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 Massime della sentenza

 

 

T.A.R. VENETO Sez. I, 6 Settembre 2006, Sentenza n. 2858
 

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO


IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE
PER IL VENETO

PRIMA SEZIONE



Ric. n. 2932/1994
Sent. n. 2858/06


con l'intervento dei signori magistrati:


Bruno Amoroso Presidente
Lorenzo Stevanato Consigliere
Fulvio Rocco Consigliere, estensore


ha pronunciato la seguente


SENTENZA


sul ricorso R.G. 2932/1994 , proposto dalla Cementeria Monselice S.p.a., in persona del suo legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avv. Annamaria Tassetto e dall’Avv. Franco Zambelli, con domicilio eletto presso il loro studio in Venezia-Mestre, dapprima in Via Ospedale n. 9/12 e poi in Via Felice Cavallotti n. 22,


contro

 

l’Ente Parco Regionale dei Colli Euganei, in persona del suo legale rappresentante pro tempore, costituitosi in giudizio, rappresentato e difeso dapprima dall’Avv. Giulio Schiller e dall’Avv. Ugo Quaglia con elezione di domicilio in Venezia presso lo studio dell’Avv. Alfredo Bianchini, Piazzale Roma n. 461, e poi dall’Avv. Paolo Bettiol con elezione di domicilio presso il suo studio in Venezia, San Marco n. 5355,


per l’annullamento
della deliberazione del Consiglio dell’Ente Parco Regionale dei Colli Euganei n. 1 dd. 6 maggio 1994, recante l’adozione del Piano Ambientale del Parco, depositata per giorni 30 a decorrere dalla pubblicazione nel Bollettino Ufficiale della Regione Veneto n. 42 dd. 20 maggio 1994; nonché di tutti gli atti ad essa allegati, ed in particolare della Relazione al Piano anzidetto, delle norme di attuazione, del programma finanziario di massima, dell’analisi e documentazione; nonché del parere espresso al riguardo dal Comitato Tecnico-Scientifico in data 7 settembre 1994, della deliberazione del Comitato Esecutivo n. 64 dd. 4 maggio 1994 come modificato ed integrato dalla Commissione Ambiente, della deliberazione del Consiglio dell’Ente Parco Regionale dei Colli Euganei n. 9 dd. 28 settembre 1991 recante l’approvazione del documento programmatico preliminare e della deliberazione del medesimo Consiglio n. 15 dd. 26 novembre 1993 recante l’approvazione degli indirizzi per la stesura del progetto definitivo di Piano; e, ancora, di ogni altro atto presupposto e conseguente.


Visto il ricorso con i relativi allegati, notificato il 12 settembre 1994 e depositato il 14 settembre 1994;
visto l’atto di costituzione in giudizio dell’Ente Parco Regionale dei Colli Euganei;
viste le memorie prodotte dalle parti;
visti gli atti tutti di causa;
uditi nella pubblica udienza dell’8 giugno 2006 (relatore il consigliere Fulvio Rocco) l’Avv. Filippo Cazzagon in sostituzione dell’Avv. F. Zambelli per la ricorrente Società e l’Avv. P. Bettiol per l’Ente Parco Regionale dei Colli Euganei;
ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:


FATTO E DIRITTO


1.1. La ricorrente, Cementeria di Monselice S.p.a., espone di essere proprietaria nel territorio comunale di Monselice (Padova) di uno stabilimento per la produzione del cemento di rilevante importanza, nel quale sono occupati più di 200 dipendenti e che garantisce – sempre secondo le affermazioni della ricorrente – un indotto occupazionale per altre 300 persone.
Tale struttura produttiva sorge su di un’area a ridosso della ferrovia Padova – Bologna, alla quale è collegata con un raccordo.
L’area medesima è qualificata come industriale dal vigente strumento urbanistico primario.
La ricorrente afferma, inoltre, che nello stabilimento sono state realizzate in epoca di poco antecedente alla proposizione del ricorso in epigrafe (1994) opere di ammodernamento comportanti una spesa di 20 miliardi di lire circa e che hanno comportato il rilascio, da parte dell’Amministrazione Comunale, di concessioni edilizie subordinate, tra l’altro, alla presentazione di un progetto di piantumazione dell’intera area di proprietà, di un ulteriore progetto di tinteggiatura a fasce orizzontali delle strutture esistenti e in corso di realizzazione al fine di migliorarne l’impatto visivo e la modificazione delle tramogge.
Con deliberazione n. 1 dd. 6 maggio 1994 il Consiglio dell’Ente Parco Regionale dei Colli Euganei ha adottato il Piano Ambientale del Parco, a’ sensi dell’art. 3 e ss. della L.R. 10 ottobre 1989 n. 38 e 9 e ss. della L.R. 16 agosto 1984 n. 40, il quale contempla - per quanto qui segnatamente interessa – l’inclusione nel territorio del Parco medesimo dell’intera area su cui sorge lo stabilimento di proprietà della ricorrente.
Cementeria di Monselice afferma, a tale riguardo, che il Piano di cui trattasi “allargata a dismisura (per una quota non inferiore al 35%) la perimetrazione del Parco rispetto a quella voluta dal legislatore, ha inserito il complesso industriale della società all’interno del parco stesso, ha qualificato l’attività produttiva incompatibile “con la finalità del Parco” ed ha introdotto statuizioni pianificatorie che costituiscono grave pregiudizio per la continuazione dell’esercizio industriale e per la permanenza in loco delle strutture produttive. E’ stata, infatti, prevista la stipula di una apposita convenzione con l’Ente Parco e con la Regione per disciplinare tutti gli interventi edilizi di adeguamento degli impianti e delle strutture (art. 19 delle N.T.A.), che eccedono la mera manutenzione. In tal modo tutti gli interventi tecnologici e di adeguamento sono sottratti alle scelte programmatorie della società e svincolati dalla legittimazione dell’Ente territoriale locale per dover soggiacere alle determinazioni di Enti privi di un immediato rapporto territoriale. Il che” comporterebbe, sempre ad avviso della ricorrente, “la manifesta volontà di pervenire attraverso una lenta agonia economica-strutturale alla cessazione della attività in essere” (cfr. pagg. 4 e 5 dell’atto introduttivo del presente giudizio).


1.2. Con il ricorso in epigrafe Cementeria di Monselice chiede, pertanto, l’annullamento della testè citata deliberazione del Consiglio dell’Ente Parco Regionale dei Colli Euganei n. 1 dd. 6 maggio 1994 depositata per giorni 30 a decorrere dalla pubblicazione nel Bollettino Ufficiale della Regione Veneto n. 42 dd. 20 maggio 1994; nonché di tutti gli atti ad essa allegati, ed in particolare della Relazione al Piano anzidetto, delle norme di attuazione, del programma finanziario di massima, dell’analisi e documentazione.
La ricorrente chiede – altresì – l’annullamento del parere espresso al riguardo dal Comitato Tecnico-Scientifico in data 7 settembre 1994, della deliberazione del Comitato Esecutivo dell’Ente Parco Regionale dei Colli Euganei n. 64 dd. 4 maggio 1994 come modificato ed integrato dalla Commissione Ambiente, della deliberazione del Consiglio dell’Ente Parco Regionale dei Colli Euganei n. 9 dd. 28 settembre 1991 recante - a sua volta - l’approvazione del documento programmatico preliminare e della deliberazione del medesimo Consiglio n. 15 dd. 26 novembre 1993 recante l’approvazione degli indirizzi per la stesura del progetto definitivo di Piano; e, ancora, di ogni altro atto presupposto e conseguente.
La ricorrente Società deduce al riguardo eccesso di potere per illogicità, incongruità, sviamento, violazione degli artt. 1, 2 e 3 della L.R. 10 ottobre 1989 n. 38, violazione del contenuto del Piano territoriale regionale di coordinamento (PTRC) e, segnatamente, dell’art. 33 delle N.T.A. del PTRC medesimo, ulteriore eccesso di potere per illogicità, incongruità, carenza di istruttoria e difetto di motivazione, violazione dei principi discendenti dagli artt. 3 e 41 Cost., ulteriore eccesso di potere per illogicità e incongruità, carenza di motivazione sotto altro profilo, sviamento sotto più profili, violazione dell’art. 33, punto 2, secondo comma, delle N.T.A. del PTRC, ulteriore eccesso di potere per incongruità, illogicità, contraddittorietà intrinseca, sviamento, errata interpretazione dell’art. 26 della L. 6 dicembre 1991 n. 394, dell’art. 27 della L. 8 giugno 1990 n. 142, ulteriore violazione dei principi discendenti dall’art. 41 Cost., violazione dell’art. 3 della L. 7 agosto 1990 n. 241, ulteriore eccesso di potere per difetto di motivazione, violazione dell’art. 3 della L. 241 del 1990, violazione della procedura disposta ex lege.


2. Si è costituito in giudizio l’Ente Parco Regionale dei Colli Euganei, replicando puntualmente alle censure avversarie e concludendo per la reiezione del ricorso.
Peraltro, nella propria memoria dd. 29 maggio 2006 la difesa dell’Ente Parco ha pure eccepito, in via preliminare, il difetto di interesse alla decisione dell’impugnativa.


3. Con memoria dd. 24 maggio 2006 la difesa di Cementeria di Monselice ha insistito, a sua volta, per l’accoglimento del ricorso.


4. Alla pubblica udienza dell’8 giugno 2006 la causa è stata trattenuta per la decisione.


5.1. Tutto ciò premesso, il Collegio deve farsi innanzitutto carico di esaminare l’eccezione di difetto di interesse all’impugnazione formulata dalla difesa dell’Ente Parco.


5.2. Va preliminarmente rilevato che, a’ sensi dell’art. 19, comma 1, delle N.T.A. dell’impugnato Piano Ambientale – che nelle more della decisione del ricorso è stato approvato con deliberazione del Consiglio Regionale n. 64 dd. 7 ottobre 1998 (cfr. 2 della memoria dell’Ente Parco dd. 26 maggio 2004, nonché doc. 5 dell’Ente medesimo prodotto il 3 giugno 2004) – “sono incompatibili con le finalità del Parco le seguenti attività ed impianti: a) le attività ed impianti estrattivi fatto salvo quanto consentito dall’art. 20 commi 7, 8, 10 e dalla legge regionale 10 ottobre 1989 n. 40; b) le installazioni di impianti per l’emittenza radiotelevisiva, salva la rilocalizzazione …; c) gli impianti produttivi ad alto impatto ambientale, quali le cementerie; …”.
Il comma 3 dello stesso articolo dispone, a sua volta, che “per quanto concerne le cementerie esistenti individuate nella tavola C3 in aree di riconversione fisica e funzionale con la numerazione 15, 16 e 17 e per le quali è prevista la approvazione di progetti di intervento unitario ai sensi dell’art. 36, l’Ente potrà sollecitare la conclusione di accordi di programma con la Regione, il Ministero dell’ambiente, i Comuni e gli altri soggetti pubblici competenti, ai sensi dell’art. 26 della L. 6 dicembre 1991 n. 394 e dell’art. 27 della L. 8 giugno 1990 n. 142, per il coordinamento delle azioni di contenimento dell’impatto ambientale e paesistico e per concertare, con le aziende stesse, strategie di adeguamento, ed eventuale riconversione e/o rilocalizzazione delle attività e degli impianti. In ogni caso gli interventi eccedenti la manutenzione e l’adeguamento degli impianti e delle strutture e le ristrutturazioni interne, sono subordinati alla stipula di apposite convenzioni, con la partecipazione dell’Ente Parco e dei Comuni interessati, che definiscano in particolare: a) le modalità e i tempi di prosecuzione dell’attività, con particolare riguardo per il traffico indotto; b) le modalità e i tempi delle eventuali dismissioni, nonché delle condizioni di riuso dei sedimi e dei fabbricati, da verificare nell’ambito degli strumenti urbanistici locali, secondo le indicazioni del P.A.; c) i programmi di investimento, di riassorbimento occupazionale e di eventuale rilocalizzazione in aree esterne”.
Il susseguente comma 4 dispone nel senso che “l’Ente Parco è impegnato – d’intesa con gli Enti Locali interessati e le altre autorità competenti – a promuovere il controllo sulla consistenza e composizione delle emissioni causate dall’attività delle cementerie di cui al comma 3”.
L’art. 36, punto 15, delle medesime N.T.A. dispone, per quanto attiene alla Cementeria di Monselice (15), alla Cementeria Italcementi (16) e alla Cementeria Cementizillo, che “per ciascuno di tali impianti, un apposito progetto unitario deve coordinare gli interventi necessari per migliorare l’inserimento ambientale, mitigandone l’impatto con la ricomposizione paesistica e l’arredo vegetale, e per conseguire gli obiettivi di adeguamento o riconversione fisica e/o funzionale decisi a livello regionale”.


5.3. Orbene, nella propria memoria dd. 29 maggio 2006 la difesa dell’Ente Parco afferma, testualmente, che “a tutt’oggi il progetto unitario relativo alla Cementeria di Monselice previsto dall’art. 36 delle N.T.A. non è stato approvato e nessuna convenzione è mai stata stipulata tra l’Ente Parco, la Cementeria e la Regione per disciplinare gli interventi edilizi di adeguamento degli impianti e delle strutture che eccedono la mera manutenzione. Per contro, dal 1991 ad oggi, l’Ente Parco ha emesso ben 49 provvedimenti (v. docc. da 1 a 6 di nuova produzione) su richiesta della Cementeria di Monselice, tutti favorevoli alla stessa, in quanto autorizzativi dell’esecuzione di interventi eccedenti l’ordinaria manutenzione degli impianti; utilizzando, peraltro, la procedura ordinaria (concessione di provvedimento autorizzatorio a firma del Presidente o del Direttore del Parco a fronte della semplice richiesta presentata dalla società interessata), anziché quella consistente nella stipula di apposite convenzioni. Quindi, nonostante le molte doglianze della società ricorrente, ad oggi nessun concreto nocumento ha avuto la medesima dalla sua inclusione nell’ambito del perimetro del Parco dei Colli Euganei. E, con ogni probabilità, nessun nocumento avrà in futuro, avendo ampiamente dimostrato l’Ente Parco la sua volontà di non ostacolare l’attività d’impresa della cementeria, rendendone bensì compatibile l’esercizio con le esigenze di tutela ambientale istituzionalmente perseguite. … Solo supposta e certamente non attuale appare la “tanto paventata” delocalizzazione degli impianti … . D’altro canto, proprio la previsione nel Piano di tutta una serie di principi e considerazioni che tengono conto delle esigenze di promozione e organizzazione delle attività economiche-produttive e dei relativi strumenti attuativi, lungi dal denunciare una qualche incoerenza o contraddittorietà con esse esigenze, confermano la validità e compiutezza dell’analisi effettuata dall’Ente nella predisposizione del Piano. Per l’effetto, non è rinvenibile nel ricorso che ci occupa, alcun interesse all’impugnazione del Piano” (cfr. pag. 1 e ss. memoria cit.).
Il Collegio, per parte propria, dissente dalla testè descritta prospettazione della difesa dell’Ente Parco, nell’esposizione della quale – del resto, e quanto mai significativamente – ci si astiene dallo specificare se è in tal modo eccepita un’originaria carenza dell’interesse a ricorrere (di per sé comportante una dichiarazione di inammissibilità dell’impugnativa), ovvero una sopravvenuta carenza dell’interesse alla decisione del ricorso (comportante, per contro, una pronuncia di improcedibilità dell’impugnativa medesima).
Va rilevato, infatti, che la pur documentata circostanza che l’Amministrazione intimata ha sin qui assentito sotto il profilo ambientale la realizzazione di numerose opere eccedenti l’ordinaria manutenzione degli impianti di proprietà della ricorrente soprassedendo a tutt’oggi (ossia per ben 12 anni) dal dare attuazione a quanto disposto dagli artt. 19 e 36 delle N.T.A. del Piano qui impugnato, non può per certo configurarsi quale prassi che, in via del tutto illegittima, disapplica il contenuto della sovrastante (ed ancorché, a tutt’oggi, materialmente inapplicata) disciplina pianificatoria.
In tal senso, quindi, la tutela della ricorrente Società non può fondarsi sulla mera “probabilità” - per usare le stesse parole della difesa dell’Ente Parco – che “ nessun nocumento” si produrrà “in futuro” in forza di una disattesa attuazione del regime convenzionale previsto dalle norme di Piano, rientrando – semmai – sin d’ora nella specifica sfera di interessi della Società medesima la rimozione di quella disciplina pianificatoria, comunque già introdotta nell’ordinamento e - pertanto – di per sé vigente, per effetto della quale la propria area, destinata ad attività produttiva secondo la concomitante disciplina urbanistica di fonte comunale (a sua volta, parimenti vigente al momento dell’adozione dei provvedimenti qui impugnati), è stata ricompressa in un ambito territoriale – quello, per l’appunto, di competenza dell’Ente Parco – assoggettato, per contro, ad un regime di tutela ambientale estremamente rigido proprio perché fondato su di un netto e del tutto incontrovertibile giudizio di incompatibilità dell’attività produttiva rispetto alle finalità istituzionali perseguite dall’Ente Parco medesimo, con la conseguente e del tutto esplicita prefigurazione di misure che potrebbero pure impedire, allorquando la disciplina del Piano dovesse trovare applicazione mediante le convenzioni in essa previste, non soltanto la manutenzione straordinaria degli impianti ma anche determinare il trasferimento in altro sito dello stabilimento.
Da tutto ciò discende, dunque, l’indubbia sussistenza di un interesse di Cementeria di Monselice sia alla proposizione che alla decisione del ricorso in epigrafe.


6.1. Precisato ciò, il ricorso in epigrafe va respinto.


6.2. Con il primo ordine di censure la ricorrente deduce eccesso di potere per illogicità, incongruità, sviamento, violazione degli artt. 1, 2 e 3 della L.R. 38 del 1989, affermando che il disposto allargamento dell’originario territorio dell’Ente Parco, puntualmente individuato dall’art. 1 della medesima L.R. 38 del 1989 sia mediante l’enunciazione dei Comuni il cui territorio rientra “in tutto o in parte” nel Parco (Abano Terme, Arquà Petrarca, Battaglia Terme, Baone, Cervarese Santa Croce, Cinto Euganeo, Este, Galzignano, Lozzo Atestino, Monselice, Montegrotto Terme, Rovolon, Teolo, Torreglia, Vò Euganeo: cfr. ivi, comma 2), sia – soprattutto – mediante l’individuazione del territorio medesimo mediante una planimetria in scala 1: 25.000 allegata alla stessa L.R. 38 del 1989 (cfr. ibidem, comma 1), deborderebbe dalla competenza devoluta agli organi dell’Ente Parco, non ravvisandosi in tal senso la sussistenza di una delega a quest’ultimo da parte del legislatore regionale affinché possa essere modificato mediante mero atto amministrativo il contenuto della legge istitutiva del Parco.
La ricorrente Società non sottace, in tal senso, che a’ sensi dell’art. 2, lett. a), della L.R. 38 del 1989 “il Piano Ambientale” adottato dal Consiglio dell’Ente Parco e approvato dal Consiglio Comunale “determina” anche “le eventuali modifiche al perimetro del Parco” medesimo, ma reputa che in tal modo il legislatore avrebbe in realtà prefigurato – in conformità a quanto ordinariamente previsto in sede di strumenti di pianificazione attuativa – possibili “modiche correzioni” o “rettifiche” dei confini del Parco, al fine di adattarli a particolari e del tutto circoscritte esigenze di tutela ambientale, e non già una vera e propria sostituzione, da parte degli organi dell’Ente Parco, alla competenza legislativa del Consiglio Regionale, con la conseguente espansione del territorio del Parco ad aree esterne al perimetro fissato ex lege e l’altrettanto conseguente ricomprensione nella disciplina di tutela ambientale propria del Parco stesso di aree comunque estranee a tali esigenze di tutela.
La ricorrente ribadisce tali assunti anche nella propria memoria defensionale, rilevando –altresì - che non a caso l’art. 7, secondo comma, n. 2, della L.R. 16 agosto 1984 n. 40 - recante le disposizioni di ordine generale per l’istituzione dei Parchi e delle Riserve Naturali regionali – assegnerebbe alle leggi rispettivamente istitutive la competenza a stabilire “il perimetro del Parco o Riserva e dell' eventuale area di pre - parco anche in variante alla delimitazione di cui all'art. 5”, ossia disposta in via interinale nell’ambito del Piano territoriale regionale di coordinamento (PTRC) con atto proposto dalla Giunta Regionale e approvato dal Consiglio Regionale prima dell’entrata in vigore delle singole leggi istitutive degli Enti Parco.
La ricorrente richiama, inoltre, a conforto delle proprie tesi sia la giurisprudenza che afferma la sussistenza della competenza della Regione Veneto, e non già degli Enti Locali, ad istituire i Parchi naturali previsti dal PTRC (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 31 maggio 1996 n. 758) e che, per quanto attiene alla disciplina vigente nella Regione Lombardia, richiede che l’individuazione e la disciplina e dei Parchi naturali avvenga mediante legge regionale, e non già mediante atto amministrativo (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 3 marzo 2004 n. 1052).
Il Collegio, per parte propria, dissente da tali assunti.
Nessun elemento testuale o sistematico conforta, infatti, l’interpretazione restrittiva dell’art. 2, lett. a), della L.R. 38 del 1989 proposta dalla ricorrente in ordine all’estensione delle modifiche al perimetro del Parco apportabili in sede di adozione e di approvazione del Piano Ambientale, posto che – per contro - risulta ben evidente la volontà del legislatore regionale di affidare alla competenza della discrezionalità tecnico – amministrativa l’introduzione di eventuali variazioni ai confini del Parco, pur ab origine direttamente individuati dalla fonte legislativa, ove indotte dalle esigenze del perseguimento dei fini istituzionali dell’Ente complessivamente enunciati dall’art. 2 della medesima L.R. 38 del 1989 (cfr. ivi: la protezione del suolo e del sottosuolo, della flora, della fauna, dell’acqua; la tutela, il mantenimento, il restauro e la valorizzazione dell' ambiente naturale, storico, architettonico e paesaggistico considerato nella sua unitarietà e il recupero delle parti eventualmente alterate;
la salvaguardia delle specifiche particolarità antropologiche, geomorfologiche, vegetazionali, faunistiche, archeologiche e paleontologiche; la fruizione a fini scientifici, culturali e didattici; la promozione, anche mediante la predisposizione di adeguati sostegni tecnico - finanziari, delle attività di manutenzione degli elementi naturali storici costituenti il Parco, nonchè delle attività economiche tradizionali, compatibili con l’esigenza primaria della tutela dell' ambiente naturale e storico; lo sviluppo sociale, culturale ed economico delle popolazioni comprese nell’ambito del parco e su di esso gravitanti;la promozione delle funzioni di servizio per il tempo libero e di organizzare dei flussi turistici presenti nelle zone euganee e nell’intero ambito regionale) e che, pertanto, le modifiche stesse ragionevolmente non sono assoggettate a limiti di ordine quantitativo, fermo peraltro restando che le ulteriori porzioni di territorio includibili entro i confini del Parco devono essere comunque comprese nell’ambito degli anzidetti Comuni menzionati dall’art. 1, secondo comma, della stessa L.R. 38 del 1989 e che la loro introduzione nel contesto pianificatorio del Parco stesso deve essere rigorosamente giustificata da idonee ragioni di tutela dell’ambiente in conformità delle testè enunciate finalità istituzionali dell’Ente.
Né giova alla tesi della ricorrente il richiamo alla disciplina di ordine generale contenuta nell’art. 7, secondo comma, n. 2, della L.R. 40 del 1984, posto che essa va riguardata come disposizione di principio che affida alla competenza del legislatore regionale la fissazione dei confini dei Parchi e delle Riserve al momento della loro contestuale istituzione, disposta sempre in via legislativa, trasponendo in tal modo nella stessa fonte normativa primaria i confini dei relativi ambiti per l’innanzi individuati mediante mero provvedimento amministrativo in sede di prima applicazione della stessa L.R. 40 del 1984: ma da ciò non può per certo discendere un divieto, per lo stesso legislatore, di consentire che siano successivamente apportate modifiche ai confini stessi mediante ulteriori provvedimenti amministrativi, tra l’altro rientranti non nell’esclusiva competenza degli Enti Parco ma assoggettati all’approvazione del medesimo Consiglio Regionale, alla stessa guisa del PTRC.
Del resto, la disposizione contenuta nell’art. 2, lett. a), della L.R. 38 del 1989 non si configura come un unicum nel complessivo ordinamento degli Enti Parco costituiti nel Veneto, atteso che l’art. 3, comma 2, lett. a) della L.R. 30 gennaio 1990 n. 12, l’art. 3, comma 2, lett. a), della L.R. 22 marzo 1990 n. 21, l’art. 3, comma 2, lett. a) della L.R. 28 gennaio 1991 n. 8 e l’art. 5, comma 1, lett. a) della L.R. 8 settembre 1997 n. 36, rispettivamente riguardanti gli Enti Parco della Lessinia, delle Dolomiti d’Ampezzo, del Fiume Sile e del Delta del Po (quest’ultimo, tra l’altro, a dimensione interregionale), recano una disciplina del tutto omologa.
Neppure giova alla ricorrente il richiamo ai due anzidetti precedenti giurisprudenziali costituiti dalle decisioni di Cons. Stato, Sez. VI, 31 maggio 1996 n. 758 e 3 marzo 2004 n. 1052, riguardando la prima – ancorché nella peculiarità dell’ordinamento veneto - il ben diverso profilo dell’incompetenza degli Enti Locali diversi dagli Enti Parco (ossia Province, Comuni e Comunità Montane) a provvedere in materia di istituzione di Parchi naturali previsti dal PTRC e vertendo la seconda in materia di applicazione della ben diversa L.R. 30 novembre 1983 n. 86 e succ. modd. e intt., approvata dalla Regione Lombardia in materia di Parchi Regionali, nonché dalle altrettanto diverse leggi regionali di istituzione dei singoli Parchi Regionali lombardi, le quali, per l’appunto, non contemplano discipline di modificazione dei confini dei Parchi stessi del tipo contemplato – per contro – dalla legislazione veneta.
La ricorrente, da ultimo, adombra – in via del tutto generica – un’incostituzionalità dell’art. 3, comma 2, lett. a) della L.R. 38 del 1989 laddove affiderebbe l’”indiscriminato allargamento delle aree di Piano affidato ad un organo amministrativo”(cfr. pag. 12 dell’atto introduttivo del presente giudizio), ma anche tale prospettazione non trova l’assenso del Collegio, posto che il mutamento dei confini del Parco avviene comunque mediante la necessaria approvazione del Piano Ambientale da parte del Consiglio Regionale, ossia mediante l’indispensabile – e del tutto condizionante - intervento nel procedimento di formazione dello strumento di piano dello stesso organo competente ad approvare in via parimenti amministrativa il PTRC (cfr. art. 32 e ss. della L.R. 27 giugno 1985 n. 61 e succ. modd. e intt.), il quale ultimo – a sua volta - per la prima volta ha presupposto e indicato i limiti territoriali del Parco


6.3. Con il secondo ordine di censure la ricorrente deduce l’avvenuta violazione dell’art. 33 del PTRC, rilevando che tale Piano, pubblicato nel Bollettino Ufficiale della Regione Veneto del 24 settembre 1992, supplemento n. 93, individua gli ambiti destinati a Parchi e Riserve regionali a’ sensi dell’anzidetta L.R. 40 del 1984 e determina in tal modo anche l’ambito del Parco dei Colli Euganei con la precisazione, agli effetti della definizione del perimetro del Parco stesso e della progettazione del relativo Piano Ambientale di quanto segue:
“L’elemento portante del Parco deve essere costituito dalle aree di interesse naturalistico-ambientale, articolate in sistemi unitari, anche attraverso l’aggregazione di aree agricole intercluse o adiacenti, con funzioni di tessuto connettivo del sistema. Per dette zone agricole intercluse va mantenuta e opportunamente sostenuta l’attività agricola, nelle forme e nelle modalità ritenute compatibili con le finalità del Parco, secondo le indicazioni dell’art. 16 della L.R. 16 agosto 1984 n. 40. Le zone agricole adiacenti vanno regolamentate con il regime delle zone di protezione e di sviluppo controllato (art. 4 della L.R. 16 agosto 1984 n. 40). In esse l’attività agricola va mantenuta e sviluppata previo controllo degli eventuali fattori inquinanti e la salvaguardia degli elementi significativi del paesaggio agrario (strade, fossi, siepi, filari d’alberi, strutture insediative agricole, annessi rustici ecc.)”.
La ricorrente afferma che la surriportata disciplina pianificatoria di principio risulterebbe violata dal Piano Ambientale qui impugnato, in quanto quest’ultimo comprende anche aree di pianura diverse dalle zone territoriali omogenee agricole e come quella in cui è, per l’appunto, ubicato il proprio stabilimento.
Tale inclusione nell’ambito del territorio del Parco risulterebbe avvenuta, sempre ad avviso della ricorrente, senza alcuna idonea motivazione; né andrebbero sottaciute la ben diversa competenza del Piano Ambientale nell’organizzazione del territorio rispetto a quella degli strumenti urbanistici sottordinati al PTRC e contemplati dalla L.R. 27 giugno 1985 n. 61 e succ. modd. e intt., nonché l’intrinseca incompetenza dello stesso Piano Ambientale ad innovare le previsioni del sovrastante PTRC, tranne il caso in cui si fosse seguita al riguardo la ben particolare procedura contemplata dall’art. 32 e ss. della L.R. 61 del 1985.
Anche tali censure non trovano l’adesione del Collegio.
Va innanzitutto evidenziato che le argomentazioni della ricorrente si fondano su di un presupposto palesemente erroneo circa la pretesa immodificabilità della disciplina del PTRC da parte del Piano Ambientale adottato dall’Ente Parco Regionale e approvato dal Consiglio Regionale, posto che l’art. 6, comma 2, della L.R. 38 del 1989 testualmente dispone nel senso che “il Piano Ambientale relativamente al perimetro del parco sostituisce le prescrizioni e i vincoli del piano regionale territoriale di coordinamento( PTRC)”.
Comunque sia, la surriportata disciplina contenuta nell’art. 33 del PTRC concerne il ben diverso aspetto dell’eventuale inclusione nell’ambito del Parco di zone territoriali omogenee agricole, e affronta pertanto la problematica – quanto mai delicata, ma per certo estranea all’oggetto del presente giudizio – del necessario coordinamento tra la disciplina propria delle aree incluse nei Parchi e la disciplina delle aree destinate ad uso agricolo nella pianificazione territoriale di competenza comunale, a’sensi della L.R. 5 marzo 1985 n. 24 e succ. modd. e intt.
Ciò significa, pertanto, che l’art. 33 del PTRC non si configura - a differenza di quanto ritenuto dalla ricorrente - quale disciplina che, per il solo fatto di normare l’ipotesi dell’inclusione di aree a destinazione agricola nell’ambito territoriale dei Parchi Naturali contemplati dal PTRC medesimo, vieta per implicito la possibilità di introdurre entro i confini dei Parchi anche altre aree, aventi destinazione diversa da quella agricola secondo gli strumenti di pianificazione primaria di competenza comunale.
Questa notazione di fondo risulta, a ben vedere, del tutto assorbente anche al fine di escludere qualsivoglia contrasto, per quanto qui segnatamente interessa, tra disciplina contenuta nel PTRC e disciplina contenuta nel Piano Ambientale qui impugnato, e toglie pertanto ogni rilievo all’assunto della ricorrente secondo il quale il medesimo Piano Ambientale potrebbe innovare il contenuto del PTRC soltanto se approvato secondo la procedura disciplinata dall’art. 32 e ss. della L.R. 61 del 1985: assunto, quest’ultimo, comunque a sua volta infondato in relazione sia alla testè rilevata valenza dell’art. 6, comma 2, della L.R. 38 del 1989, sia alla ben evidente similarità del procedimento di approvazione del Piano Ambientale (cfr. art. 5 della L.R. 38 del 1989) rispetto a quello dell’approvazione del PTRC sotto il profilo dell’organo competente al riguardo, che rimane sempre il Consiglio Regionale che si determina in proposito mediante suo provvedimento amministrativo.
Né può essere condivisa l’affermazione secondo la quale l’inclusione dell’area di proprietà della ricorrente entro i confini del Parco sarebbe avvenuta senza un’idonea motivazione.
Nella relazione accompagnante il Piano si legge - infatti, e per quanto qui segnatamente interessa (cfr. doc. 5 di parte resistente depositato il 3 giugno 2004, pag. 135 e ss.) - che gli studi effettuati per la redazione del Piano medesimo “hanno messo in evidenza la stretta integrazione tra il territorio dei Colli e la fascia circostante di pianura “bonificata” che, in più tratti, la legge istitutiva” dell’Ente Parco “ha escluso dal perimetro del Parco” stesso. “tale integrazione si manifesta in rapporti complessi ed articolati di solidarietà ambientale e di unitarietà paesistica, e dà luogo ad una molteplicità di problemi comuni: … gran parte dei problemi del Parco hanno origine o possono trovare soluzione nelle aree di bordo immediatamente circostanti. Tutto ciò conferisce importanza cruciale sia alla questione delle “aree contigue” (alle quali il Piano Ambientale deve, in base alla legge istitutiva, estendere le proprie indicazioni), sia alla questione dei confini stessi del Parco, su cui il Piano Ambientale è chiamato ad intervenire verificando quelli definiti, provvisoriamente, all’atto dell’istituzione. E’ del tutto evidente che le scelte per i confini e quelle per le aree contigue sono interrelate, e si collegano a loro volta alle scelte di disciplina da stabilire all’interno del Parco, mediante la “zonizzazione””.
Le scelte sui confini del Parco – prosegue la stessa relazione – “sono state proposte congiuntamente” a quelle in materia di aree contigue e di zonizzazione “a tutti i soggetti istituzionali interessati, e sono state perfezionate sulla base del confronto critico tra le previsioni dei piani locali e quelle che emergono dagli studi per il Piano del Parco, in un progressivo convincimento generale che le modificazioni del perimetro sono tanto meno preoccupanti (sia dal punto di vista della tutela del Parco che dal punto di vista dei legittimi interessi locali) quanto meno aspre sono le differenze tra la disciplina interna al parco e quella che si propone all’esterno. Quindi, rispetto ad una iniziale sopravvalutazione delle motivazioni di tutela sono invece prevalse, a favore dell’ampliamento del Parco, le prospettive di valorizzazione delle risorse ambientali e paesistiche e di concertazione con le municipalità dei centri maggiori, per meglio connettere il cuore del Parco con le sue “capitali” storiche e con le aree di bordo che ne fanno parte integrante. Il tracciamento del nuovo confine” del Parco “si è basato su alcuni criteri fondamentali, desunti dalla considerazione delle componenti in varianti, permanenti, relazionali e di tendenza, che strutturano il territorio. Essi possono essere così riassunti: a) criteri ambientali, secondo i quali è importante tutelare l’integrità della fascia bonificata (sia dal punto di vista idrogeologico che da quello più strettamente ecologico) che garantisca la continuità dei corridoi ecologici, prospetti una valorizzazione ambientale delle valli più prossime ai Colli e contenga le nuove espansioni urbane, mitigando gli effetti delle alterazioni già avvenute; b) criteri paesistici, secondo i quali è opportuno che il perimetro abbracci tutte le aree che fanno parte integrante del paesaggio dei Colli, garantendo la permanenza generalizzata (e non solo ridotta ad alcuni varchi) del rapporto strutturale e percettivo tra Colli, piana e canali della bonifica, ricomprendendo per intero gli ambiti di specifico interesse paesistico e tutte le componenti fondamentali che caratterizzano le unità di paesaggio perimetrali; c) criteri storici, relativi cioè alla strutturazione storica del territorio, per cui i Colli sono stati definiti anche dalla corona di canali che racchiude su tre lati il sistema collinare, ricomprendendo le aree di bonifica delle zone paludose che li hanno isolati e il complesso sistema delle vie d’acqua su cui si sono basati nei secoli scorsi gli scambi commerciali e culturali col contesto; d) criteri funzionali, relativi in primo luogo alla organizzazione della fruizione del Parco, basata sulle Porte e sugli Atri, punti di ingresso volti ad accogliere e orientare i flussi di visitatori che non possono che essere collocati in contesti ambientali qualificati (o qualificabili con appositi interventi), comunque in prossimità dei percorsi di maggiore traffico, tutti situati alla periferia delle aree urbane; e) criteri urbanistici, relativi soprattutto all’assetto delle aree urbane di bordo, i cui rapporti con le zone più interne del Parco sono in molti casi da valorizzare con progetti complessi, da concertare con le amministrazioni locali e da coordinare con le misure di tutela per i principali varchi di accesso e per i corridoi verdi di connessione. A questi criteri di fondo si affiancano, ovviamente, criteri di chiarezza operativa (i confini proposti si appoggiano di regola a connotati o infrastrutture ben riconoscibili sul terreno) e di congruenza amministrativa (occorre tener conto dei confini amministrativi di comuni e province, omogeneizzando le opzioni espresse dagli amministratori comunali), nonchè di omogeneità delle indicazioni per la valorizzazione (come risulta nelle politiche di incentivo alle attività agricole). In proposito va notato che evidenti criteri di omogeneità paesistica e geomorfologia indurrebbero ad inserire nel perimetro del Parco anche l’area del Monte Santo ad Ovest, ma tale definizione richiederebbe modifiche della legge istitutiva, poichè tale area ricade in territorio di un Comune non compreso - AIbettone - e di altra Provincia¬ (Vicenza), il che esula dalle competenze del Piano Ambientale. Nell’applicazione dei criteri di ridefinizione dei confini, sopra esposti, occorre altresì tener presente l’inopportunità di includere nel perimetro del Parco un’eccessiva quantità di aree urbanizzate. Ciò allo scopo di non determinare insostenibili aggravi gestionali per l’Ente Parco, di non interferire troppo pesantemente nelle competenze istituzionali degli Enti locali e di non ridurre la vivibilità dell’immagine complessiva del Parco. Pertanto le proposte d’ampliamento assunte dal Piano Ambientale interessano essenzialmente le aree agricole che fanno parte integrante del paesaggio euganeo, escludendo di regola le aree urbanizzate perimetrali, salvo i centri storici più significativi e quelle aree per le quali il piano prevede operazioni trasformative strategiche per il Parco. Più precisamente, in tali proposte, il territorio del Parco investe una superficie di 20087 ha, con 1’aumento del 35% rispetto al perimetro fissato dalla legge istitutiva. Tale aumento é per il 71,5% concentrato nelle zone agricole di promozione (PA). L’ampliamento investe in particolare: i nodi principali di Este, Monselice, Abano, Battaglia, i nodi secondari e le fasce costituite dalle piane bonificate. I nodi … costituiscono storicamente i punti di accesso principali ai Colli, su di essi si fonda l’intera struttura organizzativa del Piano Ambientale, e il loro inserimento nell’ambito del Parco consente di coordinare e gestire in modo unitario gli interventi diretti agli accessi, al sistema della fruizione e della valorizzazione delle risorse, che costituiscono parte essenziale di diversi progetti di attuazione sia tematici (Progetto percorsi, Progetto Museo, Progetto Animazione), sia integrati o unitari (ad Este, Monselice, Abano-Montegrotto, Treponti, Bastia, Vò Vecchio)”.
Nella stessa relazione si illustra, quindi, con diffusione la particolare valenza assunta dal nodo di Este (N1) “sotto tutti i punti di vista (paesistico, storico, funzionale, ecologico), precisando che “la sua inclusione … nel Parco consente la continuità del sistema di percorsi previsto e la realizzazione di alcuni tra i più importanti progetti del Piano”, ma si soggiunge subito dopo che “il nodo di Monselice (N2) è ancora più importante per quanto riguarda l’organizzazione della accessibilità al Parco, essendo posto all’intersezione dei canali di maggior traffico stradale e ferroviario, col ruolo di Porta principale, sottolineato anche dalla straordinaria immagine della Rocca. L’ampliamento del Parco consente di far ricadere sulla città alcuni dei benefici conseguenti, coinvolgendo almeno una parte del centro storico e prevedendo la sistemazione della zona a nord della Rocca, oggi sottoutilizzata e dequalificata, e la localizzazione di una delle Case del Parco”.
I criteri testè enunciati sono stati puntualmente condivisi dal Comitato Tecnico Scientifico dell’Ente Parco, che nella sua seduta dell’1 – 7 aprile 1994 ha avuto modo di rilevare - a sua volta - che “i confini del Parco vengono allargati includendo nel perimetro nuove aree per circa 5200 ettari con un aumento di superficie di circa il 35% motivando questa scelta con: criteri ambientali, essendo importante tutelare l’integrità della fascia di bonifica sede diei corridoi ecologici; criteri paesistici essendo opportuno che il perimetro abbracci le aree che più direttamente fanno parte del paesaggio dei Colli; criteri storici relativi alla strutturazione storica del territorio; criteri funzionali relativi alla organizzazione della fruizione basata sulle Porte, sugli Atri da realizzare come punti di ingresso alla periferia del Parco; criteri urbanistici relativi all’assetto delle aree urbane di bordo” (cfr. doc. 1 di parte ricorrente).
Per quanto segnatamente attiene alla posizione dei cementifici rientranti nel territorio del Parco, il Documento programmatico preliminare alla stesura del Piano, così come approvato dal Consiglio dell’Ente Prco con deliberazione n. 9 dd. 28 settembre 1991 (cfr. doc. 3 di parte resistente, pag. 17 e ss.) contempla la redazione di un apposito “Progetto cave e cementifici”, il quale dovrà recare “una analisi preliminare della situazione attuale relativamente alle strutture produttive, ai livelli occupazionali, alle quote di mercato, alle strategie aziendali con l’intento di pervenire a prescrizioni limitative di future nuove espansioni e, possibilmente, nel lungo termine, ad una totale riconversione di questa attività riproduttiva. Un particolare approfondimento” è, altresì, previsto “sullo stato della ricerca per l’utilizzo di materiali alternativi a quelli di cava nella produzione del cemento”.
Nello stesso Documento il problema dei cementifici è ulteriormente e coerentemente affrontato in correlazione alle possibili “modalità di chiusura delle cave di calcare e marna per cemento”, anche sotto il profilo dell’“impatto occupazionale che si può produrre direttamente sugli occupati nell’attività di cava e sull’indotto” (cfr. ibidem, pag. 22 e ss.).
In tal senso viene quindi rilevato che “in una prospettiva temporale di medio periodo, ipotizzando la permanenza dei cementifici in zona Colli e garantendo il rifornimento della materia prima da aree esterne, poichè le cave sono di norma gestite direttamente dai cementieri, è plausibile che si verifichi di fatto un trasferimento degli addetti all’attività estrattiva senza perdita di posti di lavoro. Comunque, anche qualora dovesse verificarsi un esubero di occupati rispetto alle necessità, esso non sarebbe particolarmente rilevante e potrebbe facilmente essere assorbito ad esempio nelle attività di trasporto. Inoltre, occorre osservare che gli ammodernamenti fatti recentemente nei tre cementifici nella zona, con l’introduzione di nuove tecnologie, hanno consentito di ottenere una sensibile riduzione dei costi di produzione con la conseguente possibilità di compensare l’incremento dei costi di trasporto delle materie prime provocato dalla chiusura delle cave in loco. Anche da questo punto di vista, pertanto, le aziende sono in grado di far fronte alla nuova situazione senza ristrutturazioni con ricadute negative sull’occupazione” (cfr. ibidem).
Da tutto ciò discende, pertanto, che l’insieme delle problematiche connesse al disposto ampliamento dei confini del Parco è stato puntualmente disaminato in sede di adozione del Piano Ambientale qui impugnato anche per quanto attiene alla particolare posizione dello stabilimento di proprietà della ricorrente, e che le indubbie implicazioni di carattere economico sono state attentamente considerate nella loro doverosa correlazione con le esigenze di protezione ambientale.


6.4. Con il terzo ordine di censure la ricorrente deduce eccesso di potere per illogicità, incongruità, carenza di istruttoria, difetto di motivazione e violazione dei principi discendenti dagli artt. 3 e 41 Cost. affermando che l’inserimento del proprio stabilimento nell’area del Parco non troverebbe comunque supporto negli stessi criteri informatori contenuti nell’art. 8 della L.R. 38 del 1989, in forza del quale “ai fini dell' applicazione delle misure di salvaguardia di cui agli articoli 9,10, 11 e 12 il territorio del parco è suddiviso nelle seguenti zone rappresentate nella planimetria allegata: a) zona di riserva naturale; b) zona agro - silvo - pastorale; c) zona agricola;
d) zona di urbanizzazione controllata”, con la susseguente precisazione che “il piano ambientale, in conformità agli indirizzi dei citati articoli 9, 10, 11 e 12 e tenendo conto dei perimetri rappresentanti nella planimetria allegata, procede alla classificazione definitiva del territorio del Parco”.
La ricorrente evidenzia che per “zone di urbanizzazione controllata” devono intendersi, secondo quanto dispone l’art. 12 della stessa L.R. 38 del 1989, “le aree edificate o solo urbanizzate o urbanizzabili, nelle quali le originarie caratteristiche naturalistiche o ambientali sono state profondamente o irreversibilmente trasformate, ma che fanno parte integrante del sistema naturalistico e ambientale del Parco, o perchè costitutive dell' ecosistema originario o perchè funzionalmente necessarie per la sua gestione e fruizione”
“All’interno di tali zone si applica la normativa dello strumento urbanistico comunale” (cfr. art. 12 cit., comma 2).
La ricorrente, a questo punto, afferma che l’area su cui sorge il proprio stabilimento non va per certo configurata quale “zona di riserva naturale”, ovvero quale “zona agro-silvo-pastorale”, oppure ancora quale “zona agricola”, e che – peraltro – neppure potrebbe ricondursi nella tipologia della “zona di urbanizzazione controllata”, in quanto non parte integrante del sistema naturalistico o ambientale del Parco e, semmai, recante tutti gli specifici connotati delle aree industriali.
La ricorrente evidenzia pure che l’art. 3 della L.R. 38 del 1989, allorquando testualmente si riferisce “alle modalità di cessazione o di riconversione dell’attività incompatibile con le finalità del Parco”, di per sé non si riferisce ai cementifici e che l’inequivoco richiamo alla disciplina contenuta nella strumentazione urbanistica primaria comunale contenuto nell’art. 12, comma 2, della medesima legge quale specifica normazione delle “zone di urbanizzazione controllata”di per sé impedirebbe la riconversione o la delocalizzazione del proprio stabilimento.
La circostanza che tali evenienze siano – per contro – contemplate dalla disciplina pianificatoria ambientale evidenzierebbe la palese illegittimità di quest’ultima, in quanto essa in tal modo si surrogherebbe a una competenza propria della strumentazione urbanistica comunale: e ciò, anche a pena della stessa incostituzionalità delle disposizioni legislative che eventualmente consentissero una conseguenza siffatta.
La ricorrente reputa inoltre incostituzionale la circostanza che la L.R. 40 del 1984 preveda la gestione delle aree rientranti nella competenza dell’Ente Parco ad opera di privati, ossia delle comunità familiari, senza che siano interpellati al riguardo i titolari di pur preponderanti attività economiche insediate sul territorio medesimo.
Il Collegio, per parte propria, evidenzia che l’area nella quale è ubicato il cementificio è espressamente qualificata come “zona di urbanizzazione controllata” (cfr. doc. 6 di parte resistente) e che il comma 5 dell’art. 12 della L.R. 38 del 1989, laddove dispone che “fino all’adozione del piano ambientale sono consentiti l’adozione e l’approvazione di varianti agli strumenti urbanistici vigenti, a eccezione di quelle che prevedono l’espansione delle zone residenziali e produttive”, inequivocabilmente chiarisce che anche le “aree produttive”, ossia contraddistinte dall’esistenza in loco di stabilimenti del tipo di quello di cui la ricorrente Società è proprietaria, ben possono rientrare nell’ambito delle predette “zone di urbanizzazione controllata”.
Per quanto attiene al contrasto tra le previsioni proprie della vigente strumentazione urbanistica comunale e quelle del Piano Ambientale, va evidenziato che la pur confermata validità del Piano regolatore comunale va necessariamente intesa non già come indiscriminata, ma in quanto lo strumento urbanistico del Comune non configga con la sovrastante disciplina dello stesso Pizano Ambientale.
Sul punto, e in via del tutto inequivocabile, l’art. 6 della L.R. 38 del 1989 dispone, al comma 1, che “il Piano Ambientale ha valenza paesistica ai sensi dell’ art. 124 della L.R. 27 giugno 1985 n° 61, e la sua approvazione comporta, quando si tratti di prescrizioni e vincoli, l’automatica variazione degli strumenti urbanistici, generali e attuativi, in corrispondenza alle prescrizioni e ai vincoli approvati”; e ciò, del resto, consegue anche dalla disciplina generale contenuta negli artt. 9 e 10 della L.R. 40 del 1984, in forza della quale - a sua volta - “i vincoli e le limitazioni che afferiscono alle diverse aree comprese nel Parco o nella Riserva, nonchè la regolamentazione delle attività consentite, con particolare riguardo a quelle edilizie, alle opere di urbanizzazione, all’impianto delle restanti infrastrutture e attrezzature alla circolazione e navigazione a motore … comportano l’automatica variazione degli strumenti urbanistici in vigore e dei relativi elaborati”, con la conseguenza che “le previsioni di questi continuano ad applicarsi per la parte non incompatibile”.
La difesa dell’Ente Parco ha - altresì – rilevato che l’art. 19, comma 1, lett. c) del Piano Ambientale di per sé configura i cementifici esistenti all’interno del Parco come attività incompatibili con le finalità dell’Ente Parco ma ne consente il perdurante esercizio nei limiti e alle condizioni specificate nel medesimo strumento di piano “esclusivamente per ragioni di pubblica utilità altrimenti non soddisfacibili”, contemplando al successivo art. 36, punto 15, segnatamente per Cementeria Monselice, la dianzi citata predisposizione di “un apposito progetto unitario” idoneo a “coordinare gli interventi necessari per migliorare l’inserimento ambientale, mitigandone l’impatto con la ricomposizione paesistica e l’arredo vegetale, e per conseguire gli obiettivi di adeguamento o riconversione fisica e/o funzionale decisi a livello regionale”, fermo restando che “in ogni caso gli interventi eccedenti la manutenzione e l’adeguamento degli impianti e delle strutture e le ristrutturazioni interne sono subordinate alla stipula di apposite convenzioni, con la partecipazione dell’Ente Parco e dei Comuni interessati, che definiscono in particolare: a) le modalità e i tempi di prosecuzione dell’attività, con particolare riguardo al traffico indotto”; b) le modalità e i tempi delle eventuali dismissioni, nonché delle eventuali dismissioni, nonché delle condizioni di riuso dei sedimi e dei fabbricati, da verificare nell’ambito degli strumenti urbanistici locali, secondo le indicazioni del Piano Ambientale; c) i programmi di investimento, di riassorbimento occupazionale e di eventuale rilocalizzazione in aree esterne”.
Opportunamente la stessa difesa dell’ente Parco evidenzia pure che la previsione di progetto unitario di cui all’art. 36, comma 15, del Piano è contraddistinta nel testo dello stesso come disposizione di indirizzo (I), ossia si configura quale direttiva che deve essere recepita dalla strumentazione urbanistica comunale, nel mentre la disciplina contemplante la stipula di convenzioni è indicata come prescrittiva (P), ossia prevale immediatamente sul contenuto eventualmente difforme delle norme di piano di fonte comunale.
Tale prevalenza, peraltro, di per sé non determina la necessaria cessazione dell’attività dello stabilimento della ricorrente, ovvero la sua delocalizzazione, ma solo una concertazione tra lo stesso soggetto interessato, l’Ente Parco e l’Amministrazione Comunale in ordine all’adozione di misure che devono essere ragionevolmente idonee ad attenuare, in primo luogo, l’impatto degli impianti sul contesto assoggettato a tutela ambientale e a consentirne l’ottimale inserimento nel territorio, limitando quindi a casi del tutto estremi, e che devono essere attentamente valutati in tutte le loro concrete implicazioni, l’ipotesi dell’inibizione in loco dell’attività e il suo trasferimento in altro sito.
Il Collegio, altresì, evidenzia che in tale contesto argomentativo risulta del tutto inconferente l’assunto della ricorrente che lamenta – pervenendo a formulare, in via peraltro del tutto generica, rilievi di incostituzionalità a’ sensi degli artt. 3 e 41 Cost. - una pretesa esclusione dei titolari di attività produttive da qualsivoglia concorso nell’assnzione di decisioni che attengono all’esercizio delle attività stesse nell’ambito del territorio del Parco, stante il fatto che gli strumenti delle convenzioni e delle progettazioni unitarie risultano, nella specie, all’evidenza idonei a garantire l’effettività delle fondamentali esigenze partecipative al procedimento di cui all’art. 7 e ss. della L. 7 agosto 1990 n. 241.
Né, in termini più generali, risultano fondatamente proponibili censure di incostituzionalità rispetto alla disciplina di fonte regionale complessivamente applicabile al caso di specie laddove subordina alle scelte della pianificazione ambientale i contenuti della pianificazione territoriale di competenza comunale, derivando tale assetto ordinamentale dalla disciplina statuale di principio vigente sia all’epoca dei fatti di causa (cfr. art. 5 della L. 29 giugno 1939 n. 1497 e art. 82 del D.P.R. 24 luglio 1977 n. 616 così come modificato dall’art. 1 del D.L. 27 giugno 1985 n. 312 così come convertito con modificazioni in L. 8 agosto 1985 n. 431), sia attualmente in vigore (cfr. art. 135 e ss. del D.L.vo 22 gennaio 2004 n. 42 e succ. modd. e intt.), in conformità a quanto ben emerge dal combinato disposto degli artt. 9 e 117 Cost. (quest’ultimo, ora, nel testo modificato per effetto dell’art. 3 della L. Cost. 18 ottobre 2001 n. 3).


6.5. Con il quarto ordine di censure la ricorrente deduce eccesso di potere per illogicità e incongruità, carenza di motivazione e sviamento, affermando che il Piano evidenzierebbe, nella sua sostanza, una complessiva volontà di ricostruire in via del tutto artificiale un paesaggio che forzosamente acquisisca i connotati che ha perduto o che, piuttosto, mai avrebbe avuto, divenendo in questo modo una sorta di Piano di settore economico, ovvero tout court urbanistico.
Sempre secondo la tesi della ricorrente Società, il Piano qui impugnato pretenderebbe di “leggere” l’ampliamento dell’area rientrante nei confini del Parco medesimo nel senso della valutazione del rispettivo territorio non già quale bene meritevole di tutela ambientale, ma come mero oggetto di fruizione visiva, con la conseguenza che le cc.dd. “aree di bordo” sarebbero state comprese entro i confini del Parco non già in considerazione di loro intrinseche caratteristiche di pregio ambientale, ma “come punto di visuale o di ostacolo alla visuale dello scrigno”.
In relazione a tali affermazioni della ricorrente, il Collegio reputa comunque assorbenti le considerazioni già svolte innanzi al § 6.3. in ordine al preteso difetto di motivazione che avrebbe contraddistinto la scelta pianificatoria nella specie compiuta dall’Ente Parco, rilevando – altresì – che la L.R. 38 del 1989, istitutiva dell’Ente medesimo, di per sé non persegue meri fini di conservazione dell’esistente ma assolve a finalità di recupero e di ricomposizione all’interno della cornice ambientale dei Colli Euganei, prefigurando l’esercizio da parte dell’Ente stesso di un’azione amministrativa avente per oggetto l’attenuazione degli eventuali effetti negativi sull’ambiente determinati dall’esistenza di determinate attività produttive che, come nel caso dei cementifici, sono notoriamente contraddistinte da un elevato impatto sul territorio circostante.
E, come si è visto innanzi, lo stabilimento di proprietà della ricorrente è comunque localizzato in un’area che è stata inclusa nell’ambito del Parco per ben evidenziati motivi di carattere funzionale, in quanto costituente punto di accesso al Parco medesimo, per cui il problema dell’asserita mancanza di un pregio ambientale dell’area in questione – se considerata per se stante – non assume, di per sé, rilievo proprio in relazione alla sua necessaria correlazione con il restante contesto tutelato.


6.6. Con il quinto ordine di censure la ricorrente deduce ulteriore sviamento di potere e violazione dell’art. 33, punto 2, delle N.T.A. del PTRC reietando ancora una volta – nella sostanza – le censure già da essa formulate con il secondo mezzo di impugnazione.
In tal senso va, pertanto, ancora una volta ribadita l’automatica prevalenza delle prescrizioni e dei vincoli del Piano Ambientale rispetto alle previsioni della strumentazione urbanistica comunale eventualmente difformi, sancita nella specie dall’art. 6 della L.R. 38 del 1989 e dagli artt. 9 e 10 della L.R. 40 del 1984.
La ricorrente Società, inoltre, paventa ricadute economiche negative sulla propria attività derivanti dalla disciplina contenuta nel Piano qui impugnato ma, come si è visto innanzi, le conseguenze dell’applicazione della disciplina stessa non implicano un’apodittica chiusura o delocalizzazione dello stabilimento, ma una commendevole concertazione tra l’Ente Parco, il Comune e la stessa Società al fine di individuare gli interventi più consoni al contemperamento tra le esigenze della tutela dell’ambiente e quelle della tutela dell’attività di impresa e del suo indotto, anche occupazionale.


6.7. Con il sesto ordine di censure la ricorrente deduce ulteriore eccesso di potere per illogicità, incongruità, contraddittorietà intrinseca, sviamento, erronea interpretazione dell’art. 27 della L. 8 giugno 1990 n. 142 – all’epoca vigente – nonché dell’art. 26 della L. 6 dicembre 1991 n. 394, in forza del quale – come è ben noto – “sulla base di quanto disposto dal programma nonché dal piano pluriennale economico e sociale di cui all'articolo 25, comma 3”, della stessa legge “il Ministro dell’ambiente promuove, per gli effetti di cui all'art. 27 della legge 8 giugno 1990 n. 142, accordi di programma tra lo Stato, le regioni e gli enti locali aventi ad oggetto l'impiego coordinato delle risorse. In particolare gli accordi individuano gli interventi da realizzare per il perseguimento delle finalità di conservazione della natura, indicando le quote finanziarie dello Stato, della regione, degli enti locali ed eventualmente di terzi, nonché le modalità di coordinamento ed integrazione della procedura”.
La ricorrente Società avanza - in buona sostanza - mediante un’articolazione di censure di per sé perplessa, dubbi in ordine alla correlazione tra l’istituto della convenzione e l’istituto dell’intervento unitario, chiedendosi se quest’ultimo costituisce, o meno, un prius rispetto alla convenzione, ovvero se si tratta di strumenti tra loro diversi.
La ricorrente afferma, altresì, che nel testo del Piano è assente qualsivoglia elemento di principio sul contenuto delle future convenzioni.
Il Collegio, per parte propria, rileva che a tale riguardo è stata già evidenziata nel § 6.4 la natura prescrittiva dell’istituto convenzionale rispetto alla pianificazione di competenza comunale, che dovrà peraltro a sua volta contenere la disciplina di principio alle quali le convenzioni stesse dovranno improntarsi, nel mentre l’istituto del progetto unitario va ricondotto a norma programmatica di indirizzo che troverà ragionevolmente attuazione – sempre nel rispetto della necessaria concertazione con il Comune e l’impresa interessata - soltanto allorquando l’Ente Parco individuerà i contenuti dei diversi progetti previsti dal Piano Ambientale.
In tal senso, quindi, l’elaborazione del progetto unitario non costituisce un prius rispetto alle convenzioni, il cui oggetto sarà – a sua volta – ragionevolmente individuato dagli interventi di volta in volta richiesti dall’impresa e che eccedano la mera manutenzione ordinaria degli impianti.


6.8. Con il settimo ordine di censure la ricorrente deduce eccesso di potere per carenza di motivazione e violazione dell’art. 3 della L. 241 del 1990 affermando che il Consiglio dell’Ente Parco avrebbe adottato il Piano Ambientale non indicando i motivi per i quali avrebbe disatteso il parere obbligatorio reso al riguardo dal Comitato Scientifico costituito presso l’Ente medesimo.
A tale proposito il Collegio evidenzia – in via del tutto assorbente - l’intrinseca mancanza di un interesse della ricorrente alla proposizione di tale censura, posto che il parere del Comitato Scientifico non reca, di per sé, avvisi difformi in ordine alle determinazioni che il Piano adottato dal Consiglio dell’Ente (e approvato, poi, dal Consiglio Regionale) contiene in ordine all’inclusione dello stabilimento in questione entro il confine del Parco.


6.9. Con l’ottava ed ultima censura la ricorrente deduce la circostanza che il Comitato Esecutivo dell’Ente Parco avrebbe proposto l’adozione del Piano Ambientale con le modifiche e le integrazioni formulate al riguardo dalla Commissione Ambientale costituita presso l’Ente medesimo, pur non rientrando asseritamente tale attività tra i compiti attribuiti al Comitato anzidetto dalla L.R. 38 del 1989.
Anche tale motivo di ricorso va respinto, posto che l’art. 53, comma 5, del Regolamento dell’Ente Parco – la cui adozione è contemplata dall’art. 15 della medesima L.R. 38 del 1989 – attribuisce, in via generale, al Comitato Esecutivo la competenza ad esaminare e ad approvare “le proposte di deliberazione da sottoporre al Consiglio”, ivi dunque necessariamente compresa anche la proposta di adozione del Piano Ambientale.
Tale disciplina di fonte regolamentare all’evidenza non confligge con l’art. 21, lett. h), della L.R. 38 del 1989, che a sua volta afferma che il Comitato Esecutivo “assume ogni altro provvedimento che rientri nelle finalità della presente legge e che non sia di competenza di altri organi dell’Ente”, e che riconferma, pertanto – e sia pure per implicito – la piena competenza del Comitato Esecutivo a disaminare e a proporre al Consiglio i contenuti dell’adottando Piano, anche coordinandoli con i pareri sino a quel momento resi al riguardo, ivi dunque compreso quello della Commissione Ambientale.


7. Le spese e gli onorari del giudizio seguono la regola della soccombenza di lite, e sono liquidati nel dispositivo.


P.Q.M.


Il Tribunale amministrativo regionale per il Veneto, prima sezione, definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe, lo rigetta.
Condanna la ricorrente al pagamento delle spese e degli onorari del giudizio, complessivamente liquidati nella misura di € 2.500,00.- (duemilacinquecento/00), oltre ad I.V.A. e C.P.A.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.


Così deciso in Venezia, nella Camera di consiglio dell’8 giugno 2006.
Il Presidente

l’Estensore

Il Segretario

 

M A S S I M E

Sentenza per esteso


1) Aree protette – Parchi – L.R. Veneto n. 38/98 – Parco regionale dei Colli Euganei – Approvazione del Piano Ambientale – Modifica ai confini del Parco – Legittimità – Contrasto con le competenze regionali di cui alla L.R. Veneto n. 40/1984 – Inconfigurabilità. L’art. 2, lett. a) della L.R. Veneto n. 38 del 1989 (“Norme per l’Istituzione del parco regionale dei Colli Euganei”) non impedisce modifiche al perimetro del parco in sede di adozione e di approvazione del Piano Ambientale, risultando per contro evidente la volontà del legislatore regionale di affidare alla competenza della discrezionalità tecnico amministrativa l’introduzione di eventuali variazioni, ove indotte dalle esigenze del perseguimento dei fini istituzionali dell’ente enunciati dall’art. 2 della medesima L.R. 38/1989. Non osta a tale interpretazione la disciplina di ordine generale contenuta nell’art. 7, secondo comma, n. 2, della L.R. 40 del 1984, posto che essa va riguardata come disposizione di principio che affida alla competenza del legislatore regionale la fissazione dei confini dei Parchi e delle Riserve al momento della loro contestuale istituzione: da ciò non può per certo discendere un divieto, per lo stesso legislatore, di consentire che siano successivamente apportate modifiche ai confini stessi mediante ulteriori provvedimenti amministrativi. Pres. Amoroso, Est. Rocco – C.M. S.p.A. (avv.ti Tassetto e Zambelli) c. Ente Parco Regionale dei Colli Euganei (avv.ti Schiller e Quaglia) - T.A.R. VENETO, Sez. I – 6 settembre 2006, n. 2858

2) Aree protette – Parchi – L.R. Veneto n. 38/98 – Piano Ambientale del Parco – P.R.G. – Rapporti. Il Piano Ambientale del Parco, ai sensi della L.R. Veneto n. 38 del 1989, ha valenza paesistica e la sua approvazione comporta, quando si tratta di prescrizioni e vincoli, l’automatica variazione degli strumenti urbanistici generali e attuativi. La validità del P.R.G. comunale va quindi necessariamente intesa non già come indiscriminata ma in quanto lo strumento urbanistico del Comune non confligga con la sovrastante disciplina dello stesso Piano Ambientale. Pres. Amoroso, Est. Rocco – C.M. S.p.A. (avv.ti Tassetto e Zambelli) c. Ente Parco Regionale dei Colli Euganei (avv.ti Schiller e Quaglia) - T.A.R. VENETO, Sez. I – 6 settembre 2006, n. 2858
 

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