Per altre sentenze vedi: Sentenze per esteso
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T.A.R. VENETO Sez. III,
23 Maggio 2006, Sentenza n. 1444
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
IL
TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE
PER IL VENETO
TERZA SEZIONE
Ricorso n. 2836/05
Sent. n. 1444/06
costituito da:
Angelo De Zotti Presidente
Rita De Piero Consigliere
Riccardo Savoia Consigliere, relatore
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso n. 2836/2005 proposto da ECO – ENERGY S.p.A., in persona del legale
rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avv.ti D. Giuri, G.
Rizzardi e A. Veronese con elezione di domicilio presso lo studio degli stessi
in Venezia Marghera, via delle Industrie, n. 19/c;
CONTRO
la Provincia di Venezia, in persona del Presidente p.t., rappresentata e
difesa, dagli avv. R. Brusegan e C. De Benetti, con elezione di domicilio presso
l’Ufficio Legale dell’Ente, in Venezia San Marco 2662;
l’ARPAV, in persona del legale
rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avv. Andreasi Bassi
Isabella, con domicilio presso la sede dell’Ente, in Venezia Mestre, via Lissa
n. 6;
per l'annullamento
previa sospensione dell'esecuzione, del provvedimento della Provincia di
Venezia, Settore Politiche Ambientali, prot. n. 85496/05 del 9.12.2005, nella
parte in cui il Dirigente del Settore ha diffidato la ricorrente “al
ricevimento, presso il proprio impianto autorizzato con provvedimento
provinciale n. 51677 del 6.8.2004 e s.m.i., delle terre da scavo provenienti
esclusivamente da bonifiche o interventi di messa in sicurezza d’emergenza
nell’ambito di procedimenti di bonifica dei siti inquinati, individuate dai
codici CER 170503* terra e rocce contenenti sostanze pericolose e con codice CER
170504 terra e rocce, diverse da quelle di cui alla voce 170503” stabilendo nel
contempo che “la ricezione dei rifiuti oggetto della presente diffida non potrà
essere ripresa in carenza di specifico espresso atto di Settore”;
e del provvedimento della provincia di Venezia prot. n. 88243 del 20 dicembre
2005 avente ad oggetto: “Linee guida per la gestione delle terre da scavo negli
impianti di trattamento dei rifiuti”;
del provvedimento dela Provincia di Venezia, Settore Politiche Ambientali, prot.
N.2859 del16 gennaio 2006, limitatamente alla parte in cui decreta
l’integrazione del documento di gestione proposto dalla ricorrente con le linee
guida di cui alla nota ARPAV dell’1.1.2006, n.3802;
di tale ultima nota, avente a oggetto “Linee guida per la gestione delle terre
da scavo negli impianti di trattamenti dei rifiuti”;
visto il decreto Presidenziale n. 1048 del 19 dicembre 2005 con cui è stata
respinta l’istanza cautelare provvisoria presentata dalla parte ricorrente;
visti i motivi aggiunti notificati il 3 gennaio 2006, depositati il 5 gennaio ed altri motivi aggiunti notificati il 20 gennaio e depositati il 24 gennaio 2006;
visto l’atto di costituzione delle
amministrazioni intimate e le memorie depositate;
visti gli atti tutti della causa;
vista l’ordinanza di reiezione della domanda cautelare presentata dalla parte
ricorrente;
uditi all’udienza del 30 marzo 2006 (relatore il Consigliere Savoia), i
procuratori delle parti come da verbale d’udienza;
considerato in fatto e diritto quanto segue:
FATTO E DIRITTO
1. Espone l’amministrazione provinciale che la ricorrente gestisce un impianto
di stoccaggio intermedio di rifiuti con trattamento di terre da scavo derivanti
dalla bonifica e messa in sicurezza dei suoli e delle falde del sito di
interesse nazionale di Porto Marghera, giusta decreto provinciale di
autorizzazione all’esercizio del 6.8.2004, modificato il 17.12.04.
Trattandosi dunque di stoccaggio intermedio, le operazioni di miscelazione
operate devono garantire la non diluizione, in particolare, per le terre di
scavo, classificate entro colonne diverse, seppure tali terre da scavo risultino
tutte codificate con il medesimo codice. E ciò secondo gli indirizzi e le linee
guida forniti, in ottemperanza alla legge 443 del 2001 e al decreto ministeriale
471 del 1999, dalla Regione Veneto con delibera della giunta regionale n. 80 del
21 gennaio 2005 e dall’Agenzia per la Protezione Ambientale nel mese di maggio
2005, in epoca successiva al rilascio dei decreti di autorizzazione provinciale,
con necessità di adeguamento dei materiali operativi presentati dalle ditte.
Solo infatti una corretta miscelazione delle terre senza diluizione delle stesse
è idonea a garantire la correttezza delle operazioni di recupero e smaltimento
finale delle terre, operati presso impianti terzi.
2. Essendo stati avviati nel 2004 numerosi interventi di bonifica o messa in
sicurezza nel sito di interesse nazionale di Porto Marghera, gli organi di
controllo sul territorio hanno intensificato le verifiche della destinazione dei
rifiuti derivanti dalla bonifica dei suoli e delle falde, riscontrando numerose
irregolarità.
In particolare in relazione alla ricorrente veniva chiesto di effettuare
accertamenti per verificare il corretto smaltimento dei rifiuti provenienti
dagli scavi effettuati presso la centrale termoelettrica Enel di Marghera e
conferiti all’impianto; accertamenti conclusisi con l’adozione di un
provvedimento di diffida ai sensi dell’articolo 28 comma 4 del decreto
legislativo n. 22 del 1997, sia per violazione dell’articolo 10
dell’autorizzazione, laddove viene ordinato alla ditta di accertare che i terzi,
ai quali sono affidati i rifiuti per le successive attività di smaltimento,
siano muniti delle autorizzazioni previste dalla normativa vigente in materia di
gestione e smaltimento dei rifiuti, fin quanto la discarica non sarebbe ancora
adeguata alle disposizioni del decreto legislativo n. 36 del 2003, e pertanto
non sarebbe idonea al ricevimento dei rifiuti conferiti, per i quali sono stati
evidenziati superamenti del test di cessione per i parametri fluoruri e solfati,
sia per violazione dell’articolo 31, il quale prevede che dovrà essere tenuto
presso l’impianto il registro di carico e scarico dei rifiuti, in quanto la
ditta avrebbe omesso di registrare l’operazione di smaltimento cui sono stati
sottoposti tutti i rifiuti provenienti dalla centrale Enel Marghera.
La ricorrente presentava istanza di accesso per ottenere copia semplice degli
atti citati nella diffida provinciale, chiedendo che fino alla consegna venisse
sospeso il decorso del termine di trenta giorni indicato nel provvedimento di
diffida per adempiere; veniva presentata anche memoria di intervento ex art.10 L.241/90,
con riserva di integrazione una volta esaudita la richiesta di accesso,
possibile tuttavia solo per parte della documentazione, perché la Procura di
Venezia negava il nulla osta all’accesso al verbale Arpav 15.9.05.
3. In seguito, essendo decorsi i 30 giorni assegnati dopo il periodo di
sospensione per evadere la richiesta di accesso, e non essendo state depositate
ulteriori memorie, la Provincia, con il primo degli atti impugnati, confermava
la diffida con atto 9.12.05.
Si legge nelle premesse : ” rilevato che dal programma di controllo presentato
dalla ditta non risultano espressamente individuate le procedure di accettazione
, verifiche analitiche, le modalità di messa in riserva o di deposito
preliminare, nonché le modalità di recupero e smaltimento delle terre di scavo o
provenienti da bonifiche o da interventi di messa in sicurezza d’emergenza
nell’ambito di procedimenti di bonifica dei siti inquinati, autorizzate allo
smaltimento o al recupero presso l’impianto;
considerato pertanto che rifiuti identificati con codice 170503 ”terra e rocce,
contenenti sostanze pericolose” e 170504 “terre e rocce, diverse da quelle di
cui alla voce 170503” provenienti da operazioni di scavo di terreni inquinati o
potenzialmente inquinati, devono necessariamente essere gestiti separatamente
dalle altre tipologie di rifiuti presenti in impianto; considerato necessaria la
presentazione da parte della ditta di un manuale operativo o una relazione
tecnica in cui vengano descritte, in considerazione della provenienza,
specificatamente le modalità di accettazione, operative di stoccaggio e di avvio
al recupero e/o allo smaltimento delle terre da scavo provenienti da bonifiche o
da interventi di messa in sicurezza d’emergenza nell’ambito di procedimenti di
bonifica dei siti inquinati, tenuto conto di quanto disposto dalla deliberazione
della giunta regionale n. 80 del 2005; considerato quanto stabilito
dall’articolo 28 comma quarto del decreto legislativo 5 febbraio 1997 n. 22,
laddove dispone che quando a seguito di controlli successivi all’avviamento
degli impianti non siano soddisfatte le condizioni e le prescrizioni contenute
nell’atto di autorizzazione all’esercizio, quest’ultima è sospesa, previa
diffida, per un periodo massimo di dodici mesi”.
Dopo queste premesse il provvedimento contiene tre prescrizioni: all’articolo 1,
la diffida al ricevimento delle terre da scavo provenienti esclusivamente da
bonifiche o interventi di messa in sicurezza d’emergenza nell’ambito di
procedimenti di bonifica dei siti inquinati, individuate dai codici 170503 e
170504; all’articolo 2, la diffida alla presentazione di un manuale operativo o
una relazione tecnica, secondo quanto elencato in premessa; all’articolo 3, la
prescrizione che la ricezione dei rifiuti oggetto della diffida non potrà essere
ripresa in carenza di specifico espresso atto del Settore Politiche Ambientali.
Si precisava che la diffida valeva come comunicazione di avvio del procedimento.
4. Tale atto veniva impugnato dalla ditta ricorrente la quale deduceva:
- violazione dell’articolo 7 della legge 241 del 1990, perché l’atto impugnato
si presenta formalmente come una diffida ma per i suoi contenuti si configura
come una vera e propria sospensione o modifica parziale dell’autorizzazione
all’esercizio dell’impianto; - - violazione dell’articolo 28 comma quarto del
decreto legislativo n. 22/97 e carenza dei presupposti per inibire la ricezione
dei rifiuti descritti nel provvedimento provinciale, posto che non si
evidenziano violazioni della ditta di specifiche prescrizioni contenute nel
decreto di autorizzazione;
- violazione dell’art. 55 della legge regionale n. 33/85, ai sensi del quale in
seguito ad accertata violazione di prescrizioni, prima di sospendere
l’autorizzazione medesima viene emessa una diffida ad adeguarsi entro un idoneo
termine, nella specie insussistente;
- violazione dell’articolo 3 della legge 241 del 1990 per omessa motivazione, in
quanto non troverebbe alcuna giustificazione la richiesta della provincia;
- eccesso di potere sotto profilo della contraddittorietà dell’atto impugnato e
della erronea interpretazione dell’articolo 26 comma 7 della legge regionale n.
3/2000, violazione dell’art. 97 Cost., perché secondo tale disposizione non si
farebbe riferimento alla necessità di prevedere apposite procedure gestionali
per singole tipologie di rifiuti; - - violazione dell’articolo 15 della legge
regionale n. 33/85 ed eccesso di potere sotto il profilo del difetto di
istruttoria, perché l’avvenuta integrazione d’ufficio della vigente
autorizzazione all’esercizio dell’impianto sarebbe stata effettuata senza
chiedere alla competente Commissione tecnica provinciale per l’ambiente il
parere obbligatorio come previsto dalla norma indicata.
5. Il ricorso veniva notificato il 16 dicembre 2005; il 20 dicembre, con
provvedimento anticipato in data 21 dicembre, via fax alla ricorrente che
rispondeva nella stessa data presentando il manuale operativo indicato nella
diffida, la provincia:
” visto che il decreto legislativo n.22/97 e la legge n.443/01 prevedono una
specifica disciplina per la gestione delle terre da scavo, facendo riferimento a
condizione di effettivo riutilizzo e in particolare di presenza di inquinanti,
con riferimento ai limiti di concentrazione previsti dal decreto ministeriale
471/99;
visto che la Regione Veneto con la già ricordata delibera giuntale ha fornito
nuovi indirizzi e linee guida per la gestione dei materiali derivanti da
operazioni di escavazione;
visto che l’APAT già nel mese di maggio ha analogamente fornito indirizzi guida
per la gestione delle terre da scavo sostanzialmente coordinati con quanto
previsto dalla regione;
ritenuto opportuno prevedere forme specifiche di gestione di rifiuti costituiti
da terre da scavo anche da parte di impianti che effettuano il trattamento di
rifiuti, anche al fine di evitare che riutilizzi non consentiti in forma diretta
possono avvenire in forma indiretta, previo trattamento non adeguatamente
certificato delle terre fuori dai siti di origine e di destinazione e i cui
singoli passaggi non siano esattamente registrati e rintracciabili, quanto meno
per le attività che si svolgono all’interno del territorio di competenza, con
particolare riferimento alla costante individuazione del produttore, del sito di
produzione, e delle caratteristiche analitiche originari[e] durante tutto il
processo di gestione dallo scavo alla recupero e allo smaltimento finale;
visto che i manuali operativi delle imprese che gestiscono rifiuti comprendenti
le terre da scavo provenienti esclusivamente da bonifiche o interventi di messa
in sicurezza d’emergenza nell’ambito di procedimenti di bonifica dei siti
inquinati, individuate dai codici 170503 e 170504, autorizzati dalla Provincia,
non prevedono specifiche forme speciali di gestione per tali tipologie di
rifiuti, essendo di norma stati elaborati precedentemente all’emanazione delle
dette linee guida regionali e nazionali;
viste le diffide a presentare un manuale operativo … con le specifiche di
gestione delle terre da scavo provenienti da bonifica, sospendendone nel
frattempo l’accettazione e il trattamento, sino a espresso atto del Settore;
ritenuto opportuno al fine di non creare interruzioni nella gestione delle terre
da scavo a livello provinciale, anche in considerazione delle numerose attività
di bonifica e di riutilizzo in corso, emanare indirizzi generali in materia di
gestione delle terre da scavo da parte di impianti di trattamento rifiuti, ai
quali le dette imprese possano attenersi per la regolare prosecuzione della loro
attività, anche nelle more dell’adempimento dei rispettivi manuali operativi;
tutto ciò premesso decreta, per quanto d’interesse della ricorrente,
all’articolo 1, punto 1 che le terre devono essere stoccate separatamente, in
relazione al produttore, al sito di provenienza, alla classificazione
relativamente ai limiti di concentrazione di cui alle colonne A e B della
tabella allegata al decreto ministeriale 471/99 (entro colonna A, tra colonna A
e colonna B, oltre colonna B), e alla loro pericolosità, senza possibilità di
contatto con altri rifiuti o materiali.
6. Con l’atto di motivi aggiunti è stato impugnato anche questo provvedimento,
mentre con provvedimento 2859 del 16 gennaio 2006 la provincia ha approvato il
documento di gestione prodotto dalla ricorrente, integrato tuttavia come
proposto dall’ARPAV con il parere 11 gennaio 2006, sostanzialmente riproduttivo
di quelle linee guida sopra ricordate, provvedimenti impugnati con successivo
atto di motivi aggiunti:
- violazione degli articoli 6, 7,8,15,28, 31,33 del decreto legislativo n. 22
del 1997 e dell’art. 97 Cost., eccesso di potere e incompetenza, poiché con gli
atti impugnati si è preteso che i gestori dei rifiuti codificati 170503 e 170504
si attengano a prescrizioni che potrebbero essere impartite ai soggetti che
intendono utilizzare terre da escavazione non classificabili come rifiuti,
prendendo a riferimento parametri e valori limite che attengono alla nozione di
sito inquinato e alla relativa bonifica; sarebbe poi illegittimo prevedere di
stoccare separatamente le terre e rocce da scavo con concentrazioni di
inquinanti rientranti entro colonna A, tra A e B, oltre colonna B dell’allegato
al DM .n.471/99, in tal modo violando la classificazione di cui al CER che non
distingue tra provenienza, ma solo per tipologia;
- violazione di legge con riferimento agli artt. 9 e 28 del D.Lgs. n.22/97 e
dell’art.97 Cost.;
- incompetenza, difetto di motivazione, eccesso di potere sotto il profilo della
contraddittorietà intrinseca dell’azione amministrativa: il punto 10 del parere
ARPAV, corrispondente al punto 6 dell’art.1 delle linee guida provinciali
consente l’accorpamento tra loro di terre collocate omogeneamente entro colonna
A, mentre il punto 11, corrispondente al punto 6 secondo comma, prevede il
divieto di miscelazione secondo quanto previsto dall’articolo 9 del decreto
legislativo n. 22 del 1997 sicché, osserva la ricorrente, non sarebbe possibile
la miscelazione di partite di rifiuti non pericolosi pur classificati con il
medesimo codice; inoltre il punto 14, coincidente col punto 7 delle linee guida
provinciali, dispone che se vengono effettuate operazioni di pretrattamento o di
miscuglio che ne hanno mutato la natura o la composizione, ai risultanti rifiuti
dovranno essere attribuiti codici desumibili dal gruppo 19, con una previsione
contraddittoria con quella appena esaminata.
Vi sarebbe poi violazione dell’art.26 , comma 7, della legge regionale n.3/2000,
poiché tra le finalità del programma di controllo non è prevista la necessità di
individuazione di apposite procedure gestionali per singole tipologie di
rifiuti.
Infine gli atti impugnati da un lato violerebbero gli art. 3 e 41 cost, creando
disparità di trattamento fra operatori nazionali e regionali, dall’altro
ostacolerebbero la libera circolazione di beni all’interno degli stati
dell’unione.
Infine la ricorrente chiede la condanna della Provincia di Venezia a risarcirle
il danno subito a seguito dell’interruzione dell’attività presso l’impianto di
proprietà; danno da quantificarsi nella misura accertata in corso di giudizio e
che sarà, comunque, ritenuta di giustizia ovvero in base ai criteri ed alle
modalità stabilite dallo stesso TAR.
Si sono costituite le amministrazioni resistenti, instando per la declaratoria
di improcedibilità per cessazione della materia del contendere, attesa la
presentazione del documento richiesto, e chiedendo comunque la reiezione del
ricorso; la ricorrente ha inoltre insistito per l’accoglimento del ricorso,
osservando che, delle tre prescrizioni contenute nella diffida originariamente
impugnata, ritiene lesiva la prima e la terza, non avendo nulla in contrario
alla presentazione del manuale operativo di cui alla seconda prescrizione, anche
ai limitati fini dell’accoglimento della domanda di risarcimento del danno.
All’odierna udienza, dopo discussione, la causa è passata in decisione.
7. Con il primo motivo, contenuto nel ricorso originario, la ricorrente si duole
della mancata applicazione dell’articolo 7 della legge 241 del 1990, relativo
alla comunicazione previa di avvio del procedimento, motivo contestato
dall’amministrazione sul presupposto che vi sarebbe già stata una precedente
apertura del procedimento, relativa alla diffida, comunicata in relazione
all’accertamento di violazioni afferenti alla mancata registrazione di alcune
operazioni di smaltimento in discarica che, non essendo ancora adeguata alle
disposizioni di cui al decreto legislativo n. 36 del 2003, non sarebbe idonea al
ricevimento dei rifiuti conferiti.
La ricorrente si difende osservando la totale indipendenza di tale procedimento
con quello attivato dal Settore Politiche Ambientali della Provincia con la
diffida 9 dicembre 2005 impugnata con il ricorso in epigrafe.
L’osservazione della ricorrente è corretta, posto che, dall’esame dei due
provvedimenti di diffida, non è dato riscontrare alcun collegamento oggettivo,
non essendo il primo richiamato nel secondo e riguardando questo non violazioni
espresse al decreto autorizzatorio, bensì situazioni di non adeguatezza in
ragione di evenienze normative o dispositive medio tempore intervenute.
Tuttavia, la diffida del 9 dicembre è comunque legittima.
L’operato dell’amministrazione provinciale è di certo non lineare, ma
purtuttavia non affetto dai denunciati vizi; peraltro, l’unico vizio
eventualmente postulabile, di apparente inversione del giusto procedimento, non
risulta proposto.
Osserva infatti il Collegio che l’agire procedimentale seguito risulta il
seguente – e più oltre se ne esaminerà la premessa logico giuridica e la sua
correttezza - : attesa la necessità di adeguamento, si diffidano le ditte
autorizzate ad adottare un manuale operativo; poi, mentre l’autorizzazione è
sospesa, si adottano linee guida, sicchè le ditte uniformandosi ad esse possono
continuare l’attività nelle more della predisposizione del manuale operativo,
laddove molto più corretta sarebbe stata la previa adozione di linee guida con
diffida ad adeguarsi, consentendosi così l’impugnazione in via principale del
vero atto lesivo, costituito appunto dalle linee guida provinciali, cui l’ARPAV
nel parere impugnato non fa altro che riferirsi pedissequamente.
E’ del resto quanto fatto dalla Regione, la quale ha adottato con delibera
giuntale n.80/05 le ridette linee guida, con atto non gravato che si pone come
presupposto dei provvedimenti in epigrafe impugnati, riguardando indicazioni per
ottimizzare la corretta gestione delle terre e rocce da scavo: ai materiali che
superano i limiti di cui al DM n. 471/99 si applica la disciplina sulla gestione
dei rifiuti.
Ma è proprio alla delibera regionale che viene fatto espresso richiamo nella
diffida impugnata, laddove afferma la necessità di presentazione del manuale
operativo “…tenuto conto di quanto disposto dalla deliberazione n.80 del
21.1.2005”.
Dunque è in tale atto che va rinvenuta la necessità di specifico procedimento di
stoccaggio delle terre di scavo provenienti da bonifiche o da interventi di
messa in sicurezza d’emergenza nell’ambito di procedimenti di bonifica dei siti
inquinati, sicchè ben può la Provincia – pur prescindendo dalla già evidenziata
inversione procedimentale – richiedere che le ditte adottino un manuale
operativo a tali attività relativo.
E ciò non per violazione delle prescrizioni contenute nell’atto autorizzatorio,
come detto anche nell’ultimo capoverso della parte narrativa della diffida, ma
per sopravvenuta inadeguatezza dell’autorizzazione medesima, sicchè è esatto il
rilievo della ricorrente che postula una surrettizia modifica
dell’autorizzazione, senza che tuttavia ne derivi alcuna lesione, attesa la
legittimità della prescrizione imposta, una volta che la si faccia discendere
dall’atto regionale, non impugnato.
Ne consegue che non sussiste il vizio di mancata comunicazione previa dell’avvio
del procedimento, perché è la diffida stessa a costituire comunicazione di
avvio; inoltre sono legittime le prescrizioni che hanno condotto la Provincia a
estendere anche alla gestione delle terre da scavo – rifiuto le procedure per il
riutilizzo diretto delle terre dal sito di escavazione.
Come è invero noto, quella riguardante le terre da scavo è una delle controversie interpretative più risalenti.
Da ultimo dispone la legge n 443 del
21 dicembre 2001 "Delega al Governo in materia di infrastrutture ed insediamenti
produttivi strategici ed altri interventi per il rilancio delle attività
produttive" dando interpretazione legislativa agli articoli 7 - comma 3 lett. b)
: Sono rifiuti speciali: ……. b) i rifiuti derivanti dalle attività di
demolizione, costruzione, nonché i rifiuti pericolosi che derivano dalle
attività di scavo; e all’art. 8 - Esclusioni - lett. f-bis) : le terre e le
rocce da scavo destinate all'effettivo utilizzo per reinterri, riempimenti,
rilevati e macinati, con esclusione di materiali provenienti da siti inquinati e
da bonifiche con concentrazione di inquinanti superiore ai limiti di
accettabilità stabiliti dalle norme vigenti.
L’interpretazione è fornita dall’art. 1 commi 17 , 18 , 19 :
17. Il comma 3, lettera b), dell'articolo 7 ed il comma 1, lettera f-bis)
dell'articolo 8 del decreto legislativo n. 22 del 1997, si interpretano nel
senso che le terre e rocce da scavo, anche di gallerie, non costituiscono
rifiuti e sono, perciò, escluse dall'àmbito di applicazione del medesimo decreto
legislativo solo nel caso in cui, anche quando contaminate, durante il ciclo
produttivo, da sostanze inquinanti derivanti dalle attività di escavazione,
perforazione e costruzione, siano utilizzate, senza trasformazioni preliminari,
secondo le modalità previste nel progetto sottoposto a VIA ovvero, qualora non
sottoposto a VIA, secondo le modalità previste nel progetto approvato
dall'autorità amministrativa competente previo parere dell'ARPA sempreché la
composizione media dell'intera massa non presenti una concentrazione di
inquinanti superiore ai limiti massimi previsti dalle norme vigenti.
18. Il rispetto dei limiti di cui al comma 17 può essere verificato in accordo
alle previsioni progettuali anche mediante accertamenti sui siti di destinazione
dei materiali da scavo. I limiti massimi accettabili sono individuati
dall'allegato 1, tabella 1, colonna B, del D.M. 25 ottobre 1999, n. 471 del
Ministro dell'ambiente e successive modificazioni, salvo che la destinazione
urbanistica del sito non richieda un limite inferiore.
19. Per i materiali di cui al comma 17 si intende per effettivo utilizzo per
reinterri, riempimenti, rilevati e macinati anche la destinazione a differenti
cicli di produzione industriale, purché sia progettualmente previsto l'utilizzo
di tali materiali, intendendosi per tale anche il riempimento delle cave
coltivate, nonché la ricollocazione in altro sito, a qualsiasi titolo
autorizzata dall'autorità amministrativa competente, previo, ove il relativo
progetto non sia sottoposto a VIA, parere dell'ARPA a condizione che siano
rispettati i limiti di cui al comma 18 e la ricollocazione sia effettuata
secondo modalità di rimodellazione ambientale del territorio interessato.
Qualora i materiali di cui al comma 17 siano destinati a differenti cicli di
produzione industriale, le autorità amministrative competenti ad esercitare le
funzioni di vigilanza e controllo sui medesimi cicli, provvedono a verificare,
senza oneri aggiuntivi per la finanza pubblica, anche mediante l'effettuazione
di controlli periodici, effettiva destinazione all'uso autorizzato dei
materiali; a tal fine specifica destinazione.
Le “ terre e rocce da scavo” si differenziano dai rifiuti inerti per il fatto
che si tratta di terra e rocce e non di rifiuti da demolizione. La gestione di
questo tipo di materiali ha due regimi giuridici diversi possibili.
Uno è quello dei rifiuti, e quindi debbono essere gestiti secondo le previsioni
di tale regime giuridico: così devono essere adottate le modalità del deposito
temporaneo di cantiere (oppure autorizzato esplicitamente uno stoccaggio) e se
ci sono le condizioni deve essere adottato il registro di carico e scarico, i
rifiuti devono essere allontanati dal cantiere con il formulario e se ci si
serve di altre ditte piuttosto che dei propri mezzi il trasportatore deve essere
in possesso della prescritta autorizzazione presso l’albo gestori rifiuti,
infine il rifiuto deve essere conferito presso impianti autorizzati allo
smaltimento e/o recupero dei rifiuti.
L’altro regime possibile è quello offerto dalla L.443/2001 e successive
modifiche e integrazioni.
In questo secondo caso il materiale è escluso dal campo di applicazione della
normativa sui rifiuti a ben precise condizioni, più qualche precisazione:
1- il materiale deve rispettare i limiti di concentrazione previsti dal DM
471/99 funzionalmente alla destinazione d’uso urbanistica del luogo nel quale
sarà utilizzato;
Con il D.M. Ambiente 25 ottobre 1999 n. 471 è stato redatto il regolamento
recante criteri, procedure e modalità per la messa in sicurezza, la bonifica e
il ripristino ambientale dei siti inquinati ai sensi dell’articolo 17 D. Lgs 5
febbraio 1997 n. 22 (in G .U. 15 dicembre 1999 n. 293).
Finalità precipue del citato regolamento sono quelle di stabilire i criteri, le
procedure e le modalità per la messa in sicurezza, la bonifica e il ripristino
ambientale dei siti inquinati, ai sensi dell'articolo 17, del decreto
legislativo 5 febbraio 1997, n. 22, e successive modifiche ed integrazioni.
Esso, infatti, disciplina:
a - i limiti di accettabilità della contaminazione dei suoli, delle acque
superficiali e delle acque sotterranee in relazione alla specifica destinazione
d'uso dei siti;
b - le procedure di riferimento per il prelievo e l'analisi dei campioni,
c - i criteri generali per la messa in sicurezza, la bonifica ed il ripristino
ambientale dei siti inquinati, nonché per la redazione dei relativi progetti;
d - i criteri per le operazioni di bonifica di suoli e falde acquifere che
facciano ricorso a batteri, a ceppi batterici mutanti, a stimolanti di batteri
naturalmente presenti nel suolo;
e - il censimento dei siti potenzialmente inquinati, l'anagrafe dei siti da
bonificare e gli interventi di bonifica e ripristino ambientale effettuati da
parte della pubblica amministrazione;
f - i criteri per l'individuazione dei siti inquinati di interesse nazionale.;
2- il materiale deve essere effettivamente ed oggettivamente riutilizzato;
3- ai fini dell’impiego delle terre e rocce da scavo nel regime della L.443/2001
deve essere
preventivamente acquisito il parere dell’Arpav od in alternativa il progetto in
cui dette terre
vengono impiegate deve aver subito la VIA con contestuale valutazione dell’uso
di tali terre da scavo;
4- il materiale da scavo deve essere rintracciabile, cioè occorre conservare la
documentazione idonea a individuare in quali siti è stato utilizzato.
Questa esigenza, correlata alla necessità di rispettare il principio di non
diluizione in riferimento alle caratteristiche dell’impianto di destinazione,
giustifica l’intervento dell’amministrazione provinciale, volto a evitare che
rifiuti costituiti da terre da scavo derivanti da siti inquinati, con
caratteristiche di contaminazione completamente diverse, possano essere
mescolate, consentendo che rifiuti con identico codice CER ma con
caratteristiche chimiche tali da non renderli direttamente recuperabili in
determinate attività, lo diventino a causa di miscelazioni comportanti
diluizioni.
Infatti ai sensi dell’art.5 comma 2 del DM 3.8.2005 relativo ai criteri di
ammissibilità dei rifiuti in discarica, non è consentito lo smaltimento di
rifiuti costituiti da terra da scavo senza caratterizzazione ove queste
provengano da siti contaminati, sicchè si giustifica l’esigenza di evitare che
terre contaminate in modo diverso possano essere mescolate tra di loro – in tal
caso, tuttavia, si anticipano qui considerazioni che saranno svolte più oltre, -
essendone mutata la natura o la composizione, il codice CER va desunto dal
gruppo 19 (rifiuti prodotti da impianti di trattamento dei rifiuti) 191301:
rifiuti solidi prodotti dalle operazioni di bonifica dei terreni, contenenti
sostanze pericolose, o 191302, diversi da quelli di cui al codice precedente.
Potrebbe tuttavia ipotizzarsi – ma sul punto non vi è censura- se una volta
identificata la necessità e giustificata la previsione imposta per soddisfare la
prima, sia ammissibile un algoritmo procedimentale difforme da quello indicato
nelle linee guida, ma comunque funzionale alla ridetta necessità; in altri
termini, se la ditta nel proprio manuale operativo possa discostarsi dalle
rigide disposizioni – stoccaggio separato –indicate, assicurando per altro verso
la tracciabilità del rifiuto e la sua non mescolabilità, se non nelle consentite
ipotesi: la natura di linee guida, con un carattere pertanto non direttamente
cogente, pare poter legittimare una interpretazione che consenta alla singola
ditta l’adozione di misure modellate sulle proprie specificità, da sottoporre
naturalmente agli organi di controllo.
Dispone, poi, quanto al profilo della competenza, il comma 7 ter dell’art. 26
della legge regionale n.3 del 2000 come: “ Ferma restando l’esclusione disposta
dal comma 7, la Provincia può richiedere la presentazione del programma di
controllo di cui allo stesso comma 7 per tutti gli impianti di recupero dei
rifiuti con potenzialità superiore a 100 tonnellate al giorno e per gli impianti
di stoccaggio di rifiuti di cui all’articolo 6, comma 1, lettera e) del decreto
legislativo n. 22/1997 e successive modifiche ed integrazioni, ogniqualvolta ciò
si renda opportuno, in considerazione di particolari situazioni territoriali che
richiedano elevato grado di tutela ambientale individuate dalla Provincia
stessa.”, e risulta giustificata la misura assunta nelle linee guida con la
particolare incidenza qualiquantitativa delle bonifiche di siti inquinati.
Respinte dunque le censure relative a competenza provvedimentale e contenuto
delle prescrizioni imposte, anche sotto il profilo della loro congruità, vanno
respinte anche le doglianze relative alla mancanza di pareri della Commissione
ambiente; atteso l’accertato carattere di mera diffida, la censura sulla
mancanza di termine per provvedere, essendo nell’interesse della ditta
ricorrente la presentazione quanto più urgente del documento richiesto, la
censura sulla surrettizia modifica dei codici CER, stante l’accertata differenza
esistente anche tra rifiuti con il medesimo codice e la necessità di mantenerli
distinti.
Respinti i motivi contenuti nel ricorso introduttivo, può passarsi all’esame dei
rilievi contenuti nei motivi aggiunti, prescindendosi dall’esame dell’eccezione
di inammissibilità avanzata dall’ARPAV per mancata impugnazione con nuovo
ricorso, non potendosi individuare connessione alcuna tra la diffida e il parere
ARPAV, per l’infondatezza delle censure .
Ed esclusa la violazione delle disposizioni sulla libera circolazione dei beni e
sull’ostacolo alla stessa, essendo comunque possibile un corretto conferimento,
seppure mediante una diversa organizzazione aziendale, e la violazione dell’art.3
e 41 Cost., posto che anche l’Agenzia per la Protezione Ambientale ha adottato
linee guida sul punto, sicchè è possibile che anche su scala nazionale altre
amministrazioni seguano quella veneziana, va esaminata la censura di cui al
motivo n.2.
La ricorrente, premesso che il punto 10 delle linee guida ARPAV, corrispondente
al punto 6 dell’art.1 delle linee guida provinciali, consente all’operatore
l’accorpamento tra loro di terre collocate omogeneamente entro colonna A, (e tra
colonna A e colonna B, e oltre colonna B), ma che il punto 11, corrispondente al
punto 6, secondo comma, vieta ogni miscelazione prevista dall’art.9 del D.Lgs. n.22/97,
si chiede cosa sia altrimenti consentito, posto che l’art.9 afferma il divieto
di miscelare categorie diverse di rifiuti pericolosi di cui all’allegato G,
ovvero rifiuti pericolosi con rifiuti non pericolosi, mentre il punto 11,
prevede il divieto di miscelazione secondo quanto previsto dall’articolo 9 del
decreto legislativo n. 22 del 1997 sicché, osserva, non sarebbe possibile la
miscelazione di partite di rifiuti non pericolosi pur classificati con il
medesimo codice; inoltre il punto 14, coincidente col punto 7 delle linee guida
provinciali, dispone che se vengono effettuate operazioni di pretrattamento o di
miscuglio che ne hanno mutato la natura o la composizione, ai risultanti rifiuti
vengano attribuiti codici desumibili dal gruppo 19, con una previsione
contraddittoria con quella appena esaminata.
Anche per l’esame di tale doglianza deve essere fatto riferimento alla ratio
della previsione provinciale, volta al rispetto del principio di non diluizione
del rifiuto.
La doglianza non è tuttavia fondata, nei limiti di cui appresso.
Dispone esattamente l’art. 9 citato che “è vietato miscelare categorie diverse
di rifiuti pericolosi ovvero rifiuti pericolosi di cui all'allegato G con
rifiuti non pericolosi”, ma al secondo comma anche che “ In deroga al divieto di
cui al comma 1, la miscelazione di rifiuti pericolosi tra loro o con altri
rifiuti, sostanze o materiali, può essere autorizzata ai sensi dell'articolo 28
qualora siano rispettate le condizioni di cui all'articolo 2, comma 2, e al fine
di rendere più sicuro il recupero e lo smaltimento dei rifiuti”; e infatti
l’autorizzazione della ricorrente prevede la possibilità di miscelazione ( art.5
del decreto 6/8/04), anche se in ogni caso si dovrà poter risalire alle partite
originarie che hanno generato il rifiuto: in tale caso il rifiuto destinato allo
smaltimento – e non al recupero- sarà individuato con il codice CER 190204”
miscugli di rifiuti contenenti almeno un rifiuto pericoloso ( art.7 del decreto
autorizzatorio).
Allora l’imposizione generalizzata di linee guida vietanti tout court la
miscelazione risulterebbe illegittima nei confronti della ricorrente ove non
tenesse conto delle specifiche disposizioni - di deroga e quindi, fermi verso,
di stretta interpretazione, ma anche di prevalenza sulle previsioni generali,
secondo i comuni canoni ermeneutici, regolanti l’autorizzazione concessa ed
ingenerando nella ditta un’obiettiva incertezza sulle modalità effettivamente
utilizzabili.
In sostanza una volta riconosciuta la legittimità dell’adozione delle misure
contenute nelle linee guida, e accertato che l’accorpamento è possibile nei
limiti ivi indicati, vale a dire nel caso in cui non comporti la diluizione di
inquinanti nella massa risultante, il richiamo al generico divieto ex art. 9
deve essere necessariamente letto come relativo a tutto l’art. 9, compreso il
secondo comma, e comprese dunque le previsioni di deroga contenute
nell’autorizzazione richiamata.
E del resto siffatta interpretazione
si inserisce nel solco della ratio più volte ricordata, vale a dire di una
maggior tutela, generale posto che la miscelazione è consentita “al fine di
rendere più sicuro il recupero e lo smaltimento dei rifiuti (cfr. anche il nuovo
art. 187 del D.Lgs. 3.4.2006, n.152, c.d Codice ambientale, entrato in vigore
nelle more della redazione della sentenza) .
Letta in tal modo, la previsione contenuta nelle linee guida è legittima e la
doglianza deve essere respinta, non generando alcuna contraddittorietà nemmeno
con quella di cui al punto 7 delle linee guida, riproduttivo – a sua volta -
nella sostanza, della previsione contenuta nel decreto autorizzatorio.
Del tutto inconferente è infine il motivo di cui a pag.16 del ricorso, atteso
che si riferisce al recupero in regime semplificato, fattispecie estranea al
caso in esame.
Il ricorso deve quindi essere respinto.
Le spese possono tuttavia essere compensate.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto, terza Sezione, respinta
ogni contraria istanza ed eccezione, definitivamente pronunciando sul ricorso in
premessa, lo respinge.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorità amministrativa.
Così deciso in Venezia, in Camera di Consiglio, il 30 marzo 2006.
Il Presidente
Il giudice estensore
Il Segretario
1) Rifiuti – Terre e rocce da scavo – L. 443/2001 – Esclusione dal campo di applicazione della normativa sui rifiuti – Condizioni – Impianto di smaltimento – Provvedimento della Provincia diretto ad assicurare la non diluizione delle terre provenienti da bonifica di siti contaminati – Legittimità. Ai sensi della L. 443/2001 e succ. mod., le terre e rocce da scavo sono escluse dal campo di applicazione della normativa dei rifiuti, a condizione che siano rispettate precise condizioni ricavabili dalla stessa norma: il materiale deve rispettare i limiti di concentrazione previsti dal DM 471/99 (in tema di bonifica dei siti inquinati), funzionalmente alla destinazione urbanistica del luogo nel quale sarà utilizzato; deve essere effettivamente ed oggettivamente riutilizzato; deve essere previamente acquisito il parere dell’ARPAV od in alternativa il progetto in cui dette terre vengono impiegate deve aver subito la VIA con contestuale valutazione dell’uso di tali terre da scavo; le terre devono infine essere rintracciabili, cioè occorre conservare la documentazione idonea a individuare in quali siti è stato utilizzato. Per effetto di quest’ultima esigenza, correlata alla necessità di rispettare il principio di non diluizione in riferimento alle caratteristiche dell’impianto di destinazione, deve ritenersi legittimo l’intervento dell’amministrazione provinciale volto ad evitare che rifiuti costituiti da terre e rocce da scavo derivanti da siti inquinati con caratteristiche di contaminazione completamente diverse, possano essere mescolate, consentendo che rifiuti con identico codice CER ma con caratteristiche chimiche tali da non renderli direttamente recuperabili in determinate attività, lo diventino a causa di miscelazioni comportanti diluizioni. Tale intervento, peraltro, risulta giustificato dall’art. 5, c. 2 del D.M. 3.8.2005, relativo ai criteri di ammissibilità dei rifiuti in discarica, ai sensi del quale non è consentito lo smaltimento di rifiuti costituiti da terra da scavo senza caratterizzazione ove queste provengano da siti contaminati. (Nella specie, la provincia, in epoca successiva al rilascio della autorizzazione alla gestione dell’impianto di stoccaggio intermedio di terre da scavo derivanti dalla bonifica del sito di interesse nazionale di Porto Marghera, aveva prima diffidato il gestore dell’impianto dal ricevere detti materiali; aveva quindi emanato delle linee guida dirette ad assicurare la non diluizione di terre, richiedendo quindi allo stesso operatore di adeguare il proprio manuale di gestione alle linee guida). Pres. De Zotti, Est. Savoia – E. s.p.a. (avv.ti Giuri, Rizzardi e Veronese) c. Provincia di Venezia (avv.ti Brusegan e De Benedetti) e ARPAV (avv. Andreasi Bassi) - T.A.R. VENETO, Sez. III – 23 maggio 2006, n. 1444
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