Per altre sentenze vedi: Sentenze per esteso
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T.A.R. LAZIO, Roma,
Sez. III ter - 4 gennaio 2006 (c.c. 1°/12/2005), Sentenza n. 82
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
IL
TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE DEL LAZIO
SEZIONE SECONDA TER
Anno 2005
N. 9448 Reg.Ric.
Anno 2004
composto dai signori
Francesco Corsaro PRESIDENTE
Angelica Dell'Utri COMPONENTE, relatore
Stefania Santoleri COMPONENTE
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso n. 9448/04 Reg. Gen., proposto da COMUNE DI SONA, in persona
del Sindaco in carica, rappresentato e difeso dagli Avv.ti Fausto Scappini e
Mario Sanino, elettivamente domiciliato presso il secondo in Roma, viale Parioli
n. 180;
CONTRO
il Comitato Interministeriale per la Programmazione Economica (CIPE), il
Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, il Ministero dell’ambiente e
della tutela del territorio, il Ministero per i beni e le attività culturali, il
Ministero dell’economia e delle finanze, in persona dei rispettivi legali
rappresentanti in carica, rappresentati e difesi dall’Avvocatura generale dello
Stato e domiciliati presso la medesima in Roma, via dei Portoghesi n. 12;
E NEI CONFRONTI DI
Regione Veneto, in persona del Presidente in carica della Giunta regionale,
rappresentata e difesa dagli Avv.ti Romano Morra, Antonella Cusin e Luigi Manzi,
elettivamente domiciliata presso quest’ultimo in Roma, via Federico Confalonieri
n. 5;
Provincia di Verona, in persona del legale rappresentante in carica, non
costituita in giudizio;
Rete Ferroviaria Italiana S.p.A. (RFI), in persona del legale rappresentante in
carica, non costituita in giudizio;
Italferr S.p.A., in persona del legale rappresentante in carica, non costituita
in giudizio;
Treno ad Alta Velocità S.p.A. (TAV), in persona del legale rappresentante in
carica, rappresentata e difesa dall’Avv. Luigi Medugno ed elettivamente
domiciliata presso il medesimo in Roma, via Panama 12;
CON L’INTERVENTO AD OPPONENDUM
del Consorzio CEPAV Due (Consorzio Eni per l’Alta Velocità), in persona del
legale rappresentante in carica, rappresentato e difeso dagli Avv.ti Stefano
Grassi e Jacopo Sanalitro, elettivamente domiciliato presso i medesimi in Roma,
piazza Barberini n. 12;
per l'annullamento
a.- della deliberazione 5 dicembre 2003 n. 120/2003, con cui il CIPE ha
approvato il progetto preliminare per la “linea AV/AC Milano-Verona”, ha
riconosciuto la compatibilità ambientale dell’opera ed ha disposto in ordine al
finanziamento delle attività da avviare in via anticipata; nonché, per quanto
necessario e nei limiti dell’interesse dedotto in ricorso, di ogni altro atto
presupposto, connesso e conseguente, tra cui
- il verbale della Conferenza dei servizi 19 dicembre 2002 relativo alla
valutazione del progetto per il quadruplicamento ferroviario veloce
Torino-Milano-Venezia, tratta Milano-Verona;
- la deliberazione 21 dicembre 2001 n. 121 del CIPE, con la quale il
quadruplicamento ferroviario predetto è stato incluso nel primo programma delle
infrastrutture strategiche;
- i pareri della Giunta regionale del Veneto 23 giugno 2003 n. 6015/45.01 e 11
agosto 2003 n. 8343745.01, non conosciuti;
- la deliberazione 18 agosto 2003 n. 2810 della Giunta regionale del Veneto;
- il parere della Commissione speciale VIA, non conosciuto,
previa, se del caso,
proposizione del giudizio incidentale di legittimità costituzionale per la
conseguente remissione degli atti alla Corte Costituzionale, per la
dichiarazione di incostituzionalità
- dell’art. 11 della legge n. 166/2002 per contrasto con il diritto comunitario
e con gli artt. 10 e 11 Cost., nonché con gli artt. 3, 24, 25, 97 e 113 Cost.;
- dell’art. 1, co. 2, 3, 3 bis della legge n. 443/2001 per contrasto con gli
artt. 9, 32 e 97 Cost.;
- dell’art. 1, co. 1, 2, 3 e 3 bis della legge n. 443/2001 per contrasto con gli
artt. 3, 5, 97, 117, 118, 119 e 120 Cost..
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio delle Amministrazioni statali
intimate, della Regione Veneto e della TAV;
Visto l’atto di intervento ad opponendum spiegato dal Consorzio CEPAV Due;
Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
Visti gli atti tutti della causa;
Alla pubblica udienza del 1° dicembre 2005, relatore il consigliere Angelica
Dell'Utri, uditi per le parti gli Avv.ti Scappini, Medugno, Manzi, Grassi e
l’Avv. dello Stato Di Palma;
Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:
F A T T O
Con ricorso notificato il 22 e 27 settembre 2004 il Comune di Sona ha impugnato
la deliberazione 5 dicembre 2003 n. 120/2003 (in G.U.R.I. 8 giugno 2004), con
cui il CIPE ha approvato il progetto preliminare per la “linea AV/AC
Milano-Verona”, ha riconosciuto la compatibilità ambientale dell’opera ed ha
disposto in ordine al finanziamento delle attività da avviare in via anticipata,
nonché ogni altro atto presupposto, connesso o conseguente, tra cui:
- il verbale della Conferenza dei servizi 19 dicembre 2002 relativa alla
valutazione del progetto per il quadruplicamento ferroviario veloce
Torino-Milano-Venezia, tratta Milano-Verona;
- la deliberazione 21 dicembre 2001 n. 121 del CIPE, con la quale il progetto in
questione è stato incluso nel primo programma delle opere strategiche;
- i pareri della Giunta regionale del Veneto 23 giugno 2003 n. 6015/45.01 e 11
agosto 2003 n. 8343745.01, non conosciuti;
- la deliberazione 18 agosto 2003 n. 2810 della Giunta regionale del Veneto;
- il parere della Commissione speciale VIA, non conosciuto.
Premesse notazioni circa i particolari pregi della zona interessata e, di
contro, le notevoli opere ivi previste, a sostegno dell’impugnativa ha dedotto:
1.- Violazione e falsa applicazione della legge 21 dicembre 2001 n. 443 e
dell’art. 16 del D.Lgs. 20 agosto 2002 n. 190.
2.- Violazione e falsa applicazione della direttiva 93/37/CEE e degli artt. 10,
11 e 97 Cost.; violazione e falsa applicazione del principio del primato del
diritto comunitario; violazione e falsa applicazione dell’art. 1, co. 2, l. n.
443/01, dell’art. 1, co. 3, D.Lgs. n. 190/02, dell’art. 131, co. 2, l. n.
388/00, della legge n. 109/94, del d.P.R. n. 554 del 1999. Eccesso di potere per
i particolari profili dello sviamento, della disparità di trattamento ed
ingiustizia manifesta, della falsità dei presupposti, della contraddittorietà,
della incongruità e della erronea valutazione dei fatti.
3.- Illegittimità costituzionale dell’art. 11 della legge n. 166/2002 in quanto
in contrasto con gli artt. 10, 11 e 97 Cost. e con il diritto comunitario in
materia di concorrenza ed appalti pubblici; contrasto sotto altro profilo con
gli artt. 3, 97, 24, 25 e 117 Cost..
4.- Carenza assoluta di potere e violazione di legge in relazione all’art. 73
Cost. ed all’art. 10 delle disposizioni sulla legge in generale; conseguente
nullità della delibera 21 dicembre 2001 n. 121 del CIPE.
5.- Violazione e falsa applicazione della direttiva 2001/42/CEE del parlamento
europeo e del consiglio, concernente la valutazione degli effetti di determinati
piani e programmi sull’ambiente, nonché violazione del D.P.R. 14 marzo 2001
(nuovo piano generale dei trasporti e della logistica). Violazione dell’art. 97
Cost..
6.- Illegittimità costituzionale dell’art. 1, co. 1 e 2, della legge n. 443/01
per contrasto con gli artt. 5, 9, 32 e 97 Cost..
7.- Violazione dell’art. 1 della legge n. 443/01 e dell’art. 3 del D.Lgs. n.
190/02. Carenza di motivazione.
8.- In relazione alla deliberazione 21 dicembre 2001 n. 121: violazione e falsa
applicazione dell’art. 117 Cost. Eccesso di potere. Carenza di motivazione.
Invalidità derivata degli atti successivi.
9.- Violazione dell’art. 19 del D.Lgs. n. 190/2002 così come integrato dalla
sentenza n. 303/2003 della Corte Costituzionale e modificato dal D.Lgs. 14
novembre 2003 n. 315.
10.- Eccesso di potere sotto i particolari profili della contraddittorietà,
dell’incongruità, del travisamento e dell’erronea valutazione dei fatti, della
carenza di istruttoria e di motivazione.
11.- Illegittimità costituzionale della legge 21 dicembre 2001 n. 443 ss.mm. e
del D.Lgs. 20 agosto 2002 n. 190 in quanto contrastanti con gli artt. 3, 5, 97,
117, 118 e 120 Cost..
12.- Violazione del principio di precauzione menzionato nell’art. 174, co. 2,
del Trattato UE.
13.- Violazione delle direttive 79/409/CE e 92/43/CE e del D.P.R. 8 settembre
1997 n. 357.
Si sono costituiti in giudizio il CIPE, i Ministeri delle infrastrutture e dei
trasporti, dell’ambiente e della tutela del territorio, per i beni e le attività
culturali e dell’economia e delle finanze, col patrocinio dell’Avvocatura dello
Stato, nonché la Regione Veneto e la TAV S.p.A., mentre è intervenuto ad
opponendum il Consorzio CEPAV Due. Hanno svolto in memoria eccezioni e
controdeduzioni.
All’odierna udienza pubblica la causa è stata posta in decisione, previa
trattazione orale.
D I R I T T O
1.- Com’è esposto nella narrativa che precede, forma oggetto principale del
ricorso in esame, proposto dal Comune di Sona, la deliberazione 5 dicembre 2003
n. 120/2003, con cui il CIPE ha approvato, ai sensi degli artt. 3 e 18 del D.
Lgs. n. 190 del 2002 e con le prescrizioni e le raccomandazioni proposte dal
Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, il progetto preliminare per la
“linea AV/AC Milano-Verona”, ha riconosciuto la compatibilità ambientale
dell’opera ed ha conseguentemente ritenuto perfezionata ad ogni fine urbanistico
ed edilizio l’intesa Stato-Regione sulla localizzazione dell’opera stessa. Tra
gli atti presupposti vengono in particolare impugnati il verbale della
Conferenza dei servizi 19 dicembre 2002 relativo alla valutazione del progetto
per il quadruplicamento ferroviario veloce Torino-Milano-Venezia, tratta
Milano-Verona, la deliberazione 21 dicembre 2001 n. 121 del CIPE, con la quale
il quadruplicamento ferroviario predetto è stato incluso nel primo programma
delle infrastrutture strategiche, i pareri della Giunta regionale del Veneto 23
giugno 2003 n. 6015/45.01 e 11 agosto 2003 n. 8343745.01 con la deliberazione 18
agosto 2003 n. 2810 della stessa Giunta regionale ed il parere della Commissione
speciale VIA. L’impugnativa viene svolta previa, se del caso, proposizione del
giudizio incidentale di legittimità costituzionale dell’art. 11 della legge n.
166/2002 per contrasto con il diritto comunitario e con gli artt. 10 e 11 Cost.,
nonché con gli artt. 3, 24, 25, 97 e 113 Cost., dell’art. 1, co. 2, 3, 3 bis
della legge n. 443/01 per contrasto con gli artt. 9, 32 e 97 Cost., e dell’art.
1, co. 1, 2, 3 e 3 bis della legge n. 443/2001 per contrasto con gli artt. 3, 5,
97, 117, 118, 119 e 120 Cost..
2.- Dal momento che il ricorso deve ritenersi infondato nel merito, non occorre
trattare le eccezioni generali in rito formulate dalle controparti resistenti ed
opponente; se mai, nel corso dell’esame delle singole censure si procederà a
trattarne la specifica ritualità, in relazione alle avanzate eccezioni o
d’ufficio, ove rilevanti.
3.- Col primo motivo l’Ente ricorrente, premesso che la legge n. 443 del 2001 ed
il D.Lgs. n. 190 del 2002 prevedono una serie di deroghe alla normale disciplina
dettata per l’approvazione e l’esecuzione di opere pubbliche - la più evidente
delle quali riguarda la procedura di VIA, ma altre importanti concernono il
riparto delle competenze tra Stato e Regioni ed il ruolo degli Enti locali
interessati - e che tale normativa derogatoria perciò stesso richiede di essere
applicata rigorosamente, lamenta che nella specie si sia preferito seguire il
procedimento così come delineato dalla nuova, predetta normativa, ma il
procedimento non è stato avviato ex novo e sono state applicate contestualmente
sia la vecchia che, per la parte sostanziale, la nuova disciplina, utilizzando i
provvedimenti e/o le valutazioni già adottati e/o approvati, e non soltanto
risultanze istruttorie delle procedure già compiute quali meri atti istruttori,
come consente l’art. 16 del cit. decreto legislativo.
Come osservato dalle controparti, la censura è formulata in modo alquanto vago
ed è pertanto da ritenersi inammissibile, giacché non vengono precisati le fasi
o gli atti procedimentali che ne sarebbero viziati ed i sottostanti
provvedimenti e/o le valutazioni che non sarebbero propriamente istruttori.
D’altro canto, ricordato che in tema di progetto elaborato prima della legge
obiettivo e che, sulla base della normativa all’epoca vigente, sia stato oggetto
di procedura autorizzativa, approvativa o di valutazione di impatto ambientale,
la disciplina transitoria del cit. art. 16, co. 2, prevede che “i soggetti
aggiudicatori possono richiedere l’interruzione della medesima procedura optando
per l’avvio unitario delle procedure disciplinate dal presente decreto
legislativo, oppure proseguire e concludere la procedura in corso. Ai fini del
compimento delle procedure di cui al presente decreto legislativo, possono
essere utilizzate quali atti istruttori le risultanze delle procedure anche di
conferenza di servizi già compiute o ancora in corso”, la stessa censura si
presenta in sé infondata alla stregua delle considerazioni che seguono.
Per sommi capi, la vicenda in trattazione ha avuto origine fin dal dall’anno
1992, quando un primo progetto preliminare non ebbe l’avallo regionale e fu
perciò via via sottoposto a numerose modificazioni fino a che, eseguita una
verifica di Governo sul progetto di quadruplicamento ferroviario veloce e
conclusi in data 22 marzo 2000 i lavori di un apposito “Tavolo istituzionale per
gli approfondimenti progettuali” tenutosi presso il Ministero dei trasporti, con
d.m. 10 ottobre 2000 n. 1063/TAV.8 veniva indetta, ai sensi degli artt. 14 ss.
della legge 7 agosto 1990 n. 241 e ss.mm.ii., la conferenza di servizi
“istruttoria” sul progetto relativo alla tratta Milano-Verona, apertasi con la
seduta del 30 ottobre seguente ed a cui era invitato a partecipare anche il
Comune attuale ricorrente, il quale aveva così modo di esprimere il proprio
avviso al pari degli altri partecipanti.
Poi, inserita l’opera nel I Programma delle infrastrutture strategiche di
preminente interesse nazionale ai sensi della legge n. 443 del 2001 con la
delibera 21 dicembre 2001 n. 121 del CIPE (di cui si parlerà più diffusamente in
prosieguo), a richiesta della R.F.I. (che con nota 8 novembre 2002 sollecitava
la chiusura della conferenza con la definizione del tracciato della linea e
delle relative connessioni alla rete esistente “per poter procedere, senza
soluzione di continuità, alla approvazione dell’intero progetto preliminare,
completo della VIA, secondo le procedure previste dalla legge obiettivo”) ed al
fine dell’esame della nuova soluzione progettuale in esito all’approfondimento
avviato con la prima sessione, con nota 20 novembre 2002 n. 1377/TAV.8 il
Ministro dei trasporti convocava per il 19 dicembre seguente l’ulteriore
sessione della conferenza dei servizi, nella quale “potranno determinarsi in via
prioritaria il consolidamento del tracciato con l’acquisizione sul medesimo
delle relative pronunce, nonché le condizioni per ottenere, per quanto di
competenza di ciascun soggetto, le intese, i pareri, le concessioni, le
autorizzazioni, le licenze, i nulla osta e gli assensi di cui alle norme
vigenti, occorrenti per l’approvazione del progetto”.
Al riguardo, con la sentenza n. 3311 del 2004, resa su ricorso avente ad
oggetto, tra l’altro, il verbale della sessione conclusiva della conferenza di
servizi del 19 dicembre 2002, la Sezione ha già avuto modo di osservare “la
peculiare collocazione della conferenza, indetta ai sensi della normativa
ordinaria e poi confluita, in ragione della materia trattata, nell’ambito di
applicazione della c.d. legge obiettivo, in quanto l’opera ferroviaria risulta
inclusa nel primo programma delle infrastrutture strategiche approvato con
delibera CIPE 21/12/2001, n. 121”. In particolare, a pagina 3 del relativo
verbale era “chiarito che <<le Amministrazioni presenti in conferenza sono
chiamate ad esprimersi su relativi aspetti del progetto preliminare, mediante la
definizione del tracciato e l’eventuale indicazione di condizioni per ottenere,
nelle successive fasi di approvazione del progetto, gli occorrenti assensi,
nulla osta, pareri ed autorizzazioni>> e che <<… per le successive fasi di
approvazione dell’intervento si seguiranno le procedure individuate dal D.Lgs.
20/8/2002 n. 190>>; i medesimi concetti risultano poi ribaditi dal Presidente
della conferenza a pagina 13 del verbale. A conclusione del resoconto della
conferenza di servizi vi è un’elencazione dei soggetti pubblici (o gestori di
servizi pubblici) che hanno prestato il proprio assenso al progetto, di quelli
che, al contrario, hanno espresso parere negativo, e, ancora, di quelli che
hanno formulato osservazioni e prescrizioni sul progetto stesso, senza che sia
indicata alcuna determinazione (anche a maggioranza) di conclusione del
procedimento. Ciò consente, ad avviso del Collegio, di inferire, con sufficiente
grado di certezza, la natura istruttoria della conferenza di servizi in esame,
atteggiatasi alla stregua di modulo di concentrazione rituale degli interessi
pubblici coinvolti in un procedimento amministrativo, e dunque di (modulo di)
semplificazione procedimentale”. Considerato inoltre che il modello di cui agli
artt. 14 bis e seguenti della legge generale sul procedimento amministrativo
sembrava assumere “valenza predecisioria, perché, seppure nella stessa non viene
adottata una decisione finale, purtuttavia sono enucleate le condizioni al
ricorrere delle quali le Amministrazioni partecipanti presteranno l’assenso al
progetto definitivo”, alla stregua del predetto verbale non poteva invece
dubitarsi “che nella fattispecie concreta in esame la conferenza di servizi
abbia solo natura istruttoria e non concreti la previsione di cui all’ultimo
comma del già citato art. 14 bis della legge 7/8/1990, n. 241”, mentre ciò non
ne evidenziava la difformità dal referente normativo, “dovendosi tener conto
dello ius superveniens rappresentato dalla legge 21/12/2001, n. 443 (…) e dal
relativo decreto di attuazione, di cui al D.Lgs. 20/8/2002, n. 190, applicabili
in quanto il progetto in esame è stato inserito (…) nel primo programma delle
infrastrutture strategiche …”. Richiamati ancora i contenuti del verbale, si
riteneva come da questi si evincesse che nella specie “il soggetto aggiudicatore
ha optato per l’applicazione della procedura di cui al D.Lgs. n. 190/02, con
acquisizione peraltro nel nuovo contenitore procedimentale di tutti gli atti
istruttori compiuti, in ossequio non solo ad evidenti ragioni di economia
procedimentale, ma anche al principio di conservazione dei valori giuridici”; di
qui il “carattere in autonomo (…) del progetto relativo alla tratta ferroviaria
Milano-Verona” sortito da detta conferenza di servizi, posto che ai sensi
dell’art. 3 dello stesso decreto legislativo l’approvazione del progetto
preliminare compete al CIPE e che, dunque, “il progetto preliminare a cui fa
riferimento il verbale impugnato (appunto quello della conferenza di servizi del
19 dicembre 2002: n.d.e.) non è ancora stato approvato e si trova nella fase
istruttoria …”, anzi consiste in “un atto meramente istruttorio, preparatorio ed
endoprocedimentale”.
Ciò posto, il Collegio condivide ancora pienamente siffatte argomentazioni, in
base alle quali appaiono come meramente istruttori, preparatori ed
endoprocedimentali gli atti e le procedure intervenuti nella vigenza della
normativa pregressa, la cui utilizzazione appunto “quali atti istruttori” delle
“risultanze delle procedure anche di conferenza di servizi già compiute ovvero
in corso” era perciò pienamente consentita dalla disciplina transitoria di cui
al ripetuto art. 16 del D.Lgs. n. 190 del 2002 nell’ambito della procedura
unitaria disciplinata dallo stesso decreto, alla quale è stato dato avvio con la
successiva acquisizione dei pareri preordinati all’adozione della deliberazione
del CIPE di approvazione del progetto preliminare.
4.- Nel dedurre violazione di legge (direttiva 93/37/CEE, artt. 10, 11 e 97
Cost., principio del primato del diritto comunitario, art. 1, co. 2, l. n.
443/01, art. 1, co. 3, D.Lgs. n. 190/02, art. 131, co. 2, l. n. 388/00, legge n.
109/94 e D.P.R. n. 554 del 1999) ed eccesso di potere sotto vari profili, col
secondo motivo si sostiene che, poiché nel momento in cui una infrastruttura
diviene strategica è sottoposta alla disciplina della l. n. 443/01, tale legge
vada applicata integralmente anche per quanto riguarda l’affidamento della
realizzazione mediante gara ad evidenza pubblica nel rispetto delle direttive
UE, senza che possa assumere rilievo la precedente disciplina; ed appunto in
linea con ciò era l’art. 131, co. 2, della legge n. 388/00, il quale stabiliva
la revoca delle concessioni rilasciate alla TAV in quanto antecedenti alla l. n.
109/94 ed alla direttiva 93/37/CEE, ma tale norma è stata abrogata dall’art. 11
l. n. 166/02, che ha inopinatamente riportato in vita le concessioni TAV e le
convenzioni già da essa stipulate, violando in tal modo ogni regola al fine di
garantire che l’aggiudicazione delle opere venga effettuata previa gara, aperta
alla concorrenza tra imprese europee, non solo nazionali, e che la scelta
dell’aggiudicataria sia effettuata sulla base della maggior convenienza
dell’offerta. Pertanto la l. n. 166/02, nonostante il riferimento all’art. 2
della l. n. 210/1985 (istitutiva dell’ente Ferrovie dello Stato), il quale
impone il rispetto della normativa comunitaria, si porrebbe in contrasto con la
l. n. 443/01, che richiede la gara europea, ma soprattutto con le direttive
comunitarie ed in primo luogo con quella predetta, quindi dovrebbe essere
disapplicato, giacché l’unica interpretazione compatibile con tali normative
sarebbe stata quella del proseguimento di un affidamento già revocato per legge
solo se precedentemente era stata già bandita una gara europea o comunque
sottoponendo l’affidamento a nuova gara europea. D’altra parte, l’obbligo di
sottoposizione degli affidamenti che avvengono con la legge obiettivo alla
disciplina comunitaria apparirebbe affermato anche nella sentenza n. 303/2003
della Corte costituzionale in tema di opere realizzate con prevalenti fondi
privati. Col motivo seguente - che per comodità di indagine può essere esaminato
congiuntamente al secondo - il Comune di Sona aggiunge che, ove l’art. 11 della
legge n. 166 del 2002 dovesse essere interpretato come derogatorio all’obbligo
di affidare la realizzazione delle infrastrutture strategiche mediante gara ad
evidenza pubblica, lo stesso articolo si porrebbe in contrasto, oltre che con la
normativa comunitaria, segnatamente la cit. direttiva 93/37/CEE, quindi con gli
artt. 10 e 11 Cost. ed il principio della prevalenza della disciplina
comunitaria su quella nazionale, con gli artt. 11 e 12 delle preleggi e 97 Cost.
(principi di ragionevolezza, affidamento e buon andamento della p.a.), poiché
avrebbe come scopo di far rivivere le concessioni già dichiarate revocate ex
lege e prevederebbe, perciò, una retroattività irragionevole; infine, dal
momento che la norma non sarebbe né generale, né astratta, né produttiva di
effetti normativi, ma conterrebbe l’assetto concreto di situazioni giuridiche
già ben individuate (il recupero delle concessioni a suo tempo revocate ex lege),
essa contrasterebbe con i principi costituzionali di garanzia della tutela
giurisdizionale del cittadino proclamati, sotto diversi aspetti, dagli artt. 24,
25 e 113 Cost., giacché la volontà del legislatore verrebbe sostanzialmente a
sostituirsi all’apprezzamento discrezionale della p.a. nell’applicazione della
legge, privando il destinatario di una siffatta determinazione del riesame
inerente al sindacato di legittimità in sede giurisdizionale.
Anche questo articolato complesso di censure, che - come si è visto - si
incentrano sulla prosecuzione dell’affidamento della realizzazione dell’opera al
general contractor per effetto della prosecuzione della concessione rilasciata
alla TAV, presta il fianco alle eccezioni di inammissibilità, questa volta per
carenza di interesse, sollevate dalle controparti.
Invero, non è ravvisabile in capo all’Ente locale ricorrente alcun concreto e
specifico interesse a contestare la scelta del concessionario e/o dell’affidatario
dei lavori di cui trattasi, non essendo titolare di alcuna funzione
amministrativa in materia né, parimenti in materia, è comunque titolare di una
posizione differenziata rispetto alla generalità dei soggetti giuridici. Le
doglianze in parola si risolvono, perciò, in un’astratta richiesta di legalità
dell’azione amministrativa - e dell’operato del legislatore -, senza che risulti
dimostrata un’avvenuta lesione concreta ed attuale della sfera giuridica
soggettiva dello stesso Ente dal detto affidamento della concessione e del
sottostante rapporto di general contracting alla TAV e, rispettivamente, al
Consorzio CEPAV Due, piuttosto che ad altri soggetti scelti mediante procedura
ad evidenza pubblica.
Peraltro, le stesse doglianze sono anche infondate nel merito.
In proposito, va premesso che l’art. 131, co. 1, della legge 23 dicembre 2000 n.
338 (c.d. legge finanziaria 2001) aveva revocato “le concessioni (…) rilasciate
alla TAV S.p.A. dall’ente Ferrovie dello Stato il 7 agosto 1991 e il 16 marzo
1992 (…). La società Ferrovie dello Stato S.p.A. provvede (…) all’accertamento e
al rimborso, anche in deroga alla normativa vigente, degli oneri relativi alle
attività preliminari ai lavori di costruzione, oggetto della revoca predetta …”.
L’art. 11, co. 1, della legge 1° agosto 2002 n. 166 ha però abrogato tale norma,
disponendo espressamente che “proseguono, pertanto, senza soluzione di
continuità, le concessioni rilasciate alla TAV S.p.A. dall’ente Ferrovie dello
Stato (…) ed i sottostanti rapporti di general contracting instaurati dalla TAV
S.p.A. pertinenti le opere di cui all’art. 1, lett. h), della legge 17 maggio
1985, n. 285, e successive modificazioni” (ovverosia anche le infrastrutture
ferroviarie per il sistema ad alta velocità). Dal tenore di quest’ultima norma
risulta evidente come, dopo l’emanazione della legge 21 dicembre 2001 n. 443
(c.d. legge obiettivo) e nel far rivivere senza soluzione di continuità le
concessioni del 1991-92 mediante l’abrogazione della norma che ne disponeva la
revoca, il legislatore abbia inteso far una sorta di rinvio recettizio a tali
concessioni, manifestando chiaramente - come già ritenuto da questa Sezione -
“una voluntas legis semplificante, volta a recuperare gli strumenti giuridici
già approntati per la realizzazione delle infrastrutture ferroviarie”, con la
conseguenza che la riviviscenza ope legis delle stesse concessioni “rende
infondata, anche ratione temporis, la censura di violazione delle (sopravvenute)
regole procedimentali di scelta del contraente” (cfr. 27 luglio 2004 n. 7231 di
questa Sez. ). Conclusione, questa, in linea con quanto autorevolmente ritenuto
in altra, ma non dissimile fattispecie in tema di influenza della direttiva
90/531/CEE sulle fattispecie contrattuali intercorse tra Ente Ferrovie dello
Stato e T.A.V. e tra questa e general contractors in ordine all’attuazione del
programma dell’alta velocità in occasione della trasformazione dell’Ente F.S. in
S.p.A., laddove si è affermato che “devono sicuramente ritenersi fermi gli atti
concernenti i rapporti tra Ente F.S. (ora S.p.A. Ferrovie) e T.A.V. (atto di
concessione dell’amministratore straordinario dell'Ente F.S., convenzione
attuativa, atti integrativi e modificative di questa), in quanto essi attengono
ad una fase del procedimento già conclusa alla data in riferimento e nessuna
rilevanza, ai fini in questione, riveste l’avvenuta trasformazione dell’Ente
F.S. …”; inoltre “Alla medesima conclusione deve giungersi, ad avviso del
Consiglio, per gli atti concernenti i rapporti tra T.A.V. e general contractors.
Tale soluzione è pacifica per i contratti stipulati nell’ottobre 1991 e nel
marzo 1992, ossia in epoca anteriore all’entrata in vigore della direttiva n.
531, i quali sono contratti definitivi, completi dei prescritti elementi
essenziali, che pongono immediatamente a carico delle parti determinate
obbligazioni per le quali si è già avuto un inizio di esecuzione
(predisposizione della progettazione esecutiva, corresponsione
dell’anticipazione, etc.)”, posto che “diversamente opinando, si verrebbe ad
ammettere l’efficacia sostanzialmente retroattiva della nuova disciplina
(comunitaria: n.d.e), in contrasto con i noti principi in favore della
irretroattività degli atti amministrativi e della eccezionalità degli effetti
retroattivi della legge non penale” (cfr. Cons. St., Ag. 1° ottobre 1993 n. 93,
richiamata da TAV e Consorzio CEPAV Due).
Non senza dire, in relazione a quest’ultimo aspetto, che l’art. 11, co. 1, della
legge n. 166 del 2002 appare aver posto rimedio a siffatte conseguenze (ed a
quelle, ulteriori, derivanti dalla revoca delle concessioni, alle quali si
riferisce l’ultima parte del riportato co. 2 dell’art. 131 l. n. 388 del 2000),
piuttosto che aver dettato esso stesso una disciplina retroattiva, sicché, ad
avviso del Collegio, nella relativa disciplina non sono ravvisabili profili di
irrazionalità e di violazione del principi fondamentali di imparzialità e buon
andamento dell’amministrazione.
Da tale considerazione discende poi l’irrilevanza della questione se trattasi o
meno di una c.d. “legge provvedimento”, dal momento che la Corte Costituzionale
ha ripetutamente affermato come l’adozione di leggi di tal genere non sia di per
sé illegittima, purché, nel quadro di uno scrutinio di stretta costituzionalità,
non si risolva in un’operazione arbitraria ed irragionevole (cfr., tra le tante,
Corte cost., 29 ottobre 2002 n. 429 e 26 maggio 1998 n. 185). E, come detto,
così non è quella dell’abrogazione del co. 2 dell’art. 131 l. n. 338 del 2000,
il quale, oltretutto, incidendo normativamente su provvedimenti efficaci,
partecipava esso stesso della natura di “legge provvedimento” ora imputata
all’art. 11, co. 1, della legge n. 166 del 2002.
Infine, se per le ragioni sopra esposte all’attività concernente le concessioni
di cui trattasi, svolta negli anni 1991-92, non era applicabile la direttiva
93/37/CEE successivamente emanata, neppure sussiste il contrasto con le norme
costituzionali menzionate, laddove impongono che l’ordinamento giuridico
italiano si conformi alle norme di diritto internazionale generalmente
riconosciute, consentendo le necessarie limitazioni alla sovranità nazionale.
In definitiva, quand’anche - ma così non è - le censure di cui innanzi dovessero
ritenersi ammissibili, esse non possono essere condivise perché l’art. 11, co.
1, della legge n. 166 del 2002 autorizza, anzi impone il proseguimento dei
rapporti tra F.S. S.p.A. e TAV S.p.A. e tra questa e consorzio CEPAV Due, mentre
la questione di legittimità costituzionale della stessa disposizione di legge
per contrasto col diritto comunitario e con gli artt. 10 e 11, nonché 3 e 97
Cost. si rivela manifestamente infondata, come pure quella per violazione degli
artt. 24, 25 e 113 (erroneamente rubricato come 117), così come dedotta in
relazione alla carattere di “legge provvedimento” della norma.
5.- Il quarto motivo di ricorso si incentra sull’assunta illegittimità derivata
della deliberazione 5 dicembre 2003 n. 120 del CIPE a cagione della nullità
della deliberazione 21 dicembre 2001 n. 121 dello stesso CIPE, costituente atto
antecedente e presupposto, per carenza assoluta di potere e violazione degli
artt. 73 Cost. e 10 delle disposizioni sulla legge in generale. Più
precisamente, osservato che l’art. 1 della legge “obiettivo” n. 443/01,
promulgata il 21 dicembre 2001, pubblicata il 27 seguente ed entrata in vigore
l’11 febbraio 2002, prevedeva che in sede di prima applicazione l’individuazione
delle infrastrutture e degli insediamenti strategici da realizzarsi nell’ambito
della stessa legge fosse contenuta nel programma approvato dal CIPE entro il 31
dicembre 2001, si rileva che con la delibera n. 121/2001 n. 121 il CIPE ha
approvato il “programma delle infrastrutture e degli insediamenti produttivi
strategici” includendovi l’opera per cui è causa (la quale, perciò, segue la
disciplina derogatoria di cui alla l. n. 443/01 ed al D.Lgs. 190/02), ma tale
delibera sarebbe nulla ed inefficace perché non era stata neppure pubblicata la
legge n. 443/01, attributiva del potere di determinare tale programma.
A tanto è agevole opporre l’insegnamento della Corte Costituzionale secondo cui
la promulgazione attribuisce efficacia ed esecutorietà immediata alla legge nei
confronti degli organi pubblici chiamati a darvi attuazione (cfr. Corte cost. 20
ottobre 1983 n. 321).
Invero, con la promulgazione da parte del Capo dello Stato la legge deve
considerarsi non solo esistente nell’ordinamento giuridico, ma anche, a certi
fini, efficace nei confronti degli organi pubblici, tra cui il Governo al quale
fa capo il CIPE, mentre la successiva pubblicazione si configura come atto
diretto a dare “comunicazione” della stessa ai cittadini per renderne possibile
la conoscenza ed imporne la generale osservanza (cfr, su fattispecie del tutto
analoghe, questa Sez., 13 gennaio 2005 n. 1015, 22 luglio 2004 n. 7231 e 11
giugno 2004 n. 5598).
6.- Col motivo seguente si deduce che, in base alla direttiva 2001/42/CE,
introduttiva della valutazione ambientale strategica - VAS -, immediatamente
applicabile per la sua determinatezza, ed alla delibera CIPE 2 agosto 2002 n.
57, prevedente la verifica della sostenibilità dei piani e programmi mediante la
VAS, anticipando alla fase di pianificazione e programmazione la ricerca di
sostenibilità ambientale nelle scelte di piano, la VAS, non sostituita ma
aggiuntiva al VIA, avrebbe dovuto essere svolta in una fase anteriore alla
delibera n. 121/01 di approvazione del programma di opere strategiche, anche per
la previsione del piano generale dei trasporti di cui al D.P.R. 14 marzo 2001
secondo la quale nella realizzazione del piano va data priorità alle opere che
abbiano superato la valutazione ambientale strategica, tenuto contro, altresì,
che l’approvazione del programma costituiva automatica integrazione del suddetto
piano ai sensi dell’art. 1 della legge n. 443/01.
Anche tale censura non merita accoglimento.
Come in sostanza ammette lo stesso Ente ricorrente, la citata direttiva del 27
giugno 2001 doveva essere recepita dagli Stati membri entro il 21 luglio 2004.
Anche ammesso, perciò, che possa essere qualificata come direttiva self
executing (ma sembra escluderlo l’ottavo “considerando”, secondo cui “Occorre
pertanto intervenire a livello comunitario un modo da fissare un quadro minimo …
che … lasci agli Stati membri il compito di definire i dettagli procedurali …”),
la stessa non sarebbe stata comunque suscettibile di imporre l’effettuazione
della VAS anteriormente alla scadenza del suddetto termine. Nè la VAS poteva
dirsi imposta nella fattispecie dal D.P.R. 14 marzo 2001, recante il piano
generale dei trasporti, il quale, lungi dal prescriverla a pena di invalidità
per il caso di omissione, ricollega al suo compimento il riconoscimento di una
semplice “priorità” per le opere che ne abbiano costituito oggetto; priorità che
però per le infrastrutture di cui alla legge n. 443 del 2001 è autonomamente
assicurata dall’apposita, speciale disciplina ad esse dedicata (cfr., in
termini, questa Sez., 31 gennaio 2005 n. 1015, nonché TAR Lazio, Sez. I, 31
maggio 2004 n. 5118, richiamate dalle controparti).
Quanto poi alla delibera CIPE 2 agosto 2002 n. 57, con essa (art. 1) si prevede,
nel quadro della “Strategia d’azione ambientale per lo sviluppo sostenibile in
Italia 2002-2010” e tra gli strumenti principali individuati per il
raggiungimento dei relativi obiettivi, l’integrazione del fattore ambientale in
tutte le politiche di settore attraverso, tra l’altro, il “verificare la
sostenibilità dei piani e programmi mediante la valutazione ambientale
strategica così come prevista dalla Direttiva 2001/42/CE anticipando, già nella
fase della pianificazione e programmazione, la ricerca delle condizioni di
sostenibilità ambientale nelle scelte di piano” (punto 5.2.). In tale contesto,
è chiaro che trattasi non dell’introduzione della VAS prima della trasposizione
della direttiva nell’ordinamento italiano, ma di un indirizzo programmatico a
valere nell’ambito della normativa in atto vigente e nel periodo temporale di
riferimento.
7.- Il sesto motivo investe l’art. 1, co. 1 e 2, della legge obiettivo, in
ordine al quale si prospetta questione di legittimità costituzionale per
contrasto con gli artt. 5 (autonomia e decentramento), 9 (tutela del paesaggio e
del patrimonio storico ed artistico), 32 (tutela del diritto alla salute), oltre
che 97, Cost.. Premesso che la valutazione di importanti opere pubbliche non può
prescindere dal rispetto delle norme costituzionali in tema di tutela dei valori
ambientali, paesaggistici e culturali, mentre l’intervento in parola
determinerebbe gravissimo impatto sulla vivibilità delle persone, sulla loro
salute e sull’ambiente, si espone che una simile opera avrebbe dovuto essere
circondata da un procedimento aggravato - e non semplificato, in particolare per
la VIA, come previsto dall’art. 1, co. 2 -, finalizzato non solo alla verifica
dell’impatto sull’ambiente, ma anche a precise procedure di confronto e
risoluzione delle controversie con gli enti locali coinvolti. Di contro, la
legge obiettivo derogherebbe alle regole costruite nel tempo sulla base
dell’esperienza e delle sempre più pressanti esigenze di tutela dei predetti
valori costituzionali, consentendo di escludere le normali procedure di
valutazione di impatto ambientale, di conferenza di servizi che rappresenterebbe
non solo una modalità amministrativa, ma soprattutto l’esplicazione del
carattere democratico e federale della Repubblica Italiana ed eluderebbe,
perciò, anche i principi di autonomia e decentramento.
A parte la genericità degli assunti appena sopra sintetizzati, non accompagnati
da puntuali riferimenti, neppure per quanto riguarda il ruolo degli enti locali
nel procedimento, il Collegio è dell’avviso che le questioni siano
manifestamente infondate, poiché lo schema predeterminato dalla legge di delega
e dal decreto attuativo appare completo e congruo rispetto ai valori
costituzionali invocati.
Se l’art. 1, co. 2, della legge delega demanda al CIPE, integrato dai presidenti
delle regioni e delle province autonome interessate, il compito di valutare le
proposte dei promotori e, per quanto qui interessa, di approvare il progetto
preliminare ed i provvedimenti occorrenti, quali, ove necessario, la VIA
istruita dal competente Ministero (lett. c), gli artt. 17 e ss. del D.Lgs. n.
190 del 2002 già prima delle modifiche introdotte con la legge comunitaria 2004
18 aprile 2005 n. 62 e dal D.Lgs. 17 agosto 2005 n. 189, cioè già nel testo
vigente all’atto dell’adozione dei provvedimenti impugnati, disciplinavano
dettagliatamente la procedura di VIA, definita espressamente obbligatoria e
vincolante. In estrema sintesi: il soggetto proponente è tenuto a predisporre
uno studio di impatto ambientale redatto ai sensi del D.P.C.M. 27 dicembre 1988
e del D.P.R. 2 settembre 1999 n. 348, reso pubblico nelle forme previste dalle
procedure vigenti (v. anche art. 3) e contenente tutti i puntuali elementi
elencati all’art. 18, co. 2, e ad inviarlo unitamente al progetto al Ministero
dell’ambiente, il quale, come il Ministero per i beni e le attività culturali
per le opere incidenti su aree sottoposte a vincolo di tutela culturale o
paesaggistica, emette la propria valutazione tenendo conto delle osservazioni
rimesse dagli interessati a mezzo dell’apposita Commissione speciale e la
comunica alle Regioni interessate, al Ministero delle infrastrutture e dei
trasporti nonché, per particolari opere, al Ministero delle attività produttive.
Né l’anticipazione della VIA al progetto preliminare comporta il venir meno di
una valutazione effettiva e realistica delle ripercussioni dell’opera
sull’ambiente, attesa la pienezza dei contenuti descritti dall’art. 19 e tenuto
conto che l’art. 20 (ora nel testo modificato dall’art. 2 del cit. D.Lgs. n. 189
del 2005) estende ogni opportuna garanzia al progetto definitivo, il quale,
oltre ad essere integrato da una relazione del progettista sulla rispondenza al
progetto preliminare ed alle prescrizioni apposte in sede di approvazione (art.
4), è sottoposto alla verifica di ottemperanza da parte della stessa Commissione
speciale e, nel caso sia sensibilmente diverso da quello preliminare, il
Ministro dell’ambiente può richiedere l’aggiornamento dello studio e la sua
nuova pubblicazione anche ai fini dell’eventuale invio di osservazioni da parte
dei soggetti pubblici e privati interessati. Infine, qualora si riscontrino
violazioni degli impegni presi ovvero modifiche del progetto che comportino
significative variazioni dell’impatto ambientale, la Commissione ne riferisce al
Ministro, che ordina di adeguare l’opera e, se necessario, chiede al CIPE la
sospensione dei lavori ed il ripristino della situazione ambientale a spese del
responsabile, nonché l’adozione dei provvedimenti cautelari in tema di misure
provvisorie di salvaguardia, anche a carattere inibitorio, previsti dagli artt.
8 e 9 della legge 8 luglio 1986 n. 349.
Deve pertanto concludersi nel senso della pienezza delle garanzie approntate,
pur nell’ottica dell’accelerazione delle procedure di realizzazione delle grandi
opere di preminente interesse nazionale. Oltretutto, come bene osserva il
Ministero dell’economia e delle finanze nella relazione in atti, la normativa
censurata appare chiaramente ispirata all’esigenza di risolvere immediatamente,
fin dalle prime fasi di elaborazione del progetto, gli eventuali problemi che
possano incidere sui tempi di esecuzione di tali opere o addirittura precluderne
la realizzazione - senza che, come detto, tanto comporti l’incompletezza o
l’incoerenza con la normativa ordinaria della procedura di VIA -, sicché di
certo non vulnera i canoni di cui all’art. 97 Cost..
Infine, ove con il richiamo ai principi di autonomia e decentramento il Comune
ricorrente abbia inteso riferirsi alla partecipazione al procedimento degli enti
locali interessati, neanche sotto questo profilo la medesima normativa risulta
carente, come meglio sarà precisato in prosieguo. In questa sede, basta rilevare
che tali enti sono chiamati a partecipare al procedimento di approvazione del
progetto preliminare, determinante la localizzazione dell’opera con conforme
variazione degli strumenti urbanistici vigenti, oltre che il riconoscimento
della compatibilità ambientale, giacché il co. 5 dell’art. 3 del D.Lgs., come
stabilito dall’art. 1, co. 2, lett. b) della legge, prevede che il CIPE decida
“con il consenso, ai fini dell’intesa sulla localizzazione, dei presidenti delle
regioni e province autonome interessate, che si pronunciano, sentiti i comuni
nel cui territorio si realizza l’opera”; nell’ambito, poi, del procedimento di
VIA si è visto che tali enti ben possono, a seguito della pubblicazione dello
studio di impatto ambientale e del progetto, avvalersi della facoltà di proporre
osservazioni, di cui il Ministro dell’ambiente, attraverso la Commissione
speciale, deve tener conto. Pertanto, nei limiti in cui la doglianza può
intendersi, essa non trova fondamento.
8.- Il settimo motivo, di violazione degli artt. 1 della legge n. 443/01 e 3 del
D.Lgs. n. 190/02, nonché carenza di motivazione, è diretto a far valere la
pretesa mancata indicazione di “tutta una serie di parametri economico
finanziari”, poiché nell’all. A all’impugnata deliberazione per tutta una serie
di opere non verrebbero indicati i costi, anzi la spesa necessaria sarebbe
indicata come extracosto, come ad esempio per gli interventi di cui al punto
1.2.15 delle osservazioni in fase istruttoria, per i quali il costo “sarà
valutato a parte”. Ma, a prescindere dalle eccezioni in rito sollevate in ordine
all’interesse a formulare siffatte deduzioni, l’Ente ricorrente omette di
considerare che, oltre all’aggiornamento della stima globale dell’opera, la
delibera del CIPE dà atto di un importo complessivo per contingencies previsto
nella precedente delibera 13 novembre 2003 n. 103, nonché della previsione di
oneri aggiuntivi derivanti dall’accoglimento delle prescrizioni e dalle misure
compensative, pari a 384,1 Meuro, di cui 49,1 Meuro valutabili in modo
sufficientemente certo, mentre il residuo viene “valutato in via di larga
massima in attesa dello sviluppo delle progettazioni definitive”. D’altro canto,
le norme invocate non richiedono la specifica quantificazione del costo di
ciascun singolo intervento, limitandosi a prescrivere l’indicazione degli
stanziamenti e dei limiti di spesa dell’opera, sia pur compresi quelli per
eventuali opere e misure compensative, evidentemente proprio in ragione del
fatto che trattasi di progetto preliminare e che, pertanto, l’individuazione più
puntuale non può che essere rinviata al definitivo.
9.- Col motivo seguente, che concerne la deliberazione 21 dicembre 2001 n. 121
ed è rubricato come violazione e falsa applicazione dell’art. 117 Cost, eccesso
di potere, carenza di motivazione, si contesta lo stesso potere del Governo di
inserire la linea ferroviaria in parola tra le opere strategiche e, soprattutto,
si sostiene che sarebbe non corretta la definizione di intervento “di preminente
interesse nazionale” perché l’opera rientrerebbe tra gli interventi relativi
alle grandi reti di trasporto affidati dall’art. 117 alla potestà concorrente
delle Regioni, mentre l’interesse nazionale consisterebbe in un criterio
generico che, nel contesto della riforma del titolo V, non costituirebbe titolo
autonomo di competenza statale né giustificherebbe una disciplina che rimetta
alla discrezionalità del Governo la sua definizione.
Così argomentando il Comune di Sona dimentica che la “linea AV/AC Milano-
Verona”, di cui si discute, fa parte dell’ “Asse ferroviario sull’itinerario del
corridoio 5 Lione-Kiev”, la cui rilevanza va ovviamente ben oltre i confini
nazionali, e non si inquadra perciò in un intervento concernente grandi reti di
trasporto la cui competenza possa far capo anche ad una Regione. Il “preminente
interesse nazionale” dell’opera, poi, è certamente ravvisabile in un valore,
oltremodo specifico, che travalica non solo l’ambito locale, ma la stessa natura
ferroviaria della medesima opera, per trasferirsi in quello più vasto della
finalità di modernizzazione e dello sviluppo dell’intero Paese, evidentemente da
perseguirsi anche col miglioramento dei collegamenti ferroviari sia all’interno
che da e verso l’esterno; ambito che, peraltro, come detto nella fattispecie in
esame si inserisce in un quadro europeo.
In realtà, le riferite censure tendono a riproporre una questione di legittimità
costituzionale già esaminata e disattesa dalla nota sentenza n. 303 del 2003,
con la quale la Corte Costituzionale ha accertato che il complesso iter
procedimentale nella specie prefigurato dal legislatore statale non è ex se
invasivo delle attribuzioni regionali, avendo egli titolo ad assumere e regolare
l’esercizio di funzioni amministrative su materie in relazione alle quali esso
non vanti una potestà legislativa esclusiva, ma solo una potestà concorrente.
Premesso che il nuovo art. 117 Cost. distribuisce le competenze legislative in
base ad uno schema imperniato sulla enumerazione delle competenze statali
affidando alle Regioni, con rovesciamento completo della previgente tecnica del
riparto, oltre alle funzioni concorrenti, le funzioni legislative residuali, la
Corte ha infatti ritenuto che in tale quadro limitare l’attività unificante
dello Stato alle sole materie espressamente attribuitegli in potestà esclusiva o
alla determinazione dei principi nelle materie di potestà concorrente
“significherebbe bensì circondare le competenze legislative delle Regioni di
garanzie ferree, ma vorrebbe anche dire svalutare oltremisura istanze unitarie
che pure in assetti costituzionali fortemente pervasi da pluralismo
istituzionale giustificano, a determinate condizioni, una deroga alla normale
ripartizione di competenze (…) in ambiti nei quali coesistono, intrecciate,
attribuzioni e funzioni diverse”, tant’è che “un elemento di flessibilità è
indubbiamente contenuto nell’art. 118, primo comma, Cost., il quale si riferisce
esplicitamente alle funzioni amministrative, ma introduce per queste un
meccanismo dinamico che finisce col rendere meno rigida (…) la stessa
distribuzione delle competenze legislative, là dove prevede che le funzioni
amministrative, generalmente attribuite ai Comuni, possano essere allocate ad un
livello di governo diverso per assicurarne l’esercizio unitario, sulla base dei
principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza. E’ del resto
coerente con la matrice teorica e con il significato pratico della sussidiarietà
che essa agisca come subsidium quando un livello di governo sia inadeguato alle
finalità che si intenda raggiungere; ma se ne è comprovata un’attitudine
ascensionale deve allora concludersi che, quando l’istanza di esercizio unitario
trascende anche l’ambito regionale, la funzione amministrativa può essere
esercitata dallo Stato. Ciò non può restare senza conseguenze sull'esercizio
della funzione legislativa, giacché il principio di legalità, il quale impone
che anche le funzioni assunte per sussidiarietà siano organizzate e regolate
dalla legge, conduce logicamente ad escludere che le singole Regioni, con
discipline differenziate, possano organizzare e regolare funzioni amministrative
attratte a livello nazionale e ad affermare che solo la legge statale possa
attendere a un compito siffatto”.
10.- Col nono motivo si denuncia la violazione dell’art. 19 del D.Lgs. n. 190
del 2002 (co. 2, come sostituito dall’art. 1 del D.L. 14 novembre 2003 n. 315,
conv. con mod. dalla legge 16 gennaio 2004 n. 5, a seguito della sentenza 1°
ottobre 2003 n. 303 della Corte Costituzionale): più precisamente, tale
doglianza, formulata in relazione al parere positivo con prescrizioni e
raccomandazioni della Commissione speciale VIA, richiamato nella delibera CIPE
n. 120 del 2003, viene ancorata al “se” detta Commissione, “come sembra”, non
fosse stata integrata con i componenti regionali. E’ quindi palese che la
medesima doglianza, peraltro non accompagnata da una richiesta di acquisizione
in sede istruttoria, appare articolata su un presupposto di fatto solo
ipotizzato; essa si rivela, pertanto, a sua volta ipotetica e perciò stesso
inammissibile. E’ infatti principio processuale amministrativo consolidato che i
motivi di gravame non possono limitarsi alla generica prospettazione di un
vizio, ma devono contenere la puntuale indicazione di tutte le circostanze dalle
quali possa desumersi che il vizio denunciato effettivamente sussista, non
essendo ammissibili censure non specifiche e meramente ipotetiche o in via
dubitativa, incompatibili con l’onere di specificazione che grava sul ricorrente
(cfr., tra le tante, Cons. St., V, 2 aprile 2002 n. 1795).
11.- Col decimo motivo si lamenta che nessuna delle scelte progettuali suggerite
dal Comune, già con deliberazioni 15 settembre 1992 n. 535 e 18 maggio 1999 n.
58, poi in occasione della conferenza di servizi, siano state prese in
considerazione poiché l’unico riferimento rinvenibile nelle prescrizioni e
raccomandazioni del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti riguarda lo
spostamento di un’attività produttiva. Quindi la delibera CIPE n. 120 del 2003
sarebbe viziata per eccesso di potere sotto i profili della contraddittorietà,
dell’incongruità, del travisamento e dell’erronea valutazione dei fatti, della
carenza di istruttoria e di motivazione.
Al riguardo, va rammentato che il Comune di Sona aveva sempre partecipato alle
diverse fasi procedimentali succedutesi negli anni. Da ultimo, in vista della
menzionata convocazione per il 19 dicembre 2002 della conferenza di servizi con
deliberazione 16 dicembre 2002 n. 101 il Consiglio comunale aveva chiesto una
“ulteriore preventiva valutazione dell’impatto ambientale relativamente al
passaggio dal corridoio delle colline moreniche”, la “ridefinizione del tratto
relativo all’attraversamento del centro di Lugagnano” con riguardo alla “ipotesi
di una galleria in affiancamento all’attuale linea ferroviaria”, avanzando anche
ai fini di eventuali accordi procedimentali una serie di prescrizioni di
carattere tecnico ed informativo. Di tanto si dà atto nel verbale della predetta
Conferenza del 19 dicembre 2002. Dal canto suo, la Regione Veneto ha recepito
talune prescrizioni nel parere 8 settembre 2003 n. 59 della Commissione
regionale VIA (punto 3.3) approvato con deliberazione di Giunta 18 dicembre 2003
n. 2810; prescrizioni in parte recepite anche dal Ministero delle infrastrutture
e dei trasporti e, quindi, dalla deliberazione CIPE n. 120 del 2003.
Che, poi, non siano state invece recepite soluzioni di tracciato diverse, è
questione che va risolta alla stregua del noto e pacifico indirizzo
giurisprudenziale, emerso in tema di apporti procedimentali nelle più diverse
materie, secondo cui per principio generale non esiste per l’amministrazione
procedente un dovere di analitica disamina motivata di ciascun apporto pervenuto
dagli amministrati, essendo sufficiente una motivazione anche succinta, anche
non riferita a tutte le osservazioni, desumibile pure attraverso gli atti
istruttori; indirizzo, questo, di certo applicabile anche in materia di
infrastrutture strategiche, considerato che l’art. 18, co. 4, del D.Lgs. n. 190
del 2002 si limita a stabilire che si “tiene conto” delle osservazioni formulate
dai soggetti interessati (cfr., in fattispecie analoga, cit. TAR Lazio, Sez. I,
n. 5118/2004 e giurisprudenza ivi citata).
Dunque, i vizi prospettati devono ritenersi insussistenti, compreso quello di
difetto di motivazione, avuto altresì riguardo alla vastissima gamma di
analitiche e dettagliate prescrizioni e raccomandazioni formulate dal Ministro
delle infrastrutture e dei trasporti (con le quali, giova ribadire, il progetto
preliminare è stato approvato dalla delibera CIPE n. 120 del 2003), interessanti
praticamente tutti i profili di incidenza dell’opera sull’ambiente nei suoi vari
aspetti, a garanzia del rispetto delle istanze di cautela e ponderazione
avanzate pure dal Comune di Sona.
12.- Sulla stessa linea, col motivo seguente si sospetta di illegittimità
costituzionale la legge 21 dicembre 2001 n. 443 ss.mm. ed il D.Lgs. 20 agosto
2002 n. 190 per contrasto con gli artt. 3, 5, 97, 117, 118 e 120 Cost., con
riguardo al ruolo istituzionale garantito agli enti locali ed ai principi di
sussidiarietà ed adeguatezza di cui all’art. 118, novellato dalla l. cost. 18
ottobre 2001 n. 3, i quali sarebbero infatti vulnerati dalla previsione di
intesta Stato-Regione, che non consentirebbe la reale partecipazione di Comuni e
Province interessati all’opera. L’art. 3 del D.Lgs. n. 190/02 contrasterebbe
inoltre con i principi di ragionevolezza, buon andamento ed imparzialità poiché
nel procedimento di approvazione del progetto si prevede che i Comuni siano
sentiti mediante un parere consultivo non vincolante e che il CIPE possa farne a
meno decorso un breve termine decadenziale; nonché in quanto l’approvazione del
progetto preliminare perfeziona la localizzazione dell’opera ad ogni fine
urbanistico ed edilizio, con conseguente lesione del riparto di competenze di
cui agli art. 117 e 118 Cost.
Le censure appena sopra sintetizzate non possono essere condivise.
Circa la prima di esse, ricordato quanto esposto al precedente paragrafo 9 in
tema di funzioni legislative concorrenti di governo del territorio (in cui
rientra l’urbanistica), in questa sede va aggiunto che con la citata sentenza la
Corte, osservato che “predisporre un programma di infrastrutture pubbliche e
private e di insediamenti produttivi è attività che non mette capo ad
attribuzioni legislative esclusive dello Stato, ma che può coinvolgere anche
potestà legislative concorrenti (governo del territorio, porti e aeroporti,
grandi reti di trasporto, distribuzione nazionale dell'energia, etc.)”, in
relazione all’art. 1, co. 1, della legge n. 443 del 2001 ha ritenuto che “non di
lesione di competenza delle Regioni si tratta, ma di applicazione dei principi
di sussidiarietà e adeguatezza”, ai quali va annessa “valenza squisitamente
procedimentale” e da intendersi oggi in senso anche dinamico; applicazione di
cui è “elemento valutativo essenziale la previsione di un’intesa fra lo Stato e
le Regioni interessate”, costituente un “procedimento attraverso il quale
l’istanza unitaria venga saggiata nella sua reale consistenza e quindi
commisurata all’esigenza di coinvolgere i soggetti titolari delle attribuzioni
attratte, salvaguardandone la posizione costituzionale”, nella specie prevista
dall’art. 1, co. 1, della legge n. 443 del 2001, alla quale “è da ritenersi che
il legislatore abbia voluto subordinare l’efficacia stessa della
regolamentazione delle infrastrutture e degli insediamenti contenuta nel
programma”, per concludere nel senso della dichiarazione di infondatezza delle
questioni di costituzionalità della norma in parola sollevate in riferimento
agli artt. 117, 118 e 119 Cost..
Quanto, in particolare, alle attribuzioni (amministrative) comunali in materia
di governo del territorio, la Corte, nell’evidenziare che “le norme impugnate
perseguono il fine, che costituisce un principio dell’urbanistica, che la
legislazione regionale e le funzioni amministrative in materia non risultino
inutilmente gravose per gli amministrati e siano dirette a semplificare le
procedure e ad evitare la duplicazione di valutazioni sostanzialmente già
effettuate dalla pubblica amministrazione”, ha in sostanza ritenuto conforme al
principio efficienza - ma anche di ragionevolezza e proporzionalità -, in
relazione al preminente interesse nazionale ed alle sottese esigenze di
unitarietà della funzione amministrativa circa le opere strategiche, la
partecipazione consultiva ed a valenza endoprocedimentale degli enti locali al
momento decisionale statale realizzato attraverso l’intesa con la Regione
interessata.
Siffatte esaustive argomentazioni consentono, dunque, di ritenere manifestamente
infondate le questioni nella specie proposte in relazione ai medesimi art. 117 e
118, nonché all’art. 120, anche nei riguardi dell’art. 3, co. 7, del D.Lgs. n.
190 del 2002 circa le attribuzioni comunali in materia di edilizia ed
urbanistica.
Quanto alle restanti questioni, con cui si assume il contrasto del detto art. 3
con i principi di ragionevolezza, buon andamento ed imparzialità laddove prevede
che ai fini dell’intesa sulla localizzazione le regioni o le province autonome
interessate si pronuncino “sentiti i comuni nel cui territorio si realizza
l’opera” e che tale pronuncia deve intervenire nel termine di cui al comma
precedente (novanta giorni) “anche nel caso in cui i comuni interessati non si
siano tempestivamente espressi”, si osserva che, come si è visto, il Comune di
Sona ha fornito il proprio avviso, acquisito dalla Regione, e non ha quindi
interesse alcuno alla stessa questione, comunque di per sé manifestamente
infondata.
Sul punto la giurisprudenza, con la quale il Collegio concorda pienamente, ha
infatti già avuto modo di affermare che il parere in parola è pur sempre
obbligatorio e non facoltativo, poiché non si può prescindere dalla sua
richiesta, bensì solo dalla sua acquisizione entro il termine di legge, da
reputarsi congruo e ragionevole; ed inoltre che tale norma non è suscettibile di
dubbi di costituzionalità, dal momento che “essa permette, dinanzi al contegno
di inerzia degli enti locali interessati, di prescindere dall’acquisizione delle
osservazioni invano loro richieste. Poiché, infatti, a tali enti è comunque
normativamente assicurata - sol che essi intendano avvalersene - la possibilità
di una partecipazione attiva al procedimento, ciò si presenta sufficiente al
rispetto del ruolo loro riconosciuto dalla Costituzione. Laddove, per converso,
se la disciplina positiva dovesse imporre al procedimento di attendere comunque
e senza limiti di tempo un’espressa presa di posizione da parte loro, un simile
assetto, traducendosi in una inammissibile subordinazione degli interessi
statali a quelli locali, anche in conflitto con il valore del buon andamento,
sarebbe esso, allora sì, incompatibile con la Carta” (cfr. cit. TAR Lazio, Sez.
I, n. 5118/04).
13.- Il dodicesimo motivo è imperniato sul principio di precauzione menzionato
nell’art. 174, co. 2, del Trattato UE, secondo cui “La politica della Comunità
in materia ambientale mira a un livello elevato di tutela (…). Essa è fondata
sui principi della precauzione e dell’azione preventiva, sul principio della
correzione, in via prioritaria alla fonte, dei danni causati all’ambiente,
nonché sul principio <<chi inquina paga>>”.
In proposito si evidenzia che, in presenza di interventi pregiudizievoli per
l’ambiente, il predetto principio esigerebbe un iter decisionale particolarmente
approfondito ed ispirato a criteri di cautela, ovverosia un’istruttoria tesa ad
un’approfondita e completa ricognizione degli effetti delle possibili iniziative
sull’ecosistema, con possibilità di stabilire le concrete modalità di
realizzazione solo alla luce di certezze scientifiche circa i loro effetti.
Anche tale specifica questione è stata già affrontata e negativamente risolta,
con argomentazioni che meritano l’adesione del Collegio.
Invero, è stato osservato come il principio di precauzione “integri un criterio
orientativo solo generale e di larga massima (e per giunta ancora in via di
definizione e consolidamento), capace di ispirare in qualche modo le attività
normative ed amministrative dell’Unione europea e degli Stati membri ma, almeno
allo stato, non suscettibile di tradursi, per difetto di concretezza, nel
preciso comando giuridico che è stato ipotizzato con la doglianza in esame”;
inoltre “occorre pure considerare che (…) alle istanze della salvaguardia
ambientale nel settore delle opere pubbliche è già dedicata la normativa
(comunitaria e nazionale) sulla V.I.A., la cui osservanza (…) è stata fatta
salva anche dalla normativa speciale della cui applicazione si tratta (sicché
priva di riscontro è l’idea che il legislatore nazionale abbia imposto la
realizzazione dell’opera in controversia disinteressandosi del suo impatto
ambientale). Ora, non si può escludere che la recente codificazione del
principio di precauzione possa suscitare una riforma della relativa disciplina.
Finché ciò non avvenga, peraltro, sembra chiaro che è alle regole positive
vigenti che deve farsi riferimento”. E ciò comporta non che “il progetto di
un’opera da sottoporre a VIA non debba determinare, per essere assentito, alcun
impatto sull’ambiente, imponendosi semmai un giudizio comparativo che tenga
conto, da un lato, della necessità di salvaguardare preminenti valori
ambientali, ma dall’altro dell’interesse pubblico sotteso all’esecuzione
dell’opera” (cfr. la ripetutamente cit. TAR Lazio, Sez. I, n. 5118/04, e, in
tale linea, questa Sez. III ter, n. 1015/05, richiamate in proposito dalle
controparti).
Non va infine sottaciuto che nella fattispecie in trattazione la presenza delle
prescrizioni e raccomandazioni di cui si detto innanzi, di natura vincolante,
comprova che l’Amministrazione non ha mancato di farsi carico delle
problematiche connesse alla tutela ambientale sotto ogni suo aspetto, tanto che,
come si è visto, la valutazione positiva di impatto ambientale resa sul progetto
preliminare è stata subordinata a dette prescrizioni e raccomandazioni e, di
qui, all’esito favorevole dei prescritti controlli successivi.
14.- L’ultimo motivo, di violazione delle direttive 79/409/CEE (del Consiglio,
del 2 aprile 1979, concernente la conservazione degli uccelli selvatici) e
92/43/CEE (del Consiglio, del 21 maggio 1992, cosiddetta “habitat”), nonché del
D.P.R. 8 settembre 1997 n. 357, partecipa dell’inammissibilità per genericità
affermata al precedente paragrafo 10) in relazione al nono motivo. Si espone,
infatti, che non è dato comprendere se la valutazione di impatto ambientale
comprenda anche la valutazione di incidenza sulle varie aree di interesse
comunitario (SIC) e le zone di protezione speciale (ZPS) del Basso Garda
(IT3210018), laghetto di Frassino (IT3210003) e Valli del Mincio (IT20B0009),
presenti nei Comuni di Sona, Peschiera del Garda e Castelnuovo del Garda, né se
questa sia adeguata, né quali specifiche misure compensative siano state
adottate per rispettare le due direttive 79/409/CEE e 92/43/CEE in materia di
protezione ambientale, senza peraltro precisare se e come l’opera interferisca
con dette aree e zone, né quali misure avrebbero dovuto essere poste in essere e
non lo sono state, dunque perché le direttive invocate debbano ritenersi
violate. Si formula, cioè, una doglianza anche in tal caso dubitativa ed
ipotetica, non accompagnata da richieste istruttorie, che quindi non può avere
ingresso per le spiegate ragioni.
In ogni caso, giova evidenziare che, come sottolineato dalle controparti, il
progetto preliminare è accompagnato da un sostanzioso studio di impatto
ambientale, il quale abbraccia ogni aspetto della questione, articolandosi in
tre “quadri di riferimento” (con rispettiva relazione): programmatico,
contenente anche elaborati cartografici relativi alle “aree vincolate e
protette” (all. 3, composto di 7 tavole) ed alla “sintesi dei piani regolatori
generali e comunali” (all. 4, composto di 18 tavole); progettuale; ambientale,
contenente tra l’altro elaborati cartografici relativi ad “ambiti ecologici
omogenei e vocazioni faunistiche”, “emergenze storico monumentali ed
archeologiche” e “paesaggio naturale ed antropico” (all. 5, 6 e 7, composti
ciascuno da 7 tavole). Pure per questo è pertanto da escludersi che non sia
stato condotto un serio studio di impatto ambientale e che siano stati
trascurati aspetti in tema di protezione ambientale, alla quale è dedicata
l’intera sezione 10 delle prescrizioni, le quali riguardano anche - e
significativamente - il Comune di Sona.
Infine, deve escludersi che il progetto preliminare approvato avrebbe dovuto
essere sottoposto ad un procedimento di valutazione dell’incidenza ambientale
autonomo da quello di VIA, giacché nessuna norma, nazionale o comunitaria, lo
richiede - e, per vero, neppure in qualche modo lo si sostiene da parte
dell’Ente ricorrente - quando, come nella specie, sia già prevista la
valutazione di impatto ambientale, che, costituendo lo strumento tipicamente
preordinato ad un giudizio di ammissibilità o meno circa gli effetti diretti ed
indiretti dell’opera sull’ambiente, si configura anche quale “momento precipuo
di valutazione delle interazioni della suddetta opera all’interno di un sito di
importanza comunitaria”; pertanto “la valutazione di impatto ambientale,
prevedendo di prendere in considerazione le potenziali caratteristiche di
elementi costituenti fattori di impatto ambientale, non esclude con ciò
l’obbligo di considerare singolarmente ogni aspetto che da solo costituisca
elemento importante: le due funzioni, quindi, non risultano in alcun modo
alternative, integrandosi l’un l’altra, comprendono ed esauriscono ogni altra
funzione prevista dalla valutazione di incidenza” (cfr. TAR Toscana, Sez. II, 30
settembre 2003 n. 5222, richiamata dall’opponente Consorzio).
15.- In conclusione, il ricorso dev’essere respinto. Tuttavia, la complessità
della materia sottoposta al vaglio del Collegio consiglia la compensazione tra
tutte le parti delle spese di causa.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, Sezione III ter, respinge il
ricorso in epigrafe.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 1° dicembre 2005.
Francesco Corsaro PRESIDENTE
Angelica Dell'Utri ESTENSORE
1) Valutazione di impatto ambientale - VAS - Direttiva 2001/142/CE - Assoggettabilità della delibera CIPE 57/2002 alla direttiva - Esclusione - Ragioni. La delibera CIPE 2 agosto 2002, n. 57, in materia di infrastrutture strategiche, non può essere assoggettata alla disciplina di cui alla direttiva 2001/42/CE, introduttiva della valutazione ambientale strategica - VAS, che doveva essere recepita dagli Stati membri entro il 21 luglio 2004. Anche ammesso, perciò, che possa essere qualificata come direttiva self executing (ma sembra escluderlo l’ottavo “considerando”, secondo cui “Occorre pertanto intervenire a livello comunitario un modo da fissare un quadro minimo … che … lasci agli Stati membri il compito di definire i dettagli procedurali …”), la stessa non sarebbe stata comunque suscettibile di imporre l’effettuazione della VAS anteriormente alla scadenza del suddetto termine. Nè la VAS poteva dirsi imposta nella fattispecie dal D.P.R. 14 marzo 2001, recante il piano generale dei trasporti, il quale, lungi dal prescriverla a pena di invalidità per il caso di omissione, ricollega al suo compimento il riconoscimento di una semplice “priorità” per le opere che ne abbiano costituito oggetto; priorità che però per le infrastrutture di cui alla legge n. 443 del 2001 è autonomamente assicurata dall’apposita, speciale disciplina ad esse dedicata. Pres. Corsaro, Est. Dell’Utri - Comune di Sona (avv.ti Scappini e Sonino) c. CIPE e altri (Avv. Stato) - T.A.R. LAZIO, Roma, Sez. III ter - 4 gennaio 2006 (c.c.1°/12/2005), Sentenza n. 82
2) Valutazione di impatto ambientale - Legge obiettivo - Grandi opere di preminente interesse nazionale - Anticipazione della VIA al progetto preliminare - Valutazione effettiva delle ripercussioni sull’ambiente - Non può escludersi. In tema di grandi opere di preminente interesse nazionale di cui alla legge obiettivo, l’anticipazione della VIA al progetto preliminare non comporta il venir meno di una valutazione effettiva e realistica delle ripercussioni dell’opera sull’ambiente, attesa la pienezza dei contenuti descritti dall’art. 19 e tenuto conto che l’art. 20 (ora nel testo modificato dall’art. 2 del cit. D.Lgs. n. 189 del 2005) estende ogni opportuna garanzia al progetto definitivo, il quale, oltre ad essere integrato da una relazione del progettista sulla rispondenza al progetto preliminare ed alle prescrizioni apposte in sede di approvazione (art. 4), è sottoposto alla verifica di ottemperanza da parte della stessa Commissione speciale e, nel caso sia sensibilmente diverso da quello preliminare, il Ministro dell’ambiente può richiedere l’aggiornamento dello studio e la sua nuova pubblicazione anche ai fini dell’eventuale invio di osservazioni da parte dei soggetti pubblici e privati interessati. Infine, qualora si riscontrino violazioni degli impegni presi ovvero modifiche del progetto che comportino significative variazioni dell’impatto ambientale, la Commissione ne riferisce al Ministro, che ordina di adeguare l’opera e, se necessario, chiede al CIPE la sospensione dei lavori ed il ripristino della situazione ambientale a spese del responsabile, nonché l’adozione dei provvedimenti cautelari in tema di misure provvisorie di salvaguardia, anche a carattere inibitorio, previsti dagli artt. 8 e 9 della legge 8 luglio 1986 n. 349. Deve pertanto concludersi nel senso della pienezza delle garanzie approntate, pur nell’ottica dell’accelerazione delle procedure di realizzazione delle grandi opere di preminente interesse nazionale. Pres. Corsaro, Est. Dell’Utri - Comune di Sona (avv.ti Scappini e Sonino) c. CIPE e altri (Avv. Stato) - T.A.R. LAZIO, Roma, Sez. III ter - 4 gennaio 2006 (c.c. 1°/12/2005), Sentenza n. 82
3) Valutazione di impatto ambientale - Opere sottoposte a V.I.A. - Valutazione di incidenza - Necessità - Esclusione. Nessuna norma, nazionale o comunitaria, richiede un procedimento di valutazione dell’incidenza ambientale autonomo da quello di VIA, quando sia già prevista quest’ultima, che, costituendo lo strumento tipicamente preordinato ad un giudizio di ammissibilità o meno circa gli effetti diretti ed indiretti dell’opera sull’ambiente, si configura anche quale momento precipuo di valutazione delle interazioni della suddetta opera all’interno di un sito di importanza comunitaria; pertanto la valutazione di impatto ambientale, prevedendo di prendere in considerazione le potenziali caratteristiche di elementi costituenti fattori di impatto ambientale, non esclude con ciò l’obbligo di considerare singolarmente ogni aspetto che da solo costituisca elemento importante: le due funzioni, quindi, non risultano in alcun modo alternative, integrandosi l’un l’altra, comprendono ed esauriscono ogni altra funzione prevista dalla valutazione di incidenza. (cfr. TAR Toscana, Sez. II, 30 settembre 2003 n. 5222). Pres. Corsaro, Est. Dell’Utri - Comune di Sona (avv.ti Scappini e Sonino) c. CIPE e altri (Avv. Stato) - T.A.R. LAZIO, Roma, Sez. III ter - 4 gennaio 2006 (c.c. 1°/12/2005), Sentenza n. 82
4) Pubblica amministrazione - Legge obiettivo - Grandi opere di preminente interesse nazionale - Iter procedimentale - Violazione delle attribuzioni regionali e degli enti locali - Inconfigurabilità. Il complesso iter procedimentale volto alla definizione di un’opera quale intervento di preminente interesse nazionale, prefigurato dal legislatore statale non è ex se invasivo delle attribuzioni regionali, avendo egli titolo ad assumere e regolare l’esercizio di funzioni amministrative su materie in relazione alle quali esso non vanti una potestà legislativa esclusiva, ma solo una potestà concorrente. Limitare l’attività unificante dello Stato alle sole materie espressamente attribuitegli in potestà esclusiva o alla determinazione dei principi nelle materie di potestà concorrente, come ha rilevato la Corte Costituzionale (sent. n. 303/2003) “significherebbe bensì circondare le competenze legislative delle Regioni di garanzie ferree, ma vorrebbe anche dire svalutare oltremisura istanze unitarie che pure in assetti costituzionali fortemente pervasi da pluralismo istituzionale giustificano, a determinate condizioni, una deroga alla normale ripartizione di competenze (…) in ambiti nei quali coesistono, intrecciate, attribuzioni e funzioni diverse”, tant’è che “un elemento di flessibilità è indubbiamente contenuto nell’art. 118, primo comma, Cost., il quale si riferisce esplicitamente alle funzioni amministrative, ma introduce per queste un meccanismo dinamico che finisce col rendere meno rigida (…) la stessa distribuzione delle competenze legislative, là dove prevede che le funzioni amministrative, generalmente attribuite ai Comuni, possano essere allocate ad un livello di governo diverso per assicurarne l’esercizio unitario, sulla base dei principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza. Pres. Corsaro, Est. Dell’Utri - Comune di Sona (avv.ti Scappini e Sonino) c. CIPE e altri (Avv. Stato) - T.A.R. LAZIO, Roma, Sez. III ter - 4 gennaio 2006 (c.c. 1°/12/2005), Sentenza n. 82
5) Pubblica amministrazione - Legge obiettivo - Localizzazione dell’opera di preminente interesse - Parere dei comuni - Obbligatorietà - Inerzia dei comuni - Conseguenze. Il parere dei comuni nel cui territorio si realizza l’opera, di cui all’art. 3 della legge obiettivo, ai fini dell’intesa sulla localizzazione, è obbligatorio e non facoltativo, poiché non si può prescindere dalla sua richiesta, bensì solo dalla sua acquisizione entro il termine di legge, da reputarsi congruo e ragionevole; tale norma non è suscettibile di dubbi di costituzionalità, dal momento che “essa permette, dinanzi al contegno di inerzia degli enti locali interessati, di prescindere dall’acquisizione delle osservazioni invano loro richieste. Poiché, infatti, a tali enti è comunque normativamente assicurata - sol che essi intendano avvalersene - la possibilità di una partecipazione attiva al procedimento, ciò si presenta sufficiente al rispetto del ruolo loro riconosciuto dalla Costituzione. Laddove, per converso, se la disciplina positiva dovesse imporre al procedimento di attendere comunque e senza limiti di tempo un’espressa presa di posizione da parte loro, un simile assetto, traducendosi in una inammissibile subordinazione degli interessi statali a quelli locali, anche in conflitto con il valore del buon andamento, sarebbe esso, allora sì, incompatibile con la Carta” (cfr. cit. TAR Lazio, Sez. I, n. 5118/04). Pres. Corsaro, Est. Dell’Utri - Comune di Sona (avv.ti Scappini e Sonino) c. CIPE e altri (Avv. Stato) - T.A.R. LAZIO, Roma, Sez. III ter - 4 gennaio 2006 (c.c. 1°/12/2005), Sentenza n. 82
6) Procedure e varie - Legge - Promulgazione - Efficacia ed esecutorietà immediata nei confronti degli organi pubblici chiamati a darvi attuazione - Pubblicazione nella G.U. - Finalità. La promulgazione attribuisce efficacia ed esecutorietà immediata alla legge nei confronti degli organi pubblici chiamati a darvi attuazione (cfr. Corte cost. 20 ottobre 1983 n. 321). Invero, con la promulgazione da parte del Capo dello Stato la legge deve considerarsi non solo esistente nell’ordinamento giuridico, ma anche, a certi fini, efficace nei confronti degli organi pubblici, tra cui il Governo al quale fa capo il CIPE, mentre la successiva pubblicazione si configura come atto diretto a dare “comunicazione” della stessa ai cittadini per renderne possibile la conoscenza ed imporne la generale osservanza (fattispecie relativa alla deliberazione CIPE del 21 dicembre 2001, n. 121, ritenuta dal TAR valida ed efficace, pur essendo stata emanata anteriormente alla pubblicazione della legge obiettivo n. 443/01, promulgata il 21 dicembre 2001, pubblicata il 27 seguente ed entrata in vigore l’11 febbraio 2002) Pres. Corsaro, Est. Dell’Utri - Comune di Sona (avv.ti Scappini e Sonino) c. CIPE e altri (Avv. Stato) - T.A.R. LAZIO, Roma, Sez. III ter - 4 gennaio 2006 (c.c. 1°/12/2005), Sentenza n. 82
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