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Testata registrata presso il Tribunale di Patti Reg. n. 197 del 19/07/2006
TAR PIEMONTE, Sez. II, 13 novembre 2006, sentenza n. 4164
Rifiuti - Appalti - Gestione dei rifiuti urbani - Affidamento in house a
società a capitale misto - Principi comunitari - Artt. 43, 49 e 86 del Trattato
CE - Art. 113, c. 5, d.lgs. n. 267/2000 - Controllo analogo e prevalenza
dell’attività - Ricorrenza - Necessità. Sulla scorta dell’interpretazione
offerta dalla giurisprudenza comunitaria (sentenze della Corte di Giustizia
“Teckal” e “Stadt-Halle”, quest’ultima riferita all’ipotesi di società mista a
capitale pubblico-privato) e in forza dell’applicabilità generale dei principi
di parità di trattamento, non discriminazione e trasparenza, di cui agli artt.
43, 49 e 86 del trattato CE, l’affidamento “in house” di un appalto o di una
concessione di pubblico servizio, anche locale se a rilevanza economica, non può
prescindere dall’accertamento dei criteri di cui alla ricordata sentenza “Teckal”,
cardini fondamentali ai fini della valutabilità della aderenza all’ordinamento
comunitario ed a quello nazionale ad esso conformato (art. 113, comma 5, d.lgs.
n. 267/2000, come modificato dall’art. 14, comma 1, del d.l. 30 settembre 2003,
conv. in l. n. 326/2003), id est “controllo analogo” e “prevalenza
dell’attività”, principi che devono essere oggetto di interpretazione
restrittiva (come ha chiarito la sentenza 13.10.2005, in causa C-485/03 Parkiing
Brixen - vd. anche la sentenza 6.4.2006, in causa C-410/04, AMTAB). (Nella
specie, era impugnato l’affidamento in house del servizio di gestione dei
rifiuti urbani e nettezza urbana dei comuni aderenti al consorzio affidante).
Pres. Calvo, Est. Correale - S.E.A. s.r.l. (avv.ti Quaranta e Lanfredi) c.
Consorzio Intercomunale di Servizi per l’Ambiente di Ciriè (avv.ti Prato e
Angelini) - T.A.R. PIEMONTE, Sez. II - 13 novembre 2006, n. 4164
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
IL
TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE
PER IL PIEMONTE
- 2^ SEZIONE -
Sent. n. 4164
Anno 2006
R.g.n. 379
Anno 2006
ha pronunciato la seguente:
S E N T E N Z A
sul ricorso n. 379/2006 proposto da S.E.A. - SOLUZIONI ECOLOGICHE AMBIENTALI
S.r.l., con sede in Torino, via Livorno n. 60, in persona del Presidente del
Consiglio di Amministrazione in carica Marco Origliasso, rappresentata e difesa
dagli avv.ti Mariateresa Quaranta e Alfredo Lanfredi ed elettivamente
domiciliata in Torino, via Torricelli n. 12, presso lo studio della prima,
c o n t r o
il Consorzio Intercomunale di Servizi per l’Ambiente di Cirié, in persona del
legale rappresentante in carica, rappresentata e difesa dagli avv.ti Domenico
Prato e Alessandro Angelini ed elettivamente domiciliata in Torino, corso
Vittorio Emanuele II n. 82, presso lo studio dei medesimi,
e nei confronti
della SETA - Società Ecologica Territorio Ambiente S.p.A., in persona del legale
rappresentante in carica, rappresentata e difesa dagli avv.ti Giorgio Santilli e
Francesca Dealessi ed elettivamente domiciliata in Torino, via Sacchi n. 44,
presso lo studio dei medesimi,
per l’annullamento, previa sospensiva,
a) della deliberazione del Consiglio di amministrazione del 15.2.2006, n. 23,
con cui il Consorzio Intercomunale di servizi per l’ambiente di Cirié (d’ora in
poi - per brevità - “Consorzio”) ha deliberato di affidare in house, ai sensi
dell’art. 113, comma 5, lett. c) del d.lgs. n. 267/2000, alla SETA S.p.A. i
servizi di raccolta, trasporto ed igiene urbana dei Comuni di Cafasse, Fiano,
Givoletto, Grosso, La Cassa, Mathi, Nole, Robassomero, Rocca Canavese, San Carlo
Canavese, Val della Torre, Varisella, Vauda e Villanova, nonché di rinviare a
successivo provvedimento l’approvazione del contratto di servizio espressamente
previsto nella “Convenzione per l’affidamento a SETA S.p.A. dei servizi di
gestione dei rifiuti urbani e di nettezza urbana relativi a Comuni aderenti al
Consorzio CISA”;
b) della deliberazione del Consiglio di Amministrazione del 15.2.2006, n. 22,
con cui il Consorzio ha deliberato di revocare il proprio atto n. 2
dell’11.1.2006, con cui aveva deciso di affidare con gara i servizi di cui sopra
nei Comuni di San Carlo Canavese, Val della Torre e Givoletto;
c) per quanto possa occorrere, della deliberazione dell’Assemblea Consorziale n.
3 del 1.2.2006, con cui il Consorzio ha deliberato di richiedere alla SETA
S.p.A. la riformulazione della proposta tecnico-economica concernente
l’affidamento in house dei servizi di igiene urbana dei comuni detti in premessa
con un ribasso sui prezzi di capitolato allegato al progetto di gestione di
almeno il 5% e, in caso di riformulazione della proposta in questo senso, ha
deliberato che avrebbe affidato in house alla SETA S.p.A. i servizi in
questione;
d) sempre per quanto possa occorrere, del protocollo di intesa in data
16.6.2005, con cui il Consorzio e la SETA S.p.A. hanno definito i termini di
partecipazione del primo alla seconda;
e) di ogni altro atto presupposto, preparatorio, connesso o consequenziale.
Visto il ricorso e la relativa documentazione.
Viste la memoria di costituzione e risposta del Consorzio Intercomunale di
Servizi per l’Ambiente di Cirié e la relativa documentazione.
Vista la memoria costitutiva della SETA S.p.A. e la relativa documentazione.
Viste le memorie depositate dalle parti.
Visti gli atti tutti della causa e le relative produzioni documentali.
Relatore all’udienza del 12 luglio 2006 il Referendario Ivo Correale.
Uditi gli avv.ti M. Quaranta per la società ricorrente, D. Prato e A. Angelini
per il Consorzio resistente e G. Santilli per la SETA S.p.A..
Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue.
FATTO
Il Consorzio Intercomunale di Servizi per l’Ambiente di Cirié, consorzio
obbligatorio costituito ai sensi dell’art. 31 d.lgs. n. 267/2000 di cui fanno
parte 38 comuni piemontesi, approssimandosi - alla fine di marzo 2006, di maggio
2006 e di luglio 2006 - la scadenza contrattuale del servizio di raccolta e
trasporto dei rifiuti solidi urbani ed assimilati ed igiene urbana per alcuni
comuni ad esso facenti capo, svolto dalla S.E.A. - Soluzioni Ecologiche
Ambientali S.r.l., deliberava in data 11 gennaio 2006 di approvare il progetto
di dettaglio, il capitolato speciale d’appalto e il relativo bando di gara nei
comuni di San Carlo Canavese, Val della Torre e Givoletto che, unitamente al
Comune di Vauda, avevano manifestato la loro intenzione di affidare il servizio
in questione mediante procedura ad evidenza pubblica, non ritenendo di
concordare con la proposta rappresentata dal Consorzio medesimo di affidamento
diretto alla SETA S.p.A., società a capitale interamente pubblico, inviata ai 14
comuni interessati in data 29 dicembre 2005.
Il medesimo Consorzio, comunque, inviava alla SETA S.p.A., in date 5 gennaio
2006 e 30 gennaio 2006, la documentazione progettuale ed uno schema di
capitolato d’appalto ai fini dell’affidamento “in house” del servizio in
scadenza per i restanti comuni e la SETA S.p.A., in data 31 gennaio 2006, faceva
pervenire al Consorzio la relativa proposta tecnico-economica.
L’Assemblea consorziale, con deliberazione n. 3 in data 1 febbraio 2006,
stabiliva di invitare il Presidente del Consiglio di Amministrazione del
Consorzio a richiedere alla SETA S.p.A. la riformulazione della proposta
economica concernente l’affidamento “in house” dei servizi di igiene urbana dei
comuni detti in premessa che prevedesse un ribasso sui prezzi di capitolato,
allegato al progetto di gestione, di almeno il 5%, aggiungendo che, ove fosse
stata riformulata l’offerta nel senso predetto, l’affidamento in house avrebbe
avuto luogo, mentre, in caso contrario, sarebbe stata bandita una gara ad
evidenza pubblica.
La SETA S.p.A., preso atto, con nota dell’8 febbraio 2006, confermava la propria
proposta economica per un costo pari al 5% in meno rispetto all’ammontare
complessivo indicato nel capitolato e nella documentazione allegata, ferma
restando l’offerta per i servizi aggiuntivi.
Il Consiglio di Amministrazione del Consorzio stabiliva: a) con la deliberazione
n. 22 del 15 febbraio 2006, di revocare il proprio atto n. 2 dell’11 gennaio
2006 ad oggetto: “Servizio di raccolta e trasporto R.S.U., assimilati, R.D. e
N.U. nei Comuni di San Carlo C.se, Val della Torre e Givoletto. Approvazione
progetto di dettaglio, C.S.A. e Banda di Gara”; b) con la deliberazione n. 23 in
pari data, di affidare “in house”, ai sensi dell’art. 113, comma 5, lett. c),
d.lgs. n. 267/2000, alla SETA S.p.A., con sede in Settimo Torinese, via Verga n.
40, i servizi di raccolta, trasporto e igiene urbana, con diversa decorrenza,
dei comuni di Cafasse, Fiano, Givoletto, Grosso, La Cassa, Mathi, Nole,
Robassomero, Rocca Canavese, San Carlo Canavese, Val della Torre, Vauda Canavese
e Villanova, alle condizioni di cui alle offerte economiche con allegate
proposte innovative e migliorative di SETA S.p.A. del 31.1.2006 e dell’8.2.2006,
di rinviare a successivo provvedimento l’affidamento “in house” del relativo
servizio nel comune di Varisella, a decorrere dal 1° giugno 2007, alle stesse
condizioni di cui alle offerte di SETA S.p.A. suddette, per le motivazioni
indicate in narrativa.
Con ricorso a questo Tribunale, notificato il 30 marzo 2006, la S.E.A. -
Soluzioni Ecologiche Ambientali S.r.l. chiedeva, previa sospensione,
l’annullamento di tali deliberazioni, nonché della presupposta deliberazione
dell’Assemblea consortile del 1 febbraio 2006 e del protocollo d’intesa del 16
giugno 2005 con la quale il Consorzio e la SETA S.p.A. avevano definito i
termini di partecipazione del primo alla seconda, lamentando:
I. Violazione di legge, con riferimento all’art. 113, comma 5, lett. c) del
d.lgs. n. 267/2000, nonché agli articoli 43, 49 e 86 del Trattato istitutivo
della Comunità Europea.
La società ricorrente ricostruiva preliminarmente il quadro normativo in materia
di affidamento diretto di servizi pubblici, richiamando, in primo luogo, gli
artt. 43, 49, primo comma, e 86, primo comma, del Trattato CE, che vietano,
rispettivamente, le restrizioni alla libertà di stabilimento, le restrizioni
alla libera prestazione di servizi e l’adozione di misure contrarie alle norme
del Trattato medesimo in favore di imprese pubbliche o a cui sono riconosciuti
diritti speciali o esclusivi.
Ne conseguiva, secondo la S.E.A. S.r.l., che l’obbligo di scegliere con gara gli
affidatari di servizi pubblici deriva in via diretta già dall’applicazione delle
norme del Trattato, come più volte ribadito anche dalla giurisprudenza
amministrativa, e che l’affidamento diretto costituisce un’eccezione
nell’attuale quadro normativo comunitario.
La normativa nazionale di riferimento, a sua volta, è costituita dall’art. 113,
comma 5, d.lgs. n. 267/2000, come modificato dall’art. 14 l. n. 326/2003,
laddove, alla lettera c), è specificato che l’erogazione del servizio, oltre
alle ipotesi di cui alle lettere a) e b), può essere conferita a “... società a
capitale interamente pubblico a condizione che l’ente o gli enti pubblici
titolari del capitale sociale esercitino sulla società un controllo analogo a
quello esercitato sui propri servizi e che la società realizzi la parte più
importante della propria attività con l’ente o gli enti pubblici che la
controllano”.
Osservava la società ricorrente che tale norma, nella sua attuale formulazione,
rispetta le indicazioni provenienti dalla giurisprudenza comunitaria, confermata
anche successivamente all’entrata in vigore della norma, come riportata in
sintesi.
Da essa si ricava che l’ampliamento dell’oggetto sociale, l’apertura
obbligatoria della società, a breve termine, ad altri capitali, l’espansione
territoriale della società ed i considerevoli poteri del relativo Consiglio di
Amministrazione costituiscono indici che escludono la presenza del “controllo
analogo” richiesto dalla norma in questione.
Così pure il Consiglio di Stato ha richiamato tali principi, specificando che il
“controllo analogo” corrisponde ad un vero rapporto di subordinazione
gerarchica, con controllo gestionale e finanziario stringente dell’ente pubblico
su quello societario, il quale, a sua volta, è istituzionalmente destinato in
modo assorbente ad operare in favore del primo, secondo anche quanto desumibile
nell’atto costitutivo e nello statuto della società interamente partecipata.
Nel caso di specie, la società ricorrente non rinveniva il rispetto dei
presupposti fondamentali indicati nell’art. 113, comma 5, lett. c), d.lgs. cit.
perché il Consorzio affidatario del servizio non esercita un controllo analogo a
quello che eserciterebbe sui propri servizi e la SETA S.p.A. non svolge la parte
più rilevante della propria attività in favore del Consorzio medesimo.
Quest’ultimo, secondo il protocollo d’intesa sottoscritto tra le parti il 18
luglio 2005, sarebbe titolare di una partecipazione limitata al 10% del capitale
sociale. Inoltre, da una visura effettuata presso la camera di Commercio di
Torino, non risultava alcuna attuale partecipazione in SETA S.p.A. da parte del
Consorzio, se non limitata al 2,5% del capitale sociale.
Secondo il protocollo d’intesa tra le parti, poi, il Consorzio avrebbe diritto
solo di segnalare - e non nominare - due membri del Consiglio di
Amministrazione, su un totale di nove.
Il Consorzio, inoltre, viene consultato per alcune problematiche gestionali specifiche, in relazione al bacino di utenza, ma non detiene alcun potere decisorio relativamente ad esse né in ordine all’approvazione del bilancio di esercizio o alla modifica di schemi-tipo di contratti di servizio o dello statuto sociale.
In secondo luogo, la società ricorrente rilevava che anche il requisito della
prevalenza dell’attività svolta in favore dell’ente controllante era assente.
L’oggetto sociale della SETA S.p.A. è molto ampio, comprendendo varie attività
ai fini del conseguimento, anche indiretto, degli scopi sociali; in più, il
fatturato annuale che la medesima società ricaverà per i servizi resi al
Consorzio si attesta intorno alla cifra di euro 1.632.875,00, laddove le entrate
riguardanti i servizi resi al di fuori dell’ambito territoriale consortile, nel
2004, ammontavano a euro 25.956.805, di cui 19.247.887 per servizi di igiene
ambientale.
Il fatturato per i servizi resi all’interno del Consorzio ammonta, quindi, a
circa il 7-8% di quello complessivo e la società ricorrente evidenziava anche
che la SETA S.p.A. partecipa a numerose gare d’appalto per servizi di raccolta e
trasporto di rifiuti in comuni non compresi nella Regione Piemonte, concorrendo
con altri operatori privati, differenziando, così, la sua attività rispetto a
quella che interessa il Consorzio affidatario.
Si costituiva in giudizio il Consorzio Intercomunale di Servizi per l’Ambiente
di Cirié, rilevando, preliminarmente, la carenza di interesse in capo alla
società ricorrente, in quanto l’art. 113, comma 6, d.lgs. n. 267/2000 preclude
l’ammissione alle gare di cui al comma precedente - cui la S.E.A. S.r.l.
ambirebbe a partecipare ove fosse bandita - alle società che in Italia o
all’estero gestiscono a qualunque titolo servizi pubblici locali in virtù di
affidamento diretto, di una procedura ad evidenza pubblica o a seguito dei
relativi rinnovi.
Al Consorzio risultava che la società ricorrente gestiva nel Comune di Varisella
il servizio in questione in virtù della cessione di un ramo d’azienda e, nei
comuni di Fiano, Givoletto, La Cassa, Val della Torre e Robassomero, in virtù di
affidamento diretto.
Di conseguenza, in assenza della dimostrazione contraria, il Consorzio rilevava
l’assoluta carenza di interesse della S.E.A. S.r.l. al presente gravame.
Nel merito, il Consorzio contestava comunque la fondatezza del ricorso,
confutando dettagliatamente le tesi della società ricorrente e tendendo a
dimostrare la sussistenza dei principi del “controllo analogo” e della “attività
più rilevante” necessari per legittimare un affidamento “in house”.
Si costituiva in giudizio anche la SETA S.p.A., rilevando preliminarmente
l’inammissibilità del ricorso per tardiva impugnazione del protocollo d’intesa a
suo tempo stipulato con il Consorzio, costituendo questo il provvedimento
concretamente idoneo a sottrarre al mercato di riferimento la possibilità di
accesso alla contrattazione con l’amministrazione che ha optato per la gestione
diretta del servizio.
Anche la società controinteressata rilevava, poi, l’infondatezza del ricorso.
Alla camera di consiglio del 12 aprile 2006, fissata per la trattazione della
domanda cautelare, la società ricorrente chiedeva di esaminare quest’ultima
congiuntamente alla trattazione del merito.
All’odierna udienza la causa è stata trattenuta in decisione.
In data 18 luglio 2006 è stato pubblicato il dispositivo n. 29 della presente
sentenza.
DIRITTO
Il Collegio deve esaminare preliminarmente le eccezioni di inammissibilità del
ricorso sollevate dal Consorzio resistente e dalla società controinteressata.
Il primo rileva la carenza di interesse alla proposizione del presente gravame
da parte della S.E.A. S.r.l., che non potrebbe avere alcuna ambizione di
partecipazione ad una eventuale procedura ad evidenza pubblica da effettuarsi in
seguito all’annullamento dell’affidamento “in house” come disposto, in quanto
escludibile in base alla previsione dell’art. 113, comma 6, d.lgs. n. 267/2000,
poiché essa già gestisce un affidamento diretto del medesimo servizio in alcuni
comuni piemontesi, in virtù di diverse modalità.
Sul punto, la società ricorrente ha replicato - con osservazioni che il Collegio
ritiene pienamente condivisibili - richiamando la vigenza del regime transitorio
previsto dall’art. 113, comma 15-quater, d.lgs. cit., come aggiunto dall’art. 4,
comma 234, l. 24 dicembre 2003, n. 350.
In effetti, il Collegio rileva che tale norma ha specificamente previsto che
solo “A decorrere dal 1 gennaio 2007 si applica il divieto di cui al comma 6,
salvo nei casi in cui si tratti dell’espletamento delle prime gare aventi ad
oggetto i servizi forniti dalle società partecipanti alla gara stessa”. Tale
disposizione transitoria, nel suo impianto, è stata ritenuta imprescindibile
anche dalla Corte Costituzionale, la quale con la sentenza 1 febbraio 2006, n.
29, nel dichiarare l’illegittimità di una norma di una legge regionale
abruzzese, ha evidenziato la ragionevolezza della disciplina transitoria
nazionale di cui al richiamato art. 113, comma 15-quater, d.lgs. cit., per
consentire un complessivo riequilibrio e un progressivo adeguamento del mercato
di riferimento, anche ai fini di assicurare lo sviluppo di una effettiva
capacità concorrenziale (v. Cons. Stato, sez. V.,28.9.2005, n. 5196).
Chiarito ciò, quindi, il Collegio ritiene infondata l’eccezione in questione, in
quanto il divieto legislativo richiamato dal Consorzio resistente non è
operativo alla data di proposizione del presente ricorso e tale osservazione è
sufficiente per ritenere l’interesse della S.E.A. S.r.l. all’accoglimento del
gravame, in qualità di impresa del settore potenzialmente idonea a partecipare a
gare ad evidenza pubblica da bandirsi per i relativi servizi in scadenza in
periodo anteriore al 1 gennaio 2007, anche prescindendo, quindi, delle modalità
concrete con cui la stessa gestisce i servizi presso i comuni piemontesi
richiamati, comunque precisate dalla società ricorrente come non riconducibili
ad affidamento diretto.
Infondata è anche l’eccezione proposta dalla SETA S.p.A. in ordine
all’inammissibilità del ricorso per mancata impugnazione nei termini di legge
della delibera consorziale n. 24 del 16 giugno 2005 con la quale l’assemblea
aveva deliberato di confermare la volontà di aderire a SETA S.p.A., conferendo
al Presidente il potere di dare corso a tutti gli atti previsti dall’art. 3 del
protocollo di intesa sottoscritto tra le parti.
Come condivisibilmente osservato dalla società ricorrente, però, tale delibera
societaria appare meramente confermativa di quanto già contenuto nel protocollo
di intesa tra le parti, limitandosi a conferire al Presidente meri poteri di
attuazione.
Tale protocollo risulta pure impugnato nella presente sede e la società
ricorrente ha dimostrato di averne avuto conoscenza solo in seguito all’evasione
di una richiesta di accesso, nel marzo 2006.
In virtù dei principi generali del processo amministrativo, quindi, è onere di
chi propone l’eccezione di tardività dimostrare in giudizio la data di effettiva
conoscenza del provvedimento impugnato da parte del ricorrente. In assenza di
tale dimostrazione, perciò la relativa eccezione deve ritenersi infondata.
Passando all’esame del merito del ricorso, il Collegio ne rileva la fondatezza
secondo quanto di seguito specificato.
Sostiene la società ricorrente, con l’unico, articolato, motivo di ricorso,
sviluppato ulteriormente nella successiva memoria, che il Consorzio resistente
non poteva affidare “in house” il servizio in questione, non sussistendone i
presupposti di cui alla normativa nazionale applicabile, che si è conformata
all’interpretazione comunitaria in argomento.
In effetti, al caso di specie, è incontestato che sia applicabile la norma di
cui all’art. 113, comma 5, d.lgs. n. 267/2000, nel testo attualmente in vigore
in virtù delle modifiche e integrazioni di cui all’art. 14, comma 1, d.l. 30
settembre 2003, conv. in l. 24 novembre 2003, n. 326.
Tale norma prevede che l’erogazione del servizio pubblico locale di rilevanza
economica - come si configura quello in esame - avviene secondo le discipline di
settore e nel rispetto della normativa dell’Unione europea, con conferimento
della titolarità del servizio “... c) a società a capitale interamente pubblico
a condizione che l’ente o gli enti pubblici titolari del capitale sociale
esercitino sulla società un controllo analogo a quello esercitato sui propri
servizi e che la società realizzi la parte più importante della propria attività
con l’ente o gli enti pubblici che la controllano”.
Il richiamo, contenuto nella medesima norma, al “rispetto della normativa
dell’Unione europea” impone di esaminare come essa sia stata interpretata dalla
relativa giurisprudenza, secondo quanto richiamato dalla medesima società
ricorrente.
Ebbene, di sicuro, deve richiamarsi la disciplina di cui agli artt. 43, 49,
paragrafo 1, e 86, paragrafo 1, del Trattato CE, che impongono, rispettivamente,
il divieto di restrizioni alla libertà di stabilimento, alla libera prestazione
di servizi e il divieto di emanare e mantenere, nei confronti delle imprese
pubbliche e di quelle cui si riconoscono diritti speciali o esclusivi, misure
contrarie alle norme del Trattato.
In sostanza, quest’ultimo si è preoccupato di evitare squilibri nella
concorrenza e norme di favore per particolari categorie di imprese idonee a
distorcere il libero mercato - anche nel settore dei servizi pubblici locali di
rilevanza economica - coincidenti con l’affidamento diretto senza procedura di
evidenza pubblica la quale costituisce, pur sempre, la regola generale cui ogni
Stato membro deve attenersi (su tale principio generale, da ultimo, v. TAR
Lazio, sez. I, 1.9.2006, n. 7375).
Ebbene, la Corte di giustizia, investita di questioni pregiudiziali in
argomento, ha progressivamente specificato i criteri per i quali è considerato
legittimo e conforme all’ordinamento comunitario l’affidamento diretto di
servizi pubblici, anche locali.
Con una prima pronuncia (sentenza 18.11.2000, in causa C-107/98, Teckal), la
Corte ha introdotto il principio - poi ripreso dal legislatore nazionale proprio
con l’art. 113, comma 5, d.lgs. n. 267/2000 invocato nel presente giudizio -
secondo il quale i tratti qualificanti del c.d. “affidamento in house”,
qualificabile nell’ordinamento interno, sia pure con qualche oscillazione
interpretativa, in riferimento all’istituto della “delega interorganica”, sono
enucleabili: 1) quando tra l’ente pubblico conferente e il soggetto giuridico
destinatario dell’affidamento intercorre un “controllo analogo” a quello
esercitato dall’ente direttamente sui propri servizi; 2) quando l’affidataria
realizza la parte più importante della propria attività solo con il suddetto
ente.
In tal caso, emerge l’impossibilità di attribuire alla persona giuridica
affidataria la qualità di “terzo” (in tal senso, si richiama anche la sentenza
7.12.2000, in causa C-324/98, Teleaustria).
Tali conclusioni sviluppavano quanto già accennato dalla medesima Corte di
Giustizia negli anni immediatamente precedenti (v. sentenza 10.11.1998, in causa
C-360/96, Arnhem e sentenza 9.9.1999, in causa C-108-98, RI.SAN), secondo cui il
rapporto di terzietà é da escludere in presenza di un potere assoluto di
direzione, coordinamento e supervisione dell’attività del soggetto partecipato
da parte dell’ente controllante-affidatario, corrispondente, in sostanza, alla
relazione di subordinazione gerarchica conosciuta in molti ordinamenti, tra cui
quello italiano.
Tale principio generale, qualificato anche come di ”influenza dominante” trovava
delle difficoltà applicative nell’ipotesi di società “mista”, a capitale
pubblico-privato, per cui la Corte di Giustizia è stata chiamata a pronunciarsi
anche in relazione a tale fattispecie.
Con la sentenza 11.1.2005, in causa C-26/03, Stadt-Halle, la Corte ha
sostanzialmente reinterpretato il principio del “controllo analogo”,
generalmente applicabile, anche in relazione a tale peculiare situazione.
In tale occasione, la Corte ha ribadito il principio generale per cui sussiste
sempre l’obbligo per le amministrazioni aggiudicatrici - o enti ad esse
equiparate - di applicare le regole comunitarie che prevedono l’attribuzione di
appalti e/o servizi mediante procedura ad evidenza pubblica, costituendo
qualsiasi deroga ad esse come mera eccezione, da interpretarsi il più possibile
restrittivamente.
Ferma tale precisazione, la Corte, pur richiamando che in linea di principio
l’autorità pubblica adempie ai propri compiti istituzionali mediante propri
strumenti diretti, senza obbligo di ricorrere ad entità esterne non appartenenti
ai propri servizi, ha precisato che non è esclusa la circostanza per la quale
tale autorità possa anche fare ricorso a soggetti esterni al suo apparato
amministrativo. In tale ipotesi, però, deve sussistere il doppio presupposto del
“controllo analogo” a quello esercitato sui propri servizi e dello “svolgimento
della parte più rilevante dell’attività” dell’affidatario con l’autorità
medesima, di cui alla sentenza “Teckal” sopra richiamata.
La peculiarità della fattispecie era data dalla circostanza che mentre in tale
ultima sentenza si era valutata l’ipotesi di partecipazione interamente
pubblica, nel caso della sentenza “Stadt-Halle” si esaminava un’ipotesi di
società “mista”.
Ebbene, la Corte ha precisato che, in tal caso, la partecipazione - anche
minoritaria - dell’autorità pubblica all’impresa conferitaria esclude in ogni
caso che tale autorità possa esercitare su quella impresa un “controllo analogo”
a quello che essa esercita sui propri servizi, per la principale ragione che
qualunque investimento privato, anche minoritario, privilegia considerazioni
legate a interessi privati senza necessariamente perseguire interessi pubblici,
cui invece deve sempre essere conformata la pubblica autorità.
In sostanza, il c.d. “controllo analogo” - richiamato esplicitamente, come
detto, dall’art. 113, comma 5, lett. c), d.lgs. n. 267/2000 applicabile al caso
di specie - è collegato inscindibilmente al perseguimento degli interessi
pubblici.
Sotto tale profilo, ritiene il Collegio che l’affidamento “in house” non possa
che essere riconosciuto, allo stato attuale dell’interpretazione comunitaria, a
società a capitale interamente pubblico, purché vengano rispettati i criteri di
cui alla ricordata sentenza “Teckal”.
Premesso ciò, rilevando che le parti in giudizio non negano che la SETA S.p.A.
sia società a capitale interamente pubblico, deve esaminarsi se la Corte di
giustizia ha offerto la sua interpretazione anche relativamente a tale
fattispecie.
Ebbene, con la sentenza 13.10.2005, in causa C-458/03, Parking Brixen, la Corte
si è pronunciata proprio relativamente ad un caso relativo a società a capitale
interamente pubblico e detenuto dall’ente affidatario, in relazione ad una
fattispecie qualificata dalla Corte stessa, però, come di “concessione di
pubblico servizio”.
Richiamando l’applicazione dei principi fondamentali del Trattato CE, di cui
agli artt. 43 e 49, sempre prevalenti pur in esclusione dell’applicazione della
direttiva 92/50/CE relativa ad appalti di pubblici servizi, la Corte ha ribadito
che anche nell’ipotesi di concessione di pubblici servizi ad ente non
indipendente dall’autorità affidataria devono applicarsi i principi relativi al
richiamato “controllo analogo” e alla “prevalenza dell’attività”, confermando,
con tale precisazione, che questi due presupposti sono ormai cardini
fondamentali ai fini della valutabilità della aderenza all’ordinamento
comunitario - ed a quello nazionale ad esso conformato - di tutte le ipotesi di
affidamento diretto, anche se a società a capitale interamente pubblico.
In particolare, la Corte ha precisato che le due condizioni (“controllo analogo”
e “prevalenza”) devono essere “... oggetto di un’interpretazione restrittiva e
l’onere di dimostrare l’effettiva sussistenza delle circostanze eccezionali che
giustificano la deroga a quelle regole grava su colui che intenda avvalersene.
Occorre esaminare, innanzitutto, se l’autorità pubblica concedente eserciti
sull’ente concessionario un controllo analogo a quello esercitato suoi propri
servizi. Tale valutazione deve tenere conto di tutte le disposizioni normative e
delle circostanze pertinenti. Da quest’esame deve risultare che l’ente
concessionario in questione è soggetto ad un controllo che consente all’autorità
pubblica concedente di influenzarne le decisioni. Deve trattarsi di una
possibilità di influenza determinante sia sugli obiettivi strategici che sulle
decisioni importanti ...”.
La Corte di giustizia è di recente tornata sui medesimi principi proprio in
relazione ad un caso assimilabile a quello in esame, in riferimento
all’interpretazione dell’art. 113, comma 5, d.lgs. n. 267/2000 nel testo
attualmente in vigore in seguito alla novella di cui al d.l. n. 267/03, conv. in
l. n. 326/03 cit. ed alla circostanza per cui la pubblica gara era stata prima
bandita e poi revocata, con affidamento diretto del servizio pubblico locale di
trasporto a società a capitale interamente pubblico (sentenza 6.4.2006, in causa
C-410/04, AMTAB).
Ebbene la Corte, ribadendo nuovamente l’applicabilità generale dei principi di
parità di trattamento, non discriminazione e trasparenza, di cui agli artt. 43,
49 e 86 del trattato CE, ha specificato che tali principi non ostano ad una
disciplina nazionale che consente ad un ente pubblico di affidare un servizio
pubblico direttamente ad una società della quale esso detiene l’intero capitale,
“... a condizione che l’ente pubblico eserciti su tale società un controllo
analogo a quello esercitato sui propri servizi e che la società realizzi la
parte più importante della propria attività con l’ente che la detiene”.
In sostanza, i requisiti del “controllo analogo” e della “rilevante attività”
devono sempre essere accertati se si vuole affidare direttamente a società,
miste o a capitale interamente pubblico, un appalto o una concessione di
pubblico servizio, anche locale se a rilevanza economica (a conferma, si
richiama anche la sentenza della Corte di Giustizia, 11.5.2006, in causa
C-340/04, Carbotermo).
Che tali conclusioni siano eccessivamente penalizzanti per lo sviluppo
dell’istituto dell’affidamento “in house”, come paventato da alcuni commenti
dottrinari, è circostanza che non può rilevare nella presente sede, ove si deve
tenere conto dello stato attuale della legislazione nazionale e comunitaria e
dei principi ad essa correlati.
Precisando, quindi, che deve verificarsi, nel caso di specie, la eventuale
sussistenza dei due requisiti sopra richiamati, per giustificare l’affidamento
diretto come disposto in favore della SETA S.p.A., alla luce dell’art. 113,
comma 5, lett. c), d.lgs. n. 265/2000 che esplicitamente li richiama, in
relazione agli artt. 43, 49, paragrafo 1, e 86, paragrafo 1, del Trattato CE, il
Collegio precisa quanto segue.
1. In ordine al requisito del “controllo analogo”.
In ordine a tale esame è necessario
partire da quanto previsto dal protocollo d’intesa stipulato tra le parti in
data 18 luglio 2005 e dalla successiva convenzione del 25 ottobre 2005 per
verificare se sussiste il richiamato “controllo analogo”, qualificato, in
sintesi, dalla medesima Corte di Giustizia come una influenza o una possibilità
di influenza determinante sia sugli obiettivi strategici sia sulle decisioni più
importanti della società giuridica affidataria, tenendo conto che la circostanza
della presenza di un capitale interamente pubblico non è di per sé dirimente a
tali fini (sentenza “Carbotermo” cit.).
Non si può fare a meno, dunque, di esaminare in concreto i rapporti sociali ed i
collegamenti tra ente affidante e persona giuridica affidataria, come concordano
anche la società ricorrente e il Consorzio resistente.
In primo luogo, prendendo in esame lo statuto della SETA S.p.A., si rileva,
all’art. 3 - Oggetto - che “La società ... ha quale oggetto l’attività di
gestione dei servizi preordinati alla tutela, conservazione, valorizzazione
della qualità ambientale, senza vincoli di territorialità, eccetto la città di
Torino. La società può ricevere l’affidamento del servizio di raccolta e
trasporto degli RSU e RSA nonché i servizi di igiene urbana da Consorzi di
Bacino, relativamente all’ambito territoriale di competenza, ovvero da singoli
Comuni, relativamente ai servizi di igiene urbana, nel rispetto dell’art. 113,
comma 5 del D.Lgs. 267/2000; la gestione del servizio di raccolta e trasporto
degli RSU e RSA e/o del servizio di igiene urbana oggetto dell’affidamento è
svolta secondo quanto previsto in apposita convenzione e/o contratto di
servizio, anche al fine di assicurare che i soci affidanti esercitino il
controllo ai sensi dell’art. 113, comma 5 lett. C del D.lgs. 267/2000 e della
L.R. Piemonte 24/2002. Essa potrà tra l’altro svolgere, a titolo puramente
esplicativo e non esaustivo: la gestione dei servizi di igiene ambientale,
compresa la manutenzione del verde, nel rispetto della normativa nazionale,
regionale e provinciale vigente; la raccolta e trasporto dei rifiuti solidi
urbani, assimilati, speciali pericolosi e non; le operazioni di nettezza urbana
(quale pulizia viaria, spezzamento e lavaggio strade e altri spazi pubblici
comprese le aree complementari); le operazioni di qualsiasi tipo destinate a
consentire il riuso dei prodotti e il riciclo dei materiali provenienti dalla
raccolta differenziata dei rifiuti solidi urbani e/o assimilati; lo sgombero
neve; le operazioni e i servizi di valorizzazione ambientale in genere, comprese
le attività di bonifica di aree compromesse, terreni e falde nonché la rimozione
di discariche abusive; le attività di trasporto cose in conto terzi, nell’ambito
dei propri servizi; l’attività di riscossione della tariffa di igiene ambientale
ai sensi dell’art. 49 del D.Lgs. 22/1997 a seguito della relativa approvazione
da parte dei comuni interessati. Essa potrà operare inoltre in settori
integrativi, complementari e affini ... 2. La società può inoltre eseguire
qualsiasi attività di carattere immobiliare, mobiliare, commerciale,
industriale, finanziario, comunque connessa o complementare a quelle sopra
indicate o reputata necessaria o utile per il conseguimento, anche indiretto,
degli scopi sociali, con eccezione della raccolta del risparmio tra il pubblico
e dell’esercizio delle attività riservate agli intermediari finanziari. 3. La
società può effettuare le attività rientranti nel proprio oggetto sociale tanto
direttamente quanto indirettamente, anche per conto di soggetti terzi, pubblici
e privati, in regime di concessione, di appalto, nonché di affidamento ai sensi
della vigente normativa in materia di servizi pubblici locali e di gestione dei
relativi impianti, reti, infrastrutture e dotazioni patrimoniali, ed in
qualunque altra forma o qualunque altro titolo nel rispetto delle leggi vigenti.
A tali fini la società può partecipare, anche in forma associata, a qualsivoglia
genere di gara o di procedura di selezione ad evidenza pubblica. 4. La società
può assumere partecipazioni od interessenze in altre società o imprese, tanto
italiane quanto estere, aventi oggetto analogo, affine o complementare al
proprio oggetto sociale; può altresì prestare garanzie reali e/o personali per
obbligazioni sia proprie che di terzi, anche a favore di enti o società
controllati o collegati”.
Come si può rilevare, l’oggetto sociale è particolarmente ampio e non limitato
esclusivamente a servizio analogo a quello affidato dal Consorzio, secondo
quanto sarà in prosieguo ulteriormente approfondito.
Inoltre, l’art. 9 dello Statuto prevede che il consiglio di amministrazione sia
composto da un minimo di cinque ed un massimo di nove membri, nominati
dall’assemblea ordinaria. Le relative deliberazioni sono assunte con il voto
favorevole di almeno due terzi dei consiglieri in specifiche materie, tra cui
l’approvazione del bilancio. Il collegio sindacale, poi, secondo l’art. 15, è
formato da tre sindaci effettivi e da due supplenti.
Premesso ciò, il Collegio esamina il protocollo d’intesa sottoscritto il 18
luglio 2005, che pone le regole per il servizio da affidare alla SETA S.p.A., ai
sensi dell’art. 113, comma 5, lett. c), d.lgs. n. 267/2000.
Ebbene, al punto 2 (Obiettivi), è testualmente affermato che le parti desiderano
integrarsi ai fini del rispetto delle condizioni di cui all’art. 113, comma 5,
lett. c), d.lgs. n. 267/2000 cit., mediante un assetto che prevede: la
titolarità da parte del Consorzio di una partecipazione pari a circa il 10% del
capitale sociale di SETA, per un valore nominale di circa 800.000,00 euro; il
diritto di designare due membri del consiglio di amministrazione; la possibilità
di essere coinvolto nell’assunzione di deliberazioni relative al servizio in
tema: a) di acquisto ed alienazione di aziende o rami d’azienda strumentale allo
svolgimento del servizio nel bacino 17°; b) di apertura e chiusura di sedi
secondarie nel territorio compreso nell’attuale bacino 17°; c) di modalità di
erogazione del servizio sul territorio servito; d) di definizione del piano di
investimenti di SETA attinenti ai servizi oggetto dell’affidamento.
E’ indicato come mero obiettivo del Consorzio quello di ottenere la nomina di un
componente il collegio sindacale al momento del rinnovo dell’organo in
questione.
E’ inoltre specificato che l’esercizio di un controllo sui servizi affidati a
SETA, analogo a quello esercitato dai comuni suoi membri sui rispettivi servizi,
sarà perseguito mediante la definizione del contenuto di una convenzione tipo e
di contratti di servizio.
Nel definire le modalità con cui attuare il protocollo d’intesa, le parti
stabilivano che in una prima fase il Consorzio avrebbe acquistato azioni per un
valore nominale di euro 200.000,00 e che la gestione diretta del servizio
sarebbe avvenuta soltanto mediante: a) la partecipazione al capitale sociale a
controllo completamente pubblico dello stesso; b) la sussistenza dell’esercizio
di un controllo analogo; c) la realizzazione della parte più importante del
servizio con il Consorzio, con ciò ribadendo la necessità di rispettare, in
teoria, i criteri generali indicati dalla legge e frutto dell’elaborazione della
giurisprudenza comunitaria.
Su tale regolamentazione futura il Collegio concorda con quanto osservato dalla
società ricorrente in ordine alla partecipazione sociale da parte del consorzio.
Il 10 per cento della stessa, di per sé, non appare idoneo a poter qualificare
il necessario stringente controllo sulla società partecipata, tenuto conto della
varietà della sua attività come descritta nel su riportato articolo dello
statuto.
In più, dalla visura camerale relativa alla SETA depositata in giudizio dalla
società ricorrente, risulta che, al momento dell’affidamento, il Consorzio
poteva vantare solo una partecipazione effettiva del 2,5%, pari al valore
nominale di 200.000 azioni, e che gli amministratori in carica sono pari al
numero massimo previsto dallo statuto corrispondente a nove.
Ne consegue, in primo luogo, che la partecipazione al capitale sociale al 2,5%
appare davvero esigua in relazione alla pretesa di esercitare il necessario
“controllo analogo” nelle forme sopra specificate, perché bisogna tenere conto
dell’effettiva partecipazione al momento dell’affidamento e non di future
possibilità di ampliamento e che, ad ogni modo, anche un’eventuale
partecipazione al 10% non potrebbe concretare forme di controllo stringente come
richiesto dalla legge, in relazione alla vastità dell’oggetto sociale.
Inoltre, in merito, appare condivisibile anche la seconda osservazione della
società ricorrente in relazione all’esiguo numero di amministratori, pari a due
su nove, lasciato alla scelta del Consorzio, inidoneo certamente ad influenzare
le scelte del consiglio di amministrazione medesimo; ciò vale anche per la
nomina di un solo un componente su tre del collegio sindacale, nomina ancora da
effettuare alla scadenza dell’attuale mandato del collegio in questione.
Non appare corretta, quindi, sul punto l’affermazione del Consorzio resistente
contenuta a p. 23 della memoria di costituzione e risposta, secondo cui esso può
contare su due componenti del consiglio di amministrazione “su un totale di
cinque membri”, laddove è stato dimostrato “per tabulas” che il consiglio di
amministrazione di SETA è composto da nove membri. Inoltre, lo statuto della
società affidataria prevede che al consiglio di amministrazione compete la
gestione ordinaria e straordinaria della società, con i poteri più ampi per
compiere tutti gli atti che rientrano nell’oggetto sociale, escluse solo le
facoltà riservate all’assemblea dei soci.
Tenuto conto, quindi, dell’ampio potere riconosciuto a detto consiglio di
amministrazione e dell’ampiezza dell’oggetto sociale, come sopra riportato, non
appare proprio al Collegio che nel caso di specie possa configurarsi un
controllo stringente da parte del Consorzio affidante i servizi in questione.
Tale circostanza appare ancora più importante laddove si debba pervenire
all’approvazione del bilancio, per statuto approvato con i 2/3 degli
amministratori, ove i due segnalati dal Consorzio sarebbero in netta minoranza e
non potrebbero influenzare in alcun modo le scelte gestionali relative.
Sostiene poi il Consorzio resistente che gli effettivi rapporti di controllo
sulla società affidataria devono desumersi dalla successiva convenzione
sottoscritta tra le parti in data 28 ottobre 2005.
In tale atto, però, il Collegio non riscontra particolari elementi idonei a
dimostrare la sussistenza del controllo analogo stringente richiesto.
In essa vi è soltanto un generico potere, riconosciuto al Consorzio, di
indirizzo e controllo dei servizi svolti dalla società in questione ma non dei
poteri di vigilanza e controllo sulle modalità di gestione dell’intera società.
Oltre tutto tale previsione appare generica e non sostenuta da specifici
elementi concreti su cui il Collegio possa verificare in che modo il
perseguimento dell’oggetto sociale possa essere influenzato in maniera
stringente dal Consorzio resistente mediante tali controlli.
Né le ulteriori argomentazioni addotte dal Consorzio a confutazione delle tesi
della società ricorrente - riprese anche dalla società controinteressata -
appaiono convincenti sul punto.
Sostiene questo che la suddetta convenzione attribuirebbe al Consorzio un potere
di ingerenza diretta nell’attività della SETA relativa al servizio in questione,
considerando anche che la partecipazione al 10% del capitale sociale sarebbe
proporzionale al numero di abitanti, in rapporto a quello totale del bacino di
utenza della SETA, facenti capo al consorzio medesimo, rappresentando così un
“peso” effettivo idoneo a giustificare la partecipazione azionaria suddetta.
Sul punto, però, il Collegio osserva che il controllo analogo inteso nel senso
sopra specificato non può essere frantumato in tanti parametri proporzionati
alla percentuale di partecipazione ma deve essere verificato in ordine
all’intero capitale sociale ed agli obiettivi generali della società
partecipata, non potendosi ritenere - proprio in caso di partecipazione sociale
suddivisa tra vari soci con partecipazioni percentuale non prevalente - che
possano sussistere tanti “controlli analoghi” quanti sono i soci in relazione
alla partecipazione al capitale sociale limitata alla propria “quota” di
interesse, nel caso di specie rapportata al bacino d’utenza di riferimento dei
comuni consorziati.
Il “controllo analogo” cui fa riferimento la giurisprudenza comunitaria o
sussiste su tutta l’attività sociale o non sussiste, non potendosi ritenere che
esso si presenti in una multiforme applicazione in relazione alla partecipazione
percentuale dei singoli soci.
Inoltre, il medesimo Consorzio resistente insiste nel rilevare che nella
convenzione sopra ricordata si rinvenirebbe una ingerenza stringente da parte
del Consorzio medesimo nell’operato di SETA S.p.A..
Tale conclusione, però, non risulta specificata in relazione a fattispecie
concrete, tenuto conto di quanto evidenziato sopra in relazione all’ampiezza
dell’oggetto sociale, al consistente numero di consiglieri di amministrazione e
alle loro prerogative. Inoltre, nel protocollo d’intesa del luglio 2005 è
unicamente previsto che il Consorzio, in riferimento al bacino n. 17, ha la
possibilità di “concordare” con SETA particolari contratti di servizio o
modifiche statutarie o specifici patti parasociali ma questa, come letteralmente
si evince, è una mera facoltà e non una possibilità di imposizione né è
specificato cosa deciderebbe l’organo amministrativo di SETA nell’ipotesi in cui
i consiglieri di amministrazione, diversi da quelli segnalati dal Consorzio, non
concordassero con le scelte suggerite dai rappresentanti di quest’ultimo.
In assenza di norme specifiche appare chiaro che la maggioranza del consiglio di
amministrazione potrebbe ben decidere in senso diverso da quello propugnato dal
Consorzio.
Né appare condivisibile l’altra argomentazione sostenuta dal Consorzio
resistente, secondo la quale sarebbero i vari comuni che lo compongono ad
esercitare direttamente il “controllo analogo” per il tramite del Consorzio
medesimo.
In merito, il Collegio concorda con il richiamo operato dalla difesa della
società ricorrente alle sentenze della Corte di giustizia, secondo cui la
gestione di propri servizi per mezzo di società “holding” - cui è assimilabile
la fattispecie in esame relativa al rapporto tra Consorzio e “suoi” comuni - può
indebolire il controllo eventualmente esercitato dall’amministrazione
aggiudicatrice sulla società per azioni in forza della mera partecipazione al
suo capitale.
Tant’é che ancora una volta non viene chiarito cosa accadrebbe nell’ipotesi in
cui la amministrazione di SETA decidesse di non conformarsi alle prescrizioni
che i singoli comuni riterrebbero di impartire per il tramite del Consorzio
partecipato.
Quanto osservato, è sufficiente per rinvenire l’assenza del necessario requisito
del “controllo analogo”, circostanza che, di per sé, impedirebbe di considerare
legittimamente affidato il servizio in questione.
Ad ogni modo, il Collegio evidenzia anche l’assenza del requisito dell’“attività
prevalente”.
2. In ordine al requisito dell’“attività prevalente”.
Come già sopra più volte evidenziato, l’oggetto sociale della SETA è molto
ampio, prevedendo non solo la gestione di servizi analoghi a quello affidato ma
anche, tra altre, a titolo esemplificativo, qualsiasi attività “di carattere
immobiliare, mobiliare, commerciale, industriale, finanziario connessa o
complementare a quelle indicate o reputata necessaria e utile per il
conseguimento anche indiretto degli scopi sociali”. Appare evidente, quindi, che
l’attività della SETA non può essere considerata in alcun modo svolta a favore
preponderante di un particolare socio, soprattutto, come nel caso di specie,
quando la partecipazione sociale dello stesso è esigua e i suoi rappresentanti
sono in minoranza nel consiglio di amministrazione.
In più, la società ricorrente ha depositato in giudizio documentazione da cui si
evince che il fatturato relativo ai servizi resi al di fuori dell’ambito
territoriale facente capo al Consorzio, per servizi analoghi a quelli affidati,
nel 2004 arrivava a quasi 30 milioni di euro, a fronte di un fatturato annuo che
la società affidataria ricaverà per i servizi resi al consorzio affidante, pari
a euro 1.632.875.
Inoltre, si osserva anche che, per statuto, la società in questione può
partecipare a numerose gare d’appalto anche in comuni diversi dalla regione
Piemonte, con ciò confermando che essa si pone traguardi di sviluppo
imprenditoriale assai più ampi di quelli contenuti nell’ambito del bacino di
utenza del Consorzio affidante il servizio per cui è causa.
Alla luce di quanto illustrato, quindi, il ricorso deve essere accolto in
relazione alla domanda di annullamento delle deliberazioni del Consiglio di
Amministrazione di SETA n. 22 e n. 23 del 15 febbraio 2006 nonché dell’Assemblea
Consorziale n. 3 del 1 febbraio 2006.
In subordine, la società ricorrente ha chiesto anche l’annullamento del
protocollo d’intesa in data 16 giugno 2005.
In merito, però, il Collegio osserva che tale atto non può qualificarsi come
provvedimento amministrativo ma come accordo tra le parti liberamente assunto
che, in quanto tale, non influisce sul concreto affidamento contestato, frutto
invece dei provvedimenti sopra ricordati.
L’accoglimento del ricorso, quindi, deve limitarsi ai provvedimenti sopra
descritti, che sono quelli idonei cui ricondurre l’affidamento diretto
illegittimamente disposto.
La complessità delle questioni trattate comporta giusti motivi per compensare
integralmente tra le parti costituite le spese del giudizio.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale del Piemonte - 2^ Sezione - accoglie il
ricorso in epigrafe e, per l’effetto, annulla i provvedimenti impugnati come in
motivazione.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Torino, alla camera di consiglio del 13 luglio 2006, con
l’intervento dei signori magistrati:
Giuseppe Calvo Presidente
Ivo Correale Referendario, estensore
Antonio Plaisant Referendario
Il Presidente L’Estensore
Il Direttore Segreteria II Sezione
Depositata in Segreteria a sensi di
Legge il 13 NOVEMBRE 2006
Il Direttore Segreteria II Sezione
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