzuoli, in persona del Sindaco p.t., rappresentato dall’Avv. Aldo Starace presso il cui studio è elettivamente domiciliato in Napoli alla Riviera di Chiaia n.207;


per l’annullamento
a) della nota dell’Ing. Capo del Comune di Pozzuoli prot. 48954/99 del 5.11.2002, di comunicazione del parere della Soprintendenza Archeologica di Napoli e Caserta n. 23470 del 25.06.2000 in ordine alla concessione in sanatoria richiesta da PETIRRO CARMELA per l’immobile riportato in catasto al f.lo 95 par.lla 207 ed acquisita al protocollo comunale n. 51909 del 28.10.1985;
b) della nota del 25.06.00 della Soprintendenza Archeologica di Napoli e Caserta n. 23470 del 25.06.2000 con la quale si esprimeva parere negativo in ordine alla sanatoria presentata da PETIRRO CARMELA, dante causa di ESPOSITO MARIA ROSARIA cui il provvedimento è stato notificato, nonché di ogni altro atto precedente, preordinato, connesso e conseguente.


***


B - 8562 del 2005 proposto da CACCAVELLO Massimiliano e DI DONATO Grazia rappresentati e difesi dall’avv. Concetta Saetta, presso il cui studio sono elettivamente domiciliati in Napoli alla via San Carlo n.26;


CONTRO


-Comune di Pozzuoli, in persona del Sindaco p.t., rappresentato dall’Avv. Aldo Starace presso il cui studio è elettivamente domiciliato in Napoli alla Riviera di Chiaia n.207;


per l’annullamento
del silenzio rifiuto formatosi sull’istanza di concessione in sanatoria del 3 marzo 2005 presentata presso il Comune di Pozzuoli, relativamente al fabbricato in catasto al f.lo 95, part.lla 207;


VISTI i ricorsi ed i relativi allegati;
VISTO l’atto di costituzione in giudizio del Ministero per i Beni e le Attività Culturali e quelli del Comune di Pozzuoli, nonché gli atti tutti di causa;
VISTE le ordinanze n. 2200 dell’8.05.2003 e 3218 del 26.06.2003, emesse dalla Sez. III sul ricorso sub A;
UDITI alla pubblica udienza del 20 aprile 2006 - relatore il Presidente Michele Perrelli - i difensori delle parti presenti, come da verbale;


Ritenuto e considerato quanto segue in fatto e diritto:


FATTO


A - Con atto notificato il 26-27 marzo 2003 e depositato il successivo 11 aprile, la ricorrente - quale acquirente il 14.11.1985 di un compendio immobiliare alla via Vicinale Palombara n. 4 in Pozzuoli (compreso un fabbricato, edificato senza titolo e composto da un piano seminterrato e da un piano rialzato, per il quale la dante causa Carmela Petirro ebbe a presentare domanda di condono edilizio prot. 51909, in data 28.10.1985, ai sensi della L. n. 47/85) - ha impugnato i provvedimenti in epigrafe indicati, chiedendone - previa sospensione - l'annullamento.


La ricorrente, dopo aver premesso le seguenti circostanze di fatto:
- sulla menzionata domanda di condono edilizio presentata da Petirro Carmela, con atto del 22.06.94 la Commissione Edilizia Integrata del Comune di Pozzuoli esprimeva parere favorevole ed il Comune di Pozzuoli con atto del 9.08.1994 rilasciava il nulla-osta ambientale;
- con nota prot. 23470 del 25.07.2000 la Soprintendenza Archeologica esprimeva parere negativo: detto provvedimento è stato notificato alla ricorrente il 13.11.2002,
deduceva l'illegittimità del provvedimento sovrintendizio impugnato per i seguenti motivi:


1) VIOLAZIONE E FALSA APPLICAZIONE DELLA L. 47/85 E DELL’ART. 33 DELLA L. 47/85, VIOLAZIONE E FALSA APPLICAZIONE DELLA L.1089/1939 E DEGLI ARTT. 3 E 9 COST., VIOLAZIONE DEL GIUSTO PROCEDIMENTO: la ricorrente lamenta l’applicazione, a distanza di 25 anni dalla presentazione della concessione in sanatoria, dell’art. 33 della L. 47/85, operata senza considerare che l’abuso era stato realizzato prima del D.M. del 21.04.1998, impositivo del vincolo archeologico, e senza valutare che il vincolo de quo ricade sul terreno non edificato e non sul fabbricato. La ricorrente rileva inoltre la violazione degli art. 3 e 9 Cost. e del principio del giusto procedimento, perché l’imposizione di un vincolo su un’area tanto vasta non apparirebbe giustificato alla luce del notevole lasso di tempo tra realizzazione dell’abuso e l’ imposizione del vincolo e della circostanza che il vincolo sarebbe privo di valore in quanto non idoneamente trascritto.


2) VIOLAZIONE DELL’ART. 3 DELLA L. 241/90 - ECCESSO DI POTERE PER DIFETTO DI MOTIVAZIONE - ILLEGITTIMITA’, MANIFESTA ILLOGICITA’, ALTRI PROFILI: la ricorrente lamenta la violazione dell’art. 2 della L.241/90 sostenendo che il provvedimento emesso dal Comune di Pozzuoli sul condono non sarebbe idoneamente motivato in ordine all’esistenza o meno del vincolo sul fabbricato, alla vigenza stessa del vincolo sul fabbricato abusivo realizzato prima dell’imposizione del vincolo stesso, alla situazione di fatto consolidatasi nel tempo.


3) ECCESSO DI POTERE PER SVIAMENTO, GENERICITA’, MANCATA PONDERAZIONE DELLA SITUAZIONE CONTEMPLATA, ERRONEITA’ DEI PRESUPPOSTI DI FATTO E DI DIRITTO: la ricorrente deduce l’illegittimità del provvedimento emesso dalla Soprintendenza che sarebbe affetto da sviamento, mancando una ragionevole motivazione dei confini del vincolo, nonché a suo avviso la trascrizione del vincolo sul fabbricato.


Si costituiva in giudizio, con deposito di documenti, l’Avvocatura dello Stato.


Alla Camera di Consiglio del 26.06.2003 la III Sez. di questo TAR, dopo apposita istruttoria, accoglieva la domanda di sospensione del parere negativo della Soprintendenza.


Il Comune di Pozzuoli provvedeva alla costituzione in giudizio di mero stile.


***


B - Con atto notificato il 9 novembre 2005 e depositato il successivo 7 dicembre i ricorrenti, acquirenti del fabbricato riportato attualmente in catasto al foglio 95 par.lla 207 del Comune di Pozzuoli, ricorrevano innanzi a questo Tribunale Amministrativo avverso il silenzio- inadempimento formatosi sull’istanza relativa alla concessione edilizia in sanatoria presentata presso il Comune di Pozzuoli il 3 marzo 2005, chiedendone l’annullamento.
Dopo aver premesso le seguenti considerazioni in fatto:
- con atto del 3.03.2005 hanno chiesto al Comune di Pozzuoli il rilascio della concessione edilizia in sanatoria;
- con atto del 26.05.2005 hanno comunicato il pagamento della differenza di indennità dovuta, in riferimento alla pratica n. 21 prot. 51909 del 28/10/1985, ad integrazione della richiesta presentata in data 3.03.2005,
col ricorso si deducono, con unico e articolato motivo, le seguenti censure: - - VIOLAZIONE DI LEGGE IN PARTICOLARE ART.2 DELLA l.241/90 E SUCC.MOD.ED INT.;
- VIOLAZIONE DEL GIUSTO PROCEDIMENTO;
- VIOLAZIONE DEI PRINCIPI DI BUONA AMMINISTRAZIONE E CORRETTEZZA; - ILLOGICITA’;
- DIFETTO DI ISTRUTTORIA;
- CARENZA DI MOTIVAZIONE.
Il Comune di Pozzuoli non avrebbe adempiuto agli obblighi, imposti per legge, di conclusione del procedimento iniziato con la richiesta di concessione, così compiendo una illegittima omissione, lesiva degli interessi dei ricorrenti.
Il costituitosi Comune di Pozzuoli con memoria ha eccepito la inammissibilità e l’infondatezza del gravame poiché nessun silenzio inadempimento gli si può imputare in presenza del non rimosso diniego della Soprintendenza archeologica relativo alla sanabilità del fabbricato in questione.


***


All’esito della pubblica udienza del 3.04.06, presenti difensori delle parti come da verbale, i ricorsi venivano trattenuti per la decisione.


DIRITTO


1. Deve disporsi in via preliminare la riunione dei ricorsi stanti le evidenti ragioni di connessione oggettiva.


2. E’ evidente la pregiudizialità del ricorso sub A) poiché solo la rimozione dell’ivi impugnato provvedimento negativo della Soprintendenza Archeologica può rimuovere il contestato fermo procedimentale e riavviare l’esame della richiesta presentata dal ricorrente (ricorso sub. B), ed avente ad oggetto “CONDONO EDILIZIO L. 47/85 - Pratica di sanatoria edilizia n. 21 - Protocollo n. 51909 del 28.10.1985”.


2.1. Il primo ricorso ha per oggetto l’annullamento del parere reso dalla Soprintendenza Archeologica di Napoli e Caserta, n. 23470 del 25.06.2000, con il quale si esprimeva parere negativo in ordine alla sanatoria richiesta da PETIRRO Carmela (dante causa di ESPOSITO Maria Rosaria, che ha avuto il provvedimento notificato unitamente alla nota di mera trasmissione prot. n. prot. 48954/99 del 5.11.2002 a firma dell’Ing. Capo del Comune di Pozzuoli) relativamente all’immobile riportato in catasto al f.lo 95 par.lla 207 ed acquisita al protocollo comunale n. 51909 del 28.10.1985.
Con il secondo ricorso è stato, poi, impugnato il silenzio- inadempimento formatosi sull’istanza relativa alla concessione edilizia in sanatoria presentata da CACCAVELLO Massimo (avente causa da Esposito Maria Rosaria) presso il Comune di Pozzuoli il 3 marzo 2005, relativamente allo stesso fabbricato al f.lo 95, par.lla 207.


I ricorsi sono infondati.


A - Con il primo motivo la ricorrente deduce l’illegittimità dell’applicazione dell’art. 33 della L. 47/85, operata non valutando che l’abuso era stato realizzato prima del D.M. del 21.04.1998, di imposizione del vincolo archeologico, e che il vincolo de quo, ricadeva sul terreno non edificato e non sul fabbricato. La ricorrente rileva inoltre la violazione degli art. 3 e 9 Cost. e del principio del giusto procedimento, in quanto l’imposizione di un vincolo su un’area tanto vasta non apparirebbe giustificato sia in relazione al notevole lasso di tempo tra trascorso tra la realizzazione dell’abuso e l’ imposizione del vincolo, sia in riferimento alla circostanza che il vincolo, ove operasse, sarebbe privo di valore in quanto non idoneamente trascritto.


I rilievi sono privi di fondamento.
Giova ricordare che la funzione dell’avviso espresso dalla Soprintendenza è la verifica della compatibilità dell'opera che si intende sanare con l'esigenza di conservazione dei valori archeologici protetti dal vincolo: pertanto non è condivisibile la tesi che si siano verificate illegittimità, anche per eccessi di potere, in quanto la articolata e dettagliata motivazione del provvedimento della Soprintendenza, nel sottolineare le precipue e particolari caratteristiche dell’area di insediamento del manufatto, si mantiene entro i confini del potere attribuito al Ministero, soggetto cui è attribuita la gestione del vincolo medesimo..
Il provvedimento, in vero, evidenzia che l’abuso edilizio “ricade in area di eccezionale interesse storico-archeologico, corrispondente a quella delle necropoli di Cuma e … l’area medesima è vincolata con D.M. 21.4.1998 art. 21, ai sensi della legge 1039/1939….. il citato vincolo prevede all’Art. 2 …è fatto divieto di costruire fabbricati di qualsiasi tipo e/o natura, di alterare i volumi dei fabbricati esistenti, di modificare l’attuale assetto dei luoghi…”
Ed ancora la Soprintendenza sottolinea che “a seguito di sopralluogo di proprio personale scientifico e tecnico, la scrivente ha constatato che la costruzione abusiva non solo ha pregiudicato l’area della necropoli, insistente nella zona, ma, per i suoi caratteri edilizi, non è consona al decoro ed alla dignità della vicina citta di Cuma.”
Nel caso di specie l’Organo periferico del Ministero esplicita le circostanze di fatto e gli elementi specifici che sono stati ritenuti tali da implicare, in concreto, un intollerabile danno e pericolo sotto il profilo della salvaguardia del valore archeologico e del paesaggio: quindi la Soprintendenza si limita a quanto ad essa delegato, argomentando e delucidando con precisione e chiarezza i motivi che hanno condotto all’espressione di un parere negativo.
Nell’ambito della tutela del patrimonio archeologico, inoltre, appare irrilevante la sussistenza di una richiesta di sanatoria presentata in data 28.10.1985, in quanto la data di imposizione del vincolo rispetto a quella di realizzazione di un abuso non si rivela determinante alla luce del più recente orientamento giurisprudenziale.
L’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato con la sentenza n. 20 del 22/07/99 ha ritenuto sussistente l’obbligo di acquisire il parere da parte della Autorità preposta alla tutela del vincolo in sede di rilascio della concessione edilizia in sanatoria, a prescindere dall’epoca dell’introduzione del regime di tutela, in quanto la compatibilità dell’opera da condonare con il regime di salvaguardia garantito dal vincolo deve essere comunque valutata alla data dell’esame della domanda di sanatoria (T.A.R. Marche 21/04/00, n.678).
In adesione all’orientamento giurisprudenziale segnalato si ritiene ininfluente la data di imposizione del vincolo, posto che è compito della Soprintendenza procedere a valutazione alla data di esame della domanda di concessione in sanatoria e non di presentazione della stessa.
La succesione temporale degli atti conduce alla legittimità dell’operato della Soprintendenza che è chiamata in causa dal Comune di Pozzuoli soltanto in data 21.12.99, quando il vincolo era comunque già stato posto.


Anche le doglianze prospettate con il secondo e terzo motivo di ricorso sono infondate.
Con il secondo motivo la ricorrente lamenta, infatti, la violazione dell’art. 2 della L. 241/90 sostenendo che il provvedimento emesso dal Comune di Pozzuoli sul condono non sarebbe idoneamente motivato in ordine all’esistenza o meno del vincolo sul fabbricato. In realtà, sia la nota impugnata che il decreto impositivo del vincolo sono assistiti da idonea e dettagliata motivazione.
La ricorrente solleva dubbi in merito alla vigenza stessa del vincolo sul fabbricato abusivo, ritenendo che il vincolo cadrebbe in realtà sul terreno inedificato adiacente, individuato in catasto al f.lo 95, p.la 204, ma a ben vedere il decreto impositivo del vincolo pone in area vincolata le particelle 204, 99, 195, 146 ed altre come evidenziato nella planimetria allegata al decreto stesso.
La p.lla 195 è una particella che identifica al tempo stesso un terreno ed un fabbricato, su di essa è riportato un fabbricato graffato: una tecnica, ora abbandonata, usata per indicare un fabbricato rurale, riportato in catasto con la stessa particella del terreno sul quale insiste.
Nella planimetria allegata al decreto impositivo del vincolo il fabbricato che è attualmente in catasto alla p.lla 207 del f.lo 95 del catasto fabbricati era riportato quale fabbricato rurale ed individuato dalla p.lla 195 f.lo 95 del catasto terreni, in quanto fabbricato rurale.
E’ quindi da ritenere che l’imposizione del vincolo e la sua trascrizione sulla p.lla 195, f.lo 95 del catasto terreni si riverbera direttamente sul fabbricato rurale non dotato di autonomia descrittiva ma formando parte integrante della p.lla 195.


Con il terzo motivo la ricorrente deduce l’illegittimità del provvedimento emesso dalla Soprintendenza che sarebbe affetto da sviamento, mancando una ragionevole motivazione dei confini del vincolo, nonché a suo avviso la trascrizione del vincolo sul fabbricato.
Se è vero che il provvedimento d’imposizione del vincolo archeologico, ai sensi della legge 1 giugno 1939, n. 1089 è espressione di valutazioni tecnico-discrezionali, sindacabili sotto il profilo della congruità e logicità della motivazione (Sez. VI, 15 novembre 1999, n. 1811; Sez. VI, 20 ottobre 1998, n. 1398; Sez. VI, 19 luglio 1996, n. 950; Sez. VI, 19 settembre 1992, n. 674; Sez. VI, 26 settembre 1991, n. 596) è altresì indubbio che al fine di salvaguardare l’integrità, il decoro e il godimento del complesso archeologico e per consentire le ricerche re adhuc integra, l’Amministrazione può sottoporre al vincolo un’ampia area, considerata come parco o complesso archeologico, dove vi sono stati i più antichi insediamenti o siano stati rinvenuti reperti (Cons. giust. Amm., 29 dicembre 1997, n. 579; Sez. VI, 11 ottobre 1996, n. 1316; Sez. VI, 19 luglio 1996, n. 950; Sez. VI, 26 settembre 1991, n. 596).
In tali ipotesi, per l’imposizione del vincolo non è necessario che siano stati riportati alla luce tutti i reperti (Cons. giust. Amm., 29 dicembre 1997, n. 579; Sez. VI, 11 ottobre 1996, n. 1316; Sez. VI, 19 luglio 1996, n. 950; Sez. VI, 18 novembre 1991, n. 874), bastando che essi siano stati rinvenuti in alcuni terreni tra quelli vincolati (Sez. VI, 6 ottobre 1999, n. 1309; Sez. VI, 29 novembre 1985, n. 616).
L’Amministrazione non può basarsi su mere ipotesi scientifiche (in quanto la giacenza sotterranea di reperti va desunta anche da elementi obiettivi e da rinvenimenti: Sez. VI, 13 aprile 1992, n. 261; Sez. VI, 13 aprile 1991, n. 194), ma può motivatamente rilevare (con una valutazione di per sé insindacabile: Sez. VI, 5 settembre 1989, n. 1194) che i ruderi disseminati su una vasta estensione di terreno (di epoca storica o preistorica) facciano parte di un complesso inscindibile, anche rispetto ai probabili assetti viari.
In tema di tutela di beni archeologici rileva, infatti, che oltre alla loro scoperta e valorizzazione in funzione della conoscenza e delle ricerche nei vari settori scientifici, i beni archeologici possono essere tutelati anche in funzione dell’immutabilità o della conservazione dell’unitario contesto ambientale in cui si trovano (cfr. Cons. giust. Amm., 18 ottobre 1989, n. 400; Sez. VI, 22 dicembre 1983, n. 923).
Una recentissima sentenza del Consiglio di Stato la n. 805 del 2005 ha inoltre sostenuto che l’effettiva esistenza di reperti archeologici può essere dimostrata anche per presunzione ed è quindi ininfluente che i materiali oggetto di tutela siano stati portati alla luce o siano ancora interrati, essendo sufficiente che il complesso risulti adeguatamente definito e che il vincolo archeologico appaia adeguato alla finalità di pubblico interesse al quale è preordinato.
La vastità dell’area vincolata riportata al f.lo 95 è legata alla natura ed alle caratteristiche geo-morfologiche del sito archeologico tutelato.
La stessa Corte di Cassazione Sezione civile, sez. I, 23/3/1993 n. 3451 ha ritenuto in merito all’incidenza del vincolo archeologico sulla facoltà di edificazione del suolo cui il vincolo insiste che “se e' pur vero che detto vincolo non comporta in ogni caso e necessariamente un divieto assoluto di edificazione, essendo questa virtualmente possibile quando il tipo di costruzione progettato sia tale da non arrecare pregiudizio al reperto archeologico fisso al suolo od affiorante, vero e' altresì che l'edificazione rimane comunque radicalmente esclusa configurando l'ipotesi di «uso della cosa non compatibile vietata in modo assoluto dal comma 2 del già citato art. 11» quando l'interesse archeologico non già inerisca e rimanga limitato a determinati resti presenti nell'area, sebbene si correli al luogo medesimo nel suo complesso, quale sede di una pluralità di reperti testimonianti uno specifico assetto storico di insediamento, identificandosi in questo caso il terreno con la «cosa di interesse archeologico» tutelata e che non ammette pertanto manomissione alcuna”.


Per quanto attiene alla trascrizione del vincolo sul fabbricato a nulla conducono le argomentazioni di parte ricorrente che vorrebbero sostenere l’esistenza del vincolo solo sulla p.lla 204 di terreno inedificato, in quanto il fabbricato, attualmente in catasto fabbricati alla p.lla 207, è identificato nel decreto come fabbricato rurale ed è riportato come p.lla 195, ragion per cui al fine dell’esclusione del vincolo sul fabbricato non rileva indagare sulla p.lla 207, che nel decreto non figura.


Conclusivamente, attesa la presenza di una motivazione congrua ed esauriente in ordine al pregiudizio alla necropoli già recato dal manufatto e alla sua incompatibilità con il decoro e la dignità della vicina Cuma, l’opera abusiva compromette e degrada in maniera grave ed irreparabile il patrimonio archeologico, particolarmente tutelato nell’intera zona circostante, vanificando le finalità e la ragione stessa dell’imposizione del vincolo.


B Alla reiezione del ricorso n. 3814/03 consegue che quanto dedotto nel secondo ricorso non possa essere condiviso: infatti nessuna omissione può essere imputata al Comune di Pozzuoli stante l’impugnativa al TAR intervenuta nel 2003, prima della presentazione delle varie richieste avanzate, in quanto correttamente l’Amministrazione ha ritenuto di procedere in merito alle richieste solo all’esito del proposto ricorso avente natura pregiudiziale.


Sulla scorta delle considerazioni svolte, le doglianze sviluppate sono infondate ed entrambi i ricorso vanno rigettati.
Le spese seguono la soccombenza nel primo ricorso, mentre appare equo compensarle nel secondo e si liquidano in dispositivo.


P.Q.M.


Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania, Napoli, Sezione Sesta, respinge i ricorsi nn. 3814/03 e 8562/05, meglio in epigrafe specificati, proposti da Esposito Maria Rosaria, Caccavello Massimiliano e Donato Grazia.
Nel Ricorso 3814/03 condanna Esposito Maria Rosaria al pagamento delle spese di giudizio per complessivi euro 1800,00 (€ milleottocento/00) in favore del Comune di Pozzuoli e del Ministero Beni e Attività Culturali, ciascuno in ragione della metà; compensa le spese pel ricorso 8562/05 .
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità Amministrativa.


Così deciso in Napoli, nella Camera di Consiglio del 3 aprile 2006, con l’intervento dei Magistrati:


Michele Perrelli Presidente,rel.
Alessandro Pagano Consigliere
Maria Abbruzzese Consigliere
 

M A S S I M E

Sentenza per esteso

 

1) Beni culturali e ambientali - Complessi archeologici - Imposizione del vincolo - Estensione - Rinvenimento di reperti archeologici - Su alcuni soltanto dei terreni vincolati - Sufficienza. Al fine di salvaguardare l’integrità, il decoro e il godimento del complesso archeologico e per consentire le ricerche re adhuc integra, l’Amministrazione può sottoporre al vincolo un’ampia area, considerata come parco o complesso archeologico, dove vi sono stati i più antichi insediamenti o siano stati rinvenuti reperti (Cons. giust. Amm., 29 dicembre 1997, n. 579; Sez. VI, 11 ottobre 1996, n. 1316; Sez. VI, 19 luglio 1996, n. 950; Sez. VI, 26 settembre 1991, n. 596). In tali ipotesi, per l’imposizione del vincolo non è necessario che siano stati riportati alla luce tutti i reperti (Cons. giust. Amm., 29 dicembre 1997, n. 579; Sez. VI, 11 ottobre 1996, n. 1316; Sez. VI, 19 luglio 1996, n. 950; Sez. VI, 18 novembre 1991, n. 874), bastando che essi siano stati rinvenuti in alcuni terreni tra quelli vincolati (Sez. VI, 6 ottobre 1999, n. 1309; Sez. VI, 29 novembre 1985, n. 616). L’Amministrazione non può basarsi su mere ipotesi scientifiche (in quanto la giacenza sotterranea di reperti va desunta anche da elementi obiettivi e da rinvenimenti: Sez. VI, 13 aprile 1992, n. 261; Sez. VI, 13 aprile 1991, n. 194), ma può motivatamente rilevare (con una valutazione di per sé insindacabile: Sez. VI, 5 settembre 1989, n. 1194) che i ruderi disseminati su una vasta estensione di terreno facciano parte di un complesso inscindibile, anche rispetto ai probabili assetti viari. In tema di tutela di beni archeologici rileva, infatti, che oltre alla loro scoperta e valorizzazione in funzione della conoscenza e delle ricerche nei vari settori scientifici, i beni archeologici possono essere tutelati anche in funzione dell’immutabilità o della conservazione dell’unitario contesto ambientale in cui si trovano (cfr. Cons. giust. Amm., 18 ottobre 1989, n. 400; Sez. VI, 22 dicembre 1983, n. 923).Pres. ed Est. Perrelli - E.M.R. (avv. Saetta) c. Ministero per i beni culturali e ambientali (Avv. Stato) e Comune di Pozzuoli (avv. Storace) - T.A.R. CAMPANIA, Napoli, Sez. VI - 12 settembre 2006, n. 8044

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