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TAR FRIULI VENEZIA GIULIA, 26 ottobre 2006, sentenza n. 695
Rifiuti - Recupero di rifiuti inerti - D.M. 5.2.1998 - D.M. 5.4.2006 - Test
di cessione - Va effettuato sulla materia prima secondaria prodotta - Test
effettuato su campioni prelevati dai rifiuti prima del trattamento - Violazione
dell’art. 9 c. 1 D.M. 5.2.98 - Ratio della norma. Il test di cessione
richiesto, in materia di recupero di rifiuti inerti, dal D.M. 5.2.1998 (oggi
D.M. 5 aprile 2006), per non vedere frustrate le finalità alle quali è
preordinato, deve essere effettuato su campioni del materiale ottenuto nella
medesima forma fisica prevista nelle condizioni finali d’uso, e non certo su
campioni prelevati dai rifiuti prima del trattamento e quindi dopo e non prima
del trattamento perché, in caso contrario, non permetterebbe di accertare se il
materiale trattato presenta tutte le caratteristiche chimico-fisiche necessarie
per essere idoneo ad essere qualificato giuridicamente materia prima secondaria.
In altri termini, in conformità alla prescrizione contenuta nell'art. 9 comma 1
del Decreto Ministeriale 05/02/1998, i test di cessione vanno effettuati sulla
materia prima secondaria prodotta e, quanto alla scansione temporale, ai sensi
dell'art. 9, comma 3 del medesimo Decreto, “devono essere effettuati almeno ogni
inizio di attività e, successivamente, ogni due anni e comunque, ogni volta che
intervengano modifiche sostanziali nel processo di recupero dei rifiuti". La
ratio ispiratrice è quella di evitare che siano trattate ed utilizzate come
materie prime secondarie sostanze che non presentano le richieste
caratteristiche chimico-fisiche o perchè il trattamento, nel lasso di tempo
intercorso tra le due analisi, potrebbe aver subito delle modifiche tali da
comportare una modifica del prodotto finale, o perchè, variando la provenienza
dei rifiuti iniziali, varia anche il prodotto finale, che ben potrebbe non
essere idoneo all'utilizzo come materia prima secondaria (il confronto con il
vigente D.M. 5 aprile 2006, che ha regolamentato la fattispecie in maniera
ancora più rigorosa, rende evidente che l’evoluzione normativa in materia è
improntata allo scopo di sottoporre l'attivita di recupero a controlli e
verifiche ancor più puntuali, onde evitare che attività nominalmente e
dichiaratamente di recupero ne mascherino altre, di tipo diverso). Pres. Borea,
Est. Settesoldi - C.T. s.n.c. (avv. Longo) c. Provincia di Udine (avv. Raccaro)
- T.A.R. FRIULI VENEZIA GIULIA - 26 ottobre 2006, n. 695
Rifiuti - Attività di recupero - Deposito per la messa in riserva - Termine
di 12 mesi - Art. 7, c. 2 D.M. 5.2.1998. Affinchè l'attivita di recupero di
rifiuti sia definibile come tale è necessario che, ai sensi dell’art. 7, c. 2
del DM 05/02/1998, il materiale accumulato per essere trattato sia sottoposto al
trattamento entro un termine di 12 mesi, scaduto il quale si può legittimamente
presumere che le operazioni svolte non siano operazioni di recupero, sottoposte
ad un regime privilegiato, ma attività di smaltimento svolte sotto mentite
spoglie. Entro tale termine, peraltro, ove il materiale conferito sia totalmente
mescolato e non sia possibile distinguere quello presente da più o meno di
dodici mesi, deve essere recuperato tutto il materiale messo in riserva. Pres.
Borea, Est. Settesoldi - C.T. s.n.c. (avv. Longo) c. Provincia di Udine (avv. Raccaro) - T.A.R. FRIULI VENEZIA GIULIA
- 26 ottobre 2006, n. 695
REPUBBLICA ITALIANA
IL
TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE
PER IL FRIULI VENEZIA GIULIA
Ric. 327/2005 R.G.R.
Sent. n. 695/06 Reg. Sent.
costiuito da:
Vincenzo Borea Presidente
Oria Settesoldi - Consigliere, relatore
Vincenzo Farina - Consigliere
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sui ricorsi n. 372/2005 di Cave Teghil s.n.c., rappresentata e difesa dall’avv.
Francesco Longo, con domicilio eletto presso la segreteria del T.A.R.;
c o n t r o
la Provincia di Udine, in persona del legale rappresentante in carica
rappresentato e difeso dall’avv. Andrea Raccaro, con domicilio eletto presso la
segreteria del T.A.R.;
p e r
l’annullamento della determinazione dirigenziale n. 3885 del 31.5.2005 con cui
viene disposto il recupero dei rifiuti messi in riserva e la produzione dei test
di cessione del materiale sito in località Manzinello, del Comune di Manzano.
Visto il ricorso, ritualmente notificato e depositato presso la Segreteria;
Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’Amministrazione;
Viste le memorie prodotte dalle parti tutte;
Visti gli atti tutti della causa;
Uditi, alla pubblica udienza dell’ 8 febbraio 2006 - relatore il Consigliere
Oria Settesoldi - i difensori delle parti presenti;
Ritenuto in fatto e in diritto quanto segue:
FATTO
La ricorrente società Cave Teghil è proprietaria dei fondi catastalmente
individuati al F.23, mappali nn. 129 e 39 in località Manzinello, in Comune di
Manzano, dove svolge attività di recupero e lavorazione di rifiuti inerti
provenienti da demolizione e scavi.
In data 8.04.05, la Provincia di Udine comunicava alla Cave Teghil l'avvio del
procedimento inerente all'assunzione di un eventuale provvedimento di
sospensione dell'attività sulla scorta delle seguenti assente violazioni: I.
violazione dell'art. 9, comma 1, del D.M. 5.02.98 in tema di "test di cessione"
che, secondo la disposizione citata "devono essere eseguiti su un campione
ottenuto nella stessa forma fisica prevista nelle condizioni finali d'uso",
mentre, nel caso di specie, risulterebbe che il rapporto di prova effettuato in
data 21.02.03 indicato nella Comunicazione di inizio attività al n. 51, avrebbe
avuto ad oggetto "... un campione prelevato sul cumulo di rifiuti prima del loro
recupero";
II. che il quantitativo di rifiuti di cui al CER 17.09.04, esistente presso l'impianto in località Manzinello, era di circa 771 metri cubi in luogo del quantitativo massimo indicato in Comunicazione di rinnovo delle operazioni di recupero pari a cinquecento metri cubi;
III, la violazione dell'art. 7, comma 2, del D.M. 5.02.98 inerente al deposito per la messa in riserva dei rifiuti che non può avvenire per un periodo superiore a un anno e, comunque, per quantità superiori a quelle recuperabili nello stesso periodo.
All'incontro, nel caso concreto, la durata del deposito evincibile dai modelli MUD del 1999 e 2003, si sarebbe protratta rispettivamente per 21 mesi e rispettivamente 22 mesi.
Con il provvedimento impugnato viene quindi imposto il completo recupero dei
rifiuti messi in riserva e la produzione di copia dei test di cessione che si
ritengono mancanti; il tutto deve essere fatto nel termine di 60 giorni pena la
sospensione dell’attività.
Avverso tale atto il presente ricorso deduce i seguenti motivi:
1) Violazione di legge per violazione degli artt. 33 del D.lvo n. 22/97, 7 e 9
del D.M. 5.2.1988, nonché eccesso di potere per travisamento di fatto, carenza
istruttoria e difetto di motivazione.
1.1. Non sarebbe dimostrato che il materiale in questione sul quale la Provincia
sostiene la mancata effettuazione del c.d. “ test di cessione”, avesse raggiunto
la forma fisica prevista per le condizioni finali d’uso e non si dà conto
dell’effettuazione dell’istruttoria necessaria a poter motivatamente sostenere
la violazione dell’art. 9, comma 1 del D.M. 5.2.1998.
Dal momento che il test di cessione può essere anche effettuato “ogni due anni”,
qualora non si raggiunga, nel frattempo, la condizione finale d’uso si ipotizza
che il materiale in questione, non trovandosi nella condizione finale d’uso,
poteva essere oggetto di test di cessione con intervallo biennale.
1.2. per quanto riguarda la “messa in riserva” dei rifiuti non pericolosi non
sarebbe indicata con chiarezza a quale materiale si riferisca la violazione
contestata. Si ipotizza che essa riguardi lo stesso materiale del c.d. test di
cessione nel qual caso la violazione non sussisterebbe perché la messa in
riserva riguarda i rifiuti e non le materie prime secondarie.
1.3. per quanto riguarda il rifiuto individuato al CER 170904 (ex 170701)
“Rifiuti misti dell’attività di costruzione e demolizione diversi da quelli di
cui alle voci 170901, 170902 e 70903” non si evincerebbe che il test di cessione
non sia stato eseguito su un campione “ottenuto nella stessa forma fisica
prevista nelle condizioni finali d’uso”.
Inoltre l’azienda potrebbe aver tenuto il materiale in riserva in funzione del
raggiungimento delle condizioni ottimali per il suo recupero, non essendo stati
superati i limiti quantitativi della messa in riserva.
Si è costituita in giudizio la Provincia di Udine controdeducendo per il rigetto
del ricorso.
DIRITTO
Il ricorso è infondato.
L’attività della ricorrente oggetto del provvedimento censurato concerne il
recupero rifiuti inerti che è regolamentato nel punto 7.1.3. dell’allegato 1,
suballegato 1 del D.M. 5.2.1998 "Attività di recupero: messa in riserva di
rifiuti inerti [R 13] per la produzione di materie prime secondarie per
l'edilizia mediante fasi meccaniche e tecnologicamente interconnesse di
macinazione, vagliatura, selezione granulometrica e separazione della frazione
metallica e delle frazioni indesiderate per l'ottenimento di frazioni inerti di
natura lapidea a granulometria idonea e selezionata, con eluato del test di
cessione conforme a quanto previsto in allegato 3 al presente decreto e con
caratteristiche di cui alle norme CNR-UNI 10006 [R5]."
E’ evidente che il test di cessione, per non vedere frustrate le finalità alle
quali è preordinato, deve essere effettuato su campioni del materiale ottenuto
nella medesima forma fisica prevista nelle condizioni finali d'uso, e non certo
su campioni prelevati dai rifiuti prima del trattamento, e quindi dopo e non
prima del trattamento perché, in caso contrario, non permetterebbe di accertare
se il materiale trattato presenta tutte le caratteristiche chimico-fisiche
necessarie per essere idoneo ad essere qualificato giuridicamente materia prima
secondaria.
Pertanto, in conformità al ragionamento sopra spiegato e, ovviamente, alla
prescrizione contenuta nell'art. 9 comma 1 del Decreto Ministeriale 05/02/1998,
puntualmente richiamata nel provvedimento impugnato, i test di cessione vanno
effettuati sulla materia prima secondaria prodotta e, ai sensi dell'art. 9,
comma 3 del medesimo Decreto "I test di cessione devono essere effettuati almeno
ogni inizio di attività e, successivamente, ogni due anni e comunque, ogni volta
che intervengano modifiche sostanziali nel processo di recupero dei rifiuti".
La ratio ispiratrice è pertanto estremamente chiara: evitare che siano trattate
ed utilizzate come materie prime secondarie sostanze che non presentano le
richieste caratteristiche chimico-fisiche o perchè il trattamento, nel lasso di
tempo intercorso tra le due analisi , potrebbe aver subito delle modifiche tali
da comportare una modifica del prodotto finale, o perchè, variando la
provenienza dei rifiuti iniziali, varia anche il prodotto finale, che ben
potrebbe non essere idoneo all'utilizzo come materia prima secondaria.
Non appare privo di significato a tale proposito considerare che attualmente il
DM 5 aprile 2006 ha regolamentato in maniera ancor più rigorosa la fattispecie,
stabilendo, in sostituzione del vecchio articolo, che: "Il test di cessione è
effettuato almeno ad ogni inizio di attività e, successivamente, ogni 12 mesi
salvo diverse prescrizioni dell'autorita competente e, comunque, ogni volta che
intervengano modifiche sostanziali nel processo di recupero".
Il trend dell’evoluzione normativa in materia appare pertanto improntato
all’evidente scopo di sottoporre l'attivita di recupero a controlli e verifiche
ancor più puntuali, onde evitare che attività nominalmente e dichiaratamente di
recupero ne mascherino altre, di tipo diverso.
Nel caso di specie risulta peraltro dalla Relazione Tecnica di Servizio 03/05
del 2 febbraio 2005, pag. 3, punto 2) righe 1-7 (richiamata dall’atto impugnato)
che l'unico e solo certificato relativo al test di cessione prodotto dalla
ricorrente è quello datato 21/02/2003, e che al riguardo un addetto della Cave
Teghil S.N.C. ha riferito che i campionamenti erano stati effettuati sul cumulo
di rifiuti prima del loro recupero.
Nella Relazione Tecnica di Servizio 06/05, del 7 febbraio 2005 ( anch’essa
richiamata in atto), si legge, a pag. 2, al, punto 1), che i sig.ri Teghil
Alessandro (titolare della Ditta) e Martin Stefano (impiegato della Ditta) hanno
confermato che, dopo il test di cessione del febbraio 2003, non erano stati
effettuati ulteriori prove chimico fisiche, nè sul rifiuto in entrata nè sul
rifiuto selezionato.
Dalla istruttoria compiuta risulta pertanto indiscutibile la sussistenza delle
contestate violazioni delle disposizioni sul test di cessione. Infatti il test
di cessione è stato effettuato su campioni provenienti dal cumulo di rifiuti e
non, come doveva essere fatto, sul prodotto finale ottenuto dal procedimento di
recupero e non è stato effettuato rispettando l'intervallo temporale massimo di
due anni.
Le doglianze al riguardo mosse dal ricorrente si rivelano quindi infondate, dato
che la Cave Teghil srl non ha mai prodotto alla Provincia un test di cessione
rispondente ai parametri normativi sopra enucleati: pertanto non ha mai
completato il ciclo di recupero dei rifiuti e non ha mai prodotto materia prima
secondaria.
Riguardo alle contestazioni mosse al secondo addebito su cui si regge il
provvedimento impugnato , vale a dire la rilevata protrazione della messa in
riserva dei rifiuti per un periodo superiore ai 18 mesi, il Collegio ricorda
anzitutto che l'art. 7, comma 2 del DM 05/02/1998 così recita: "Il deposito per
la messa in riserva di rifiuti di cui al comma 1, dell’art. 6, non può avvenire
per un periodo superiore ad un anno e comunque in quantità superiori a quelle
recuperabili nello stesso periodo"
La ratio della norma appare chiara, così come il suo stretto collegamento con il
termine per l’effettuazione del test di cessione: affinchè l'attivita di
recupero sia definibile come tale è necessario che il materiale accumulato per
essere trattato sia sottoposto al trattamento entro un termine di 12 mesi,
scaduto il quale si può legittimamente presumere che le operazioni svolte non
siano operazioni di recupero, sottoposte ad un regime privilegiato, considerati
gli indubbi benefici ambientali ad esse connesse, ma attività di smaltimento
svolte sotto mentite spoglie.
Nella Relazione Tecnica di Servizio 03/05 del 2 febbraio 2005 si rileva, al
punto 3, che il materiale depositato per la messa in riserva raggiungeva il
volume di Metri cubi 771, ben al disopra dei 500 Metri cubi previsti nella
Relazione Tecnica allegata alla comunicazione di rinnovo delle operazioni di
recupero rifiuti.
Nella Relazione Tecnica di Servizio n. 06/05 del 7 febbraio 2005, si riporta
che, dai MUD dal 1999 al 2003 e relativi registri di carico e scarico, si evince
che dal mese di febbraio 1999 al mese di ottobre 2000 e dal mese di luglio 2001
al mese di aprile 2003 non sono state effettuate operazioni di recupero, ovvero
il rifiuto arrivava, veniva accumulato e veniva parzialmente ritrasportato
altrove, per essere utilizzato, dopo un processo di recupero senza che questo
non si fosse mai concluso, nè giuridicamente nè effettivamente. E’, tra l’altro,
evidente la rilevanza anche a questo proposito della riscontrata non regolare
effettuazione dei test di cessione.
Dall'istruttoria compiuta, dunque, appare documentata in maniera chiara e
puntuale anche la contestata violazione relativa alla messa in riserva.
Il Collegio ritiene che tutto quanto sopra riportato basti e avanzi a dimostrare
l’inconsistenza delle doglianze di ricorso e la piena legittimità dell’atto
impugnato.
Tra l’altro si può constatare anche come nelle Relazioni Tecniche presentate
dalla ricorrente in occasione della comunicazione di avvio e di rinnovo dell'attivita
di recupero non si segnalava lo stoccaggio di materie prime, come invece
parrebbe, all'incontro, far balenare il ricorrente a pag. 9, punto 2.1.2 del
proprio ricorso; pertanto i rifiuti presenti non potevano essere messi in
riserva per un periodo di tempo superiore ai 12 mesi.
Allo stesso modo appare superabile il dubbio, avanzato dal ricorrente, sul
materiale messo in riserva oggetto del provvedimento impugnato: poichè il
materiale conferito è totalmente mescolato, senza che sia possibile distinguere
quello presente da più o da meno di dodici mesi, tutto il materiale messo in
riserva deve esser recuperato, come evincibile dalla locuzione "completo
recupero dei rifiuti messi in riserva", enunciata nel punto 1 del dispositivo
dell'atto oggetto del ricorso.
In conclusione il Collegio ritiene doveroso stigmatizzare ancora una volta che
da tutta l’istruttoria emerge confermata l'importanza che il test di cessione
assume all'interno della procedura: infatti, in sua assenza, il materiale
oggetto delle operazioni di recupero, ovvero il rifiuto, non può essere
considerato recuperato e quindi non può essere inserito all'interno della
categoria "materia prima secondaria".
Per tutte le considerazioni che precedono il ricorso è infondato e deve essere
respinto.
Sussistono giusti motivi per disporre la compensazione delle spese tra le parti.
Il contributo unificato resta a carico del ricorrente.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Friuli Venezia Giulia, respinta
ogni contraria istanza ed eccezione, definitivamente pronunciando sul ricorso in
premessa, lo rigetta.
Spese compensate. Contributo unificato a carico del ricorrente.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorità amministrativa.
Così deciso in Trieste, in Camera di Consiglio, l’8 febbraio 2006.
f.to Vincenzo Borea - Presidente
f.to Oria Settesoldi - Estensore
Depositata nella segreteria del Tribunale
il 26 ottobre 2006
f.to Antonino Maria Fortuna.
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