Per altre sentenze vedi: Sentenze per esteso
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T.A.R. SICILIA,
Catania, Sez. I, 7 marzo 2006, Ordinanza n. 90
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
IL
TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE DELLA SICILIA
SEZIONE STACCATA DI CATANIA, SEZIONE PRIMA
N. 0090/06 Reg. O.C.I
N. 1311/05 Reg. Gen.
nelle persone dei magistrati:
dott. Rosalia Messina – Presidente f.f., rel. est.
dott. Maria Stella Boscarino – Componente
dott. Salvatore Gatto Costantino – Componente
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
ai sensi dell’art. 23, comma 2,
legge n. 87/1953
sul ricorso per regolamento di competenza e successiva istanza di trasmissione
degli atti di causa al Tar Lazio, ai sensi dell’art. 3, comma 2 bis, comma 2 ter
e comma 2 quater della legge n. 21/2006, nel giudizio instaurato con ricorso n.
1311/05 R.G.;
ricorrente: COMUNE DI PATERNO’ (difensore l’avv. Giuseppe Mingiardi,
domiciliatario);
resistenti: COMMISSARIO DELEGATO PER EMERGENZA RIFIUTI E TUTELA ACQUE, MINISTERO
DELL’AMBIENTE E DELLA TUTELA DEL TERRITORIO, MINISTERO AMBIENTE – COMMISS.
VALUTAZIONE IMPATTO AMBIENTALE (difensore e domiciliataria per legge
l’Avvocatura dello Stato);
SICIL POWER SPA, controinteressata, con sede in Adrano, in persona del legale
rappresentante in carica (difensori gli avv. Carmelo Briguglio, Nicolò
D’Alessandro, Andrea Abbamonte, domiciliatario l’avv. D’Alessandro);
COMUNE DI CATANIA, in persona del legale rappresentante in carica (difensore
l’avv. Paolo Patanè, dell’Avvocatura dell’ente);
PROVINCIA REGIONALE DI CATANIA, in persona del legale rappresentante in carica
(difensore l’avv. Francesco Mineo dell’Avvocatura dell’ente);
SOCIETA’ L’ALTECOEN S.R.L., in persona del legale rappresentante in carica
(difensore l’avv. Fulvia Fazzi, domiciliataria);
interveniente: ASSOCIAZIONE LEGAMBIENTE – COMITATO REG. SICILIA, in persona del
legale rappresentante in carica (difensori gli avvocati Salvatore Asero Milazzo,
Nicola Giudice, Giuseppe Cicero)
parti intimate, non costituite in giudizio:
- COMUNE DI MESSINA
- COMUNE DI CALATABIANO
- COMUNE DI ROMETTA
- COMUNE DI CARONIA
- PROVINCIA REGIONALE DI MESSINA
- ATO CATANIA 1
- ATO CATANIA 2
- ATO CATANIA 3
- ATO MESSINA 1
- ATO MESSINA 2
- ATO MESSINA 3
- ATO MESSINA 4
- SOCIETA’ D.G.I. DANECO GESTIONE IMPIANTI S.P.A.
- SOCIETA’ WASTE ITALIA S.P.A.
- SOCIETA’ SIEMENS S.P.A.
- SOCIETA’ TECHNIP ITALY S.P.A.
- SOCIETA’ DB GROUP S.P.A.
Oggetto: annullamento dell’ordinanza del Commissario delegato per l’emergenzarifiuti
1.3.2005 n. 183, notificata 9.3.2005 con nota 2.3.2005 prot. n. 5320, del parere
10.6.2004 n. 591, della nota 23.12.2004 del Ministero Ambiente-Commissione VIA
prot. n. CVIA/2004/3259;
Visti il ricorso, i controricorsi, il ricorso per regolamento di competenza, le
memorie e istanze tutte delle parti, con i relativi allegati;
Visti gli atti tutti della causa;
Relatore la dott. Rosalia Messina;
Uditi, alla camera di consiglio del 23/2/2006, i difensori delle parti, come da
verbale;
Ritenuto e considerato, in fatto ed in diritto, quanto segue:
FATTO E DIRITTO
I. Premesse di fatto
Con il ricorso in epigrafe il Comune di Paternò ha impugnato gli atti precisati
in epigrafe, deducendo le censure di violazione e falsa applicazione degli artt.
27 e 28 d.l.vo n. 22/1997, con riferimento all’art. 3 bis d.l. n. 361/1987 conv.
nella legge n. 441/1987; eccesso di potere per mancata valutazione di rilevanti
elementi di giudizio e degli interessi coinvolti – violazione e falsa
applicazione dell’art. 3 legge n. 241/1990 (primo motivo di gravame), violazione
e falsa applicazione degli artt. 27 e 28 d.l.vo n. 22/1997, con riferimento
all’art. 3 bis d.l. n. 361/1987 conv. nella legge n. 441/1987 – violazione e
falsa applicazione dell’art. 142 d. l.vo n. 42/2004 e della legge n. 431/1985 –
eccesso di potere per mancata valutazione di rilevanti elementi di giudizio e
degli interessi coinvolti – violazione e falsa applicazione dell’art. 3 legge n.
241/1990 (secondo motivo di gravame) – violazione e falsa applicazione degli
artt. 27 e 28 d. l.vo n. 22/1997, con riferimento all’art. 3 bis d.l. n.
361/1987 conv. nella legge n. 441/1987 – violazione e falsa applicazione degli
artt. 4 e 5 DPR n. 357/1997 – eccesso di potere per mancata valutazione di
rilevanti elementi di giudizio e degli interessi coinvolti – violazione e falsa
applicazione dell’art. 3 legge n. 241/1990 (terzo motivo di gravame), violazione
e falsa applicazione degli art. 3 legge n. 241/1990 (quarto motivo di gravame).
Questa sezione, con ordinanza n. 287/2005 ha ordinato al Comune ricorrente di
integrare il contraddittorio nei confronti di soggetti trovatisi in posizione di
controinteresse rispetto all’annullamento degli atti impugnati; con ordinanza n.
1578/2005 ha accolto l’istanza cautelare proposta in una al ricorso, per aver
ritenuto sussistente il prescritto fumus di fondatezza e rilevato altresì il
danno grave ed irreparabile “per il pubblico interesse alla tutela ambientale ed
alla più razionale allocazione dei termovalorizzatori”. Versandosi in materia
soggetta alle prescrizioni dell’art. 23 bis legge n. 1034/1971, era stata
fissata per la trattazione del merito la pubblica udienza del 8/6/2006.
E’ oggi all’esame del collegio il ricorso per regolamento di competenza proposto
dalla controinteressata Sicilpower s.p.a., la quale sostiene l’appartenenza
della controversia alla competenza del Tar del Lazio.
Nelle more della fissazione della camera di consiglio per la delibazione della
questione di competenza è sopravvenuta la legge n. 21/2006, che, all’art. 3, per
quel che qui rileva dispone:
...omissis...
“2-bis. In tutte le situazioni di emergenza dichiarate ai sensi dell’articolo 5,
comma 1, della legge 24 febbraio 1992, n. 225, la competenza di primo grado a
conoscere della legittimità delle ordinanze adottate e dei consequenziali
provvedimenti commissariali spetta in via esclusiva, anche per l’emanazione di
misure cautelari, al Tribunale amministrativo regionale del Lazio con sede in
Roma.
2- ter. Le questioni di cui al comma 2-bis, sono rilevate d’ufficio. Davanti al
giudice amministrativo il giudizio è definito con sentenza succintamente
motivata ai sensi dell’articolo 26, della legge 6 dicembre 1971, n. 1034, e
successive modificazioni, trovando applicazione i commi 2 e seguenti
dell’articolo 23-bis della stessa legge.
2-quater. Le norme di cui ai commi 2-bis e 2-ter si applicano anche ai processi
in corso. L’efficacia delle misure cautelari adottate da un tribunale
amministrativo diverso da quello di cui al comma 2-bis permane fino alla loro
modifica o revoca da parte del Tribunale amministrativo regionale del Lazio, con
sede in Roma, cui la parte interessata può proporre il ricorso”.
Parte controinteressata ha depositato, in data 21/2/2006, un’istanza volta a
sollecitare da parte del Collegio (ed anzi da parte del Presidente)
l’applicazione del predetto jus superveniens, con immediata trasmissione degli
atti di causa al Tar del Lazio.
Il Consiglio di giustizia amministrativa, con ordinanza depositata il 6/2/2006,
ha dichiarato improcedibile l’appello proposto avverso l’ordinanza n. 1578/2005
dalla controinteressata Sicilpower s.p.a., per ritenuta incompetenza funzionale
di esso Consiglio, conseguente alla intervenuta (ope legis) incompetenza
funzionale del Tar di Catania, che aveva emanato l’ordinanza appellata. Inoltre,
la citata decisione ha rimesso gli atti al giudice di primo grado “per la
pronuncia sulla dedotta questione di incompetenza ex art. 3 comma 2 ter del d.l.
n. 245/2005 come convertito con legge n. 21/2006”.
Alla odierna camera di consiglio il difensore del Comune di Paternò ha
depositato ed illustrato oralmente una memoria, con la quale:
- ha sostenuto l’irricevibilità del regolamento di competenza oggi in esame,
proposto, ai sensi dell’art. 31 legge n. 1034/1971, dalla controinteressata
Sicilpower s.p.a., in quanto presentato oltre il termine di venti giorni dalla
data di costituzione in giudizio (27/5/2005, laddove il regolamento è stato
notificato il 30/6/2005 e depositato il 12/7/2005);
- ha manifestato la propria non adesione alla rimessione del ricorso al Tar
Lazio ai sensi dell’art. 31 su citato;
- ha chiesto che il collegio rilevasse, con decisione semplificata, la manifesta
infondatezza del regolamento di competenza, con vittoria delle spese
processuali.
Parte ricorrente inoltre, pur sostenendo, con riferimento all’entrata in vigore
dell’art. 3 della legge n. 21/2006, sopra riportato, l’inapplicabilità
sopravvenuta della ordinaria disciplina della competenza territoriale di cui
all’art. 3 della legge n. 1034/1971, ha tuttavia osservato che, a suo dire, la
questione de qua non potrebbe essere decisa in camera di consiglio, posto che
l’art. 3 legge n. 21/2006, prevedendo la sentenza in forma semplificata ai sensi
dell’art. 26 legge n. 1034/1971, esigerebbe la definizione della questione di
competenza in pubblica udienza.
In tale situazione, il collegio, ritenendola rilevante ai fini della decisione
da assumere in ordine alla predetta trasmissione degli atti al Tar Lazio, ed ai
fini della decisione – sollecitata dal comune di Paternò – sul regolamento di
competenza, e non manifestamente infondata, solleva questione di legittimità
costituzionale del predetto art. 3, e segnatamente del comma 2 nelle
sottonumerazioni bis, ter, quater, come sarà esposto nei seguenti paragrafi.
II La rilevanza
La rilevanza della questione ai fini della decisione da assumere è di tutta
evidenza. Il collegio sarebbe tenuto, sulla base della normativa sopravvenuta –
ove non dubitasse della costituzionalità di essa, e quindi non ritenesse
necessario investire il Giudice delle leggi della relativa questione trasmettere
gli atti al Tar Lazio, e ciò per espressa disposizione della nuova disciplina
che ne prescrive l’applicazione ai procedimenti pendenti. Ciò, come si è detto
in premesse, è stato rilevato anche dal Consiglio di Giustizia Amministrativa,
che ha ritenuto di non potere emettere alcuna decisione sull’appello
dell’ordinanza emanata in prime cure da questa sezione, proprio in applicazione
della predetta normativa.
Della costituzionalità di tale disciplina il collegio dubita per diverse
ragioni; e d’altra parte, solo in questo momento al collegio è dato sollevare la
questione, non potendo ovviamente più farlo una volta che si fosse spogliato,
con la trasmissione degli atti di causa al Tar Lazio, in applicazione delle
disposizioni sospettate di incostituzionalità, della potestas decidendi.
Né ritiene il collegio di aderire ai rilievi del Comune ricorrente, secondo cui
da un lato (in assenza, si ripete, della potestas decidendi) dovrebbe essere
assunta una decisione sul regolamento di competenza (che, secondo quanto
eccepito da parte ricorrente, sarebbe irricevibile, e comunque manifestamente
infondato), mentre dall’altro dovrebbe essere fissata una apposita udienza
pubblica per affrontare la questione dell’applicazione della normativa
sopravvenuta che attribuisce la materia controversa alla competenza funzionale
del Tar del Lazio.
Il collegio può e deve in questa sede – e avrebbe potuto e dovuto in qualunque
sede la controversia venisse a trovarsi, per la decisione di qualunque incidente
o fase processuale, e quindi anche nella presente fase incidentale del
regolamento di competenza – porsi il problema della applicazione della predetta
normativa, e soprassedere rispetto a qualunque altra questione e pronuncia,
definitiva o meno del giudizio o della fase cautelare o comunque di qualsivoglia
fase processuale in cui il giudizio si trovi.
Orbene, secondo il collegio la descritta situazione di impossibilità di decidere
le questioni sottoposte si pone in contrasto con diverse norme costituzionali,
come sarà più ampiamente detto nel successivo parafo di questa motivazione.
Il collegio, se applicasse la disciplina sopravvenuta, verrebbe ad essere
deprivato della possibilità di statuire sul regolamento di competenza, non
potendone delibare (per decidere positivamente o negativamente) la manifesta
infondatezza; così come esso verrebbe ad essere deprivato della possibilità di
decidere sull’eccezione di irricevibilità per tardività sollevata dal
ricorrente. Ed infine, viene ad essere impedita la definizione del giudizio nel
merito, già fissata per l’udienza 8/6/2006.
Pertanto, atteso che i dubbi di costituzionalità riguardano proprio lo
spostamento della competenza in subiecta materia al Tar del Lazio, e la
impossibilità (ritenuta da questo giudicante, per le ragioni che si esporranno
in seguito, incostituzionale) di rendere una pronuncia sulla competenza (di
qualsivoglia natura essa poi in concreto possa essere) ed una pronuncia,
successivamente, ove la competenza restasse radicata presso il Tar locale, nel
merito, il collegio ritiene di sollevare la relativa questione. Ciò non senza
precisare che ai fini della rilevanza di tale questione nessun ostacolo ravvisa
il collegio, contrariamente a quanto adombrato dalla difesa del Comune di
Paternò, nella formulazione dell’art. 3, comma 2 ter, in cui si dice che il
giudizio va definito con sentenza in forma semplificata ai sensi dell’art. 26
legge n. 1034/1971. Il collegio ritiene che, nonostante il mancato riferimento
anche all’art. 21 della legge n. 1034/1971, la norma non deroga affatto per la
necessaria fissazione di un’udienza pubblica per la definizione del giudizio;
oltretutto, proprio il fatto che tale definizione sia ormai predeterminata ex
lege, nel senso che, in qualunque stato si trovi la controversia, la norma
sospettata di incostituzionalità stabilisce che deve chiudersi il processo in
corso con sentenza semplificata, depone in senso contrario alla tesi sostenuta
dal Comune di Paternò. Sarebbe invero irrazionale e contrastante con la chiara
ratio acceleratoria della norma la fissazione di un’udienza ad hoc, diversa,
ulteriore e quindi in ogni caso più lontana nel tempo di quella in cui ci si
trova, e che avrebbe il solo scopo di consentire al collegio di dichiarare che
gli atti devono essere trasmessi al Tar del Lazio.
In definitiva, e per concludere sulla condizione di proponibilità della
questione costituita dalla rilevanza di essa ai fini del procedimento in corso,
di cui all’art. 23, comma secondo, della legga n. 87/1953, si osserva che
soltanto a seguito della declaratoria di illegittimità costituzionale delle
norme introdotte dalla legge n. 21/2006 in ordine alla competenza del Tar del
Lazio sui provvedimenti adottati ai sensi dell’art. 5, comma 1, della legge n.
225/1992, questo Tar potrà pronunciarsi sul regolamento di competenza proposto
dalla controinteressata e sulle eccezioni opposte al predetto regolamento dal
Comune di Paternò. E’ appena il caso di precisare che in generale deve ritenersi
rilevante, ai sensi e per gli effetti del citato art. 23, comma 2, legge n.
87/1953, non soltanto la questione che involge la normativa applicabile per la
definizione del giudizio nel merito (che cioè regola il merito dei rapporti
dedotti in giudizio), bensì anche quella che riguarda le regole che disciplinano
il processo, ed in primo luogo che delimitano i poteri del giudice. A tale
concetto ampio di rilevanza si ispirano diverse decisioni della Corte
costituzionale, fra le quali si ricorda la sentenza n. 137 del 1983, secondo la
quale “la pregiudizialità necessaria della questione di legittimità
costituzionale rispetto alla decisione del giudizio a quo va intesa considerando
tale decisione come conclusione di un itinerario logico ciascuno dei cui
passaggi necessari può dar luogo ad un incidente di costituzionalità, ogni qual
volta il giudice dubiti della legittimità costituzionale delle disposizioni
normative che, in quel momento, è chiamato ad applicare per la prosecuzione e/o
la definizione del giudizio”.
A fronte della rilevata compressione della potesta iudicandi di questo collegio,
a processo instaurato, e della “soluzione obbligata” della fase di giudizio in
cui ci si trova, per effetto di una normativa che il collegio stesso sospetta
essere incostituzionale, appare rilevante, hic et nunc, la questione di
costituzionalità dell’art. 3, comma 2 da bis a quater, della legge n. 21/2006.
Pertanto il collegio ne investe la Corte costituzionale, ritenendo altresì la
questione, come sarà esposto al successivo paragrafo, non manifestamente
infondata. Deve conseguentemente sospendersi il presente giudizio, sia con
riguardo al merito, sia con riguardo a tutte le questioni di competenza agitate,
sino alla restituzione degli atti da parte della Corte costituzionale.
III. I dubbi di costituzionalità e la non manifesta infondatezza degli stessi
Ad avviso del collegio, la normativa
introdotta dal legislatore con l’art. 3, comma 2, da bis a quater, della legge
n. 21/2006, contrasta innanzitutto con l’art. 125 della Costituzione, e
segnatamente con il principio della articolazione su base regionale degli organi
statali di giustizia amministrativa di primo grado ivi espressa (“Nella Regione
sono istituiti organi di giustizia amministrativa di primo grado, secondo
l’ordinamento stabilito da legge della Repubblica”). Tale previsione implica il
rilievo e la garanzia costituzionale della sfera di competenza dei singoli
organi predetti. Tale previsione implica il rilevo e la garanzia costituzionale
della sfera di competenza dei singoli organi predetti. Tale sfera di competenza
costituzionalmente garantita non ha ragione di subire deroghe nella materia di
cui trattasi, in cui le singole situazioni di emergenza hanno rilievo
spiccatamente locale, con conseguente efficacia locale dei relativi
provvedimenti adottati dai soggetti delegati alla cura delle varie situazioni
emergenziali.
In secondo luogo, l’aggravio della tutela giurisdizionale, soprattutto ove, come
nella specie, esso non sia giustificato da una effettiva natura accentrata (o
dall’efficacia estesa a tutto il territorio) dei provvedimenti sui quali deve
esercitarsi la cognizione del Tar Lazio, comporta indubbia violazione dell’art.
24 della Costituzione, in particolare della possibilità di tutela dei propri
diritti ed interessi enunciata al primo comma; detta tutela ne risulta minorata,
per la evidente maggiore difficoltà di esercitare le relativa azioni presso il
Tar del Lazio piuttosto che presso gli organi giurisdizionale localmente
istituiti. Ciò vale sia per la fase transitoria in cui i giudizi pendenti
trasmigrano al Tar del Lazio, sia per le future nuove controversie che secondo
la nuova normativa dovrebbero essere ab initio instaurate presso detto Tar.
La Corte ha ritenuto, in un caso in cui il legislatore aveva disposto
l’estinzione ope legis di giudizi pendenti (art. 10 comma primo, legge n.
425/1984), che siffatta disposizione, in quanto “preclude al giudice la
decisione di merito imponendogli di dichiarare d’ufficio l’estinzione dei
giudizi pendenti, in qualsiasi stato e grado si trovino alla data di entrata in
vigore della legge sopravvenuta”, perciò stesso “viola il valore costituzionale
del diritto di agire, in quanto implicante il diritto del cittadino ad ottenere
una decisione di merito senza onerose reiterazioni” (Corte costituzionale,
sentenza n. 123 del 1987).
Sebbene la fattispecie in esame sia diversa da quella oggetto della citata
pronuncia, il principio tuttavia, ad avviso del collegio, è nello stesso modo
applicabile. Accade infatti, nel caso presente, che chi abbia già un giudizio
pendente davanti al Tar locale, ed addirittura abbia ottenuto una decisione
cautelare, debba proseguire altrove nella propria iniziativa giudiziaria,
addirittura (se ne parlerà più diffusamente infra) rimanendo esposto ad una
seconda pronuncia cautelare sollecitata dalla parte soccombente davanti al
giudice adito prima dell’entrata in vigore della legge in questione.
Altro profilo di incostituzionalità va ravvisato, inoltre, nella violazione del
principio del giudice naturale precostituito per legge, di cui all’art. 25 della
Costituzione. La norma costituzionale ora citata, stabilendo che “nessuno può
essere distolto dal giudice naturale precostituito per legge”, esclude, come la
stessa Corte costituzionale afferma, “che vi possa essere una designazione tanto
da parte del legislatore con norme singolari, che deroghino a regole generali,
quanto da altri soggetti, dopo che la controversia sia insorta (sentenze n. 419
del 1998; n. 460 del 1994 e n. 56 del 1967”; il principio è in tali termini, e
con tali citazioni dei precedenti, richiamato nella sentenza della corte n. 393
del 2002). Come la Corte ha insegnato, perché tale principio possa considerarsi
rispettato occorre che “... la regola di competenza sia prefissata rispetto
all’insorgere della controversia” (sentenza n. 193 del 2003); e che basta
scorrere le numerose decisioni della Corte costituzionale in materia di
principio el giudice naturale per rilevare che è proprio la preesistenza della
regola che individua la competenza rispetto al giudizio il criterio fondamentale
in base al quale sono state valutate le questioni sollevate.
Tale profilo di incostituzionalità si apprezza particolarmente, ad avviso del
collegio, nella parte disciplina in questione (comma 2 quater), che non solo ne
dispone l’applicazione ai processi pendenti, ma addirittura consente una riforma
dei provvedimenti assunti, in sede cautelare, in tali giudizi pendenti, e ciò ad
opera di un organo giurisdizionale pariordinato a quelli di provenienza
(trattasi di giudici tutti di primo grado, il Tar del Lazio non essendo un “super-Tar”).
Così facendo, in sostanza, il legislatore ha introdotto un rimedio inedito, che
non è di secondo grado e che finisce per costituire un doppione del già
espletato giudizio (cautelare) di primo grado, senza alcuna possibilità di
inquadramento tra i rimedi noti e tipizzati (appello, revocazione, reclamo).
Pertanto, anche l’art. 25 della Carta costituzionale risulta vulnerato dalla
normativa denunciata dal collegio; e se ne trae conferma da una recente
decisione della Corte costituzionale, che, sebbene in relazione a disciplina
totalmente diversa, ha avuto modo di affermare un principio generale, che è
quello della appartenenza della competenza territoriale alla nozione del giudice
naturale precostituito per legge. Precisamente, la sentenza n. 41 del 2006
afferma, anzi, ribadisce (come testualmente essa si esprime, citando sentenze
precedenti in termini), che “alla nozione del giudice naturale precostituito per
legge non è affatto estranea «la ripartizione della competenza territoriale tra
i giudici, dettata da normativa nel tempo anteriore alla istituzione del
giudizio» (sentenze n. 251 del 1986 e n. 410 del 2005)”.
Per altro, atteso che il principio del doppio grado di giudizio nella giustizia
amministrativa, sia in sede di merito, riceve garanzia costituzionale dall’art.
125 della Carta (cfr. Corte cost. , sentenza n. 8 del 1982), si configura un
ulteriore profilo di violazione di detta norma. Viene infatti ad essere
introdotto, per le controversie pendenti, un anomalo percorso (su cui già il
collegio ha poco prima espresso i propri dubbi di costituzionalità) che
stravolge l’ordinario iter giudiziario. La regola è che ad un giudizio di primo
grado segua, ove la parte soccombente appelli, un giudizio di secondo grado, sia
che si tratti di giudizio cautelare, sia che si tratti di giudizio di merito;
giammai è prevista una doppia pronuncia sulla stessa materia da parte di due
diversi giudici di primo grado, uno dei quali abilitato a riformare la decisione
del primo giudice. Orbene, ad avviso del collegio, siffatta disciplina integra
altresì violazione del principio del “giusto processo”, di cui all’art. 111,
comma primo, della medesima Carta (“La giurisdizione si attua mediante il giusto
processo regolato dalla legge”). Sempre con riferimento ai processi pendenti,
infatti, la parte soccombente nel giudizio cautelare verrebbe ad essere fornita
di uno strumento giurisdizionale anomalo e atipico a tutela della propria
(legittima, ma da esercitare in modi conformi ai principi costituzionali)
aspirazione ad ottenere una pronuncia favorevole in secondo grado (che deve
tuttavia essere un vero giudizio di secondo grado, e non, si ribadisce, un
inedito duplicato del giudizio di primo grado).
Ciò comporterebbe altresì una evidente violazione del principio del ne bis in
idem, che, se pure non espressamente contemplato dalla Carta costituzionale,
deve ritenersi corollario del medesimo generale principio del “giusto processo”
testè richiamato.
IV. Conclusioni
Per tutte le esposte considerazioni, deve sollevarsi la questione di
legittimità costituzionale dell’art. 3, comma 2 bis, comma 2 ter, comma 2 quater,
legge n. 21/2006, per contrasto con gli artt. 125/24 e 25 della Costituzione.
Deve pertanto essere disposta la trasmissione degli atti alla Corte
costituzionale per la decisione della predetta questione di legittimità
costituzionale, sospendendosi il giudizio instaurato con il ricorso in epigrafe,
sia nel merito, sia per la decisione del regolamento di competenza, fino alla
restituzione degli atti da parte della medesima Corte.
P.Q.M.
Il Tribunale amministrativo regionale per la Sicilia – sezione staccata di
Catania (sez. I) – solleva, ritenuta rilevante e non manifestamente infondata,
questione di legittimità costituzionale dell’art. 3, comma 2 bis, comma 2 ter,
comma 2 quater, legge n. 21/2006, per contrasto con gli artt. 125, 24 e 25 della
Costituzione.
DISPONE, a norma dell’art. 23/2 L. n. 87/1953, l’immediata trasmissione degli
atti alla Corte costituzionale.
Il giudizio resta sospeso, sia quanto al regolamento di competenza, sia quanto
alla definizione nel merito, sino alla restituzione degli atti da parte della
Corte costituzionale.
Manda alla Segreteria di notificare copia della presente ordinanza alla parti in
causa, al Presidente del Consiglio dei Ministri, nonché ai Presidenti delle due
Camere del Parlamento.
Così deciso in Catania, in camera di consiglio, in data 23/2/2006.
Il PRESIDENTE f.f., rel, est.
Dr.ssa Rosalia Messina
Depositata in Segreteria il 07 marzo 2006
1) Rifiuti - Provvedimenti adottati nelle situazioni di emergenza ex art. 5, c. 1, l. 225/1992 - Competenza - T.A.R. Lazio, sede di Roma - L. 21/2006, art. 3, commi 2bis, 2 ter e 2 quater - Questione di legittimità costituzionale - Rilevanza e non manifesta infondatezza - Artt. 24, 25 e 125 Cost. E' rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 3, comma 2 bis, comma 2 ter, comma 2 quater della legge n. 21/2006, per contrasto con gli artt. 125, 24 e 25 della Costituzione. Pres. f.f. ed Est. Messina - Comune di Paternò (avv. Mingiardi) c. Commissario delegato per l'emergenza rifiuti e tutela acque, Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio, Ministero Ambiente - Comm. VIA (Avv. Stato), Sicil power spa (avv.ti Briguglio, D'alessandro, Abbamonte), Comune di Catania (avv. Patanè), Provincia di Catania (avv. Mineo), Società L'altacoen s.r.l. (avv. Fazzi) - T.A.R. SICILIA, Catania, Sez. I - 7 marzo 2006, ordinanza n. 90
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