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 Massime della sentenza

 

 

T.A.R. VENETO Sez. I, 8 Giugno 2006, Sentenza n. 1707
 

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO


IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE
PER IL VENETO

PRIMA SEZIONE



Ricorsi nn. 2182/99 - 1928/00 - 2090/00 - 1235/03
Sent. n. 1707/06


con l'intervento dei magistrati:
Bruno Amoroso Presidente
Italo Franco Consigliere, relatore
Marco Buricelli Consigliere



 


ha pronunciato la seguente


SENTENZA


 

sui ricorsi n. 2182/99, 1928/2000, 2090/2000 e 1235/2003, proposti da Unicomm s.r.l., in persona del suo rappresentante legale sig. Marcello Cestaro, rappresentata e difesa dagli avv. Mario Cannata, Franco Zambelli e, limitatamente al ricorso n. 1235/2003, Guido Zago, con domicilio eletto presso il secondo in Venezia- Mestre, via Cavallotti, n. 22, come da procura a.l. a margine ai ricorsi,


contro


Il Comune di Bassano del Grappa, in persona del Sindaco pro- tempore, rappresentato e difeso dall’avv. Sergio Dal Prà, ed con domicilio presso la segreteria del TAR, ai sensi dell’art. 35 del r.d. 6.6.24 n. 1954, come da delibere di autorizzazione a resistere della G.M. n. 267 del 27.06.2000 e n. 355 del 12.11.2004, e da mandati a margine delle memorie di costituzione,


e nei confronti


- (quanto ai ricorsi n. 2182/99 e n. 2090/2000) la Regione Veneto, in persona del presidente della G.R. pro tempore, non costituitasi in giudizio;
- (quanto ai ricorsi n. 2182/99) la SWEG s.r.l., in persona del suo rappresentante legale in carica, non costituitasi in giudizio;
- (quanto al solo ricorso n. 1235/2003) l’Amministrazione dell’Interno – Prefettura di Vicenza, in persona del Ministro pro- tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura distrettuale dello Stato, domiciliataria ex lege nella sede di Venezia, piazza S. Marco, n. 63,


per l’annullamento
- quanto al ricorso n. 2182/1999, della delibera della G. M. n. 235 dell’1.6.99, recante revoca della delibera di adozione del piano P.P. n. 6- Area De Gasperi, e reiezione del nuovo piano particolareggiato proposto dalla ricorrente, nonché di ogni atto connesso, presupposto o conseguenziale;
- quanto al ricorso n. 1928/99, della nota del Comune prot. n. 2720/PM del 17.4.2000, nonché di ogni atto presupposto, connesso o consequenziale, compresa la delibera della G.M. del 4.4.2000, ivi richiamata;
- quanto al ricorso n. 1235/2003, della nota del Comune prot. n. 6721 del 27.03.2003, di riscontro dell’atto di significazione, e di ogni atto connesso, presupposto o conseguenziale, compresa la delibera della G.M. n. 31 del 25.3.2003,
e per la condanna
quanto al ricorso n. 2090/2000, al risarcimento del danno derivante dalle avversate determinazioni (domanda formulata anche con i precedenti ricorsi).


Visti i ricorsi, notificati, rispettivamente il 24.9.199, il 16.6.2000, il 3.7.2000 ed il 26.5.2003, e depositati presso la segreteria il 4.10.1999, il 23.6.2000, il 7.7.2000 e il 6.6.2003, con i relativi allegati;
visti i motivi aggiunti al ricorso n. 1235/2003, notificati il 29.10.2004;
visti gli atti di costituzione in giudizio delle Amministrazioni comunale e dell’Interno, ritualmente depositate;
viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
visti gli atti tutti della causa;
uditi, alla pubblica udienza dell’11 maggio 2006, relatore il Consigliere Italo Franco, l’avv. Zago, anche in sostituzione dell’avv. Zambelli per la ricorrente, e l’avv. Dal Prà per la P.A. resistente.


Ritenuto in fatto e considerato e in diritto quanto segue:


FATTO


La Unicomm s.r.l. aveva richiesto al Comune di Bassano, nel 1994, l’approvazione di un piano particolareggiato preordinato all’insediamento di una struttura commerciale di vendita in zona del territorio comunale con classificazione coerente con tale destinazione. La G.M. aveva, dopo varia interlocuzione, adottato il P.P., con delibera n. 429 del 15.3.95, con la precisazione che l’approvazione sarebbe intervenuta soltanto dopo la pubblicazione della sentenza sul giudizio, allora pendente, da altri instaurato contro una disposizione delle N.T.A. del P.R.G. vigente, che riservava al comune il 50% della “capacità insediativi totale” (il giudizio era stato, poi, definito con sentenza di questo TAR n. 19.11.96 n. 1918, di annullamento di siffatta disposizione). Con delibera consiliare n. 33 dell’8.5.97 era stata, poi, adottata apposita variante al P.R.G. per l’inserimento di una disposizione delle NTA sostitutiva di quella annullata, variante poi approvata con D.G.R. n. 265 del 2.2.99, donde era scaturita la proposta della Unicomm di un P.P. modificato, in recepimento della stessa.


Poiché il procedimento di approvazione del P.P. ancora non si concludeva, la Unicomm si induceva a notificare al comune una diffida in tal senso. Ma la G.M., con delibera n. 235 dell’1.9.99, revocava l’adozione del P.P. (di cui alla sua precedente delibera n. 429/95), e contestualmente respingeva il P.P. modificato, adducendo a motivo (oltre che la riserva di attesa della definizione del giudizio, e la sentenza sopra richiamate), dopo avere menzionato il riesame del P.P. quanto all’esigenza della localizzazione degli spazi pubblici ricadenti nella fascia di rispetto della prevista strada “Pedemontana” (di cui al parere reso dall’amministrazione provinciale sul progetto, ai sensi del P.T.P.), il contrasto con il piano di emergenza concernente un vicino deposito di GPL gestito dalla ditta SWEG, in corso di approvazione (in conformità ad un parere preventivo richiesto ai V.F.). Ciò in considerazione del rischio di incidenti, poiché nel P.P. si prevede la realizzazione di due edifici artigianali, un parcheggio ed il centro commerciale, ricompresi nelle fasce di pericolosità ivi contemplate.


Contro la deliberazione da ultimo menzionata insorge l’interessata con il ricorso rubricato al n. 2182/99, deducendo con il primo motivo eccesso di potere per sviamento, oltre che violazione degli art. 1.2 e 2.1 della legge n. 241/90 e dell’art. 52 della L.R. n. 61/85 sostenendo che tutto il comportamento osservato dall’amministrazione comunale, attraverso richieste di integrazioni progettuali, verifiche, e così via, denuncia l’intento di non assentire il piano, del resto conforme al PRG, per poi revocare, a distanza di anni, l’adozione da essa stessa deliberata, ignorando le modifiche apportate su sua richiesta.


Con il secondo mezzo si deduce violazione dell’art. 7 della legge n. 241 del 1990 e del principio di affidamento; eccesso di potere per difetto di istruttoria e di motivazione e per sviamento sotto altro profilo, sul rilievo che non è stato comunicato a chi era destinato a subire gli effetti diretti del provvedimento, l’avvio del procedimento di revoca, doverosa nonostante che si versi in materia di procedimenti di pianificazione, poiché si tratta, nella specie, di manifestazione del potere di autotutela. Sono state, in tal modo, conculcate le aspettative edificatorie, coerenti con il PRG., con sviamento quanto all’asserito contrasto con un piano di emergenza ancora in itinere.


Con il terzo motivo si deduce violazione e falsa applicazione dell’allegato C alla variante del P.R.G. concernente l’area assoggettata a P.P.; violazione degli 42 Cost. e 832 c.c.; eccesso di potere per falsa applicazione dell’art. 17 delle NTA, per erroneità dei presupposti, difetto di istruttoria e di motivazione anche in relazione al D.M. 13.10.94, illogicità e incongruità manifeste e sviamento sotto ulteriore profilo, sull’assunto che la P.A. doveva fare esclusivo riferimento alla normativa urbanistica, e che il piano di emergenza riguardante un diverso soggetto non può comportare l’imposizione di vincoli all’edificazione di altri, potendo soltanto imporre a chi esercita attività pericolose, al più, obblighi di adozione di misure idonee e, in caso di inadeguatezza di queste, il trasferimento delle attività pericolose. In ogni caso, la fascia massima da tenere indenne dalle costruzioni –art. 17 delle NTA- potrebbe essere al massimo di 120 metri, ai sensi del D.M. 13.10.94.


Conclude la ricorrente con la domanda di risarcimento del danno arrecatole dal comportamento del comune (formulata nella domanda di misure cautelari).


Si è costituito il Comune, eccependo che il P.P., soltanto adottato, è stato superato dalla normativa sopravvenuta, risultando così in contrasto con il PTP e con il PRG., soggiungendo che nella fattispecie si può parlare solo di aspettativa, laddove ampia è, in materia, la discrezionalità della P.A. Inoltre, stante la diffida, il diniego era atto dovuto. Può essere, comunque, presentato un nuovo progetto. Con successiva memoria la P.A. soggiunge che sua preoccupazione è la sicurezza e che, non potendo il P.P. essere approvato, divengono inammissibili le censure sollevate.


Conclude anche la ricorrente, precisando che l’edificio sarebbe ubicato oltre la fascia di 265 metri, limite successivamente individuato dai V.F. (infra), ribadendo che i titoli edilizi non sono preclusi dalla normativa di sicurezza di cui al D.Lgs n. 334/99, ma solo subordinati al parere del comitato tecnico regionale.


Successivamente la ricorrente aveva presentato (il 13.12.99) un nuovo progetto di piano adeguato alle pretese del Comune (con previsione di arretramento di uno dei fabbricati e riduzione della cubatura), sul quale si era pronunciato favorevolmente il dirigente del settore urbanistica (con nota del 3.2.2000 indirizzata alla CEC). Ma poi, con nota del 17.4.2000, lo stesso dirigente comunicava che la G.M. aveva ritenuto di dovere attendere le disposizioni ministeriali attuative del D. L.vo. n. 334/99 (che ha recepito la direttiva comunitaria 96/82/CE).


Con il ricorso n. 1928/2000 viene impugnata detta nota con la presupposta delibera della G.M., deducendo, con l’unico motivo, violazione e falsa applicazione dell’art. 14 del D. Lgs. 17.8.99 n. 334, dell’art. 52 della L.R. n. 61/85; eccesso di potere per erroneità dei presupposti, difetto di istruttoria e di motivazione, sviamento, ingiustizia manifesta, sul rilievo che non poteva l’amministrazione invocare, a sostegno dell’ulteriore atto dilatorio, disposizioni ancora da emanare, e dunque future, ciò che è dimostrazione della volontà politica di non approvare il P.P., nonostante i pareri favorevoli del dirigente responsabile e dello stesso legale del comune, e dopo che era stata concordata una nuova soluzione progettuale.


Resiste il Comune anche in questo giudizio, richiamando ancora la doverosità dell’applicazione della normativa in materia di sicurezza.


Successivamente parte ricorrente ha proposto il ricorso rubricato al n. 2090/2000, con il quale formula domanda autonoma di risarcimento del danno subito, con riguardo alle somme investite nell’operazione, non conclusa a causa delle tergiversazioni del comune, senza, peraltro, ancora quantificare l’entità del danno.


In relazione a detto petitum eccepisce la P.A. resistente richiamando ancora una volta la doverosità del suo operato, anche con riguardo alle disposizioni attuative del D.Lgs. n. 334/2000, oltre che la non adeguatezza del P.P. al piano di emergenza predisposto dai V.F.


Decorso altro tempo senza che il procedimento pervenisse alla conclusione, nonostante che il competente comitato tecnico regionale (CTR) avesse rideterminato in 265 m. il raggio di pericolosità (quanto alla possibilità di incidenti mortali), la società ricorrente si induceva a notificare al Comune - il 7.2.2003 - un atto di significazione, riscontrato dal Comune con nota del 27.3.2003, dove si comunica di non potere approvare il P.P. fino a quando non saranno recepiti i contenuti del noto piano di emergenza SWEG, e le soluzioni conseguenti alla definizione del progetto esecutivo della progettata autostrada detta “pedemontana” (con riguardo all’impatto con il contesto territoriale, e della suscettibilità di variazione del tracciato).


Contro siffatta determinazione, e la presupposta delibera della G.M. n. 31 del 25.03.2003 ivi richiamata, è stato proposto il ricorso registrato al n. 1235/2003.


Con il primo mezzo si deduce violazione ed errata applicazione degli art. 14, 19, 20 e 21 del D.Lgs. n. 334/99 e del D.M. 9.5.2001; del principio di correttezza e di buona amministrazione; eccesso di potere per erronea presupposizione, difetto di istruttoria, contraddittorietà, perplessità, ingiustizia manifesta e sviamento. Ed invero, il comitato tecnico regionale, con la presenza del rappresentante del comune, si è pronunciato sul rapporto di sicurezza SWEG, modificando il piano di emergenza in conformità all’art. 19 del D. Lgs. n. 334/99, riducendo il raggio di pericolosità, quanto al rischio di incidenti letali, a 265 m., oltre cui ricadono gli edifici progettati nel P.P., piano che ha superato, dunque, la verifica di compatibilità, donde l’obbligo di concludere positivamente il procedimento.
Con il secondo motivo si deduce eccesso di potere per erronea presupposizione, travisamento dei fatti, difetto di istruttoria, illogicità e contraddittorietà; violazione ed errata applicazione dell’art. 71 della L.R. n. 61/85, sul rilievo che l’addotto contrasto con il tracciato della “Pedemontana” è pretestuoso, trattandosi di opera la cui realizzazione (con finanza di progetto) è alla fase iniziale, laddove non si frappongono ostacoli all’approvazione del P.P., in tutto conforme alla disciplina urbanistica.


Seguivano, poi, un nuovo atto di significazione (del 6.7.2004), e un nuovo atto della P.A. resistente, confermativo delle ragioni ostative già espresse, contro il quale sono stati proposti motivi aggiunti, con deduzione delle censure nei medesimi termini formulati con il ricorso introduttivo, soggiungendosi che i Vigili del fuoco, con nota del 24.2.2004, hanno attestato la conformità alle norme di sicurezza. Viene anche ribadita la domanda di risarcimento del danno in correlazione al costo degli investimenti programmati e alla perdita dell’utile conseguente alla mancata attivazione degli insediamenti produttivi, artigianali e commerciali, quantificato indicativamente (con riserva di meglio specificare) in € 25.000.000.


Si è costituito anche qui il comune, riproponendo le argomentazioni già svolte nel contesto dei giudizi precedenti. Anche la ricorrente, con memoria conclusionale, ripropone le censure già svolte.


Si è costituita, infine, anche l’amministrazione dell’Interno, eccependo la sua estraneità alla contesa, e comunque rilevando che il piano di emergenza SWEG approvato da un gruppo di lavoro costituito presso la Prefettura con la presenza di diverse P.A. non è vincolante per il Comune. Nel merito, richiama la già evidenziata riduzione del raggio di pericolosità a 265 metri, soggiungendo che detto piano non attiene alla normativa sull’edilizia e urbanistica, che il diniego è dovuto a valutazioni discrezionali del comune,e che il Ministero è estraneo anche alla domanda di risarcimento.


All’udienza i difensori delle parti hanno svolto la discussione, nel corso della quale, ribadite le proprie ragioni, il difensore di parte ricorrente ha chiesto che venga stralciata la domanda di risarcimento, con riserva di attivarla in separata sede, solo nel caso che non venissero accolte le proprie domande con la conseguente possibilità di realizzare il P.P. di cui è causa. Quindi le cause sono state introitate per la decisione.


D I R I T T O


1- Preliminarmente il collegio dispone la riunione dei giudizi, in considerazione della loro palese connessione, soggettiva e oggettiva.


2- Prima di passare ad esaminare nel merito la controversia nel suo insieme, occorre domandarsi se, come è stato abbozzato nella discussione dal difensore del Comune, e parrebbe corretto da un punto di visto astratto, si debba dichiarare la sopravvenuta carenza di interesse in ordine al primo dei ricorsi riuniti, all’apparenza assorbito dagli sviluppi amministrativi e processuali che sono seguiti.
Al riguardo il Collegio è dell’avviso che non possa addivenersi a una siffatta decisione, pur essendo stato il provvedimento avversato superato dagli atti successivamente emessi dalla P.A. resistente (impugnati con gli ulteriori ricorsi di cui in epigrafe). Ed invero, se possono ritenersi superate le censure mosse nei riguardi del provvedimento impugnato nella parte riferita alla disposta revoca della precedente delibera di adozione del P.P., in considerazione delle successive determinazioni, lo stesso non può dirsi in relazione in alle doglianze svolte nei riguardi della reiezione del P.P. proposto dalla ricorrente.


Queste, infatti, in quanto dirette a contrastare le ragioni del diniego del progetto modificato, rimangono confermate dal fatto che le motivazioni dei successivi dinieghi (rectius: determinazioni sospensive o interlocutorie, se non propriamente dilatorie) si reggono sui motivi già addotti con il primo provvedimento (la sopravvenienza del piano di emergenza concernente la ditta SWEG), e soltanto vengono ampliate con altri argomenti, peraltro già anticipati con quello (il contrasto, o piuttosto l’interferenza, con il tracciato della progettata strada “pedemontana”). Del resto, dette censure sono state riproposte anche con i successivi gravami, essendo il nucleo centrale ostativo dell’approvazione del P.P. (per la P.A. resistente) il medesimo.


Deve ritenersi, pertanto, che permanga l’interesse alla decisione di detto gravame.


3.1- Tanto premesso e considerato, con riguardo a detto ricorso n. 2182/1999, e, segnatamente, alla motivazione addotta per respingere la proposta di P.P. (pure a suo tempo adottato), si può prescindere, qui, dalle ragioni addotte (non nella parte dispositiva, tuttavia) che fanno leva sulla avvenuta adozione soltanto con riserva dell’esito del giudizio pendente –da altri instaurato- e dal richiamo della sentenza che ha definito detto giudizio, non fosse altro che per l’incongruenza delle argomentazioni svolte rispetto al contenuto di detta sentenza.


Ciò premesso, ad avviso del collegio si manifesta fondato, in primis, il terzo motivo. Le censure svolte con il medesimo, peraltro, vengono di seguito esaminate alla luce di quelle svolte negli altri ricorsi riuniti e nei rimanenti scritti difensivi, e valgono anche agli effetti della valutazione di questi.


La motivazione della reiezione fa leva esclusivamente sull’asserita incompatibilità con il piano di emergenza della ditta SWEG (gestore o titolare di un deposito di GPL nei pressi). In sostanza, ciò significa che un impedimento, o vincolo all’edificazione viene frapposto, nel caso di specie, rispetto alla richiesta di approvazione di un piano particolareggiato, che per di più è, pacificamente, in tutto conforme alla classificazione di zona ove è situata l’area interessata (come dimostrato dal certificato di destinazione urbanistica rilasciato dallo stesso comune), per ragioni affatto estranee alla normativa che disciplina l’edilizia e urbanistica.


E’ anche vero che il piano di emergenza –peraltro in fase di definizione tuttora, come è emerso dalla discussione, e comunque all’epoca della comunicazione all’interessata dell’ultima nota impugnata (con i motivi aggiunti al ricorso n. 1235/2003), risalente al 6.7.2004- riguarda un soggetto terzo, e che tutte le implicazioni delle misure assunte con detto piano (ai sensi della normativa sulla sicurezza degli impianti a rischio di incidenti rilevanti, risalente in primis al D. Lgs. n. 334/99, che sarà ancora richiamata più avanti) ricadono, e non potrebbe essere altrimenti, in primo luogo sul soggetto che gestisce impianti del genere, cui si riferisce il piano, tenuto ad osservare tute le prescrizioni discendenti dalla normativa sulla sicurezza, e quelle contenute nel piano di emergenza.


Ciò non significa, peraltro, che dall’insediamento di impianti a rischio di incidenti non possano discendere riflessi o ricadute anche sugli interventi edilizi e urbanistici, nel senso di condizionare l’ubicazione degli interventi edilizi sul territorio, ovvero la distanza rispetto ad insediamenti urbani di altro tipo. Ma, in primo luogo, si osserva che detti condizionamenti –che possono incidere, appunto, sulla distanza, rispetto al sito dove è ubicato detto deposito- riguardano il rilascio degli atti autorizzativi e degli altri di assenso pertinenti proprio degli stabilimenti a rischio di incidenti rilevanti (pena la possibile vanificazione, anche parziale, delle misure imposte ai gestori di impianti siffatti). Vero è che, in secondo luogo, anche i permessi di costruire di altri insediamenti –tra cui ”nuovi insediamenti o infrastrutture attorno agli stabilimenti esistenti”- (cfr. art. 14, co. 1: infra)- possono essere attratti nella normativa di sicurezza, pena la frustrazione delle finalità perseguite dalla stessa, sulla scorta della direttiva 96/82/CE, di cui il D. Lgs., n. 17.08.99 n. 334 costituisce recepimento e attuazione.


Tuttavia, la possibilità di incidere sull’attività edilizia deve esplicarsi in forme ortodosse, quali sono quelle fissate nell’art. 14 del richiamato decreto, dove si prevede che, a seguito dell’emanazione delle norme attuative di detto D.Lgs. n. 334/99, i comuni adottino apposite varianti agli strumenti urbanistici e, in mancanza, in conformità al parere espresso dal comitato tecnico regionale ivi contemplato. Dispongono, infatti, testualmente i commi 1, 3 e 4 dell’art. 15:


“. Entro sei mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto, il Ministro dei lavori pubblici, d'intesa con i Ministri dell'interno, dell'ambiente, dell'industria, del commercio e dell'artigianato e con la Conferenza Stato-regioni, stabilisce, per le zone interessate da stabilimenti a rischio di incidente rilevante che rientrano nel campo di applicazione del presente decreto, requisiti minimi di sicurezza in materia di pianificazione territoriale, con riferimento alla destinazione e utilizzazione dei suoli che tengano conto della necessità di mantenere le opportune distanze tra stabilimenti e zone residenziali nonché degli obiettivi di prevenire gli incidenti rilevanti o di limitarne le conseguenze, per:


a) insediamenti di stabilimenti nuovi;
b) modifiche degli stabilimenti di cui all'articolo 10, comma 1;
c) nuovi insediamenti o infrastrutture attorno agli stabilimenti esistenti, quali ad esempio, vie di comunicazione, luoghi frequentati dal pubblico, zone residenziali, qualora l'ubicazione o l'insediamento o l'infrastruttura possano aggravare il rischio o le conseguenze di un incidente rilevante.


3. Entro tre mesi dall'adozione del decreto di cui al comma 1 o di quello di cui al comma 2, gli enti territoriali apportano, ove necessario, le varianti ai piani territoriali di coordinamento provinciale e agli strumenti urbanistici. La variante è approvata in base alle procedure individuate dall'art. 2 del decreto del Presidente della Repubblica 20 ottobre 1998, n. 447. Trascorso il termine di cui sopra senza che sia stata adottata la variante, la concessione o l'autorizzazione per gli interventi di cui al comma 1, lettere a ), b ) e c ), sono rilasciate qualora il progetto sia conforme ai requisiti di sicurezza previsti dai decreti di cui al comma 1 o al comma 2, previo parere tecnico dell'autorità competente di cui all'art. 21, comma 1, sui rischi connessi alla presenza dello stabilimento, basato sullo studio del caso specifico o su criteri generali.


4. Decorsi i termini di cui ai commi 1 e 2 senza che siano stati adottati i provvedimenti ivi previsti, la concessione o l'autorizzazione per gli interventi di cui al comma 1, lettere a ), b ) e c ), sono rilasciate, previa valutazione favorevole dell'autorità competente di cui all'art. 21, comma 1, in ordine alla compatibilità della localizzazione degli interventi con le esigenze di sicurezza”.
Ora, in mancanza delle disposizioni attuative menzionate nella norma sopra riportata, limiti di distanza potevano essere imposti, quanto all’approvazione del P.P. proposto dalla ricorrente, in conformità al parere espresso dal comitato tecnico competente contemplato nel D.Lgs. n. 334/99, il quale si è espresso, come si evince dalla narrativa in fatto che precede, nel senso che il raggio di pericolosità viene sensibilmente ridotto rispetto alla versione originaria del piano di emergenza, vale a dire da metri 600 a 265, superando, così, l’originaria preclusione frapposta nella delibera impugnata in punto di reiezione del P.P. in discussione. D’altronde, alla data di tale delibera (1.6.99) nemmeno era stato ancora emanato il D.Lgs 17.8.99 n. 334, cosicché limiti vincolanti al riguardo non potevano, all’epoca, essere dedotti soltanto dal piano di sicurezza (cfr., sul punto, quanto si preciserà subito di seguito).


3.2- Più precisamente, in mancanza del D.Lgs. n. 334/99 (allora emanando), andava applicata la normativa in materia di sicurezza allora vigente, che conduce a individuare la distanza minima dei grandi magazzini dai depositi di GPL di capacità superiore a 5 mc. in 120 metri (ovvero, se superiori a 30 mc., in m. 200), distanze desumibili –come rilevato nello stesso primo motivo del ricorso n. 2182/99- dalla “regola tecnica di prevenzione incendi per la progettazione, la costruzione, l'installazione e l'esercizio dei depositi di G.P.L. in serbatoi fissi di capacità complessiva superiore a 5 m3 e/o in recipienti mobili di capacità complessiva superiore a 5.000 kg.” approvata con D.M. 13.10.94 [punti 4.2.1 lett. c), 4.2.3, ecc., ovvero punto 3.2.1 dell’allegato].


4.2- La censura, per le ragioni su esposte, deve ritenersi fondata, e al contempo avvalora anche l’esistenza del vizio di eccesso di potere sotto il profilo dello sviamento, dedotto con il primo mezzo di impugnazione. Lo sviamento sussiste da un punto di vista meramente oggettivo, poiché il comune, nonostante l’interlocuzione intercorsa con la ricorrente e le modifiche progettuali da questa proposte (di cui anche ai ricorsi successivi), essendo (secondo quanto sostenuto nelle difese svolte) dominata dalla preoccupazione della sicurezza, e di evitare conseguenze gravi o letali in caso di incidenti nel deposito di GPL, ha utilizzato strumentalmente il piano di emergenza inerente a tale impianto per denegare l’approvazione del P.P. già adottato (il rilievo vale a maggior ragione in relazione al comportamento e agli atti avversati con i gravami successivi, dal momento che l’atteggiamento negativo della P.A. resistente è continuato anche al cospetto della riduzione del raggio di pericolosità a 265 metri, e al parere favorevole del C.T.R.).
Per le considerazioni su esposte, il ricorso n. 2182/99 si manifesta fondato e va accolto. Per l’effetto, è annullata la delibera impugnata.


5- Che anche il ricorso registrato al n. 1928/2000 debba considerarsi a sua volta degno di accoglimento, si desume, oltre cha dalla consistenza delle censure ivi dedotte, anche da quanto fin qui detto in relazione alla controversia nel suo insieme.
Infatti, dopo che l’impresa ricorrente aveva presentato (il 13.12.99) un diverso progetto di P.P. modificato con l’arretramento degli edifici e la riduzione della volumetria, la P.A. resistente –che prima, mediante una nota a firma del dirigente responsabile indirizzata alla commissione edilizia (del 3.2.2000), aveva mostrato di recepire le ragioni addotte dall’odierna ricorrente, esprimendo parere favorevole all’approvazione del P.P.- manifestava, poi (mediante la delibera della G.M. congiuntamente impugnata), l’intenzione di non approvare detto piano particolareggiato in attesa delle disposizioni ministeriali attuative del D. Lgs. n. 334/99. Ma, a parte che, come si è visto poco addietro, detta fonte normativa contiene in sé disposizioni,per così dire, di chiusura, tali da consentire la definizione delle pratiche anche in mancanza dell’emanazione delle disposizioni di attuazione (in particolare, mediante l’espressione del parere del C.T.R.), sta di fatto che, all’epoca, tali disposizioni mancavano. Rebus sic stantibus, non poteva la P.A. competente invocare a sostegno di un atto soprassessorio (che determinava l’arresto, peraltro, del procedimento riavviato con la presentazione del P.P. modificato che in tal modo rimaneva sospeso a tempo indeterminato, in violazione dell’art. 2 della legge n. 241/90), norme o disposizioni future, non in essere al momento della determinazione assunta.
Anche detto gravame va, dunque, accolto, con l’effetto dell’annullamento delle determinazioni impugnate, di cui all’epigrafe.


6- Quanto al ricorso n. 1235/2003 (ed ai relativi motivi aggiunti), lo stesso si rivela a sua volta fondato, in gran parte sulla base delle considerazioni già espresse discutendo del primo del ricorsi riuniti.
Che, infatti, il raggio di pericolosità fosse stato ridotto a 265 metri, si evince dal verbale relativo al parere espresso dal comitato tecnico regionale nella seduta del 20 giugno 2002 istituito dal D.Lgs. n. 334/99. Risulta, poi, che, sia pure su sollecitazione dell’interessata, si sia espresso nel senso della compatibilità del progetto di centro commerciale da realizzare in via De Gasperi, sia pure con prescrizioni, con la normativa antincendio anche il Comando provinciale dei Vigili del fuoco di Vicenza (con nota del 24.02.2004).
Orbene, nonostante che, formalmente, non fosse ancora approvato il piano di emergenza, non pare che potessero ravvisarsi ancora ostacoli per la conclusione del procedimento diretto a sfociare nell’approvazione del piano particolareggiato, stante la sua incontestata conformità al P.R.G. (sempre che non fosse stata adottata, nelle more, una variante al P.R.G.)
Quanto, poi, all’invocato progetto di realizzazione della strada “Pedemontana”, appare evidente che, al momento delle note impugnate con il ricorso (27.3.2003) e con i motivi aggiunti (6.7.2004), non sembra potersi legittimamente addurre a motivo dell’ennesimo rinvio della conclusione del procedimento sine die (“fino a quando non verranno recepiti gli elementi pertinenti del nuovo piano di emergenza esterno... e le soluzioni conseguenti alla definizione del progetto esecutivo della superstrada pedemontana”, espressione in sé alquanto sfumata e ambigua contenuta nella nota del 27.3.2003), dal momento che nulla di specifico si dice in merito al progetto esecutivo e alla distanza dei manufatti di progetto del P.P.


Conclusivamente, per le considerazioni su esposte, anche il ricorso n. 1235/2003 si manifesta fondato e va accolto. Per l’effetto, va ordinato al comune di Bassano si concludere senza indugio il procedimento di approvazione del P.P., con un provvedimento espresso, conclusivo del medesimo, sulla scorta della normativa retro richiamata, tenendo presente la distanza individuata nei pareri (del CTR e del Comando dei V. F. poco sopra menzionati).


Quanto, infine, al ricorso n. 2090/2000, non vi è luogo a pronunciarsi sudi esso, stante la domanda, formulata in udienza dal difensore della ricorrente, di stralcio della domanda di risarcimento del danno conseguente dal comportamento del Comune, con riserva di riattivare la stessa nell’ipotesi che l’accoglimento dei rimanenti ricorsi non comporti la reintegrazione in forma specifica (rectius: il conseguimento del bene della vita cui la ricorrente aspira, vale a dire la realizzazione del P.P., con l’apertura del centro commerciale)


Possono, tuttavia, compensarsi integralmente fra le parti le spese e onorari di giudizio.


P. Q. M.


Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto, Sezione prima, definitivamente pronunziando sui ricorsi in epigrafe, respinta ogni contraria domanda ed eccezione, preliminarmente li riunisce. Indi –omessa ogni pronuncia sulla domanda di risarcimento del danno, di cui, segnatamente, al ricorso n. 2090/2000, accoglie tutti gli altri ricorsi.


Per l’effetto, annulla la delibera impugnata con il ricorso n. 2182/99; ordina al Comune di Bassano di concludere il procedimento di approvazione del piano particolareggiato di cui è causa mediante un provvedimento espresso, sulla base della normativa e degli atti indicati in motivazione, entro il termie di 30 giorni dalla comunicazione in via amministrativa –o dalla notifica a cura diparte, se più tempestiva- della presente sentenza.


Compensa integralmente tra le parti costituite le spese e onorari di giudizio..


Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.


Così deciso in Venezia, in camera di consiglio, addì 11 maggio 2006.


Il Presidente l'Estensore

il Segretario
 

 

M A S S I M E

Sentenza per esteso


1) Urbanistica – Impianti a rischio di incidenti rilevanti – Riflessi sugli interventi urbanistici ed edilizi – D.Lgs. 334/1999. Dall’insediamento di impianti a rischio di incidenti rilevanti discendono riflessi sugli interventi edilizi ed urbanistici, nel senso di condizionamento sull’ubicazione degli interventi edilizi sul territorio, ovvero sulla distanza rispetto ad insediamenti urbani di altro tipo, pena la frustrazione delle finalità perseguite dalla normativa di sicurezza, sulla scorta della direttiva 96/82/CE, di cui il D. Lgs., n. 17.08.99 n. 334 costituisce recepimento e attuazione. Tuttavia, la possibilità di incidere sull’attività edilizia deve esplicarsi in forme ortodosse, quali sono quelle fissate nell’art. 14 del richiamato decreto, dove si prevede che, a seguito dell’emanazione delle norme attuative di detto D.Lgs. n. 334/99, i comuni adottino apposite varianti agli strumenti urbanistici e, in mancanza, in conformità al parere espresso dal comitato tecnico regionale ivi contemplato. Pres. Amoroso, Est. Franco – U. s.r.l. (avv.ti Cannata, Zambelli e Zago) c. Comune di Bassano del Grappa (avv. Dal Prà), riunito ad altri ricorsi - T.A.R. VENETO, Sez. I – 8 giugno 2006, n. 1707

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