Per altre sentenze vedi: Sentenze per esteso
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T.A.R. VENETO Sez.
I, 6 Settembre 2006, Sentenza n. 2858
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
IL
TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE
PER IL VENETO
PRIMA SEZIONE
Ric. n. 2932/1994
Sent. n. 2858/06
con l'intervento dei signori magistrati:
Bruno Amoroso Presidente
Lorenzo Stevanato Consigliere
Fulvio Rocco Consigliere, estensore
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso R.G. 2932/1994 , proposto dalla Cementeria Monselice S.p.a.,
in persona del suo legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso
dall’Avv. Annamaria Tassetto e dall’Avv. Franco Zambelli, con domicilio eletto
presso il loro studio in Venezia-Mestre, dapprima in Via Ospedale n. 9/12 e poi
in Via Felice Cavallotti n. 22,
contro
l’Ente Parco Regionale dei Colli Euganei, in persona del suo legale rappresentante pro tempore, costituitosi in giudizio, rappresentato e difeso dapprima dall’Avv. Giulio Schiller e dall’Avv. Ugo Quaglia con elezione di domicilio in Venezia presso lo studio dell’Avv. Alfredo Bianchini, Piazzale Roma n. 461, e poi dall’Avv. Paolo Bettiol con elezione di domicilio presso il suo studio in Venezia, San Marco n. 5355,
per l’annullamento
della deliberazione del Consiglio dell’Ente Parco Regionale dei Colli
Euganei n. 1 dd. 6 maggio 1994, recante l’adozione del Piano Ambientale del
Parco, depositata per giorni 30 a decorrere dalla pubblicazione nel Bollettino
Ufficiale della Regione Veneto n. 42 dd. 20 maggio 1994; nonché di tutti gli
atti ad essa allegati, ed in particolare della Relazione al Piano anzidetto,
delle norme di attuazione, del programma finanziario di massima, dell’analisi e
documentazione; nonché del parere espresso al riguardo dal Comitato
Tecnico-Scientifico in data 7 settembre 1994, della deliberazione del Comitato
Esecutivo n. 64 dd. 4 maggio 1994 come modificato ed integrato dalla Commissione
Ambiente, della deliberazione del Consiglio dell’Ente Parco Regionale dei Colli
Euganei n. 9 dd. 28 settembre 1991 recante l’approvazione del documento
programmatico preliminare e della deliberazione del medesimo Consiglio n. 15 dd.
26 novembre 1993 recante l’approvazione degli indirizzi per la stesura del
progetto definitivo di Piano; e, ancora, di ogni altro atto presupposto e
conseguente.
Visto il ricorso con i relativi allegati, notificato il 12 settembre 1994 e
depositato il 14 settembre 1994;
visto l’atto di costituzione in giudizio dell’Ente Parco Regionale dei Colli
Euganei;
viste le memorie prodotte dalle parti;
visti gli atti tutti di causa;
uditi nella pubblica udienza dell’8 giugno 2006 (relatore il consigliere Fulvio
Rocco) l’Avv. Filippo Cazzagon in sostituzione dell’Avv. F. Zambelli per la
ricorrente Società e l’Avv. P. Bettiol per l’Ente Parco Regionale dei Colli
Euganei;
ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:
FATTO E DIRITTO
1.1. La ricorrente, Cementeria di Monselice S.p.a., espone di essere
proprietaria nel territorio comunale di Monselice (Padova) di uno stabilimento
per la produzione del cemento di rilevante importanza, nel quale sono occupati
più di 200 dipendenti e che garantisce – sempre secondo le affermazioni della
ricorrente – un indotto occupazionale per altre 300 persone.
Tale struttura produttiva sorge su di un’area a ridosso della ferrovia Padova –
Bologna, alla quale è collegata con un raccordo.
L’area medesima è qualificata come industriale dal vigente strumento urbanistico
primario.
La ricorrente afferma, inoltre, che nello stabilimento sono state realizzate in
epoca di poco antecedente alla proposizione del ricorso in epigrafe (1994) opere
di ammodernamento comportanti una spesa di 20 miliardi di lire circa e che hanno
comportato il rilascio, da parte dell’Amministrazione Comunale, di concessioni
edilizie subordinate, tra l’altro, alla presentazione di un progetto di
piantumazione dell’intera area di proprietà, di un ulteriore progetto di
tinteggiatura a fasce orizzontali delle strutture esistenti e in corso di
realizzazione al fine di migliorarne l’impatto visivo e la modificazione delle
tramogge.
Con deliberazione n. 1 dd. 6 maggio 1994 il Consiglio dell’Ente Parco Regionale
dei Colli Euganei ha adottato il Piano Ambientale del Parco, a’ sensi dell’art.
3 e ss. della L.R. 10 ottobre 1989 n. 38 e 9 e ss. della L.R. 16 agosto 1984 n.
40, il quale contempla - per quanto qui segnatamente interessa – l’inclusione
nel territorio del Parco medesimo dell’intera area su cui sorge lo stabilimento
di proprietà della ricorrente.
Cementeria di Monselice afferma, a tale riguardo, che il Piano di cui trattasi
“allargata a dismisura (per una quota non inferiore al 35%) la perimetrazione
del Parco rispetto a quella voluta dal legislatore, ha inserito il complesso
industriale della società all’interno del parco stesso, ha qualificato
l’attività produttiva incompatibile “con la finalità del Parco” ed ha introdotto
statuizioni pianificatorie che costituiscono grave pregiudizio per la
continuazione dell’esercizio industriale e per la permanenza in loco delle
strutture produttive. E’ stata, infatti, prevista la stipula di una apposita
convenzione con l’Ente Parco e con la Regione per disciplinare tutti gli
interventi edilizi di adeguamento degli impianti e delle strutture (art. 19
delle N.T.A.), che eccedono la mera manutenzione. In tal modo tutti gli
interventi tecnologici e di adeguamento sono sottratti alle scelte
programmatorie della società e svincolati dalla legittimazione dell’Ente
territoriale locale per dover soggiacere alle determinazioni di Enti privi di un
immediato rapporto territoriale. Il che” comporterebbe, sempre ad avviso della
ricorrente, “la manifesta volontà di pervenire attraverso una lenta agonia
economica-strutturale alla cessazione della attività in essere” (cfr. pagg. 4 e
5 dell’atto introduttivo del presente giudizio).
1.2. Con il ricorso in epigrafe Cementeria di Monselice chiede, pertanto,
l’annullamento della testè citata deliberazione del Consiglio dell’Ente Parco
Regionale dei Colli Euganei n. 1 dd. 6 maggio 1994 depositata per giorni 30 a
decorrere dalla pubblicazione nel Bollettino Ufficiale della Regione Veneto n.
42 dd. 20 maggio 1994; nonché di tutti gli atti ad essa allegati, ed in
particolare della Relazione al Piano anzidetto, delle norme di attuazione, del
programma finanziario di massima, dell’analisi e documentazione.
La ricorrente chiede – altresì – l’annullamento del parere espresso al riguardo
dal Comitato Tecnico-Scientifico in data 7 settembre 1994, della deliberazione
del Comitato Esecutivo dell’Ente Parco Regionale dei Colli Euganei n. 64 dd. 4
maggio 1994 come modificato ed integrato dalla Commissione Ambiente, della
deliberazione del Consiglio dell’Ente Parco Regionale dei Colli Euganei n. 9 dd.
28 settembre 1991 recante - a sua volta - l’approvazione del documento
programmatico preliminare e della deliberazione del medesimo Consiglio n. 15 dd.
26 novembre 1993 recante l’approvazione degli indirizzi per la stesura del
progetto definitivo di Piano; e, ancora, di ogni altro atto presupposto e
conseguente.
La ricorrente Società deduce al riguardo eccesso di potere per illogicità,
incongruità, sviamento, violazione degli artt. 1, 2 e 3 della L.R. 10 ottobre
1989 n. 38, violazione del contenuto del Piano territoriale regionale di
coordinamento (PTRC) e, segnatamente, dell’art. 33 delle N.T.A. del PTRC
medesimo, ulteriore eccesso di potere per illogicità, incongruità, carenza di
istruttoria e difetto di motivazione, violazione dei principi discendenti dagli
artt. 3 e 41 Cost., ulteriore eccesso di potere per illogicità e incongruità,
carenza di motivazione sotto altro profilo, sviamento sotto più profili,
violazione dell’art. 33, punto 2, secondo comma, delle N.T.A. del PTRC,
ulteriore eccesso di potere per incongruità, illogicità, contraddittorietà
intrinseca, sviamento, errata interpretazione dell’art. 26 della L. 6 dicembre
1991 n. 394, dell’art. 27 della L. 8 giugno 1990 n. 142, ulteriore violazione
dei principi discendenti dall’art. 41 Cost., violazione dell’art. 3 della L. 7
agosto 1990 n. 241, ulteriore eccesso di potere per difetto di motivazione,
violazione dell’art. 3 della L. 241 del 1990, violazione della procedura
disposta ex lege.
2. Si è costituito in giudizio l’Ente Parco Regionale dei Colli Euganei,
replicando puntualmente alle censure avversarie e concludendo per la reiezione
del ricorso.
Peraltro, nella propria memoria dd. 29 maggio 2006 la difesa dell’Ente Parco ha
pure eccepito, in via preliminare, il difetto di interesse alla decisione
dell’impugnativa.
3. Con memoria dd. 24 maggio 2006 la difesa di Cementeria di Monselice ha
insistito, a sua volta, per l’accoglimento del ricorso.
4. Alla pubblica udienza dell’8 giugno 2006 la causa è stata trattenuta per la
decisione.
5.1. Tutto ciò premesso, il Collegio deve farsi innanzitutto carico di esaminare
l’eccezione di difetto di interesse all’impugnazione formulata dalla difesa
dell’Ente Parco.
5.2. Va preliminarmente rilevato che, a’ sensi dell’art. 19, comma 1, delle
N.T.A. dell’impugnato Piano Ambientale – che nelle more della decisione del
ricorso è stato approvato con deliberazione del Consiglio Regionale n. 64 dd. 7
ottobre 1998 (cfr. 2 della memoria dell’Ente Parco dd. 26 maggio 2004, nonché
doc. 5 dell’Ente medesimo prodotto il 3 giugno 2004) – “sono incompatibili con
le finalità del Parco le seguenti attività ed impianti: a) le attività ed
impianti estrattivi fatto salvo quanto consentito dall’art. 20 commi 7, 8, 10 e
dalla legge regionale 10 ottobre 1989 n. 40; b) le installazioni di impianti per
l’emittenza radiotelevisiva, salva la rilocalizzazione …; c) gli impianti
produttivi ad alto impatto ambientale, quali le cementerie; …”.
Il comma 3 dello stesso articolo dispone, a sua volta, che “per quanto concerne
le cementerie esistenti individuate nella tavola C3 in aree di riconversione
fisica e funzionale con la numerazione 15, 16 e 17 e per le quali è prevista la
approvazione di progetti di intervento unitario ai sensi dell’art. 36, l’Ente
potrà sollecitare la conclusione di accordi di programma con la Regione, il
Ministero dell’ambiente, i Comuni e gli altri soggetti pubblici competenti, ai
sensi dell’art. 26 della L. 6 dicembre 1991 n. 394 e dell’art. 27 della L. 8
giugno 1990 n. 142, per il coordinamento delle azioni di contenimento
dell’impatto ambientale e paesistico e per concertare, con le aziende stesse,
strategie di adeguamento, ed eventuale riconversione e/o rilocalizzazione delle
attività e degli impianti. In ogni caso gli interventi eccedenti la manutenzione
e l’adeguamento degli impianti e delle strutture e le ristrutturazioni interne,
sono subordinati alla stipula di apposite convenzioni, con la partecipazione
dell’Ente Parco e dei Comuni interessati, che definiscano in particolare: a) le
modalità e i tempi di prosecuzione dell’attività, con particolare riguardo per
il traffico indotto; b) le modalità e i tempi delle eventuali dismissioni,
nonché delle condizioni di riuso dei sedimi e dei fabbricati, da verificare
nell’ambito degli strumenti urbanistici locali, secondo le indicazioni del P.A.;
c) i programmi di investimento, di riassorbimento occupazionale e di eventuale
rilocalizzazione in aree esterne”.
Il susseguente comma 4 dispone nel senso che “l’Ente Parco è impegnato –
d’intesa con gli Enti Locali interessati e le altre autorità competenti – a
promuovere il controllo sulla consistenza e composizione delle emissioni causate
dall’attività delle cementerie di cui al comma 3”.
L’art. 36, punto 15, delle medesime N.T.A. dispone, per quanto attiene alla
Cementeria di Monselice (15), alla Cementeria Italcementi (16) e alla Cementeria
Cementizillo, che “per ciascuno di tali impianti, un apposito progetto unitario
deve coordinare gli interventi necessari per migliorare l’inserimento
ambientale, mitigandone l’impatto con la ricomposizione paesistica e l’arredo
vegetale, e per conseguire gli obiettivi di adeguamento o riconversione fisica
e/o funzionale decisi a livello regionale”.
5.3. Orbene, nella propria memoria dd. 29 maggio 2006 la difesa dell’Ente Parco
afferma, testualmente, che “a tutt’oggi il progetto unitario relativo alla
Cementeria di Monselice previsto dall’art. 36 delle N.T.A. non è stato approvato
e nessuna convenzione è mai stata stipulata tra l’Ente Parco, la Cementeria e la
Regione per disciplinare gli interventi edilizi di adeguamento degli impianti e
delle strutture che eccedono la mera manutenzione. Per contro, dal 1991 ad oggi,
l’Ente Parco ha emesso ben 49 provvedimenti (v. docc. da 1 a 6 di nuova
produzione) su richiesta della Cementeria di Monselice, tutti favorevoli alla
stessa, in quanto autorizzativi dell’esecuzione di interventi eccedenti
l’ordinaria manutenzione degli impianti; utilizzando, peraltro, la procedura
ordinaria (concessione di provvedimento autorizzatorio a firma del Presidente o
del Direttore del Parco a fronte della semplice richiesta presentata dalla
società interessata), anziché quella consistente nella stipula di apposite
convenzioni. Quindi, nonostante le molte doglianze della società ricorrente, ad
oggi nessun concreto nocumento ha avuto la medesima dalla sua inclusione
nell’ambito del perimetro del Parco dei Colli Euganei. E, con ogni probabilità,
nessun nocumento avrà in futuro, avendo ampiamente dimostrato l’Ente Parco la
sua volontà di non ostacolare l’attività d’impresa della cementeria, rendendone
bensì compatibile l’esercizio con le esigenze di tutela ambientale
istituzionalmente perseguite. … Solo supposta e certamente non attuale appare la
“tanto paventata” delocalizzazione degli impianti … . D’altro canto, proprio la
previsione nel Piano di tutta una serie di principi e considerazioni che tengono
conto delle esigenze di promozione e organizzazione delle attività
economiche-produttive e dei relativi strumenti attuativi, lungi dal denunciare
una qualche incoerenza o contraddittorietà con esse esigenze, confermano la
validità e compiutezza dell’analisi effettuata dall’Ente nella predisposizione
del Piano. Per l’effetto, non è rinvenibile nel ricorso che ci occupa, alcun
interesse all’impugnazione del Piano” (cfr. pag. 1 e ss. memoria cit.).
Il Collegio, per parte propria, dissente dalla testè descritta prospettazione
della difesa dell’Ente Parco, nell’esposizione della quale – del resto, e quanto
mai significativamente – ci si astiene dallo specificare se è in tal modo
eccepita un’originaria carenza dell’interesse a ricorrere (di per sé comportante
una dichiarazione di inammissibilità dell’impugnativa), ovvero una sopravvenuta
carenza dell’interesse alla decisione del ricorso (comportante, per contro, una
pronuncia di improcedibilità dell’impugnativa medesima).
Va rilevato, infatti, che la pur documentata circostanza che l’Amministrazione
intimata ha sin qui assentito sotto il profilo ambientale la realizzazione di
numerose opere eccedenti l’ordinaria manutenzione degli impianti di proprietà
della ricorrente soprassedendo a tutt’oggi (ossia per ben 12 anni) dal dare
attuazione a quanto disposto dagli artt. 19 e 36 delle N.T.A. del Piano qui
impugnato, non può per certo configurarsi quale prassi che, in via del tutto
illegittima, disapplica il contenuto della sovrastante (ed ancorché, a tutt’oggi,
materialmente inapplicata) disciplina pianificatoria.
In tal senso, quindi, la tutela della ricorrente Società non può fondarsi sulla
mera “probabilità” - per usare le stesse parole della difesa dell’Ente Parco –
che “ nessun nocumento” si produrrà “in futuro” in forza di una disattesa
attuazione del regime convenzionale previsto dalle norme di Piano, rientrando –
semmai – sin d’ora nella specifica sfera di interessi della Società medesima la
rimozione di quella disciplina pianificatoria, comunque già introdotta
nell’ordinamento e - pertanto – di per sé vigente, per effetto della quale la
propria area, destinata ad attività produttiva secondo la concomitante
disciplina urbanistica di fonte comunale (a sua volta, parimenti vigente al
momento dell’adozione dei provvedimenti qui impugnati), è stata ricompressa in
un ambito territoriale – quello, per l’appunto, di competenza dell’Ente Parco –
assoggettato, per contro, ad un regime di tutela ambientale estremamente rigido
proprio perché fondato su di un netto e del tutto incontrovertibile giudizio di
incompatibilità dell’attività produttiva rispetto alle finalità istituzionali
perseguite dall’Ente Parco medesimo, con la conseguente e del tutto esplicita
prefigurazione di misure che potrebbero pure impedire, allorquando la disciplina
del Piano dovesse trovare applicazione mediante le convenzioni in essa previste,
non soltanto la manutenzione straordinaria degli impianti ma anche determinare
il trasferimento in altro sito dello stabilimento.
Da tutto ciò discende, dunque, l’indubbia sussistenza di un interesse di
Cementeria di Monselice sia alla proposizione che alla decisione del ricorso in
epigrafe.
6.1. Precisato ciò, il ricorso in epigrafe va respinto.
6.2. Con il primo ordine di censure la ricorrente deduce eccesso di potere per
illogicità, incongruità, sviamento, violazione degli artt. 1, 2 e 3 della L.R.
38 del 1989, affermando che il disposto allargamento dell’originario territorio
dell’Ente Parco, puntualmente individuato dall’art. 1 della medesima L.R. 38 del
1989 sia mediante l’enunciazione dei Comuni il cui territorio rientra “in tutto
o in parte” nel Parco (Abano Terme, Arquà Petrarca, Battaglia Terme, Baone,
Cervarese Santa Croce, Cinto Euganeo, Este, Galzignano, Lozzo Atestino,
Monselice, Montegrotto Terme, Rovolon, Teolo, Torreglia, Vò Euganeo: cfr. ivi,
comma 2), sia – soprattutto – mediante l’individuazione del territorio medesimo
mediante una planimetria in scala 1: 25.000 allegata alla stessa L.R. 38 del
1989 (cfr. ibidem, comma 1), deborderebbe dalla competenza devoluta agli organi
dell’Ente Parco, non ravvisandosi in tal senso la sussistenza di una delega a
quest’ultimo da parte del legislatore regionale affinché possa essere modificato
mediante mero atto amministrativo il contenuto della legge istitutiva del Parco.
La ricorrente Società non sottace, in tal senso, che a’ sensi dell’art. 2, lett.
a), della L.R. 38 del 1989 “il Piano Ambientale” adottato dal Consiglio
dell’Ente Parco e approvato dal Consiglio Comunale “determina” anche “le
eventuali modifiche al perimetro del Parco” medesimo, ma reputa che in tal modo
il legislatore avrebbe in realtà prefigurato – in conformità a quanto
ordinariamente previsto in sede di strumenti di pianificazione attuativa –
possibili “modiche correzioni” o “rettifiche” dei confini del Parco, al fine di
adattarli a particolari e del tutto circoscritte esigenze di tutela ambientale,
e non già una vera e propria sostituzione, da parte degli organi dell’Ente
Parco, alla competenza legislativa del Consiglio Regionale, con la conseguente
espansione del territorio del Parco ad aree esterne al perimetro fissato ex lege
e l’altrettanto conseguente ricomprensione nella disciplina di tutela ambientale
propria del Parco stesso di aree comunque estranee a tali esigenze di tutela.
La ricorrente ribadisce tali assunti anche nella propria memoria defensionale,
rilevando –altresì - che non a caso l’art. 7, secondo comma, n. 2, della L.R. 16
agosto 1984 n. 40 - recante le disposizioni di ordine generale per l’istituzione
dei Parchi e delle Riserve Naturali regionali – assegnerebbe alle leggi
rispettivamente istitutive la competenza a stabilire “il perimetro del Parco o
Riserva e dell' eventuale area di pre - parco anche in variante alla
delimitazione di cui all'art. 5”, ossia disposta in via interinale nell’ambito
del Piano territoriale regionale di coordinamento (PTRC) con atto proposto dalla
Giunta Regionale e approvato dal Consiglio Regionale prima dell’entrata in
vigore delle singole leggi istitutive degli Enti Parco.
La ricorrente richiama, inoltre, a conforto delle proprie tesi sia la
giurisprudenza che afferma la sussistenza della competenza della Regione Veneto,
e non già degli Enti Locali, ad istituire i Parchi naturali previsti dal PTRC (cfr.
Cons. Stato, Sez. VI, 31 maggio 1996 n. 758) e che, per quanto attiene alla
disciplina vigente nella Regione Lombardia, richiede che l’individuazione e la
disciplina e dei Parchi naturali avvenga mediante legge regionale, e non già
mediante atto amministrativo (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 3 marzo 2004 n. 1052).
Il Collegio, per parte propria, dissente da tali assunti.
Nessun elemento testuale o sistematico conforta, infatti, l’interpretazione
restrittiva dell’art. 2, lett. a), della L.R. 38 del 1989 proposta dalla
ricorrente in ordine all’estensione delle modifiche al perimetro del Parco
apportabili in sede di adozione e di approvazione del Piano Ambientale, posto
che – per contro - risulta ben evidente la volontà del legislatore regionale di
affidare alla competenza della discrezionalità tecnico – amministrativa
l’introduzione di eventuali variazioni ai confini del Parco, pur ab origine
direttamente individuati dalla fonte legislativa, ove indotte dalle esigenze del
perseguimento dei fini istituzionali dell’Ente complessivamente enunciati
dall’art. 2 della medesima L.R. 38 del 1989 (cfr. ivi: la protezione del suolo e
del sottosuolo, della flora, della fauna, dell’acqua; la tutela, il
mantenimento, il restauro e la valorizzazione dell' ambiente naturale, storico,
architettonico e paesaggistico considerato nella sua unitarietà e il recupero
delle parti eventualmente alterate;
la salvaguardia delle specifiche particolarità antropologiche, geomorfologiche,
vegetazionali, faunistiche, archeologiche e paleontologiche; la fruizione a fini
scientifici, culturali e didattici; la promozione, anche mediante la
predisposizione di adeguati sostegni tecnico - finanziari, delle attività di
manutenzione degli elementi naturali storici costituenti il Parco, nonchè delle
attività economiche tradizionali, compatibili con l’esigenza primaria della
tutela dell' ambiente naturale e storico; lo sviluppo sociale, culturale ed
economico delle popolazioni comprese nell’ambito del parco e su di esso
gravitanti;la promozione delle funzioni di servizio per il tempo libero e di
organizzare dei flussi turistici presenti nelle zone euganee e nell’intero
ambito regionale) e che, pertanto, le modifiche stesse ragionevolmente non sono
assoggettate a limiti di ordine quantitativo, fermo peraltro restando che le
ulteriori porzioni di territorio includibili entro i confini del Parco devono
essere comunque comprese nell’ambito degli anzidetti Comuni menzionati dall’art.
1, secondo comma, della stessa L.R. 38 del 1989 e che la loro introduzione nel
contesto pianificatorio del Parco stesso deve essere rigorosamente giustificata
da idonee ragioni di tutela dell’ambiente in conformità delle testè enunciate
finalità istituzionali dell’Ente.
Né giova alla tesi della ricorrente il richiamo alla disciplina di ordine
generale contenuta nell’art. 7, secondo comma, n. 2, della L.R. 40 del 1984,
posto che essa va riguardata come disposizione di principio che affida alla
competenza del legislatore regionale la fissazione dei confini dei Parchi e
delle Riserve al momento della loro contestuale istituzione, disposta sempre in
via legislativa, trasponendo in tal modo nella stessa fonte normativa primaria i
confini dei relativi ambiti per l’innanzi individuati mediante mero
provvedimento amministrativo in sede di prima applicazione della stessa L.R. 40
del 1984: ma da ciò non può per certo discendere un divieto, per lo stesso
legislatore, di consentire che siano successivamente apportate modifiche ai
confini stessi mediante ulteriori provvedimenti amministrativi, tra l’altro
rientranti non nell’esclusiva competenza degli Enti Parco ma assoggettati
all’approvazione del medesimo Consiglio Regionale, alla stessa guisa del PTRC.
Del resto, la disposizione contenuta nell’art. 2, lett. a), della L.R. 38 del
1989 non si configura come un unicum nel complessivo ordinamento degli Enti
Parco costituiti nel Veneto, atteso che l’art. 3, comma 2, lett. a) della L.R.
30 gennaio 1990 n. 12, l’art. 3, comma 2, lett. a), della L.R. 22 marzo 1990 n.
21, l’art. 3, comma 2, lett. a) della L.R. 28 gennaio 1991 n. 8 e l’art. 5,
comma 1, lett. a) della L.R. 8 settembre 1997 n. 36, rispettivamente riguardanti
gli Enti Parco della Lessinia, delle Dolomiti d’Ampezzo, del Fiume Sile e del
Delta del Po (quest’ultimo, tra l’altro, a dimensione interregionale), recano
una disciplina del tutto omologa.
Neppure giova alla ricorrente il richiamo ai due anzidetti precedenti
giurisprudenziali costituiti dalle decisioni di Cons. Stato, Sez. VI, 31 maggio
1996 n. 758 e 3 marzo 2004 n. 1052, riguardando la prima – ancorché nella
peculiarità dell’ordinamento veneto - il ben diverso profilo dell’incompetenza
degli Enti Locali diversi dagli Enti Parco (ossia Province, Comuni e Comunità
Montane) a provvedere in materia di istituzione di Parchi naturali previsti dal
PTRC e vertendo la seconda in materia di applicazione della ben diversa L.R. 30
novembre 1983 n. 86 e succ. modd. e intt., approvata dalla Regione Lombardia in
materia di Parchi Regionali, nonché dalle altrettanto diverse leggi regionali di
istituzione dei singoli Parchi Regionali lombardi, le quali, per l’appunto, non
contemplano discipline di modificazione dei confini dei Parchi stessi del tipo
contemplato – per contro – dalla legislazione veneta.
La ricorrente, da ultimo, adombra – in via del tutto generica –
un’incostituzionalità dell’art. 3, comma 2, lett. a) della L.R. 38 del 1989
laddove affiderebbe l’”indiscriminato allargamento delle aree di Piano affidato
ad un organo amministrativo”(cfr. pag. 12 dell’atto introduttivo del presente
giudizio), ma anche tale prospettazione non trova l’assenso del Collegio, posto
che il mutamento dei confini del Parco avviene comunque mediante la necessaria
approvazione del Piano Ambientale da parte del Consiglio Regionale, ossia
mediante l’indispensabile – e del tutto condizionante - intervento nel
procedimento di formazione dello strumento di piano dello stesso organo
competente ad approvare in via parimenti amministrativa il PTRC (cfr. art. 32 e
ss. della L.R. 27 giugno 1985 n. 61 e succ. modd. e intt.), il quale ultimo – a
sua volta - per la prima volta ha presupposto e indicato i limiti territoriali
del Parco
6.3. Con il secondo ordine di censure la ricorrente deduce l’avvenuta violazione
dell’art. 33 del PTRC, rilevando che tale Piano, pubblicato nel Bollettino
Ufficiale della Regione Veneto del 24 settembre 1992, supplemento n. 93,
individua gli ambiti destinati a Parchi e Riserve regionali a’ sensi
dell’anzidetta L.R. 40 del 1984 e determina in tal modo anche l’ambito del Parco
dei Colli Euganei con la precisazione, agli effetti della definizione del
perimetro del Parco stesso e della progettazione del relativo Piano Ambientale
di quanto segue:
“L’elemento portante del Parco deve essere costituito dalle aree di interesse
naturalistico-ambientale, articolate in sistemi unitari, anche attraverso
l’aggregazione di aree agricole intercluse o adiacenti, con funzioni di tessuto
connettivo del sistema. Per dette zone agricole intercluse va mantenuta e
opportunamente sostenuta l’attività agricola, nelle forme e nelle modalità
ritenute compatibili con le finalità del Parco, secondo le indicazioni dell’art.
16 della L.R. 16 agosto 1984 n. 40. Le zone agricole adiacenti vanno
regolamentate con il regime delle zone di protezione e di sviluppo controllato
(art. 4 della L.R. 16 agosto 1984 n. 40). In esse l’attività agricola va
mantenuta e sviluppata previo controllo degli eventuali fattori inquinanti e la
salvaguardia degli elementi significativi del paesaggio agrario (strade, fossi,
siepi, filari d’alberi, strutture insediative agricole, annessi rustici ecc.)”.
La ricorrente afferma che la surriportata disciplina pianificatoria di principio
risulterebbe violata dal Piano Ambientale qui impugnato, in quanto quest’ultimo
comprende anche aree di pianura diverse dalle zone territoriali omogenee
agricole e come quella in cui è, per l’appunto, ubicato il proprio stabilimento.
Tale inclusione nell’ambito del territorio del Parco risulterebbe avvenuta,
sempre ad avviso della ricorrente, senza alcuna idonea motivazione; né
andrebbero sottaciute la ben diversa competenza del Piano Ambientale
nell’organizzazione del territorio rispetto a quella degli strumenti urbanistici
sottordinati al PTRC e contemplati dalla L.R. 27 giugno 1985 n. 61 e succ. modd.
e intt., nonché l’intrinseca incompetenza dello stesso Piano Ambientale ad
innovare le previsioni del sovrastante PTRC, tranne il caso in cui si fosse
seguita al riguardo la ben particolare procedura contemplata dall’art. 32 e ss.
della L.R. 61 del 1985.
Anche tali censure non trovano l’adesione del Collegio.
Va innanzitutto evidenziato che le argomentazioni della ricorrente si fondano su
di un presupposto palesemente erroneo circa la pretesa immodificabilità della
disciplina del PTRC da parte del Piano Ambientale adottato dall’Ente Parco
Regionale e approvato dal Consiglio Regionale, posto che l’art. 6, comma 2,
della L.R. 38 del 1989 testualmente dispone nel senso che “il Piano Ambientale
relativamente al perimetro del parco sostituisce le prescrizioni e i vincoli del
piano regionale territoriale di coordinamento( PTRC)”.
Comunque sia, la surriportata disciplina contenuta nell’art. 33 del PTRC
concerne il ben diverso aspetto dell’eventuale inclusione nell’ambito del Parco
di zone territoriali omogenee agricole, e affronta pertanto la problematica –
quanto mai delicata, ma per certo estranea all’oggetto del presente giudizio –
del necessario coordinamento tra la disciplina propria delle aree incluse nei
Parchi e la disciplina delle aree destinate ad uso agricolo nella pianificazione
territoriale di competenza comunale, a’sensi della L.R. 5 marzo 1985 n. 24 e
succ. modd. e intt.
Ciò significa, pertanto, che l’art. 33 del PTRC non si configura - a differenza
di quanto ritenuto dalla ricorrente - quale disciplina che, per il solo fatto di
normare l’ipotesi dell’inclusione di aree a destinazione agricola nell’ambito
territoriale dei Parchi Naturali contemplati dal PTRC medesimo, vieta per
implicito la possibilità di introdurre entro i confini dei Parchi anche altre
aree, aventi destinazione diversa da quella agricola secondo gli strumenti di
pianificazione primaria di competenza comunale.
Questa notazione di fondo risulta, a ben vedere, del tutto assorbente anche al
fine di escludere qualsivoglia contrasto, per quanto qui segnatamente interessa,
tra disciplina contenuta nel PTRC e disciplina contenuta nel Piano Ambientale
qui impugnato, e toglie pertanto ogni rilievo all’assunto della ricorrente
secondo il quale il medesimo Piano Ambientale potrebbe innovare il contenuto del
PTRC soltanto se approvato secondo la procedura disciplinata dall’art. 32 e ss.
della L.R. 61 del 1985: assunto, quest’ultimo, comunque a sua volta infondato in
relazione sia alla testè rilevata valenza dell’art. 6, comma 2, della L.R. 38
del 1989, sia alla ben evidente similarità del procedimento di approvazione del
Piano Ambientale (cfr. art. 5 della L.R. 38 del 1989) rispetto a quello
dell’approvazione del PTRC sotto il profilo dell’organo competente al riguardo,
che rimane sempre il Consiglio Regionale che si determina in proposito mediante
suo provvedimento amministrativo.
Né può essere condivisa l’affermazione secondo la quale l’inclusione dell’area
di proprietà della ricorrente entro i confini del Parco sarebbe avvenuta senza
un’idonea motivazione.
Nella relazione accompagnante il Piano si legge - infatti, e per quanto qui
segnatamente interessa (cfr. doc. 5 di parte resistente depositato il 3 giugno
2004, pag. 135 e ss.) - che gli studi effettuati per la redazione del Piano
medesimo “hanno messo in evidenza la stretta integrazione tra il territorio dei
Colli e la fascia circostante di pianura “bonificata” che, in più tratti, la
legge istitutiva” dell’Ente Parco “ha escluso dal perimetro del Parco” stesso.
“tale integrazione si manifesta in rapporti complessi ed articolati di
solidarietà ambientale e di unitarietà paesistica, e dà luogo ad una
molteplicità di problemi comuni: … gran parte dei problemi del Parco hanno
origine o possono trovare soluzione nelle aree di bordo immediatamente
circostanti. Tutto ciò conferisce importanza cruciale sia alla questione delle
“aree contigue” (alle quali il Piano Ambientale deve, in base alla legge
istitutiva, estendere le proprie indicazioni), sia alla questione dei confini
stessi del Parco, su cui il Piano Ambientale è chiamato ad intervenire
verificando quelli definiti, provvisoriamente, all’atto dell’istituzione. E’ del
tutto evidente che le scelte per i confini e quelle per le aree contigue sono
interrelate, e si collegano a loro volta alle scelte di disciplina da stabilire
all’interno del Parco, mediante la “zonizzazione””.
Le scelte sui confini del Parco – prosegue la stessa relazione – “sono state
proposte congiuntamente” a quelle in materia di aree contigue e di zonizzazione
“a tutti i soggetti istituzionali interessati, e sono state perfezionate sulla
base del confronto critico tra le previsioni dei piani locali e quelle che
emergono dagli studi per il Piano del Parco, in un progressivo convincimento
generale che le modificazioni del perimetro sono tanto meno preoccupanti (sia
dal punto di vista della tutela del Parco che dal punto di vista dei legittimi
interessi locali) quanto meno aspre sono le differenze tra la disciplina interna
al parco e quella che si propone all’esterno. Quindi, rispetto ad una iniziale
sopravvalutazione delle motivazioni di tutela sono invece prevalse, a favore
dell’ampliamento del Parco, le prospettive di valorizzazione delle risorse
ambientali e paesistiche e di concertazione con le municipalità dei centri
maggiori, per meglio connettere il cuore del Parco con le sue “capitali”
storiche e con le aree di bordo che ne fanno parte integrante. Il tracciamento
del nuovo confine” del Parco “si è basato su alcuni criteri fondamentali,
desunti dalla considerazione delle componenti in varianti, permanenti,
relazionali e di tendenza, che strutturano il territorio. Essi possono essere
così riassunti: a) criteri ambientali, secondo i quali è importante tutelare
l’integrità della fascia bonificata (sia dal punto di vista idrogeologico che da
quello più strettamente ecologico) che garantisca la continuità dei corridoi
ecologici, prospetti una valorizzazione ambientale delle valli più prossime ai
Colli e contenga le nuove espansioni urbane, mitigando gli effetti delle
alterazioni già avvenute; b) criteri paesistici, secondo i quali è opportuno che
il perimetro abbracci tutte le aree che fanno parte integrante del paesaggio dei
Colli, garantendo la permanenza generalizzata (e non solo ridotta ad alcuni
varchi) del rapporto strutturale e percettivo tra Colli, piana e canali della
bonifica, ricomprendendo per intero gli ambiti di specifico interesse paesistico
e tutte le componenti fondamentali che caratterizzano le unità di paesaggio
perimetrali; c) criteri storici, relativi cioè alla strutturazione storica del
territorio, per cui i Colli sono stati definiti anche dalla corona di canali che
racchiude su tre lati il sistema collinare, ricomprendendo le aree di bonifica
delle zone paludose che li hanno isolati e il complesso sistema delle vie
d’acqua su cui si sono basati nei secoli scorsi gli scambi commerciali e
culturali col contesto; d) criteri funzionali, relativi in primo luogo alla
organizzazione della fruizione del Parco, basata sulle Porte e sugli Atri, punti
di ingresso volti ad accogliere e orientare i flussi di visitatori che non
possono che essere collocati in contesti ambientali qualificati (o qualificabili
con appositi interventi), comunque in prossimità dei percorsi di maggiore
traffico, tutti situati alla periferia delle aree urbane; e) criteri
urbanistici, relativi soprattutto all’assetto delle aree urbane di bordo, i cui
rapporti con le zone più interne del Parco sono in molti casi da valorizzare con
progetti complessi, da concertare con le amministrazioni locali e da coordinare
con le misure di tutela per i principali varchi di accesso e per i corridoi
verdi di connessione. A questi criteri di fondo si affiancano, ovviamente,
criteri di chiarezza operativa (i confini proposti si appoggiano di regola a
connotati o infrastrutture ben riconoscibili sul terreno) e di congruenza
amministrativa (occorre tener conto dei confini amministrativi di comuni e
province, omogeneizzando le opzioni espresse dagli amministratori comunali),
nonchè di omogeneità delle indicazioni per la valorizzazione (come risulta nelle
politiche di incentivo alle attività agricole). In proposito va notato che
evidenti criteri di omogeneità paesistica e geomorfologia indurrebbero ad
inserire nel perimetro del Parco anche l’area del Monte Santo ad Ovest, ma tale
definizione richiederebbe modifiche della legge istitutiva, poichè tale area
ricade in territorio di un Comune non compreso - AIbettone - e di altra
Provincia¬ (Vicenza), il che esula dalle competenze del Piano Ambientale.
Nell’applicazione dei criteri di ridefinizione dei confini, sopra esposti,
occorre altresì tener presente l’inopportunità di includere nel perimetro del
Parco un’eccessiva quantità di aree urbanizzate. Ciò allo scopo di non
determinare insostenibili aggravi gestionali per l’Ente Parco, di non
interferire troppo pesantemente nelle competenze istituzionali degli Enti locali
e di non ridurre la vivibilità dell’immagine complessiva del Parco. Pertanto le
proposte d’ampliamento assunte dal Piano Ambientale interessano essenzialmente
le aree agricole che fanno parte integrante del paesaggio euganeo, escludendo di
regola le aree urbanizzate perimetrali, salvo i centri storici più significativi
e quelle aree per le quali il piano prevede operazioni trasformative strategiche
per il Parco. Più precisamente, in tali proposte, il territorio del Parco
investe una superficie di 20087 ha, con 1’aumento del 35% rispetto al perimetro
fissato dalla legge istitutiva. Tale aumento é per il 71,5% concentrato nelle
zone agricole di promozione (PA). L’ampliamento investe in particolare: i nodi
principali di Este, Monselice, Abano, Battaglia, i nodi secondari e le fasce
costituite dalle piane bonificate. I nodi … costituiscono storicamente i punti
di accesso principali ai Colli, su di essi si fonda l’intera struttura
organizzativa del Piano Ambientale, e il loro inserimento nell’ambito del Parco
consente di coordinare e gestire in modo unitario gli interventi diretti agli
accessi, al sistema della fruizione e della valorizzazione delle risorse, che
costituiscono parte essenziale di diversi progetti di attuazione sia tematici
(Progetto percorsi, Progetto Museo, Progetto Animazione), sia integrati o
unitari (ad Este, Monselice, Abano-Montegrotto, Treponti, Bastia, Vò Vecchio)”.
Nella stessa relazione si illustra, quindi, con diffusione la particolare
valenza assunta dal nodo di Este (N1) “sotto tutti i punti di vista (paesistico,
storico, funzionale, ecologico), precisando che “la sua inclusione … nel Parco
consente la continuità del sistema di percorsi previsto e la realizzazione di
alcuni tra i più importanti progetti del Piano”, ma si soggiunge subito dopo che
“il nodo di Monselice (N2) è ancora più importante per quanto riguarda
l’organizzazione della accessibilità al Parco, essendo posto all’intersezione
dei canali di maggior traffico stradale e ferroviario, col ruolo di Porta
principale, sottolineato anche dalla straordinaria immagine della Rocca.
L’ampliamento del Parco consente di far ricadere sulla città alcuni dei benefici
conseguenti, coinvolgendo almeno una parte del centro storico e prevedendo la
sistemazione della zona a nord della Rocca, oggi sottoutilizzata e
dequalificata, e la localizzazione di una delle Case del Parco”.
I criteri testè enunciati sono stati puntualmente condivisi dal Comitato Tecnico
Scientifico dell’Ente Parco, che nella sua seduta dell’1 – 7 aprile 1994 ha
avuto modo di rilevare - a sua volta - che “i confini del Parco vengono
allargati includendo nel perimetro nuove aree per circa 5200 ettari con un
aumento di superficie di circa il 35% motivando questa scelta con: criteri
ambientali, essendo importante tutelare l’integrità della fascia di bonifica
sede diei corridoi ecologici; criteri paesistici essendo opportuno che il
perimetro abbracci le aree che più direttamente fanno parte del paesaggio dei
Colli; criteri storici relativi alla strutturazione storica del territorio;
criteri funzionali relativi alla organizzazione della fruizione basata sulle
Porte, sugli Atri da realizzare come punti di ingresso alla periferia del Parco;
criteri urbanistici relativi all’assetto delle aree urbane di bordo” (cfr. doc.
1 di parte ricorrente).
Per quanto segnatamente attiene alla posizione dei cementifici rientranti nel
territorio del Parco, il Documento programmatico preliminare alla stesura del
Piano, così come approvato dal Consiglio dell’Ente Prco con deliberazione n. 9
dd. 28 settembre 1991 (cfr. doc. 3 di parte resistente, pag. 17 e ss.) contempla
la redazione di un apposito “Progetto cave e cementifici”, il quale dovrà recare
“una analisi preliminare della situazione attuale relativamente alle strutture
produttive, ai livelli occupazionali, alle quote di mercato, alle strategie
aziendali con l’intento di pervenire a prescrizioni limitative di future nuove
espansioni e, possibilmente, nel lungo termine, ad una totale riconversione di
questa attività riproduttiva. Un particolare approfondimento” è, altresì,
previsto “sullo stato della ricerca per l’utilizzo di materiali alternativi a
quelli di cava nella produzione del cemento”.
Nello stesso Documento il problema dei cementifici è ulteriormente e
coerentemente affrontato in correlazione alle possibili “modalità di chiusura
delle cave di calcare e marna per cemento”, anche sotto il profilo dell’“impatto
occupazionale che si può produrre direttamente sugli occupati nell’attività di
cava e sull’indotto” (cfr. ibidem, pag. 22 e ss.).
In tal senso viene quindi rilevato che “in una prospettiva temporale di medio
periodo, ipotizzando la permanenza dei cementifici in zona Colli e garantendo il
rifornimento della materia prima da aree esterne, poichè le cave sono di norma
gestite direttamente dai cementieri, è plausibile che si verifichi di fatto un
trasferimento degli addetti all’attività estrattiva senza perdita di posti di
lavoro. Comunque, anche qualora dovesse verificarsi un esubero di occupati
rispetto alle necessità, esso non sarebbe particolarmente rilevante e potrebbe
facilmente essere assorbito ad esempio nelle attività di trasporto. Inoltre,
occorre osservare che gli ammodernamenti fatti recentemente nei tre cementifici
nella zona, con l’introduzione di nuove tecnologie, hanno consentito di ottenere
una sensibile riduzione dei costi di produzione con la conseguente possibilità
di compensare l’incremento dei costi di trasporto delle materie prime provocato
dalla chiusura delle cave in loco. Anche da questo punto di vista, pertanto, le
aziende sono in grado di far fronte alla nuova situazione senza ristrutturazioni
con ricadute negative sull’occupazione” (cfr. ibidem).
Da tutto ciò discende, pertanto, che l’insieme delle problematiche connesse al
disposto ampliamento dei confini del Parco è stato puntualmente disaminato in
sede di adozione del Piano Ambientale qui impugnato anche per quanto attiene
alla particolare posizione dello stabilimento di proprietà della ricorrente, e
che le indubbie implicazioni di carattere economico sono state attentamente
considerate nella loro doverosa correlazione con le esigenze di protezione
ambientale.
6.4. Con il terzo ordine di censure la ricorrente deduce eccesso di potere per
illogicità, incongruità, carenza di istruttoria, difetto di motivazione e
violazione dei principi discendenti dagli artt. 3 e 41 Cost. affermando che
l’inserimento del proprio stabilimento nell’area del Parco non troverebbe
comunque supporto negli stessi criteri informatori contenuti nell’art. 8 della
L.R. 38 del 1989, in forza del quale “ai fini dell' applicazione delle misure di
salvaguardia di cui agli articoli 9,10, 11 e 12 il territorio del parco è
suddiviso nelle seguenti zone rappresentate nella planimetria allegata: a) zona
di riserva naturale; b) zona agro - silvo - pastorale; c) zona agricola;
d) zona di urbanizzazione controllata”, con la susseguente precisazione che “il
piano ambientale, in conformità agli indirizzi dei citati articoli 9, 10, 11 e
12 e tenendo conto dei perimetri rappresentanti nella planimetria allegata,
procede alla classificazione definitiva del territorio del Parco”.
La ricorrente evidenzia che per “zone di urbanizzazione controllata” devono
intendersi, secondo quanto dispone l’art. 12 della stessa L.R. 38 del 1989, “le
aree edificate o solo urbanizzate o urbanizzabili, nelle quali le originarie
caratteristiche naturalistiche o ambientali sono state profondamente o
irreversibilmente trasformate, ma che fanno parte integrante del sistema
naturalistico e ambientale del Parco, o perchè costitutive dell' ecosistema
originario o perchè funzionalmente necessarie per la sua gestione e fruizione”
“All’interno di tali zone si applica la normativa dello strumento urbanistico
comunale” (cfr. art. 12 cit., comma 2).
La ricorrente, a questo punto, afferma che l’area su cui sorge il proprio
stabilimento non va per certo configurata quale “zona di riserva naturale”,
ovvero quale “zona agro-silvo-pastorale”, oppure ancora quale “zona agricola”, e
che – peraltro – neppure potrebbe ricondursi nella tipologia della “zona di
urbanizzazione controllata”, in quanto non parte integrante del sistema
naturalistico o ambientale del Parco e, semmai, recante tutti gli specifici
connotati delle aree industriali.
La ricorrente evidenzia pure che l’art. 3 della L.R. 38 del 1989, allorquando
testualmente si riferisce “alle modalità di cessazione o di riconversione
dell’attività incompatibile con le finalità del Parco”, di per sé non si
riferisce ai cementifici e che l’inequivoco richiamo alla disciplina contenuta
nella strumentazione urbanistica primaria comunale contenuto nell’art. 12, comma
2, della medesima legge quale specifica normazione delle “zone di urbanizzazione
controllata”di per sé impedirebbe la riconversione o la delocalizzazione del
proprio stabilimento.
La circostanza che tali evenienze siano – per contro – contemplate dalla
disciplina pianificatoria ambientale evidenzierebbe la palese illegittimità di
quest’ultima, in quanto essa in tal modo si surrogherebbe a una competenza
propria della strumentazione urbanistica comunale: e ciò, anche a pena della
stessa incostituzionalità delle disposizioni legislative che eventualmente
consentissero una conseguenza siffatta.
La ricorrente reputa inoltre incostituzionale la circostanza che la L.R. 40 del
1984 preveda la gestione delle aree rientranti nella competenza dell’Ente Parco
ad opera di privati, ossia delle comunità familiari, senza che siano
interpellati al riguardo i titolari di pur preponderanti attività economiche
insediate sul territorio medesimo.
Il Collegio, per parte propria, evidenzia che l’area nella quale è ubicato il
cementificio è espressamente qualificata come “zona di urbanizzazione
controllata” (cfr. doc. 6 di parte resistente) e che il comma 5 dell’art. 12
della L.R. 38 del 1989, laddove dispone che “fino all’adozione del piano
ambientale sono consentiti l’adozione e l’approvazione di varianti agli
strumenti urbanistici vigenti, a eccezione di quelle che prevedono l’espansione
delle zone residenziali e produttive”, inequivocabilmente chiarisce che anche le
“aree produttive”, ossia contraddistinte dall’esistenza in loco di stabilimenti
del tipo di quello di cui la ricorrente Società è proprietaria, ben possono
rientrare nell’ambito delle predette “zone di urbanizzazione controllata”.
Per quanto attiene al contrasto tra le previsioni proprie della vigente
strumentazione urbanistica comunale e quelle del Piano Ambientale, va
evidenziato che la pur confermata validità del Piano regolatore comunale va
necessariamente intesa non già come indiscriminata, ma in quanto lo strumento
urbanistico del Comune non configga con la sovrastante disciplina dello stesso
Pizano Ambientale.
Sul punto, e in via del tutto inequivocabile, l’art. 6 della L.R. 38 del 1989
dispone, al comma 1, che “il Piano Ambientale ha valenza paesistica ai sensi
dell’ art. 124 della L.R. 27 giugno 1985 n° 61, e la sua approvazione comporta,
quando si tratti di prescrizioni e vincoli, l’automatica variazione degli
strumenti urbanistici, generali e attuativi, in corrispondenza alle prescrizioni
e ai vincoli approvati”; e ciò, del resto, consegue anche dalla disciplina
generale contenuta negli artt. 9 e 10 della L.R. 40 del 1984, in forza della
quale - a sua volta - “i vincoli e le limitazioni che afferiscono alle diverse
aree comprese nel Parco o nella Riserva, nonchè la regolamentazione delle
attività consentite, con particolare riguardo a quelle edilizie, alle opere di
urbanizzazione, all’impianto delle restanti infrastrutture e attrezzature alla
circolazione e navigazione a motore … comportano l’automatica variazione degli
strumenti urbanistici in vigore e dei relativi elaborati”, con la conseguenza
che “le previsioni di questi continuano ad applicarsi per la parte non
incompatibile”.
La difesa dell’Ente Parco ha - altresì – rilevato che l’art. 19, comma 1, lett.
c) del Piano Ambientale di per sé configura i cementifici esistenti all’interno
del Parco come attività incompatibili con le finalità dell’Ente Parco ma ne
consente il perdurante esercizio nei limiti e alle condizioni specificate nel
medesimo strumento di piano “esclusivamente per ragioni di pubblica utilità
altrimenti non soddisfacibili”, contemplando al successivo art. 36, punto 15,
segnatamente per Cementeria Monselice, la dianzi citata predisposizione di “un
apposito progetto unitario” idoneo a “coordinare gli interventi necessari per
migliorare l’inserimento ambientale, mitigandone l’impatto con la ricomposizione
paesistica e l’arredo vegetale, e per conseguire gli obiettivi di adeguamento o
riconversione fisica e/o funzionale decisi a livello regionale”, fermo restando
che “in ogni caso gli interventi eccedenti la manutenzione e l’adeguamento degli
impianti e delle strutture e le ristrutturazioni interne sono subordinate alla
stipula di apposite convenzioni, con la partecipazione dell’Ente Parco e dei
Comuni interessati, che definiscono in particolare: a) le modalità e i tempi di
prosecuzione dell’attività, con particolare riguardo al traffico indotto”; b) le
modalità e i tempi delle eventuali dismissioni, nonché delle eventuali
dismissioni, nonché delle condizioni di riuso dei sedimi e dei fabbricati, da
verificare nell’ambito degli strumenti urbanistici locali, secondo le
indicazioni del Piano Ambientale; c) i programmi di investimento, di
riassorbimento occupazionale e di eventuale rilocalizzazione in aree esterne”.
Opportunamente la stessa difesa dell’ente Parco evidenzia pure che la previsione
di progetto unitario di cui all’art. 36, comma 15, del Piano è contraddistinta
nel testo dello stesso come disposizione di indirizzo (I), ossia si configura
quale direttiva che deve essere recepita dalla strumentazione urbanistica
comunale, nel mentre la disciplina contemplante la stipula di convenzioni è
indicata come prescrittiva (P), ossia prevale immediatamente sul contenuto
eventualmente difforme delle norme di piano di fonte comunale.
Tale prevalenza, peraltro, di per sé non determina la necessaria cessazione
dell’attività dello stabilimento della ricorrente, ovvero la sua
delocalizzazione, ma solo una concertazione tra lo stesso soggetto interessato,
l’Ente Parco e l’Amministrazione Comunale in ordine all’adozione di misure che
devono essere ragionevolmente idonee ad attenuare, in primo luogo, l’impatto
degli impianti sul contesto assoggettato a tutela ambientale e a consentirne
l’ottimale inserimento nel territorio, limitando quindi a casi del tutto
estremi, e che devono essere attentamente valutati in tutte le loro concrete
implicazioni, l’ipotesi dell’inibizione in loco dell’attività e il suo
trasferimento in altro sito.
Il Collegio, altresì, evidenzia che in tale contesto argomentativo risulta del
tutto inconferente l’assunto della ricorrente che lamenta – pervenendo a
formulare, in via peraltro del tutto generica, rilievi di incostituzionalità a’
sensi degli artt. 3 e 41 Cost. - una pretesa esclusione dei titolari di attività
produttive da qualsivoglia concorso nell’assnzione di decisioni che attengono
all’esercizio delle attività stesse nell’ambito del territorio del Parco, stante
il fatto che gli strumenti delle convenzioni e delle progettazioni unitarie
risultano, nella specie, all’evidenza idonei a garantire l’effettività delle
fondamentali esigenze partecipative al procedimento di cui all’art. 7 e ss.
della L. 7 agosto 1990 n. 241.
Né, in termini più generali, risultano fondatamente proponibili censure di
incostituzionalità rispetto alla disciplina di fonte regionale complessivamente
applicabile al caso di specie laddove subordina alle scelte della pianificazione
ambientale i contenuti della pianificazione territoriale di competenza comunale,
derivando tale assetto ordinamentale dalla disciplina statuale di principio
vigente sia all’epoca dei fatti di causa (cfr. art. 5 della L. 29 giugno 1939 n.
1497 e art. 82 del D.P.R. 24 luglio 1977 n. 616 così come modificato dall’art. 1
del D.L. 27 giugno 1985 n. 312 così come convertito con modificazioni in L. 8
agosto 1985 n. 431), sia attualmente in vigore (cfr. art. 135 e ss. del D.L.vo
22 gennaio 2004 n. 42 e succ. modd. e intt.), in conformità a quanto ben emerge
dal combinato disposto degli artt. 9 e 117 Cost. (quest’ultimo, ora, nel testo
modificato per effetto dell’art. 3 della L. Cost. 18 ottobre 2001 n. 3).
6.5. Con il quarto ordine di censure la ricorrente deduce eccesso di potere per
illogicità e incongruità, carenza di motivazione e sviamento, affermando che il
Piano evidenzierebbe, nella sua sostanza, una complessiva volontà di ricostruire
in via del tutto artificiale un paesaggio che forzosamente acquisisca i
connotati che ha perduto o che, piuttosto, mai avrebbe avuto, divenendo in
questo modo una sorta di Piano di settore economico, ovvero tout court
urbanistico.
Sempre secondo la tesi della ricorrente Società, il Piano qui impugnato
pretenderebbe di “leggere” l’ampliamento dell’area rientrante nei confini del
Parco medesimo nel senso della valutazione del rispettivo territorio non già
quale bene meritevole di tutela ambientale, ma come mero oggetto di fruizione
visiva, con la conseguenza che le cc.dd. “aree di bordo” sarebbero state
comprese entro i confini del Parco non già in considerazione di loro intrinseche
caratteristiche di pregio ambientale, ma “come punto di visuale o di ostacolo
alla visuale dello scrigno”.
In relazione a tali affermazioni della ricorrente, il Collegio reputa comunque
assorbenti le considerazioni già svolte innanzi al § 6.3. in ordine al preteso
difetto di motivazione che avrebbe contraddistinto la scelta pianificatoria
nella specie compiuta dall’Ente Parco, rilevando – altresì – che la L.R. 38 del
1989, istitutiva dell’Ente medesimo, di per sé non persegue meri fini di
conservazione dell’esistente ma assolve a finalità di recupero e di
ricomposizione all’interno della cornice ambientale dei Colli Euganei,
prefigurando l’esercizio da parte dell’Ente stesso di un’azione amministrativa
avente per oggetto l’attenuazione degli eventuali effetti negativi sull’ambiente
determinati dall’esistenza di determinate attività produttive che, come nel caso
dei cementifici, sono notoriamente contraddistinte da un elevato impatto sul
territorio circostante.
E, come si è visto innanzi, lo stabilimento di proprietà della ricorrente è
comunque localizzato in un’area che è stata inclusa nell’ambito del Parco per
ben evidenziati motivi di carattere funzionale, in quanto costituente punto di
accesso al Parco medesimo, per cui il problema dell’asserita mancanza di un
pregio ambientale dell’area in questione – se considerata per se stante – non
assume, di per sé, rilievo proprio in relazione alla sua necessaria correlazione
con il restante contesto tutelato.
6.6. Con il quinto ordine di censure la ricorrente deduce ulteriore sviamento di
potere e violazione dell’art. 33, punto 2, delle N.T.A. del PTRC reietando
ancora una volta – nella sostanza – le censure già da essa formulate con il
secondo mezzo di impugnazione.
In tal senso va, pertanto, ancora una volta ribadita l’automatica prevalenza
delle prescrizioni e dei vincoli del Piano Ambientale rispetto alle previsioni
della strumentazione urbanistica comunale eventualmente difformi, sancita nella
specie dall’art. 6 della L.R. 38 del 1989 e dagli artt. 9 e 10 della L.R. 40 del
1984.
La ricorrente Società, inoltre, paventa ricadute economiche negative sulla
propria attività derivanti dalla disciplina contenuta nel Piano qui impugnato
ma, come si è visto innanzi, le conseguenze dell’applicazione della disciplina
stessa non implicano un’apodittica chiusura o delocalizzazione dello
stabilimento, ma una commendevole concertazione tra l’Ente Parco, il Comune e la
stessa Società al fine di individuare gli interventi più consoni al
contemperamento tra le esigenze della tutela dell’ambiente e quelle della tutela
dell’attività di impresa e del suo indotto, anche occupazionale.
6.7. Con il sesto ordine di censure la ricorrente deduce ulteriore eccesso di
potere per illogicità, incongruità, contraddittorietà intrinseca, sviamento,
erronea interpretazione dell’art. 27 della L. 8 giugno 1990 n. 142 – all’epoca
vigente – nonché dell’art. 26 della L. 6 dicembre 1991 n. 394, in forza del
quale – come è ben noto – “sulla base di quanto disposto dal programma nonché
dal piano pluriennale economico e sociale di cui all'articolo 25, comma 3”,
della stessa legge “il Ministro dell’ambiente promuove, per gli effetti di cui
all'art. 27 della legge 8 giugno 1990 n. 142, accordi di programma tra lo Stato,
le regioni e gli enti locali aventi ad oggetto l'impiego coordinato delle
risorse. In particolare gli accordi individuano gli interventi da realizzare per
il perseguimento delle finalità di conservazione della natura, indicando le
quote finanziarie dello Stato, della regione, degli enti locali ed eventualmente
di terzi, nonché le modalità di coordinamento ed integrazione della procedura”.
La ricorrente Società avanza - in buona sostanza - mediante un’articolazione di
censure di per sé perplessa, dubbi in ordine alla correlazione tra l’istituto
della convenzione e l’istituto dell’intervento unitario, chiedendosi se quest’ultimo
costituisce, o meno, un prius rispetto alla convenzione, ovvero se si tratta di
strumenti tra loro diversi.
La ricorrente afferma, altresì, che nel testo del Piano è assente qualsivoglia
elemento di principio sul contenuto delle future convenzioni.
Il Collegio, per parte propria, rileva che a tale riguardo è stata già
evidenziata nel § 6.4 la natura prescrittiva dell’istituto convenzionale
rispetto alla pianificazione di competenza comunale, che dovrà peraltro a sua
volta contenere la disciplina di principio alle quali le convenzioni stesse
dovranno improntarsi, nel mentre l’istituto del progetto unitario va ricondotto
a norma programmatica di indirizzo che troverà ragionevolmente attuazione –
sempre nel rispetto della necessaria concertazione con il Comune e l’impresa
interessata - soltanto allorquando l’Ente Parco individuerà i contenuti dei
diversi progetti previsti dal Piano Ambientale.
In tal senso, quindi, l’elaborazione del progetto unitario non costituisce un
prius rispetto alle convenzioni, il cui oggetto sarà – a sua volta –
ragionevolmente individuato dagli interventi di volta in volta richiesti
dall’impresa e che eccedano la mera manutenzione ordinaria degli impianti.
6.8. Con il settimo ordine di censure la ricorrente deduce eccesso di potere per
carenza di motivazione e violazione dell’art. 3 della L. 241 del 1990 affermando
che il Consiglio dell’Ente Parco avrebbe adottato il Piano Ambientale non
indicando i motivi per i quali avrebbe disatteso il parere obbligatorio reso al
riguardo dal Comitato Scientifico costituito presso l’Ente medesimo.
A tale proposito il Collegio evidenzia – in via del tutto assorbente -
l’intrinseca mancanza di un interesse della ricorrente alla proposizione di tale
censura, posto che il parere del Comitato Scientifico non reca, di per sé,
avvisi difformi in ordine alle determinazioni che il Piano adottato dal
Consiglio dell’Ente (e approvato, poi, dal Consiglio Regionale) contiene in
ordine all’inclusione dello stabilimento in questione entro il confine del
Parco.
6.9. Con l’ottava ed ultima censura la ricorrente deduce la circostanza che il
Comitato Esecutivo dell’Ente Parco avrebbe proposto l’adozione del Piano
Ambientale con le modifiche e le integrazioni formulate al riguardo dalla
Commissione Ambientale costituita presso l’Ente medesimo, pur non rientrando
asseritamente tale attività tra i compiti attribuiti al Comitato anzidetto dalla
L.R. 38 del 1989.
Anche tale motivo di ricorso va respinto, posto che l’art. 53, comma 5, del
Regolamento dell’Ente Parco – la cui adozione è contemplata dall’art. 15 della
medesima L.R. 38 del 1989 – attribuisce, in via generale, al Comitato Esecutivo
la competenza ad esaminare e ad approvare “le proposte di deliberazione da
sottoporre al Consiglio”, ivi dunque necessariamente compresa anche la proposta
di adozione del Piano Ambientale.
Tale disciplina di fonte regolamentare all’evidenza non confligge con l’art. 21,
lett. h), della L.R. 38 del 1989, che a sua volta afferma che il Comitato
Esecutivo “assume ogni altro provvedimento che rientri nelle finalità della
presente legge e che non sia di competenza di altri organi dell’Ente”, e che
riconferma, pertanto – e sia pure per implicito – la piena competenza del
Comitato Esecutivo a disaminare e a proporre al Consiglio i contenuti
dell’adottando Piano, anche coordinandoli con i pareri sino a quel momento resi
al riguardo, ivi dunque compreso quello della Commissione Ambientale.
7. Le spese e gli onorari del giudizio seguono la regola della soccombenza di
lite, e sono liquidati nel dispositivo.
P.Q.M.
Il Tribunale amministrativo regionale per il Veneto, prima sezione,
definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe, lo rigetta.
Condanna la ricorrente al pagamento delle spese e degli onorari del giudizio,
complessivamente liquidati nella misura di € 2.500,00.- (duemilacinquecento/00),
oltre ad I.V.A. e C.P.A.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.
Così deciso in Venezia, nella Camera di consiglio dell’8 giugno 2006.
Il Presidente
l’Estensore
Il Segretario
1) Aree protette – Parchi – L.R. Veneto n. 38/98 – Parco regionale dei Colli Euganei – Approvazione del Piano Ambientale – Modifica ai confini del Parco – Legittimità – Contrasto con le competenze regionali di cui alla L.R. Veneto n. 40/1984 – Inconfigurabilità. L’art. 2, lett. a) della L.R. Veneto n. 38 del 1989 (“Norme per l’Istituzione del parco regionale dei Colli Euganei”) non impedisce modifiche al perimetro del parco in sede di adozione e di approvazione del Piano Ambientale, risultando per contro evidente la volontà del legislatore regionale di affidare alla competenza della discrezionalità tecnico amministrativa l’introduzione di eventuali variazioni, ove indotte dalle esigenze del perseguimento dei fini istituzionali dell’ente enunciati dall’art. 2 della medesima L.R. 38/1989. Non osta a tale interpretazione la disciplina di ordine generale contenuta nell’art. 7, secondo comma, n. 2, della L.R. 40 del 1984, posto che essa va riguardata come disposizione di principio che affida alla competenza del legislatore regionale la fissazione dei confini dei Parchi e delle Riserve al momento della loro contestuale istituzione: da ciò non può per certo discendere un divieto, per lo stesso legislatore, di consentire che siano successivamente apportate modifiche ai confini stessi mediante ulteriori provvedimenti amministrativi. Pres. Amoroso, Est. Rocco – C.M. S.p.A. (avv.ti Tassetto e Zambelli) c. Ente Parco Regionale dei Colli Euganei (avv.ti Schiller e Quaglia) - T.A.R. VENETO, Sez. I – 6 settembre 2006, n. 2858
2) Aree protette – Parchi – L.R. Veneto n. 38/98 – Piano Ambientale del Parco – P.R.G. – Rapporti. Il Piano Ambientale del Parco, ai sensi della L.R. Veneto n. 38 del 1989, ha valenza paesistica e la sua approvazione comporta, quando si tratta di prescrizioni e vincoli, l’automatica variazione degli strumenti urbanistici generali e attuativi. La validità del P.R.G. comunale va quindi necessariamente intesa non già come indiscriminata ma in quanto lo strumento urbanistico del Comune non confligga con la sovrastante disciplina dello stesso Piano Ambientale. Pres. Amoroso, Est. Rocco – C.M. S.p.A. (avv.ti Tassetto e Zambelli) c. Ente Parco Regionale dei Colli Euganei (avv.ti Schiller e Quaglia) - T.A.R. VENETO, Sez. I – 6 settembre 2006, n. 2858
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