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Testata registrata presso il Tribunale di Patti Reg. n. 197 del 19/07/2006

 

TAR FRIULI VENEZIA GIULIA, 26 ottobre 2006, sentenza n. 695

 

Rifiuti - Recupero di rifiuti inerti - D.M. 5.2.1998 - D.M. 5.4.2006 - Test di cessione - Va effettuato sulla materia prima secondaria prodotta - Test effettuato su campioni prelevati dai rifiuti prima del trattamento - Violazione dell’art. 9 c. 1 D.M. 5.2.98 - Ratio della norma. Il test di cessione richiesto, in materia di recupero di rifiuti inerti, dal D.M. 5.2.1998 (oggi D.M. 5 aprile 2006), per non vedere frustrate le finalità alle quali è preordinato, deve essere effettuato su campioni del materiale ottenuto nella medesima forma fisica prevista nelle condizioni finali d’uso, e non certo su campioni prelevati dai rifiuti prima del trattamento e quindi dopo e non prima del trattamento perché, in caso contrario, non permetterebbe di accertare se il materiale trattato presenta tutte le caratteristiche chimico-fisiche necessarie per essere idoneo ad essere qualificato giuridicamente materia prima secondaria. In altri termini, in conformità alla prescrizione contenuta nell'art. 9 comma 1 del Decreto Ministeriale 05/02/1998, i test di cessione vanno effettuati sulla materia prima secondaria prodotta e, quanto alla scansione temporale, ai sensi dell'art. 9, comma 3 del medesimo Decreto, “devono essere effettuati almeno ogni inizio di attività e, successivamente, ogni due anni e comunque, ogni volta che intervengano modifiche sostanziali nel processo di recupero dei rifiuti". La ratio ispiratrice è quella di evitare che siano trattate ed utilizzate come materie prime secondarie sostanze che non presentano le richieste caratteristiche chimico-fisiche o perchè il trattamento, nel lasso di tempo intercorso tra le due analisi, potrebbe aver subito delle modifiche tali da comportare una modifica del prodotto finale, o perchè, variando la provenienza dei rifiuti iniziali, varia anche il prodotto finale, che ben potrebbe non essere idoneo all'utilizzo come materia prima secondaria (il confronto con il vigente D.M. 5 aprile 2006, che ha regolamentato la fattispecie in maniera ancora più rigorosa, rende evidente che l’evoluzione normativa in materia è improntata allo scopo di sottoporre l'attivita di recupero a controlli e verifiche ancor più puntuali, onde evitare che attività nominalmente e dichiaratamente di recupero ne mascherino altre, di tipo diverso). Pres. Borea, Est. Settesoldi - C.T. s.n.c. (avv. Longo) c. Provincia di Udine (avv. Raccaro) - T.A.R. FRIULI VENEZIA GIULIA - 26 ottobre 2006, n. 695

Rifiuti - Attività di recupero - Deposito per la messa in riserva - Termine di 12 mesi - Art. 7, c. 2 D.M. 5.2.1998. Affinchè l'attivita di recupero di rifiuti sia definibile come tale è necessario che, ai sensi dell’art. 7, c. 2 del DM 05/02/1998, il materiale accumulato per essere trattato sia sottoposto al trattamento entro un termine di 12 mesi, scaduto il quale si può legittimamente presumere che le operazioni svolte non siano operazioni di recupero, sottoposte ad un regime privilegiato, ma attività di smaltimento svolte sotto mentite spoglie. Entro tale termine, peraltro, ove il materiale conferito sia totalmente mescolato e non sia possibile distinguere quello presente da più o meno di dodici mesi, deve essere recuperato tutto il materiale messo in riserva. Pres. Borea, Est. Settesoldi - C.T. s.n.c. (avv. Longo) c. Provincia di Udine (avv. Raccaro) - T.A.R. FRIULI VENEZIA GIULIA - 26 ottobre 2006, n. 695
 

 

 

 

REPUBBLICA ITALIANA


IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE

PER IL FRIULI VENEZIA GIULIA


Ric. 327/2005 R.G.R.

Sent. n. 695/06 Reg. Sent.


costiuito da:

Vincenzo Borea Presidente
Oria Settesoldi - Consigliere, relatore
Vincenzo Farina - Consigliere


ha pronunciato la seguente


SENTENZA


sui ricorsi n. 372/2005 di Cave Teghil s.n.c., rappresentata e difesa dall’avv. Francesco Longo, con domicilio eletto presso la segreteria del T.A.R.;


c o n t r o


la Provincia di Udine, in persona del legale rappresentante in carica rappresentato e difeso dall’avv. Andrea Raccaro, con domicilio eletto presso la segreteria del T.A.R.;


p e r


l’annullamento della determinazione dirigenziale n. 3885 del 31.5.2005 con cui viene disposto il recupero dei rifiuti messi in riserva e la produzione dei test di cessione del materiale sito in località Manzinello, del Comune di Manzano.
Visto il ricorso, ritualmente notificato e depositato presso la Segreteria;
Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’Amministrazione;
Viste le memorie prodotte dalle parti tutte;
Visti gli atti tutti della causa;
Uditi, alla pubblica udienza dell’ 8 febbraio 2006 - relatore il Consigliere Oria Settesoldi - i difensori delle parti presenti;


Ritenuto in fatto e in diritto quanto segue:


FATTO


La ricorrente società Cave Teghil è proprietaria dei fondi catastalmente individuati al F.23, mappali nn. 129 e 39 in località Manzinello, in Comune di Manzano, dove svolge attività di recupero e lavorazione di rifiuti inerti provenienti da demolizione e scavi.


In data 8.04.05, la Provincia di Udine comunicava alla Cave Teghil l'avvio del procedimento inerente all'assunzione di un eventuale provvedimento di sospensione dell'attività sulla scorta delle seguenti assente violazioni: I. violazione dell'art. 9, comma 1, del D.M. 5.02.98 in tema di "test di cessione" che, secondo la disposizione citata "devono essere eseguiti su un campione ottenuto nella stessa forma fisica prevista nelle condizioni finali d'uso", mentre, nel caso di specie, risulterebbe che il rapporto di prova effettuato in data 21.02.03 indicato nella Comunicazione di inizio attività al n. 51, avrebbe avuto ad oggetto "... un campione prelevato sul cumulo di rifiuti prima del loro recupero";

II. che il quantitativo di rifiuti di cui al CER 17.09.04, esistente presso l'impianto in località Manzinello, era di circa 771 metri cubi in luogo del quantitativo massimo indicato in Comunicazione di rinnovo delle operazioni di recupero pari a cinquecento metri cubi;

III, la violazione dell'art. 7, comma 2, del D.M. 5.02.98 inerente al deposito per la messa in riserva dei rifiuti che non può avvenire per un periodo superiore a un anno e, comunque, per quantità superiori a quelle recuperabili nello stesso periodo.

All'incontro, nel caso concreto, la durata del deposito evincibile dai modelli MUD del 1999 e 2003, si sarebbe protratta rispettivamente per 21 mesi e rispettivamente 22 mesi.


Con il provvedimento impugnato viene quindi imposto il completo recupero dei rifiuti messi in riserva e la produzione di copia dei test di cessione che si ritengono mancanti; il tutto deve essere fatto nel termine di 60 giorni pena la sospensione dell’attività.


Avverso tale atto il presente ricorso deduce i seguenti motivi:


1) Violazione di legge per violazione degli artt. 33 del D.lvo n. 22/97, 7 e 9 del D.M. 5.2.1988, nonché eccesso di potere per travisamento di fatto, carenza istruttoria e difetto di motivazione.
1.1. Non sarebbe dimostrato che il materiale in questione sul quale la Provincia sostiene la mancata effettuazione del c.d. “ test di cessione”, avesse raggiunto la forma fisica prevista per le condizioni finali d’uso e non si dà conto dell’effettuazione dell’istruttoria necessaria a poter motivatamente sostenere la violazione dell’art. 9, comma 1 del D.M. 5.2.1998.
Dal momento che il test di cessione può essere anche effettuato “ogni due anni”, qualora non si raggiunga, nel frattempo, la condizione finale d’uso si ipotizza che il materiale in questione, non trovandosi nella condizione finale d’uso, poteva essere oggetto di test di cessione con intervallo biennale.


1.2. per quanto riguarda la “messa in riserva” dei rifiuti non pericolosi non sarebbe indicata con chiarezza a quale materiale si riferisca la violazione contestata. Si ipotizza che essa riguardi lo stesso materiale del c.d. test di cessione nel qual caso la violazione non sussisterebbe perché la messa in riserva riguarda i rifiuti e non le materie prime secondarie.


1.3. per quanto riguarda il rifiuto individuato al CER 170904 (ex 170701) “Rifiuti misti dell’attività di costruzione e demolizione diversi da quelli di cui alle voci 170901, 170902 e 70903” non si evincerebbe che il test di cessione non sia stato eseguito su un campione “ottenuto nella stessa forma fisica prevista nelle condizioni finali d’uso”.


Inoltre l’azienda potrebbe aver tenuto il materiale in riserva in funzione del raggiungimento delle condizioni ottimali per il suo recupero, non essendo stati superati i limiti quantitativi della messa in riserva.


Si è costituita in giudizio la Provincia di Udine controdeducendo per il rigetto del ricorso.


DIRITTO


Il ricorso è infondato.


L’attività della ricorrente oggetto del provvedimento censurato concerne il recupero rifiuti inerti che è regolamentato nel punto 7.1.3. dell’allegato 1, suballegato 1 del D.M. 5.2.1998 "Attività di recupero: messa in riserva di rifiuti inerti [R 13] per la produzione di materie prime secondarie per l'edilizia mediante fasi meccaniche e tecnologicamente interconnesse di macinazione, vagliatura, selezione granulometrica e separazione della frazione metallica e delle frazioni indesiderate per l'ottenimento di frazioni inerti di natura lapidea a granulometria idonea e selezionata, con eluato del test di cessione conforme a quanto previsto in allegato 3 al presente decreto e con caratteristiche di cui alle norme CNR-UNI 10006 [R5]."


E’ evidente che il test di cessione, per non vedere frustrate le finalità alle quali è preordinato, deve essere effettuato su campioni del materiale ottenuto nella medesima forma fisica prevista nelle condizioni finali d'uso, e non certo su campioni prelevati dai rifiuti prima del trattamento, e quindi dopo e non prima del trattamento perché, in caso contrario, non permetterebbe di accertare se il materiale trattato presenta tutte le caratteristiche chimico-fisiche necessarie per essere idoneo ad essere qualificato giuridicamente materia prima secondaria.


Pertanto, in conformità al ragionamento sopra spiegato e, ovviamente, alla prescrizione contenuta nell'art. 9 comma 1 del Decreto Ministeriale 05/02/1998, puntualmente richiamata nel provvedimento impugnato, i test di cessione vanno effettuati sulla materia prima secondaria prodotta e, ai sensi dell'art. 9, comma 3 del medesimo Decreto "I test di cessione devono essere effettuati almeno ogni inizio di attività e, successivamente, ogni due anni e comunque, ogni volta che intervengano modifiche sostanziali nel processo di recupero dei rifiuti".


La ratio ispiratrice è pertanto estremamente chiara: evitare che siano trattate ed utilizzate come materie prime secondarie sostanze che non presentano le richieste caratteristiche chimico-fisiche o perchè il trattamento, nel lasso di tempo intercorso tra le due analisi , potrebbe aver subito delle modifiche tali da comportare una modifica del prodotto finale, o perchè, variando la provenienza dei rifiuti iniziali, varia anche il prodotto finale, che ben potrebbe non essere idoneo all'utilizzo come materia prima secondaria.


Non appare privo di significato a tale proposito considerare che attualmente il DM 5 aprile 2006 ha regolamentato in maniera ancor più rigorosa la fattispecie, stabilendo, in sostituzione del vecchio articolo, che: "Il test di cessione è effettuato almeno ad ogni inizio di attività e, successivamente, ogni 12 mesi salvo diverse prescrizioni dell'autorita competente e, comunque, ogni volta che intervengano modifiche sostanziali nel processo di recupero".


Il trend dell’evoluzione normativa in materia appare pertanto improntato all’evidente scopo di sottoporre l'attivita di recupero a controlli e verifiche ancor più puntuali, onde evitare che attività nominalmente e dichiaratamente di recupero ne mascherino altre, di tipo diverso.


Nel caso di specie risulta peraltro dalla Relazione Tecnica di Servizio 03/05 del 2 febbraio 2005, pag. 3, punto 2) righe 1-7 (richiamata dall’atto impugnato) che l'unico e solo certificato relativo al test di cessione prodotto dalla ricorrente è quello datato 21/02/2003, e che al riguardo un addetto della Cave Teghil S.N.C. ha riferito che i campionamenti erano stati effettuati sul cumulo di rifiuti prima del loro recupero.


Nella Relazione Tecnica di Servizio 06/05, del 7 febbraio 2005 ( anch’essa richiamata in atto), si legge, a pag. 2, al, punto 1), che i sig.ri Teghil Alessandro (titolare della Ditta) e Martin Stefano (impiegato della Ditta) hanno confermato che, dopo il test di cessione del febbraio 2003, non erano stati effettuati ulteriori prove chimico fisiche, nè sul rifiuto in entrata nè sul rifiuto selezionato.


Dalla istruttoria compiuta risulta pertanto indiscutibile la sussistenza delle contestate violazioni delle disposizioni sul test di cessione. Infatti il test di cessione è stato effettuato su campioni provenienti dal cumulo di rifiuti e non, come doveva essere fatto, sul prodotto finale ottenuto dal procedimento di recupero e non è stato effettuato rispettando l'intervallo temporale massimo di due anni.


Le doglianze al riguardo mosse dal ricorrente si rivelano quindi infondate, dato che la Cave Teghil srl non ha mai prodotto alla Provincia un test di cessione rispondente ai parametri normativi sopra enucleati: pertanto non ha mai completato il ciclo di recupero dei rifiuti e non ha mai prodotto materia prima secondaria.


Riguardo alle contestazioni mosse al secondo addebito su cui si regge il provvedimento impugnato , vale a dire la rilevata protrazione della messa in riserva dei rifiuti per un periodo superiore ai 18 mesi, il Collegio ricorda anzitutto che l'art. 7, comma 2 del DM 05/02/1998 così recita: "Il deposito per la messa in riserva di rifiuti di cui al comma 1, dell’art. 6, non può avvenire per un periodo superiore ad un anno e comunque in quantità superiori a quelle recuperabili nello stesso periodo"


La ratio della norma appare chiara, così come il suo stretto collegamento con il termine per l’effettuazione del test di cessione: affinchè l'attivita di recupero sia definibile come tale è necessario che il materiale accumulato per essere trattato sia sottoposto al trattamento entro un termine di 12 mesi, scaduto il quale si può legittimamente presumere che le operazioni svolte non siano operazioni di recupero, sottoposte ad un regime privilegiato, considerati gli indubbi benefici ambientali ad esse connesse, ma attività di smaltimento svolte sotto mentite spoglie.


Nella Relazione Tecnica di Servizio 03/05 del 2 febbraio 2005 si rileva, al punto 3, che il materiale depositato per la messa in riserva raggiungeva il volume di Metri cubi 771, ben al disopra dei 500 Metri cubi previsti nella Relazione Tecnica allegata alla comunicazione di rinnovo delle operazioni di recupero rifiuti.


Nella Relazione Tecnica di Servizio n. 06/05 del 7 febbraio 2005, si riporta che, dai MUD dal 1999 al 2003 e relativi registri di carico e scarico, si evince che dal mese di febbraio 1999 al mese di ottobre 2000 e dal mese di luglio 2001 al mese di aprile 2003 non sono state effettuate operazioni di recupero, ovvero il rifiuto arrivava, veniva accumulato e veniva parzialmente ritrasportato altrove, per essere utilizzato, dopo un processo di recupero senza che questo non si fosse mai concluso, nè giuridicamente nè effettivamente. E’, tra l’altro, evidente la rilevanza anche a questo proposito della riscontrata non regolare effettuazione dei test di cessione.


Dall'istruttoria compiuta, dunque, appare documentata in maniera chiara e puntuale anche la contestata violazione relativa alla messa in riserva.


Il Collegio ritiene che tutto quanto sopra riportato basti e avanzi a dimostrare l’inconsistenza delle doglianze di ricorso e la piena legittimità dell’atto impugnato.


Tra l’altro si può constatare anche come nelle Relazioni Tecniche presentate dalla ricorrente in occasione della comunicazione di avvio e di rinnovo dell'attivita di recupero non si segnalava lo stoccaggio di materie prime, come invece parrebbe, all'incontro, far balenare il ricorrente a pag. 9, punto 2.1.2 del proprio ricorso; pertanto i rifiuti presenti non potevano essere messi in riserva per un periodo di tempo superiore ai 12 mesi.


Allo stesso modo appare superabile il dubbio, avanzato dal ricorrente, sul materiale messo in riserva oggetto del provvedimento impugnato: poichè il materiale conferito è totalmente mescolato, senza che sia possibile distinguere quello presente da più o da meno di dodici mesi, tutto il materiale messo in riserva deve esser recuperato, come evincibile dalla locuzione "completo recupero dei rifiuti messi in riserva", enunciata nel punto 1 del dispositivo dell'atto oggetto del ricorso.


In conclusione il Collegio ritiene doveroso stigmatizzare ancora una volta che da tutta l’istruttoria emerge confermata l'importanza che il test di cessione assume all'interno della procedura: infatti, in sua assenza, il materiale oggetto delle operazioni di recupero, ovvero il rifiuto, non può essere considerato recuperato e quindi non può essere inserito all'interno della categoria "materia prima secondaria".
Per tutte le considerazioni che precedono il ricorso è infondato e deve essere respinto.


Sussistono giusti motivi per disporre la compensazione delle spese tra le parti. Il contributo unificato resta a carico del ricorrente.


P.Q.M.


Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Friuli Venezia Giulia, respinta ogni contraria istanza ed eccezione, definitivamente pronunciando sul ricorso in premessa, lo rigetta.

Spese compensate. Contributo unificato a carico del ricorrente.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorità amministrativa.

 

Così deciso in Trieste, in Camera di Consiglio, l’8 febbraio 2006.


f.to Vincenzo Borea - Presidente
f.to Oria Settesoldi - Estensore


Depositata nella segreteria del Tribunale
il 26 ottobre 2006
f.to Antonino Maria Fortuna.
 


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