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Massime della sentenza

 

T.A.R. PUGLIA, Bari, Sez. I, 19 luglio 2006, Sentenza n. 2894
 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO


IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER LA PUGLIA

 

SEDE DI BARI - SEZIONE PRIMA
 


N. 2894/06

Reg. Sent.
N.

 Reg. Ric.


ha pronunciato la seguente


SENTENZA


sul ricorso n. 776/2003, proposto da
Federazione Italiana della Caccia –FIDC in persona del Presidente provinciale pro tempore Saverio Pace e da quest’ultimo anche in proprio, rappresentati e difesi dall’avv. Giovanni Pellegrino (poi rinunciatario al mandato), e domicilio eletto in Bari alla Via Nicolai n. 43 presso lo studio dell’avv. Maurizio di Cagno;


contro


la Regione Puglia, non costituita in giudizio;
il Ministero dell’Ambiente e la Conferenza Unificata (ex art. 77 comma 2 D.Lgs. 112/98) sedente presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, in persona dei rispettivi legali rappresentanti, rappresentati e difesi dall’Avvocatura distrettuale dello Stato presso i cui Uffici in Bari (via Melo n. 97) per legge domiciliano;


e nei confronti di
WWF ITALIA e la Confederazione Nazionale Coltivatori Diretti in persona dei rispettivi legali rappresentanti, non costituiti in giudizio;


per l'annullamento
della deliberazione della Giunta Regionale Pugliese n. 290 del 25.3.2003 avente ad oggetto “L. 9.12.1998 n. 426, art. 2, commi 5,6 e 23 –Parco Nazionale dell’Alta Murgia- Intesa della Regione Puglia su delimitazione, norme di salvaguardia e schema di Decreto di Presidente della Repubblica”;
di ogni altro atto presupposto, connesso e/o consequenziale;


Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero dell’Ambiente e della Conferenza Permanente Stato –Regioni c/o la Presidenza del Consiglio dei Ministri;
Visto l’atto di motivi aggiunti sempre ad istanza degli stessi ricorrenti rappresentati e difesi dall’avv. Valeria Pellegrino, con domicilio eletto in Bari sempre presso l’avv. Maurizio Di Cagno, atto notificato il 14 ott.2004 e depositato il successivo 27 ott. ed inteso all’annullamento del dPR 10.3.2004 pubblicato sulla G.U. n. 152 del 1.7.04 ad oggetto “Istituzione Parco Nazionale dell’Alta Murgia”, nonché di ogni altro atto presupposto, connesso e consequenziale, tra cui il parere della Conferenza Unificata nella seduta del 26.11.03, l’istruttoria tecnica svolta dal Ministero dell’Ambiente e della tutela del territorio – Direzione per la protezione della natura e Segreteria tecnica per le aree naturali protette, di ogni altro atto presupposto già impugnato col ricorso introduttivo, nonché nei limiti ivi specificati, delle deliberazioni della GRP 16.7.2004 n. 975 pubblicata sul BURP 29.7.04 n. 96 ad oggetto : Piano Faunistico Venatorio Regionale 1999/2004 e Regolamento Regionale n. 2 del 5.8.1999. Proroga termini”; della deliberazione GRP 5.8.04 n. 1292 ad oggetto: Programma venatorio regionale – annata 2004/2005” pubblicata sul BURP 12.8.04 n. 101;
Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
Visti tutti gli atti della causa;


Alla pubblica udienza del 24 maggio 2006, relatore il Cons. Vito Mangialardi, uditi per le parti gli avv.ti presenti come da verbale d’udienza; Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:


FATTO


Con atto (n. 776/03) notificato e depositato rispettivamente il 22 maggio ed il successivo 4 giugno 2003 la Federazione Italiana della Caccia, sezione provinciale di Bari in persona del Presidente provinciale sig. Saverio Pace, e quest’ultimo anche in proprio quale cacciatore, hanno provveduto ad impugnare la deliberazione di Giunta Regionale Pugliese n. 290/03 con la quale è stata espressa l’intesa sulla delimitazione e sulle norme di salvaguardia, finalizzata all’istituzione del Parco Nazionale dell’Alta Murgia. Hanno dedotto:


1-Violazione art. 9 LRP n. 27 del 13.8.98 ed art. 10 Legge n. 157/11.2.1992.
Il 3^ comma dell’art. 9 della LR in rubrica, richiamando principio reso nell’art. 10 della legge statale n. 157 /92 dispone che il territorio agro-silvo-pastorale della Regione e delle Provincie è destinato per una quota non inferiore al 20% e non superiore al 30% a protezione della fauna selvatica, aggiungendo che in dette percentuali sono compresi i territori ove comunque è vietata l’attività venatoria; la norma poi prevede (7^ comma) che sul rimanente territorio la Regione promuove forme di gestione programmata della caccia.
Orbene, continuano i ricorrenti, il Piano Faunistico Venatorio Regionale per il periodo 99/2003, approvato con delibera di Cons. Reg. n. 405/7.7.99, individua in ettari 1.651.231 la superficie agro silvo pastorale della intera regione ed in ettari 462.172 quella della provincia di Bari. Giusto art. 9 del piano faunistico in questione consta poi che la superficie a.s.p. (agrosilvopastorale) della provincia di Bari sottratta alla caccia sia già pari a quasi il 30%, con la conseguenza che se si aggiungono ora i 150.000 ettari della provincia barese che debbono far parte dell’ Parco e che comportano al loro interno divieto di attività venatoria, ictu oculi si avrebbe una clamorosa violazione degli standard che sopra si sono riportati.


2- Eccesso di potere. Al provvedimento impugnato è allegata tutta una serie di atti comprendente nota del Comune di Toritto, nota del Comune di Spinazzola, memoria di organizzazioni di produttori agricoli presentati per il tramite dello studio legale Zaccaria di Altamura a sua volta contenente una serie di atti, documentazione tutta in cui si viene a richiedere esclusione delle aree con destinazione agricolo produttiva, artigianale ed industriale; su tutta questa documentazione la Regione si è riservata una successiva valutazione. Orbene essa riserva è in contrasto con l’espressione dell’intesa, che non lascia a valle spazi per valutazioni ulteriori; si è avuta, cioè, una situazione di incompletezza istruttoria e di valutazione non compiuta.


3- Violazione art. 2 co.1^ legge 394/91. Eccesso di potere.
La norma in rubrica definisce i parchi naturali; la maggior parte delle aree incluse nella perimetrazione del Parco istituendo, siccome intensamente coltivate ed antropizzate, e quindi non rappresentanti ecosistemi e/o emergenze naturalisticamente apprezzabili, non rientra in tale tipologia normativa.
E’seguito quindi atto di motivi aggiunti, notificato e depositato rispettivamente il 14 e 27 ottobre 2004, e proposto avverso il dPR 10.3.2004 pubblicato sulla G.U. n. 152 dell’1.7.2004 avente ad oggetto la Istituzione del Parco Nazionale dell’Alta Murgia, nonchè avverso ogni altro atto presupposto e connesso tra cui in particolare il parere della Conferenza Unificata nella seduta del 26.11.03, l’Istruttoria tecnica svolta dal Ministero dell’Ambiente nonché, ancora, avverso tutti gli atti già impugnati col ricorso introduttivo e il Piano Faunistico Venatorio Regionale 1999/2004 di cui alla delibera di GRP n. 975 del 16.7.2004 ed il Programma venatorio regionale annata 2004/05 di cui alla delibera di GRP n. 1292 del 5.8.04.


In detto atto si deducono gli stessi tre motivi rappresentati nell’atto introduttivo ed, in aggiunta, i seguenti ulteriori tre motivi :


1- Violazione artt. 10 e 14 legge n. 157/92; artt. 1, 2, 9, 10, 14 l.r.p. 13.8.98 n.27. Detto vizio è prodotto avverso le delibere di GRP n. 975 del 16.7.04 e n. 1292 del 5.8.04 riguardanti la proroga del piano faunistico venatorio regionale e del programma venatorio regionale. Esse proroghe che stanno a valle dell’istituzione del Parco dell’Alta Murgia hanno infatti trascurato di considerare i vincolo derivante da tale istituzione e cioè che nel Parco c’è divieto di caccia; ciò determina l’effetto che la superficie agro-silvo-pastorale sottratta all’esercizio venatorio viene abbondantemente a superare il limite normativo del 30%. Gli atti programmatori regionali così come prorogato sono autonomamente illegittimi perché hanno continuato a lasciare interdetti all’esercizio venatorio spazi istituiti per fini diversi, e che avrebbero dovuto ora trovare diversa allocazione all’interno del Parco onde consentire che negli ambito precedentemente interdetti tornasse praticabile l’esercizio venatorio.


2- Ecceso di potere perché con la proroga si lascia inalterata la determinazione delle superfici utili alla caccia pur affermandosi in delibera che i territori interdetti debbono rientrare nell’ambito del 30% del territorio massimo sottratto all’attività venatoria. La Regione viene a comprimere sin quasi a d estinguere il diritto dei cacciatori ad esercitare l’attività venatoria.


3- Violazione art. 97 Cost ed eccesso di potere atteso che la Regione omette di portare a conoscenza dei cittadini, con mezzi idonei, i confini degli ambiti entro cui la caccia è consentita; ed invero alle delibere di GRP gravate alcuna cartografia con indicazione degli esatti confini degli Ambiti territoriali di caccia (ATC) ovvero dei territori nei quali la caccia è interdetta.


Infine con atto notificato il 6 febbraio 2006 e depositato il 2° febbraio 2006, denominato “memoria/motivi aggiunti” parte ricorrente provvede anche a chiedere l’annullamento della nota del 10.10.03 del Presidente della Giunta Regionale in uno con il resoconto sommario dell’incontro tecnico 13.1003 della Presidenza del Consiglio dei Ministri, della relazione della seduta del 26.11.03 della Conferenza Unificata, del documento prima fase istruttoria –Segreteria tecnica per le aree naturali protette (documentazione tutta depositata dall’Avvocatura di Stato in data 10.1.05 e di cui però- sottolinea la deducente- non era stata data comunicazione alle parti costituite come previsto dal comma 5^ dell’art. 21 della L.1034/71 e s.m.i.). Si afferma da parte ricorrente che la nota del 10.0tt. 03 risulta adottata dal Presidente della G.R., organo diverso dalla G.R. che aveva reso il precedente parere, e quindi esso Presidente della G.R. organo non competente a rivisitare il parere consultivo già esercitato. Nella documentazione esibita dall’Avvocatura, in alcun modo si attesta lo svolgimento di sola asserita lunga serie di verifiche, valutazioni, confronti (riguardanti le note di enti locali e di associazioni di produttori agricoli interessati) che avrebbero dovuto condurre all’adozione del dPR istitutivo del parco.


Si è costituito in giudizio il Ministero dell’Ambiente nonché la Conferenza permanente Stato –Regioni c/o la Presidenza del Consiglio dei Ministri, opponendosi all’avverso gravame. In particolare l’ Avvocatura distrettuale nella memoria difensiva del 28 gennaio 2006 in via preliminare ha eccepito la inammissibilità del ricorso originario (atto introduttivo) proposto avverso l’intesa della Regione Puglia, appunto perchè riguardante atto endoprocedimentale, non passibile di impugnazione; ha eccepito quindi la inammissibilità dei motivi aggiunti siccome non notificati all’Ente parco, organismo avente personalità autonoma di diritto pubblico, contraddittore necessario; nel merito, contestando le avverse deduzioni, ha concluso per il rigetto dell’avversa impugnativa.
Parte ricorrente, in corso di causa, ha maggiormente puntualizzato le sue prospettazioni difensive.


DIRITTO


A) Preliminarmente e giusta eccezione rappresentata dal foro erariale, va dichiarata la inammissibilità dell’atto introduttivo, proposto, come ampiamente detto nella parte in fatto, avverso la delibera di GRP recante intesa, ai sensi dell’art. 2, comma 23, della legge 426/98, alla istituzione del Parco Nazionale dell’Alta Murgia. E’ indubbio, infatti, che l’intesa in questione sia atto endoprocedimentale ed è notorio che l’atto endoprocedimentale non sia autonomamente impugnabile. Invero l’impugnativa autonoma di un atto intermedio o endoprocedimentale è consentita nella sola ipotesi in cui esso appaia “ictu oculi” idoneo a concludere le posizioni giuridiche degli interessati, indipendentemente dall’emanazione dell’atto conclusivo, il che non è nel caso all’esame. Parte ricorrente, che a ben vedere non contesta la natura della “intesa” quale atto procedimentale, oppone ad una declaratoria di improcedibilità/inammissibilità la considerazione che l’atto in questione “può ritenersi atto conclusivo di una fase del complessivo procedimento”; essa giustificazione non riesce però, a parere del Collegio, a validamente opporsi alla conseguenza giuridica già evidenziata. Una fase del complessivo procedimento che in ipotesi abiliterebbe ad una conclusione conforme alla prospettazione di parte ricorrente potrebbe essere quella definitoria della istruttoria; nemmeno sotto questo profilo, però, la spiegata tesi troverebbe valenza ai fini in questione e per il semplice motivo che la “intesa” regionale non è atto definitivo della istruttoria poiché, come è noto, il parere espresso dalla G.R. sulla proposta di dPR istitutivo del Parco può essere rivisiatato sino alla Conferenza Stato- Regioni, chiamata anch’essa a pronunciarsi –e siamo ancora nella fase istruttoria- sulla individuazione ed istituzione del Parco giusto art. 77 del d.lgs. 31.3.1998 n. 112 (conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle regioni ed agli enti locali in attuazione del Capo I della legge n. 59/1997).


B) Va disattesa, invece, la eccezione di inammissibilità dei motivi aggiunti impugnatori del dPR 10.3.04 istitutivo del Parco, sollevata dalla resistente amministrazione e sotto il profilo che esso mezzo di gravame non sarebbe stato notificato all’Ente Parco. Infatti alla data di proposizione dei motivi aggiunti(12.10.04) con cui –come detto è stato impugnato il decreto del Presidente della Repubblica 10.3.04 istitutivo del Parco nazionale dell’Alta Murgia, l’Ente Parco non era ancora operante perchè non ancora istituiti gli organi che lo vengono a comporre. Mancava infatti la sede legale dove notificare il mezzo di gravame, mancava il suo legale rappresentante siccome non ancora nominato il Presidente. In conclusione al momento della proposizione dei motivi aggiunti (notificati questi al Ministero dell’Ambiente, alla Conferenza unificata ex art. 77 d. lgs. N. 112/98, alla Regione Puglia, al WWF Italia, alla Confederazione nazionale Coltivatori diretti), l’Ente Parco non era ancora un contro interessato effettivo con la conseguenza che la mancata notifica ad esso Ente ancora privo di sede e Presidente non può comportare, a parere del Collegio, la sanzione richiesta dalla Amministrazione resistente.


C) Va, sempre in rito, pure detto che la inammissibilità dell’atto introduttivo non coinvolge anche i motivi aggiunti perchè questi costituiscono espressione di un autonomo diritto di azione; hanno cioè indipendenza e pari dignità rispetto al ricorso iniziale, il che comporta che non risentono della sua inammissibilità (in termini CdS Sez. IV 22.10.04 n. 6959).


D) Si passa quindi all’esame di essi motivi aggiunti rivolti, come detto, avverso il decreto istitutivo del Parco e provvedimenti regionali interessanti il Piano Faunistico Venatorio regionale 1999/04 (che veniva ad essere prorogato) ed il Programma Venatorio Regionale annata 04/05.
Prima di decidere, e con breve ricognizione del quadro normativo di riferimento costituito dalla legge cornice nazionale 11 febbraio 1992 n. 157 e dalla legge regionale pugliese 13.8.1998 n. 27 ritiene il Collegio di enucleare anche alla luce di sentenze della Consulta (n. 448/1997 e n. 169/99) e della giurisprudenza amministrativa (cfr. Tar Basilicata n. 199/2003) in riferimento a due valori degni entrambi di considerazione, vale a dire la protezione della fauna e della flora garantita con la creazione di parchi e riserve naturali ed il diritto alla caccia garantito con la individuazione di un limite del 30% del territorio agro silvo pastorale entro cui esercitare l’attività venatoria, due principi fondamentali e cioè che a) la fauna selvatica è patrimonio indisponibile dello Stato ed è tutelata nell’interesse della comunità nazionale ed internazionale e che b) l’esercizio della attività venatoria è consentito purchè non contrasti con l’esigenza di conservazione della fauna selvatica (e non arrechi danno effettivo alla produzioni agricole).


D1) Ciò detto e passando all’esame delle censure, va subito precisato che i primi tre motivi sono identici a quelli rappresentati nell’atto introduttivo avverso la delibera regionale di intesa sullo schema di dPR istituitivo del Parco, osservandosi da parte ricorrente come il dPR 10.3.04 sia stato adottato sulla base dei medesimi atti istruttori sui quali la Regione aveva espresso l’intesa con la delibera di G.R. n. 290/03.


Essi motivi vanno disattesi.
Nel primo motivo si contesta che il territorio destinato a protezione della fauna selvatica abbia superato il limite massimo del 30% del territorio agro silvo pastorale della Regione, in violazione dell’art. 10, co.3^, della legge 157/92. Il superamento, si deduce dai ricorrenti, si realizza nel momento in cui la superficie del Parco viene sommata alle altre superfici già destinate dal Piano Faunistico Venatorio Regionale a zone di protezione della fauna.
Il ricorrente quindi muove dall’assunto per cui l’attività venatoria, vietata nel limite massimo del 30% del territorio, sarebbe consentita nel rimanente 70%. La tesi non regge. Innanzi tutto va ricordato che la Corte Costituzionale (vedi sent. n. 169/99 pronunciata in giudizi per conflitto di attribuzione sollevato da taluni Regioni) ha avuto modo di affermare che la stessa legge n. 157/92 si pone come fine primario e prevalente la protezione della fauna, obiettivo prioritario cui va subordinata la regolamentazione dell’attività venatoria <in sentenza si parla di affievolimento del tradizionale diritto alla caccia>. Va poi aggiunto che mentre il terzo comma dell’art. 10 limita le aree che possono essere inibite alla caccia al 30% del territorio agro silvo pastorale, al successivo art. 21 , lettera b) del 1^ comma, nell’elencare i divieti posti ai cacciatori esclude espressamente l’esercizio venatorio nei parchi e nelle riserve, in tal modo facendo intendere che in nessun caso sia consentito cacciare in dette zone. Va altresì osservato che la quota dal 20 al 30% prevista nel terzo comma dell’art. 10 non è indicata come quota massima, come invece espressamente previsto dal successivo quinto comma per la quota massima globale del 15% di territorio da destinare a caccia riservata a gestione privata. Da ciò la conclusione già tratta dalla giurisprudenza amministrativa che si è interessata della questione (cfr. TAR Lazio , II Sez, n. 231/98; TAR Basilicata n. 199/2003) per cui la ratio legis non si identifica nel voler costituire un limite inderogabile al territorio da proteggere, ma piuttosto –qualora non vi siano aree di particolare valore naturalistico- nel destinare comunque una superficie compresa tra il 20 ed il 30 per cento alla tutela della fauna.
Il motivo è quindi infondato in punto di diritto.
Infondato è anche il 2^ motivo in cui si censura il decreto istitutivo del Parco per eccesso di potere per irrazionalità, contraddittorietà e difetto istruttorio.
Parte ricorrente infatti pare confondere la consultazione di cui all’art. 2 comma 5 della legge 426/98 ed il recepimento sotto forma di allegazione di vari documenti pervenuti alla Regione. Nessuna contraddittorietà è da ravvisarsi nel comportamento della Regione; il fatto che questa si sia riservata una valutazione della documentazione prodotta dagli enti locali non comporta l’eccesso di potere sotto i profili evidenziati in rubrica. Invero la Regione da un lato perfeziona una fase istruttoria consultando gli enti locali e dall’altro si impegna a verificarne la rilevanza delle proposte pervenutele. La successiva verifica, contestata dalla parte, è invece possibile in quanto il parere della Regione non è una decisione finale non più suscettibile di modifiche; si è già detto che sempre in via istruttoria deve essere sentita la conferenza Stato – Regioni, sede nella quale nulla vieta una compiuta definizione di ogni elemento di interesse (leggi considerazione finale della documentazione proposta dagli enti locali). Il motivo, tra l’altro, risulta partire da un errato presupposto e cioè che il dPR 10.3.04 istitutivo del Parco sia stato adottato sulla base dei medesimi atti istruttori sui quali la Regione aveva espresso l’intesa di cui alla delibera n. 290/03, il che non è propriamente esatto perché la intesa, anziché consumare il potere regionale, ha costituito la base per successivi confronti e decisioni tra le amministrazioni interessata alla perimetrazione del Parco. La Regione, per il tramite del suo Presidente, con nota del 10 ott. 2003 ha posto all’attenzione della Conferenza Unificata l’esigenza di adottare modifiche rispettivamente all’art. 7 dello schema del decreto istitutivo –riguardante il regime autorizzativo in zona 1 ed all’art. 8 riguardante il regime autorizzativo alla zona 2 al fine di salvaguardare le attività tradizionali in essere nonché, in caso di trasformazione d’uso del suolo, coerenza con la vocazione tipica di quelle zone, modifiche sostanzialmente accolte nell’incontro tecnico del 13 ott. 2003.
Nel terzo motivo i ricorrenti censurano che nei confini del parco rientrino aree che siccome intensamente coltivate ed antropizzate andavano invece escluse perché per loro natura non presentano ecosistemi e/o emergenze naturalisticamente apprezzabili.
La censura è inammissibile poiché tende a sindacare la scelta dei territori da includere che invece la norma (art. 8 legge 394/91) demanda alla valutazione tecnico discrezionale della autorità statale, valutazione non sindacabile in sede di giudizio di legittimità, se non per vizi logici che qui non ricorrono. Una delle caratteristiche del Parco dell’Alta Murgia è, infatti, che le stesse qualità ecologiche derivano da processi di interazione stabiliti nel tempo tra l’uomo e l’ambiente, come è dato leggere nella relazione di accompagno all’istruttoria tecnica svolta dal Ministero dell’Ambiente, il che porta ad escludere che zone antropizzate possano risultare incompatibili con loro ricomprensione nei confini del Parco di cui si discute.


D2) Come detto, nell’atto di motivi aggiunti, parte ricorrente prospetta, in aggiunta ai primi tre motivi che dianzi si sono esaminati, altri tre motivi avverso il provvedimento regionale di proroga del piano faunistico venatorio regionale (deliberazione GRP n.975/04) ed il programma venatorio regionale (deliberazione GRP 1292/04 che pure richiama la precedente delibera 975/04).
I primi due motivi, che possono trattarsi congiuntamente, ripetono la censura già espressa di violazione dell’art. 10 della legge 157/92 perché si sarebbe violato <e questa volta da parte dei provvedimenti di proroga che non si erano dati carico della istituzione del Parco, territorio interdetto alla caccia>, il limite del 30% del territorio agro silvo pastorale entro il quale vietare l’esercizio dell’attività venatoria. A riguardo il Collegio non può che ripetere le considerazioni già espresse in precedenza a confutazione di essa censura, e cioè -qui sintetizzando- che esso limite non può considerarsi inderogabile.
Va aggiunto che la doglianza, oltre che essere infondata in punto di diritto, lo è anche in punto di fatto. Parte ricorrente invero muove dall’erroneo presupposto che la estensione del Parco ascenda a 150.000 ha; invece essa estensione è di ha 68.033 (cfr. relazione di accompagno al dPR istitutivo dell’Ente Parco Nazionale dell’Alta Murgia: Il territorio del Parco comprende ambiti della Provincia di Bari ed interessa le Comunità Montane della Murgia nord-occidentale e della Murgia sud-orientale, i Comuni di Altamura, Andria, Bitonto, Cassano delle Murge, Corato, Gravina di Puglia, Grumo Appula, Minervino Murge, Poggiorsini, Ruvo di Puglia, Santeramo in Colle, Spinazzola, Toritto, con una estensione totale di 68.033 Ha). La conseguenza è che sono errati, rectius risultano falsati perché contabilizzano una estensione inesatta, i calcoli esposti da parte ricorrente intesi a dimostrare che la superficie complessiva interdetta all’attività venatoria viene a superare il 30% del territorio agro silvo pastorale.
Nel terzo dei motivi aggiunti si lamenta, poi, che la Regione abbia omesso di portare a conoscenza dei cittadini con mezzi idonei (vedi cartografie) i confini degli ambiti in cui la caccia è consentita; il lamentato vizio, a tacer d’altro, non è di per sé idoneo a determinare la illegittimità dei gravati provvedimenti regionali perché essi atti vertono in tema di “proroga” di disposizioni già vigenti, con la conseguenza che problemi i conoscenza dei luoghi (in conseguenza di carenza di cartografie) non si pongono con quella particolare valenza che ora parte ricorrente ritiene di attribuire.


D3) Rimane da esaminare l’atto, denominato dalla parte “memoria/motivi aggiunti” notificato il 6 febbraio 06 e depositato- con attestazione delle avvenute notifiche alle parti in causa- il successivo 20 febbraio.
Esso atto, occasionato come affermato dalla stessa parte da deposito documentale dell’Avvocatura di Stato del 10.1.05, va subito qualificato inammissibile per tardività qualora lo si voglia intendere coma atto di motivi aggiunti; anche tale mezzo di gravame deve, infatti, rispettare i termini decadenziali, qui ampiamente decorsi da circa un anno.
Qualora lo si intenda come memoria, atteso che impinge nel parere consultivo della Regione (intesa) lamentando che non siano state in concreto effettuate le verifiche in ordine a documentazione ed istanza proposte da enti locali e da associazioni di agricoltori e che comunque il Presidente della G.R. che ha adottato la nota del 10.10.03 non sarebbe organo competente a rivisitare il parere consultivo già esercitato e da altro Organo (cioè dalla G.R. cui risale la delibera n. 290/03), all’evidenza muove sempre dal presupposto di una definizione della fase istruttoria al momento della “intesa” rappresentata dalla Regione sull’emanando dPR; essa questione è stata già esaminata e disattesa come da narrativa resa in sede di esame del 2^ motivo aggiunto (il 2^ cioè dei primi tre motivi aggiunti, che riprendono quelli espressi nell’atto introduttivo), narrativa che qui deve intendersi riportata in ordine alla definizione dell’attività istruttoria che è da ravvisarsi ha all’esito della conferenza Stato –Regioni, e non già in sede di precedente parere della Regione circa l’intesa sullo schema di decreto.


In conclusione il ricorso va respinto; quanto alle spese di giudizio si ravvisano ragioni per disporne la compensazione tra le parti in causa.


P.Q.M.


Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia - sede di Bari Sez. I, respinge il ricorso in epigrafe. Compensa le spese.


Ordina che la presente sentenza sia eseguita dalla Autorità amministrativa.


Così deciso in Bari, nella camera di consiglio del 24 maggio 2006, con l'intervento dei Magistrati


Gennaro Ferrari - Presidente
Vito Mangialardi - Componente Est.
Raffaele Greco - Componente

 

M A S S I M E

Sentenza per esteso


1)  
Caccia – Aree protette – Rapporto tra protezione della fauna e diritto di caccia – Sentt. Corte Cost. nn. 448/1997 e 169/1999 – Prevalenza dell’esigenza di conservazione della fauna selvatica. Il rapporto tra i valori della protezione della fauna e della flora garantita con la creazione di parchi e riserva ed il diritto di caccia, garantito con la individuazione del limite del 30% del territorio agro silvo pastorale entro cui esercitare l’attività venatoria, alla luce delle sentenze della Consulta nn. 448/1997 e 169/1999, va inteso nel senso che a) la fauna selvatica è patrimonio indisponibile dello Stato ed è tutelata nell’interesse della comunità nazionale ed internazionale e che b) l’esercizio della attività venatoria è consentito purchè non contrasti con l’esigenza di conservazione della fauna selvatica (e non arrechi danno effettivo alla produzioni agricole). Pres. Ferrari, Est. Mangialardi – FIDC (avv. Pellegrino) c. Ministero dell’Ambiente e altro (Avv. Stato) e Regione Puglia (n.c.) - T.A.R. PUGLIA, Bari, Sez. I – 19 luglio 2006, n. 2894

2) Caccia – Aree protette – L. n. 157/92 – Territorio agro silvo pastorale - Limite del 30% delle aree inibite alla caccia – Inderogabilità – Esclusione – Ratio della norma.
Mentre il terzo comma dell’art. 10 della legge n. 157/92 limita le aree che possono essere inibite alla caccia al 30% del territorio agro silvo pastorale, il successivo art. 21, c. 1, lett. b), nell’elencare i divieti posti ai cacciatori esclude espressamente l’esercizio venatorio nei parchi e nelle riserve, in tal modo facendo intendere che in nessun caso sia consentito cacciare in dette zone. La quota dal 20 al 30% prevista nel terzo comma dell’art. 10 non è inoltre indicata come quota massima, come invece espressamente previsto dal successivo quinto comma per la quota massima globale del 15% di territorio da destinare a caccia riservata a gestione privata. Da ciò la conclusione (cfr. TAR Lazio , II Sez, n. 231/98; TAR Basilicata n. 199/2003) per cui la ratio legis non si identifica nel voler costituire un limite inderogabile al territorio da proteggere, ma piuttosto – qualora non vi siano aree di particolare valore naturalistico - nel destinare comunque una superficie compresa tra il 20 ed il 30 per cento alla tutela della fauna. Pres. Ferrari, Est. Mangialardi – FIDC (avv. Pellegrino) c. Ministero dell’Ambiente e altro (Avv. Stato) e Regione Puglia (n.c.) - T.A.R. PUGLIA, Bari, Sez. I – 19 luglio 2006, n. 2894

3) Aree protette – Parchi nazionali – L. 394/91- Scelta dei territori da includere nei parchi – Valutazione tecnico-discrezionale dell’autorità statale – Sindacato di legittimità – Limiti.
La scelta dei territori da includere nei parchi nazionali è demandata (art. 8 L. 394/91) alla valutazione tecnico-discrezionale dell’autorità statale: come tale non è sindacabile in sede di legittimità se non per vizi logici. Pres. Ferrari, Est. Mangialardi – FIDC (avv. Pellegrino) c. Ministero dell’Ambiente e altro (Avv. Stato) e Regione Puglia (n.c.) - T.A.R. PUGLIA, Bari, Sez. I – 19 luglio 2006, n. 2894

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