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 Massime della sentenza

(Segnalata da Roberto Monaco)

 

T.A.R. PUGLIA, Lecce, Sentenza, sez. I, 07/04/2006, n. 1869
 

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO



Registro Decis.: 1869/2006
Registro Generale: 343/2005


Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia, Lecce, Prima Sezione


nelle persone dei signori Magistrati:

ALDO RAVALLI Presidente
ETTORE MANCA Referendario
CLAUDIO CONTESSA Referendario, relatore

ha pronunciato la seguente

SENTENZA


Visto il ricorso 343/2005 proposto da:
CANNETO BEACH s.a.s.
(in persona del legale rappesentante p.t.)
rappresentata e difesa da:
AVV. PIERO G. RELLEVA
AVV. MARIA LUCIA VENNERI

con domicilio eletto in LECCE
VIA ZANARDELLI, 7
presso
AVV. ANGELO VANTAGGIATO

 

contro


REGIONE PUGLIA
(in persona del Presidente, legale rappresentante p.t.)
rappresentata e difesa da:
AVV. NICOLA STEFANIZZO
con domicilio in LECCE
VIA FERRARI, 3
presso
AVV. NICOLA STEFANIZZO

per l’annullamento, previa sospensiva, del parere prot. n. 2303 Tec. 1.3 del 15 dicembre 2004, con il quale la Regione Puglia, dando seguito alla richiesta avanzata in data 28 giugno 2004 dalla ricorrente, ha emesso parere contrario circa la compatibilità delle opere eseguite all’interno dello stabilimento balneare denominato ‘Canneto beach’ con il vincolo idrogeologico e paesaggistico insistente sulla zona;

Visti gli atti e i documenti depositati con il ricorso;
Visto l’atto di costituzione in giudizio della Regione Puglia;
Vista l’ordinanza n. 237/2005 resa all’esito della Camera di consiglio del giorno 9 marzo 2005, con cui questo Tribunale ha accolto la domanda cautelare di sospensione dell’efficacia dell’atto impugnato, nei limiti dell’ordine di rimozione;
Vista l’ordinanza n. 3279/2005 resa all’esito della Camera di consiglio del 12 luglio 2005, con cui la sesta Sezione del Consiglio di Stato ha accolto l’appello avverso l’ordinanza cautelare di questo Tribunale e, in parziale riforma della stessa, ha sospeso l’efficacia dell’atto impugnato solo fino alla fine della stagione balneare 2005;
Data per letta all’udienza pubblica del giorno 8 febbraio 2006 la relazione del Referendario Claudio Contessa e uditi, altresì, gli avvocati Relleva (per la ricorrente), e Stefanizzo (per la Regione Puglia);

Considerando in fatto ed in diritto quanto segue
 

FATTO


La società ricorrente è proprietaria di uno stabilimento balneare, denominato ‘Canneto Beach’, sito in agro del Comune di Leporano, in località ‘Saturo’.


La ricorrente riferisce di aver presentato in data 28 giugno 2004 alla Regione Puglia - Ispettorato Ripartimentale Foreste di Taranto, richiesta di parere sul vincolo idrogeologico e forestale insistente sull’area nella quale sorge lo stabilimento balneare.


La richiesta in questione (che faceva seguito ad altre due analoghe richieste presentate nel corso del 2002 dapprima dal sig. Antimo Lentini, legale rappresentante della ditta ‘Canneto Beach s.r.l.’ e successivamente dal sig. Danilo Corrente, legale rappresentante della ditta ‘Canneto Beach s.a.s.’) si iscriveva nell’ambito dell’iter procedimentale instaurato dalla ricorrente medesima ai sensi dell’art. 13 della legge 28 febbraio 1985, n. 47 (in seguito: art. 36 del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380) volta ad ottenere l’autorizzazione in sanatoria per alcune strutture realizzate nell’ambito dello stabilimento senza previo rilascio del relativo titolo edilizio.


In particolare, l’istanza in sanatoria di cui sopra riguardava la realizzazione di arredi mobili di vario genere (in specie: gazebo) e di tre cabine doccia insistenti nella zona circostante la piscina dello stabilimento.


Riferisce, altresì, la ricorrente che sulle istanze di cui sopra, la Commissione edilizia del Comune di Leporano (Ente sub-delegato al rilascio dell’autorizzazione paesaggistica ai sensi della L.R. 24 marzo 1995, n. 8 – recante ‘Norme per il rilascio delle autorizzazioni in zone soggette a vincolo paesaggistico’ -) aveva espresso il proprio parere favorevole con pronuncia in data 15 ottobre 2002.


In tale occasione, la Commissione edilizia comunale aveva motivato il proprio parere favorevole sul rilievo secondo cui “[trattasi] di strutture in legno e con scarso impatto ambientale”.


Risulta, inoltre, agli atti che con atto in data 1 febbraio 2005 la Soprintendenza per i Beni Architettonici, il Paesaggio ed il Patrimonio Storico-Artistico di Lecce comunicava, ai sensi dell’art. 159 del d.lgs. 42 del 2004, di non aver rilevato vizi tali da essere indotta ad annullare il nulla osta paesaggistico rilasciato dal Comune.


Per quanto concerne, invece, il parere sul vincolo idrogeologico, risulta che la ricorrente ne avesse richiesto il rilascio alla Regione Puglia con la richiamata richiesta in data 28 giugno 2004.


A fronte di tale istanza, la Regione Puglia - Ispettorato Ripartimentale Foreste di Taranto emanava l’impugnato atto in data 15 dicembre 2004 con il quale si osservava che “questo Ispettorato, effettuati i sopralluoghi e le verifiche necessarie, ritiene che le opere in questione non risultino conformi alla normativa vigente che prevede nelle aree litoranee esclusivamente la sistemazione di strutture con caratteristiche di precarietà e realizzate con elementi mobili e trasportabili. Tanto induce lo Scrivente a considerare non applicabile l’art. 36 del T.U. 380/01 (ex art. 13, L. 47/85) per le opere in questione che per di più sono state realizzate su aree sottoposte a vincoli di tutela”.


Per tali motivi (e con riferimento al vincolo idrogeologico), l’organo regionale si pronunciava nel senso della necessaria rimozione dei manufatti di cui sopra, con ripristino dello stato dei luoghi, dal momento che la realizzazione dei medesimi “direttamente sulla sabbia, ha comportato una sostanziale trasformazione dei luoghi, aggravata da precedenti trasformazioni oggetto di condono e dalla progressiva eliminazione di vegetazione arborea e arbustiva della macchia mediterranea, con pregiudizio per l’assetto morfologico e idrogeologico delle aree direttamente interessate e di quelle circostanti”.


L’atto regionale, infine, faceva salve, sempre in riferimento al vincolo idrogeologico, le opere realizzate nella zona superiore pianeggiante dello stabilimento e riguardanti la discoteca, l’ampliamento del bar, l’ampliamento del ristorante, il gazebo nella zona del beach volley e quello antistante il ristorante, “in quanto insistenti direttamente sulle superfici trasformate e condonate”.


L’atto regionale in parola veniva impugnato dalla ditta ricorrente che ne contestava la legittimità sotto quattro distinti profili.


Con ordinanza n. 237/2005 (resa all’esito della Camera di consiglio del giorno 9 marzo 2005) questo Tribunale accoglieva la domanda cautelare di sospensione dell’efficacia dell’atto impugnato, presentata in via incidentae dalla ricorrente, nei limiti dell’ordine di rimozione;


L’ordinanza in questione veniva impugnata in appello dalla Regione Puglia.


Con ordinanza n. 3279/2005 (resa all’esito della Camera di consiglio del 12 luglio 2005), quindi, la sesta Sezione del Consiglio di Stato accoglieva l’appello avverso l’ordinanza di cui sopra e, in parziale riforma della stessa, sospendeva l’efficacia dell’atto impugnato fino alla fine della stagione balneare 2005.


Con memoria in data 2 agosto 2005 si costituiva in giudizio la Regione Puglia la quale concludeva, in via gradata, per la declaratoria di inammissibilità ovvero di improponibilità del ricorso e – nel merito – per il suo rigetto.

All’udienza pubblica del giorno 8 febbraio 2006 le parti rassegnavano le proprie conclusioni ed il ricorso veniva trattenuto in decisione.


MOTIVI


Con il primo motivo di ricorso la ricorrente lamenta l’illegittimità del provvedimento impugnato sotto il profilo dell’incompetenza della Regione ala relativa adozione.


In particolare, l’incompetenza in parola deriverebbe dalle previsioni di cui alla L.R. 30 novembre 2000, n. 18 (recante ‘Conferimento di funzioni e compiti amministrativi in materia di boschi e foreste, protezione civile e lotta agli incendi boschivi’) la quale, provvedendo nelle materie già trasferite e/o delegate alla regione ad opera di precedenti norme statali (in particolare: R.D.L. 10 dicembre 1923, n. 3267; d.P.R. 15 gennaio 1972, n. 11, nonché d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616) al conferimento di compiti e funzioni amministrative in favore di Enti sub-regionali, ha disposto il conferimento alle Comunità montane ed alle province delle funzioni e compiti amministrativi inerenti la tutela idrogeologica del suolo, di cui al R.D.L. 3267/1923 e al R.D. 1126/1926, ricomprendendo espressamente fra le funzioni e compiti oggetto di conferimento, quelli relativi ai ‘nulla osta’ previsti dalla l. 47 del 1985 (ora: d.P.R. 380 del 2001), ai fini della sanatoria delle opere abusivamente realizzate (art. 6).


Il motivo non può essere condiviso.


Ed infatti il Collegio osserva che l’oggetto sostanziale della richiamata norma regionale di conferimento non è rappresentato già dall’intero novero delle competenze in materia di vincoli idrogeologici, bensì dal solo settore delle competenze (anche in campo idrogeologico) insistenti nella più limitata materia dei boschi e delle foreste, materia – quest’ultima - estranea alle vicende di causa.


Pertanto, non vi è motivo nel caso di specie per negare la sussistenza della generale competenza regionale in materia di vincoli idrogeologici, alla luce delle richiamate norme statali le quali, nel corso degli anni, hanno trasferito e/o delegato alle Regioni i compiti medesimi, in precedenza spettanti alle amministrazioni dello Stato.


Con il secondo motivo di ricorso la ricorrente lamenta che l’Ispettorato Ripartimentale Foreste della Regione Puglia risulterebbe sotto altro profilo assolutamente incompetente all’emanazione del provvedimento impugnato per la parte in cui lo stesso non viene limitato alla mera espressione del parere idrogeologico (prodromico all’adozione, da parte del Comune, del provvedimento finale in ordine alla domanda di permesso in sanatoria), bensì viene esteso nella sua portata sino a dettare prscrizioni immediatamente vincolanti per il soggetto interessato (l’obbligo di rimozione delle opere).


Ad avviso della ricorrente, infatti, nell’affermare l’obbligo di rimozione dei manufatti e di riduzione in pristino dello stato dei luoghi (non limitandosi alla mera espressione di un parere al riguardo), l’organo regionale avrebbe illegittimamente travalicato i limiti delle proprie competenze, “non tenendo in considerazione alcuna la circostanza che nel caso di specie competente all’emanazione del provvedimento finale contenente l’eventuale obbligo di rimozione delle opere è il Comune di Leporano” (pag. 8 del ricorso introduttivo).


Secondo la ricorrente, infatti, “il parere di competenza dell’ispettorato Ripartimentale Forestale di Taranto ha, nel caso di specie, natura meramente endoprocedimentale, mentre il Comune dovrà eventualmente, negare la concessione in sanatoria e ordinare il ripristino dello status quo ante.


Consistendo in un atto di natura endoprocedimentale, il parere de quo è idoneo a produrre effetti rilevanti esclusivamente nell’ambito del procedimento stesso (…)” (ivi).


Il motivo non può essere condiviso.


Ed infatti, in primo luogo deve osservarsi che l’adozione da parte del competente organo regionale della pronuncia in ordine alla compatibilità delle opere di cui sopra con il sottostante vincolo idrogeologico non assume – come invece affermato dalla ricorrente – mero rilievo endoprocedimentale, dovendosi al contrario riconoscere alla pronuncia in questione valenza di atto presupposto nei confronti del rilascio del permesso in sanatoria ex art. 36, d.P.R. 380 del 2001.


E’ utile osservare al riguardo che la previsione secondo cui l’Ufficio comunale preposto al rilascio del permesso in sanatoria curi altresì gli incombenti necessari ai fini dell’acquisizione (inter alia) delle determinazioni dell’Autorità competente in tema di assetti e vincoli idrogeologici non è di per sé idonea a dequotare l’intervento di tale Autorità ad un mero ruolo consultivo ed endoprocedimentale, dovendosi al contrario ritenere che in capo all’Autorità medesima permangano intatti tutti i poteri (in primis: autorizzativi) in ordine alla tutela imposta con il vincolo idrogeologico.


Né può ritenersi che, dal momento che la complessiva fattispecie nel cui ambito è stata adottato il provvedimento impugnato concerne l’accertamento di conformità urbanistica ed edilizia delle opere, da ciò consegua una sorta di assorbimento dei profili di tutela idrogeologica, attratti nell’ambito delle determinazioni in materia urbanistica.


Al contrario, giova al riguardo richiamare l’insegnamento giurisprudenziale secondo cui è piuttosto l’imposizione del vincolo idrogeologico a sortire un effetto conformativo anche sull'attività urbanistico edilizia, ragione per cui è irrilevante la coerenza di un intervento edilizio con le prescrizioni del piano regolatore generale, se lo stesso non è al contempo conforme alle esigenze di tutela ambientale, stante l'insopprimibile differenza di contenuto e finalità tra quest'ultima e la pianificazione territoriale (Consiglio Stato, sez. V, 28 gennaio 1997, n. 89).


Tanto premesso con riferimento all’ampiezza dei poteri decisionali spettanti all’amministrazione deputata a pronunciarsi in ordine al vincolo idrogeologico anche nell’ambito dello speciale, complessivo procedimento disciplinato (da ultimo) dall’art. 36 del d.P.R. 380 del 2001, osserva il Collegio che non sussiste nel caso di specie il lamentato vizio di incompetenza assoluta a fronte dell’atto impugnato.


In particolare, non può condividersi l’avviso secondo cui l’organo regionale non sarebbe stato competente ad indicare gli obblighi conformativi (rimozione delle opere e ripristino dello stato dei luoghi) conseguenti alla ravvisata incompatibilità fra i manufatti realizzati dalla ricorrente ed il preesistente vincolo idrogeologico.


In particolare, pur concordando con la tesi di parte attrice secondo cui spetta in generale al Comune procedente l’adozione di provvedimenti (quali l’ordine della riduzione in pristino) conseguenti all’accertata non compatibilità urbanistica delle opere oggetto di istanza di permesso in sanatoria, non può invece ritenersi che tale competenza possa spingersi sino ad escludere la concomitante competenza dell’Autorità preposta alla tutela idrogeologica nell’adozione di atti e provvedimenti (quali quelli di riduzione in pristino) volti alla piena salvaguardia del bene tutelato.


Con il terzo motivo, la ricorrente censura nel merito il contenuto dell’impugnato atto regionale, ravvisandovi gli estremi dell’eccesso di potere per travisamento dei relativi presupposti di fatto.


In particolare, la ricorrente (pur concordando con l’amministrazione resistente circa il fatto che la vigente normativa di settore consenta per le aree litoranee la sola sistemazione di strutture con caratteristiche di precarietà e realizzate con elementi mobili e trasportabili), contesta la correttezza della valutazione al riguardo compiuta dalla Regione Puglia, secondo cui i manufatti insistenti sull’area sarebbero, appunto, privi dei caratteri della precarietà e dell’amovibilità.


In particolare, la ricorrente afferma che nell’adottare le proprie determinazioni, la Regione Puglia avrebbe omesso di tenere in adeguata considerazione la circostanza per cui le strutture di cui si tratta “sono tutte caratterizzate dai caratteri della precarietà ed amovibilità, atteso che risultano tutte costituite da quattro supporti verticali, smontabili, retti da una base di mattoni, anch’essa asportabile, e da una copertura anch’essa di facile [amovibilità ? – n.d.E. - ] mobile e precaria” (pag. 9 del ricorso introduttivo).


La circostanza in questione (suffragata da apposita perizia di parte) verrebbe confermata dal fatto che i manufatti in questione sono realizzati senza fondazioni o scavi nel suolo.


Da tanto conseguirebbe l’assoluta inidoneità dei manufatti in parola a recare pregiudizio alcuno per la tutela idrogeologica del suolo.


Il motivo non può essere condiviso.


Ed infatti, premesso che la valutazione nella specie compiuta dall’amministrazione preposta alla tutela dell’interesse idrogeologico si caratterizza per un indubbio carattere discrezionale (si tratta, nella specie, di discrezionalità c.d. ‘mista’, in quanto incide sia sulla verifica dei presupposti per l’applicazione delle norme di tutela - attraverso il ricorso a conoscenze tecniche specialistiche -, sia sull’assunzione delle determinazioni atte a meglio tutelare il valore normativamente protetto), ne consegue che in tanto l’Autorità giudiziaria potrà ritenere sussistente il lamentato vizio di eccesso di potere, in quanto risulti con evidenza il carattere arbitrario ovvero irragionevole delle scelte all’uopo compiute dall’amministrazione, di guisa tale da risultare illegittime anche alla luce di un sindacato condotto soltanto ab aexterno.


Ebbene, all’esito del vaglio in tal modo condotto, il Collegio non ritiene nella specie sussistenti gli indici del lamentato vizio di eccesso di potere.


Ed infatti, è innegabile che la vigente normativa in tema di tutela dei vincoli idrogeologici consenta alla p.a. di adottare non già mere prescrizioni operative, bensì misure restrittive e anche impeditive di ogni tipo d'intervento il quale, per le caratteristiche sue proprie e per la natura dei mezzi impiegati, risulti idoneo ad incidere sul territorio in modo pregiudizievole, alterandone gli equilibri idrogeologici (Consiglio Stato, sez. V, 5 maggio 1999, n. 516).


E’ altresì innegabile che, attesa la particolare delicatezza dell’interesse coinvolto, le categorie e le definizioni coinvolte nella fattispecie di causa (fra cui quelle di ‘precarietà’ e di ‘facile amovibilità’) non vadano lette in modo formalistico, bensì in senso sostanziale, ovvero, secondo accezioni – per così dire – orientate al fine della massima tutela del prevalente interesse alla tutela dell’equilibrio idrogeologico.


Alla luce di quanto detto, non appaiono in alcun modo irragionevoli le determinazioni nella specie assunte dall’amministrazione intimata la quale, esaminato il complesso dei dati nella specie rilevanti (ed in particolare, le caratteristiche costruttive dei manufatti di cui è causa), ha concluso nel senso che le opere in questione non possedessero i prescritti requisiti di precarietà e facile amovibilità, ritenendo, inoltre, che dall’esame complessivo dello stato dei luoghi emergesse la “progressiva eliminazione di vegetazione arborea e arbustiva della macchia mediterranea, con pregiudizio per l’assetto morfologico e idrogeologico delle aree direttamente interessate e di quelle circostanti”.


Si tratta, come è evidente, di osservazione determinante ai fini dell’adozione dell’atto impugnato e che appare sufficientemente provata in base alla documentazione in possesso del Collegio.


Ed infatti, in base alla documentazione fotografica in atti, se appare verosimile che i basamenti a sostegno dei manufatti in questione risultino effettivamente privi di fondazioni o scavi nel suolo, nondimeno è evidente che gli stessi, per le loro caratteristiche costruttive, non risultino certamente di facile amovibilità (si vedano, al riguardo, gli allegati fotografici forniti dalla medesima ricorrente, ed in particolare:


- le due foto di pag. 3, ove è rappresentata una piattaforma pavimentata di dimensioni piuttosto cospicue, realizzata con materiali lapidei ed evidentemente di peso ed ingombro tutt’altro che irrilevante;


- le due foto di pag. 6, ove è rappresentato un manufatto insistente su di una piattaforma in mattoni realizzata su almeno quattro file, che crea un’evidente soluzione di continuità rispetto al canneto circostante).


In base a quanto esposto, non appare irragionevole la valutazione nella specie compiuta dall’amministrazione intimata, la quale, all’esito dell’ispezione effettuata in loco e valutati gli effetti che i manufatti più volte menzionati possono sortire sull’assetto morfologico e idrogeologico delle aree interessate, ha concluso per la non assentibilità del richiesto intervento, sia pure in sanatoria.


Con il quarto motivo, la società ricorrente lamenta che l’atto impugnato sia affetto da manifesta illogicità e contraddittorietà per la parte in cui ha fatto salve, quanto al vincolo idrogeologico, “le opere realizzate nella zona superiore pianeggiante dello stabilimento e riguardanti la discoteca, l’ampliamento del bar, l’ampliamento del ristorante, il gazebo nella zona del beach volley e quello antistante il ristorante, in quanto insistenti direttamente sulle superfici trasformate e condonate”.


L’illogicità consisterebbe in ciò, che dall’impugnata determinazione non sarebbe dato di comprendere le ragioni per cui i manufatti da ultimo realizzati sarebbero compatibili con l’esistente vincolo idrogeologico, mentre i manufatti di cui si è trattato nell’ambito dei primi tre motivi di ricorso risulterebbero non conformi alla vigente normativa e pertanto da rimuovere.


In particolare, non emergerebbe con chiarezza quale sia stato il criterio adottato dall’Amministrazione nell’effettuare una simile differenziazione tra le opere oggetto di domanda di concessione in sanatoria, atteso che dall’esame dell’atto impugnato non si evincerebbe alcun elemento atto a giustificare la menzionata diversità di trattamento.


Anche tale motivo non può essere condiviso.


Ed infatti (come correttamente rilevato dalla difesa dell’amministrazione intimata) anche in questo caso la scelta operata dall’amministrazione risulta adottata all’esito di una valutazione discrezionale basata su di un iter logico che il Collegio ritiene non irragionevole e comunque non affetto da profili di implausibilità tale da giustificare la sussistenza del profilo di eccesso di potere e comportare il conseguente annullamento.


In particolare, risulta dalla parte motiva dell’atto impugnato che l’amministrazione abbia individuato il discrimen fra i manufatti assentibili e quelli non assentibili in base al dato obiettivo dell’avvenuta (o non avvenuta) sanatoria dei manufatti medesimi ai sensi dell’art. 32 della richiamata legge n. 47 del 1985.


E’ evidente che l’amministrazione abbia basato la propria determinazione sull’assunto per cui, una volta avvenuta la trasformazione delle aree in questione a seguito della realizzazione dei pregressi manufatti (già interessati da una decisione di condono), ed in disparte restando ogni valutazione circa la loro compatibilità urbanistica, l’amministrazione preposta alla cura dell’interesse idrogeologico potesse comunque valutare in modo meno rigoroso gli interventi in questione (per altro, ormai facenti parte, di fatto, delle strutture fisse dello stabilimento), sia pure nel rispetto di quel minimum di tutela che necessariamente deve presiedere all’adozione di ogni determinazione in materia di tutela idrogeologica.


Al contrario, l’amministrazione stessa ha evidentemente ritenuto di informare l’esercizio dei propri poteri discrezionali ad un maggior grado di rigore nel caso delle opere più recenti (e comunque non insistenti nelle aree già trasformate e condonate), anche al fine di non avallare il perpetuarsi di comportamenti illeciti incidenti in modo rilevante sullo stato dei luoghi e sul relativo equilibrio morfologico ed idrogeologico.


E’ altresì evidente che la parte privata non possa vantare alcuna posizione soggettiva atta a legittimare la richiesta di emanazione di un atto con cui l’amministrazione orienti anche de futuro la propria discrezionalità amministrativa in senso meno rigoroso nell’ottica della tutela del bene protetto.


Così come è evidente che la medesima parte privata non possa basare sull’asserita diversificazione del trattamento nella specie osservato dall’amministrazione un motivo di censura atto ad inficiare la legittimità delle scelte nella specie operate, laddove risulti che i diversi esiti dell’esercizio del potere discrezionale da parte della Regione non siano dettati dal mero arbitrio, bensì risultino basati per un verso su dati storici obiettivi e verificabili e per altro verso su di un modus operandi fondato sul principio di massima precauzione nei confronti del valore tutelato.


Sussistono giusti motivi per disporre la compensazione delle spese di giudizio fra le parti, anche in considerazione della complessità delle questioni trattate.


P.Q.M.


Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia – Prima Sezione di Lecce, definitivamente pronunciando sul ricorso N.R.G. 343/2005,
LO RESPINGE.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.


Così deciso in Lecce, nella Camera di Consiglio del giorno 8 febbraio 2006.

Aldo Ravalli - Presidente
Claudio Contessa - Estensore
Pubblicata mediante deposito
in Segreteria il 07 aprile 2006
 



 

M A S S I M E

Sentenza per esteso


1) Urbanistica – Vincolo idrogeologico – Istanza di sanatoria – Competenza - Comune – Non esclude la concomitante competenza dell’autorità preposta alla tutela del vincolo. Pur se in linea generale spetta al comune l’adozione dell’ordinanza di riduzione in pristino conseguenti all’accertata non compatibilità urbanistica delle opere oggetto di istanza di permesso in sanatoria, tale competenza non può spingersi sino ad escludere la concomitante competenza dell’autorità preposta alla tutela idrogeologica nell’adozione di atti e provvedimenti (quali quelli di riduzione in pristino) volti alla salvaguardia del bene tutelato. Pres. Ravalli, Est. Contessa – C. s.a.s. (avv.ti Relleva e Venneri) c. Regione Puglia (avv. Stefanizzo) - T.A.R. PUGLIA, Lecce, Sez. I – 7 aprile 2006, n. 1869 (Massima a cura di Roberto Monaco)  

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