Per altre sentenze vedi: Sentenze per esteso
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T.A.R. PUGLIA, Bari, Sez. I,
19 luglio 2006, Sentenza n. 2894
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
IL
TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE
PER LA PUGLIA
SEDE DI BARI - SEZIONE PRIMA
N. 2894/06
Reg. Sent.
N.
Reg. Ric.
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso n. 776/2003, proposto da
Federazione Italiana della Caccia –FIDC in persona del Presidente provinciale
pro tempore Saverio Pace e da quest’ultimo anche in proprio, rappresentati e
difesi dall’avv. Giovanni Pellegrino (poi rinunciatario al mandato), e domicilio
eletto in Bari alla Via Nicolai n. 43 presso lo studio dell’avv. Maurizio di
Cagno;
contro
la Regione Puglia, non costituita in giudizio;
il Ministero dell’Ambiente e la Conferenza Unificata (ex art. 77 comma 2 D.Lgs.
112/98) sedente presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, in persona dei
rispettivi legali rappresentanti, rappresentati e difesi dall’Avvocatura
distrettuale dello Stato presso i cui Uffici in Bari (via Melo n. 97) per legge
domiciliano;
e nei confronti di
WWF ITALIA e la Confederazione Nazionale Coltivatori Diretti in persona dei
rispettivi legali rappresentanti, non costituiti in giudizio;
per l'annullamento
della deliberazione della Giunta Regionale Pugliese n. 290 del 25.3.2003
avente ad oggetto “L. 9.12.1998 n. 426, art. 2, commi 5,6 e 23 –Parco Nazionale
dell’Alta Murgia- Intesa della Regione Puglia su delimitazione, norme di
salvaguardia e schema di Decreto di Presidente della Repubblica”;
di ogni altro atto presupposto, connesso e/o consequenziale;
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero dell’Ambiente e della
Conferenza Permanente Stato –Regioni c/o la Presidenza del Consiglio dei
Ministri;
Visto l’atto di motivi aggiunti sempre ad istanza degli stessi ricorrenti
rappresentati e difesi dall’avv. Valeria Pellegrino, con domicilio eletto in
Bari sempre presso l’avv. Maurizio Di Cagno, atto notificato il 14 ott.2004 e
depositato il successivo 27 ott. ed inteso all’annullamento del dPR 10.3.2004
pubblicato sulla G.U. n. 152 del 1.7.04 ad oggetto “Istituzione Parco Nazionale
dell’Alta Murgia”, nonché di ogni altro atto presupposto, connesso e
consequenziale, tra cui il parere della Conferenza Unificata nella seduta del
26.11.03, l’istruttoria tecnica svolta dal Ministero dell’Ambiente e della
tutela del territorio – Direzione per la protezione della natura e Segreteria
tecnica per le aree naturali protette, di ogni altro atto presupposto già
impugnato col ricorso introduttivo, nonché nei limiti ivi specificati, delle
deliberazioni della GRP 16.7.2004 n. 975 pubblicata sul BURP 29.7.04 n. 96 ad
oggetto : Piano Faunistico Venatorio Regionale 1999/2004 e Regolamento Regionale
n. 2 del 5.8.1999. Proroga termini”; della deliberazione GRP 5.8.04 n. 1292 ad
oggetto: Programma venatorio regionale – annata 2004/2005” pubblicata sul BURP
12.8.04 n. 101;
Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
Visti tutti gli atti della causa;
Alla pubblica udienza del 24 maggio 2006, relatore il Cons. Vito Mangialardi,
uditi per le parti gli avv.ti presenti come da verbale d’udienza; Ritenuto in
fatto e considerato in diritto quanto segue:
FATTO
Con atto (n. 776/03) notificato e depositato rispettivamente il 22 maggio ed il
successivo 4 giugno 2003 la Federazione Italiana della Caccia, sezione
provinciale di Bari in persona del Presidente provinciale sig. Saverio Pace, e
quest’ultimo anche in proprio quale cacciatore, hanno provveduto ad impugnare la
deliberazione di Giunta Regionale Pugliese n. 290/03 con la quale è stata
espressa l’intesa sulla delimitazione e sulle norme di salvaguardia, finalizzata
all’istituzione del Parco Nazionale dell’Alta Murgia. Hanno dedotto:
1-Violazione art. 9 LRP n. 27 del 13.8.98 ed art. 10 Legge n. 157/11.2.1992.
Il 3^ comma dell’art. 9 della LR in rubrica, richiamando principio reso
nell’art. 10 della legge statale n. 157 /92 dispone che il territorio
agro-silvo-pastorale della Regione e delle Provincie è destinato per una quota
non inferiore al 20% e non superiore al 30% a protezione della fauna selvatica,
aggiungendo che in dette percentuali sono compresi i territori ove comunque è
vietata l’attività venatoria; la norma poi prevede (7^ comma) che sul rimanente
territorio la Regione promuove forme di gestione programmata della caccia.
Orbene, continuano i ricorrenti, il Piano Faunistico Venatorio Regionale per il
periodo 99/2003, approvato con delibera di Cons. Reg. n. 405/7.7.99, individua
in ettari 1.651.231 la superficie agro silvo pastorale della intera regione ed
in ettari 462.172 quella della provincia di Bari. Giusto art. 9 del piano
faunistico in questione consta poi che la superficie a.s.p. (agrosilvopastorale)
della provincia di Bari sottratta alla caccia sia già pari a quasi il 30%, con
la conseguenza che se si aggiungono ora i 150.000 ettari della provincia barese
che debbono far parte dell’ Parco e che comportano al loro interno divieto di
attività venatoria, ictu oculi si avrebbe una clamorosa violazione degli
standard che sopra si sono riportati.
2- Eccesso di potere. Al provvedimento impugnato è allegata tutta una serie di
atti comprendente nota del Comune di Toritto, nota del Comune di Spinazzola,
memoria di organizzazioni di produttori agricoli presentati per il tramite dello
studio legale Zaccaria di Altamura a sua volta contenente una serie di atti,
documentazione tutta in cui si viene a richiedere esclusione delle aree con
destinazione agricolo produttiva, artigianale ed industriale; su tutta questa
documentazione la Regione si è riservata una successiva valutazione. Orbene essa
riserva è in contrasto con l’espressione dell’intesa, che non lascia a valle
spazi per valutazioni ulteriori; si è avuta, cioè, una situazione di
incompletezza istruttoria e di valutazione non compiuta.
3- Violazione art. 2 co.1^ legge 394/91. Eccesso di potere.
La norma in rubrica definisce i parchi naturali; la maggior parte delle aree
incluse nella perimetrazione del Parco istituendo, siccome intensamente
coltivate ed antropizzate, e quindi non rappresentanti ecosistemi e/o emergenze
naturalisticamente apprezzabili, non rientra in tale tipologia normativa.
E’seguito quindi atto di motivi aggiunti, notificato e depositato
rispettivamente il 14 e 27 ottobre 2004, e proposto avverso il dPR 10.3.2004
pubblicato sulla G.U. n. 152 dell’1.7.2004 avente ad oggetto la Istituzione del
Parco Nazionale dell’Alta Murgia, nonchè avverso ogni altro atto presupposto e
connesso tra cui in particolare il parere della Conferenza Unificata nella
seduta del 26.11.03, l’Istruttoria tecnica svolta dal Ministero dell’Ambiente
nonché, ancora, avverso tutti gli atti già impugnati col ricorso introduttivo e
il Piano Faunistico Venatorio Regionale 1999/2004 di cui alla delibera di GRP n.
975 del 16.7.2004 ed il Programma venatorio regionale annata 2004/05 di cui alla
delibera di GRP n. 1292 del 5.8.04.
In detto atto si deducono gli stessi tre motivi rappresentati nell’atto
introduttivo ed, in aggiunta, i seguenti ulteriori tre motivi :
1- Violazione artt. 10 e 14 legge n. 157/92; artt. 1, 2, 9, 10, 14 l.r.p.
13.8.98 n.27. Detto vizio è prodotto avverso le delibere di GRP n. 975 del
16.7.04 e n. 1292 del 5.8.04 riguardanti la proroga del piano faunistico
venatorio regionale e del programma venatorio regionale. Esse proroghe che
stanno a valle dell’istituzione del Parco dell’Alta Murgia hanno infatti
trascurato di considerare i vincolo derivante da tale istituzione e cioè che nel
Parco c’è divieto di caccia; ciò determina l’effetto che la superficie
agro-silvo-pastorale sottratta all’esercizio venatorio viene abbondantemente a
superare il limite normativo del 30%. Gli atti programmatori regionali così come
prorogato sono autonomamente illegittimi perché hanno continuato a lasciare
interdetti all’esercizio venatorio spazi istituiti per fini diversi, e che
avrebbero dovuto ora trovare diversa allocazione all’interno del Parco onde
consentire che negli ambito precedentemente interdetti tornasse praticabile
l’esercizio venatorio.
2- Ecceso di potere perché con la proroga si lascia inalterata la determinazione
delle superfici utili alla caccia pur affermandosi in delibera che i territori
interdetti debbono rientrare nell’ambito del 30% del territorio massimo
sottratto all’attività venatoria. La Regione viene a comprimere sin quasi a d
estinguere il diritto dei cacciatori ad esercitare l’attività venatoria.
3- Violazione art. 97 Cost ed eccesso di potere atteso che la Regione omette di
portare a conoscenza dei cittadini, con mezzi idonei, i confini degli ambiti
entro cui la caccia è consentita; ed invero alle delibere di GRP gravate alcuna
cartografia con indicazione degli esatti confini degli Ambiti territoriali di
caccia (ATC) ovvero dei territori nei quali la caccia è interdetta.
Infine con atto notificato il 6 febbraio 2006 e depositato il 2° febbraio 2006,
denominato “memoria/motivi aggiunti” parte ricorrente provvede anche a chiedere
l’annullamento della nota del 10.10.03 del Presidente della Giunta Regionale in
uno con il resoconto sommario dell’incontro tecnico 13.1003 della Presidenza del
Consiglio dei Ministri, della relazione della seduta del 26.11.03 della
Conferenza Unificata, del documento prima fase istruttoria –Segreteria tecnica
per le aree naturali protette (documentazione tutta depositata dall’Avvocatura
di Stato in data 10.1.05 e di cui però- sottolinea la deducente- non era stata
data comunicazione alle parti costituite come previsto dal comma 5^ dell’art. 21
della L.1034/71 e s.m.i.). Si afferma da parte ricorrente che la nota del
10.0tt. 03 risulta adottata dal Presidente della G.R., organo diverso dalla G.R.
che aveva reso il precedente parere, e quindi esso Presidente della G.R. organo
non competente a rivisitare il parere consultivo già esercitato. Nella
documentazione esibita dall’Avvocatura, in alcun modo si attesta lo svolgimento
di sola asserita lunga serie di verifiche, valutazioni, confronti (riguardanti
le note di enti locali e di associazioni di produttori agricoli interessati) che
avrebbero dovuto condurre all’adozione del dPR istitutivo del parco.
Si è costituito in giudizio il Ministero dell’Ambiente nonché la Conferenza
permanente Stato –Regioni c/o la Presidenza del Consiglio dei Ministri,
opponendosi all’avverso gravame. In particolare l’ Avvocatura distrettuale nella
memoria difensiva del 28 gennaio 2006 in via preliminare ha eccepito la
inammissibilità del ricorso originario (atto introduttivo) proposto avverso
l’intesa della Regione Puglia, appunto perchè riguardante atto
endoprocedimentale, non passibile di impugnazione; ha eccepito quindi la
inammissibilità dei motivi aggiunti siccome non notificati all’Ente parco,
organismo avente personalità autonoma di diritto pubblico, contraddittore
necessario; nel merito, contestando le avverse deduzioni, ha concluso per il
rigetto dell’avversa impugnativa.
Parte ricorrente, in corso di causa, ha maggiormente puntualizzato le sue
prospettazioni difensive.
DIRITTO
A) Preliminarmente e giusta eccezione rappresentata dal foro erariale, va
dichiarata la inammissibilità dell’atto introduttivo, proposto, come ampiamente
detto nella parte in fatto, avverso la delibera di GRP recante intesa, ai sensi
dell’art. 2, comma 23, della legge 426/98, alla istituzione del Parco Nazionale
dell’Alta Murgia. E’ indubbio, infatti, che l’intesa in questione sia atto
endoprocedimentale ed è notorio che l’atto endoprocedimentale non sia
autonomamente impugnabile. Invero l’impugnativa autonoma di un atto intermedio o
endoprocedimentale è consentita nella sola ipotesi in cui esso appaia “ictu
oculi” idoneo a concludere le posizioni giuridiche degli interessati,
indipendentemente dall’emanazione dell’atto conclusivo, il che non è nel caso
all’esame. Parte ricorrente, che a ben vedere non contesta la natura della
“intesa” quale atto procedimentale, oppone ad una declaratoria di
improcedibilità/inammissibilità la considerazione che l’atto in questione “può
ritenersi atto conclusivo di una fase del complessivo procedimento”; essa
giustificazione non riesce però, a parere del Collegio, a validamente opporsi
alla conseguenza giuridica già evidenziata. Una fase del complessivo
procedimento che in ipotesi abiliterebbe ad una conclusione conforme alla
prospettazione di parte ricorrente potrebbe essere quella definitoria della
istruttoria; nemmeno sotto questo profilo, però, la spiegata tesi troverebbe
valenza ai fini in questione e per il semplice motivo che la “intesa” regionale
non è atto definitivo della istruttoria poiché, come è noto, il parere espresso
dalla G.R. sulla proposta di dPR istitutivo del Parco può essere rivisiatato
sino alla Conferenza Stato- Regioni, chiamata anch’essa a pronunciarsi –e siamo
ancora nella fase istruttoria- sulla individuazione ed istituzione del Parco
giusto art. 77 del d.lgs. 31.3.1998 n. 112 (conferimento di funzioni e compiti
amministrativi dello Stato alle regioni ed agli enti locali in attuazione del
Capo I della legge n. 59/1997).
B) Va disattesa, invece, la eccezione di inammissibilità dei motivi aggiunti
impugnatori del dPR 10.3.04 istitutivo del Parco, sollevata dalla resistente
amministrazione e sotto il profilo che esso mezzo di gravame non sarebbe stato
notificato all’Ente Parco. Infatti alla data di proposizione dei motivi
aggiunti(12.10.04) con cui –come detto è stato impugnato il decreto del
Presidente della Repubblica 10.3.04 istitutivo del Parco nazionale dell’Alta
Murgia, l’Ente Parco non era ancora operante perchè non ancora istituiti gli
organi che lo vengono a comporre. Mancava infatti la sede legale dove notificare
il mezzo di gravame, mancava il suo legale rappresentante siccome non ancora
nominato il Presidente. In conclusione al momento della proposizione dei motivi
aggiunti (notificati questi al Ministero dell’Ambiente, alla Conferenza
unificata ex art. 77 d. lgs. N. 112/98, alla Regione Puglia, al WWF Italia, alla
Confederazione nazionale Coltivatori diretti), l’Ente Parco non era ancora un
contro interessato effettivo con la conseguenza che la mancata notifica ad esso
Ente ancora privo di sede e Presidente non può comportare, a parere del
Collegio, la sanzione richiesta dalla Amministrazione resistente.
C) Va, sempre in rito, pure detto che la inammissibilità dell’atto introduttivo
non coinvolge anche i motivi aggiunti perchè questi costituiscono espressione di
un autonomo diritto di azione; hanno cioè indipendenza e pari dignità rispetto
al ricorso iniziale, il che comporta che non risentono della sua inammissibilità
(in termini CdS Sez. IV 22.10.04 n. 6959).
D) Si passa quindi all’esame di essi motivi aggiunti rivolti, come detto,
avverso il decreto istitutivo del Parco e provvedimenti regionali interessanti
il Piano Faunistico Venatorio regionale 1999/04 (che veniva ad essere prorogato)
ed il Programma Venatorio Regionale annata 04/05.
Prima di decidere, e con breve ricognizione del quadro normativo di riferimento
costituito dalla legge cornice nazionale 11 febbraio 1992 n. 157 e dalla legge
regionale pugliese 13.8.1998 n. 27 ritiene il Collegio di enucleare anche alla
luce di sentenze della Consulta (n. 448/1997 e n. 169/99) e della giurisprudenza
amministrativa (cfr. Tar Basilicata n. 199/2003) in riferimento a due valori
degni entrambi di considerazione, vale a dire la protezione della fauna e della
flora garantita con la creazione di parchi e riserve naturali ed il diritto alla
caccia garantito con la individuazione di un limite del 30% del territorio agro
silvo pastorale entro cui esercitare l’attività venatoria, due principi
fondamentali e cioè che a) la fauna selvatica è patrimonio indisponibile dello
Stato ed è tutelata nell’interesse della comunità nazionale ed internazionale e
che b) l’esercizio della attività venatoria è consentito purchè non contrasti
con l’esigenza di conservazione della fauna selvatica (e non arrechi danno
effettivo alla produzioni agricole).
D1) Ciò detto e passando all’esame delle censure, va subito precisato che i
primi tre motivi sono identici a quelli rappresentati nell’atto introduttivo
avverso la delibera regionale di intesa sullo schema di dPR istituitivo del
Parco, osservandosi da parte ricorrente come il dPR 10.3.04 sia stato adottato
sulla base dei medesimi atti istruttori sui quali la Regione aveva espresso
l’intesa con la delibera di G.R. n. 290/03.
Essi motivi vanno disattesi.
Nel primo motivo si contesta che il territorio destinato a protezione della
fauna selvatica abbia superato il limite massimo del 30% del territorio agro
silvo pastorale della Regione, in violazione dell’art. 10, co.3^, della legge
157/92. Il superamento, si deduce dai ricorrenti, si realizza nel momento in cui
la superficie del Parco viene sommata alle altre superfici già destinate dal
Piano Faunistico Venatorio Regionale a zone di protezione della fauna.
Il ricorrente quindi muove dall’assunto per cui l’attività venatoria, vietata
nel limite massimo del 30% del territorio, sarebbe consentita nel rimanente 70%.
La tesi non regge. Innanzi tutto va ricordato che la Corte Costituzionale (vedi
sent. n. 169/99 pronunciata in giudizi per conflitto di attribuzione sollevato
da taluni Regioni) ha avuto modo di affermare che la stessa legge n. 157/92 si
pone come fine primario e prevalente la protezione della fauna, obiettivo
prioritario cui va subordinata la regolamentazione dell’attività venatoria <in
sentenza si parla di affievolimento del tradizionale diritto alla caccia>. Va
poi aggiunto che mentre il terzo comma dell’art. 10 limita le aree che possono
essere inibite alla caccia al 30% del territorio agro silvo pastorale, al
successivo art. 21 , lettera b) del 1^ comma, nell’elencare i divieti posti ai
cacciatori esclude espressamente l’esercizio venatorio nei parchi e nelle
riserve, in tal modo facendo intendere che in nessun caso sia consentito
cacciare in dette zone. Va altresì osservato che la quota dal 20 al 30% prevista
nel terzo comma dell’art. 10 non è indicata come quota massima, come invece
espressamente previsto dal successivo quinto comma per la quota massima globale
del 15% di territorio da destinare a caccia riservata a gestione privata. Da ciò
la conclusione già tratta dalla giurisprudenza amministrativa che si è
interessata della questione (cfr. TAR Lazio , II Sez, n. 231/98; TAR Basilicata
n. 199/2003) per cui la ratio legis non si identifica nel voler costituire un
limite inderogabile al territorio da proteggere, ma piuttosto –qualora non vi
siano aree di particolare valore naturalistico- nel destinare comunque una
superficie compresa tra il 20 ed il 30 per cento alla tutela della fauna.
Il motivo è quindi infondato in punto di diritto.
Infondato è anche il 2^ motivo in cui si censura il decreto istitutivo del Parco
per eccesso di potere per irrazionalità, contraddittorietà e difetto
istruttorio.
Parte ricorrente infatti pare confondere la consultazione di cui all’art. 2
comma 5 della legge 426/98 ed il recepimento sotto forma di allegazione di vari
documenti pervenuti alla Regione. Nessuna contraddittorietà è da ravvisarsi nel
comportamento della Regione; il fatto che questa si sia riservata una
valutazione della documentazione prodotta dagli enti locali non comporta
l’eccesso di potere sotto i profili evidenziati in rubrica. Invero la Regione da
un lato perfeziona una fase istruttoria consultando gli enti locali e dall’altro
si impegna a verificarne la rilevanza delle proposte pervenutele. La successiva
verifica, contestata dalla parte, è invece possibile in quanto il parere della
Regione non è una decisione finale non più suscettibile di modifiche; si è già
detto che sempre in via istruttoria deve essere sentita la conferenza Stato –
Regioni, sede nella quale nulla vieta una compiuta definizione di ogni elemento
di interesse (leggi considerazione finale della documentazione proposta dagli
enti locali). Il motivo, tra l’altro, risulta partire da un errato presupposto e
cioè che il dPR 10.3.04 istitutivo del Parco sia stato adottato sulla base dei
medesimi atti istruttori sui quali la Regione aveva espresso l’intesa di cui
alla delibera n. 290/03, il che non è propriamente esatto perché la intesa,
anziché consumare il potere regionale, ha costituito la base per successivi
confronti e decisioni tra le amministrazioni interessata alla perimetrazione del
Parco. La Regione, per il tramite del suo Presidente, con nota del 10 ott. 2003
ha posto all’attenzione della Conferenza Unificata l’esigenza di adottare
modifiche rispettivamente all’art. 7 dello schema del decreto istitutivo
–riguardante il regime autorizzativo in zona 1 ed all’art. 8 riguardante il
regime autorizzativo alla zona 2 al fine di salvaguardare le attività
tradizionali in essere nonché, in caso di trasformazione d’uso del suolo,
coerenza con la vocazione tipica di quelle zone, modifiche sostanzialmente
accolte nell’incontro tecnico del 13 ott. 2003.
Nel terzo motivo i ricorrenti censurano che nei confini del parco rientrino aree
che siccome intensamente coltivate ed antropizzate andavano invece escluse
perché per loro natura non presentano ecosistemi e/o emergenze
naturalisticamente apprezzabili.
La censura è inammissibile poiché tende a sindacare la scelta dei territori da
includere che invece la norma (art. 8 legge 394/91) demanda alla valutazione
tecnico discrezionale della autorità statale, valutazione non sindacabile in
sede di giudizio di legittimità, se non per vizi logici che qui non ricorrono.
Una delle caratteristiche del Parco dell’Alta Murgia è, infatti, che le stesse
qualità ecologiche derivano da processi di interazione stabiliti nel tempo tra
l’uomo e l’ambiente, come è dato leggere nella relazione di accompagno
all’istruttoria tecnica svolta dal Ministero dell’Ambiente, il che porta ad
escludere che zone antropizzate possano risultare incompatibili con loro
ricomprensione nei confini del Parco di cui si discute.
D2) Come detto, nell’atto di motivi aggiunti, parte ricorrente prospetta, in
aggiunta ai primi tre motivi che dianzi si sono esaminati, altri tre motivi
avverso il provvedimento regionale di proroga del piano faunistico venatorio
regionale (deliberazione GRP n.975/04) ed il programma venatorio regionale
(deliberazione GRP 1292/04 che pure richiama la precedente delibera 975/04).
I primi due motivi, che possono trattarsi congiuntamente, ripetono la censura
già espressa di violazione dell’art. 10 della legge 157/92 perché si sarebbe
violato <e questa volta da parte dei provvedimenti di proroga che non si erano
dati carico della istituzione del Parco, territorio interdetto alla caccia>, il
limite del 30% del territorio agro silvo pastorale entro il quale vietare
l’esercizio dell’attività venatoria. A riguardo il Collegio non può che ripetere
le considerazioni già espresse in precedenza a confutazione di essa censura, e
cioè -qui sintetizzando- che esso limite non può considerarsi inderogabile.
Va aggiunto che la doglianza, oltre che essere infondata in punto di diritto, lo
è anche in punto di fatto. Parte ricorrente invero muove dall’erroneo
presupposto che la estensione del Parco ascenda a 150.000 ha; invece essa
estensione è di ha 68.033 (cfr. relazione di accompagno al dPR istitutivo
dell’Ente Parco Nazionale dell’Alta Murgia: Il territorio del Parco comprende
ambiti della Provincia di Bari ed interessa le Comunità Montane della Murgia
nord-occidentale e della Murgia sud-orientale, i Comuni di Altamura, Andria,
Bitonto, Cassano delle Murge, Corato, Gravina di Puglia, Grumo Appula, Minervino
Murge, Poggiorsini, Ruvo di Puglia, Santeramo in Colle, Spinazzola, Toritto, con
una estensione totale di 68.033 Ha). La conseguenza è che sono errati, rectius
risultano falsati perché contabilizzano una estensione inesatta, i calcoli
esposti da parte ricorrente intesi a dimostrare che la superficie complessiva
interdetta all’attività venatoria viene a superare il 30% del territorio agro
silvo pastorale.
Nel terzo dei motivi aggiunti si lamenta, poi, che la Regione abbia omesso di
portare a conoscenza dei cittadini con mezzi idonei (vedi cartografie) i confini
degli ambiti in cui la caccia è consentita; il lamentato vizio, a tacer d’altro,
non è di per sé idoneo a determinare la illegittimità dei gravati provvedimenti
regionali perché essi atti vertono in tema di “proroga” di disposizioni già
vigenti, con la conseguenza che problemi i conoscenza dei luoghi (in conseguenza
di carenza di cartografie) non si pongono con quella particolare valenza che ora
parte ricorrente ritiene di attribuire.
D3) Rimane da esaminare l’atto, denominato dalla parte “memoria/motivi aggiunti”
notificato il 6 febbraio 06 e depositato- con attestazione delle avvenute
notifiche alle parti in causa- il successivo 20 febbraio.
Esso atto, occasionato come affermato dalla stessa parte da deposito documentale
dell’Avvocatura di Stato del 10.1.05, va subito qualificato inammissibile per
tardività qualora lo si voglia intendere coma atto di motivi aggiunti; anche
tale mezzo di gravame deve, infatti, rispettare i termini decadenziali, qui
ampiamente decorsi da circa un anno.
Qualora lo si intenda come memoria, atteso che impinge nel parere consultivo
della Regione (intesa) lamentando che non siano state in concreto effettuate le
verifiche in ordine a documentazione ed istanza proposte da enti locali e da
associazioni di agricoltori e che comunque il Presidente della G.R. che ha
adottato la nota del 10.10.03 non sarebbe organo competente a rivisitare il
parere consultivo già esercitato e da altro Organo (cioè dalla G.R. cui risale
la delibera n. 290/03), all’evidenza muove sempre dal presupposto di una
definizione della fase istruttoria al momento della “intesa” rappresentata dalla
Regione sull’emanando dPR; essa questione è stata già esaminata e disattesa come
da narrativa resa in sede di esame del 2^ motivo aggiunto (il 2^ cioè dei primi
tre motivi aggiunti, che riprendono quelli espressi nell’atto introduttivo),
narrativa che qui deve intendersi riportata in ordine alla definizione
dell’attività istruttoria che è da ravvisarsi ha all’esito della conferenza
Stato –Regioni, e non già in sede di precedente parere della Regione circa
l’intesa sullo schema di decreto.
In conclusione il ricorso va respinto; quanto alle spese di giudizio si
ravvisano ragioni per disporne la compensazione tra le parti in causa.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia - sede di Bari Sez. I,
respinge il ricorso in epigrafe. Compensa le spese.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dalla Autorità amministrativa.
Così deciso in Bari, nella camera di consiglio del 24 maggio 2006, con
l'intervento dei Magistrati
Gennaro Ferrari - Presidente
Vito Mangialardi - Componente Est.
Raffaele Greco - Componente
1) Caccia – Aree protette – Rapporto tra protezione della fauna e diritto di caccia – Sentt. Corte Cost. nn. 448/1997 e 169/1999 – Prevalenza dell’esigenza di conservazione della fauna selvatica. Il rapporto tra i valori della protezione della fauna e della flora garantita con la creazione di parchi e riserva ed il diritto di caccia, garantito con la individuazione del limite del 30% del territorio agro silvo pastorale entro cui esercitare l’attività venatoria, alla luce delle sentenze della Consulta nn. 448/1997 e 169/1999, va inteso nel senso che a) la fauna selvatica è patrimonio indisponibile dello Stato ed è tutelata nell’interesse della comunità nazionale ed internazionale e che b) l’esercizio della attività venatoria è consentito purchè non contrasti con l’esigenza di conservazione della fauna selvatica (e non arrechi danno effettivo alla produzioni agricole). Pres. Ferrari, Est. Mangialardi – FIDC (avv. Pellegrino) c. Ministero dell’Ambiente e altro (Avv. Stato) e Regione Puglia (n.c.) - T.A.R. PUGLIA, Bari, Sez. I – 19 luglio 2006, n. 2894
2) Caccia – Aree protette – L. n. 157/92 – Territorio agro silvo pastorale - Limite del 30% delle aree inibite alla caccia – Inderogabilità – Esclusione – Ratio della norma. Mentre il terzo comma dell’art. 10 della legge n. 157/92 limita le aree che possono essere inibite alla caccia al 30% del territorio agro silvo pastorale, il successivo art. 21, c. 1, lett. b), nell’elencare i divieti posti ai cacciatori esclude espressamente l’esercizio venatorio nei parchi e nelle riserve, in tal modo facendo intendere che in nessun caso sia consentito cacciare in dette zone. La quota dal 20 al 30% prevista nel terzo comma dell’art. 10 non è inoltre indicata come quota massima, come invece espressamente previsto dal successivo quinto comma per la quota massima globale del 15% di territorio da destinare a caccia riservata a gestione privata. Da ciò la conclusione (cfr. TAR Lazio , II Sez, n. 231/98; TAR Basilicata n. 199/2003) per cui la ratio legis non si identifica nel voler costituire un limite inderogabile al territorio da proteggere, ma piuttosto – qualora non vi siano aree di particolare valore naturalistico - nel destinare comunque una superficie compresa tra il 20 ed il 30 per cento alla tutela della fauna. Pres. Ferrari, Est. Mangialardi – FIDC (avv. Pellegrino) c. Ministero dell’Ambiente e altro (Avv. Stato) e Regione Puglia (n.c.) - T.A.R. PUGLIA, Bari, Sez. I – 19 luglio 2006, n. 2894
3) Aree protette – Parchi nazionali – L. 394/91- Scelta dei territori da includere nei parchi – Valutazione tecnico-discrezionale dell’autorità statale – Sindacato di legittimità – Limiti. La scelta dei territori da includere nei parchi nazionali è demandata (art. 8 L. 394/91) alla valutazione tecnico-discrezionale dell’autorità statale: come tale non è sindacabile in sede di legittimità se non per vizi logici. Pres. Ferrari, Est. Mangialardi – FIDC (avv. Pellegrino) c. Ministero dell’Ambiente e altro (Avv. Stato) e Regione Puglia (n.c.) - T.A.R. PUGLIA, Bari, Sez. I – 19 luglio 2006, n. 2894
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