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 Massime della sentenza

 

 

T.A.R. VENETO Sez. II, 8 Settembre 2006, Sentenza n. 2897
 

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO


IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE
PER IL VENETO

SECONDA SEZIONE



Ric. n. 2822/2000
Sent. n. 2897/06


con l'intervento dei signori magistrati:


Umberto Zuballi Presidente
Claudio Rovis Consigliere
Alessandra Farina Consigliere, relatore


ha pronunciato la seguente


SENTENZA


sul ricorso n. 2822/2000, proposto da IAVAZZO VINCENZO, ZANETTIN PAOLO, FONTI MAURIZIO, BERLESE IVANO, MARTINI MARIA ANTONIETTA, BALDASSO MARIA TERESA, CASAGRANDE FRANCESCO, MARRAMA ALESSANDRO, BUOSI CLAUDIO, CAVALLO CARMELO, BORDIN PIERGIROLAMO, GAGNO ELIO, CESCATO TIZIANO, MAZZERO MAURIZIO, FRANCESCHI RENATO, ROSSI MIRCO, BIANCHIN LUCIANO, MANCINI VALTER, PALAFERRI GIANCARLO, BIGOLIN NADIA, VENTURA SALVATORE, BISCARO BRUNA, FATATIS GIOVANNI, REGAZZO CLAUDIO, CALLEGARI ROBERTO, SCHUSTER CLAUDIA, VISENTIN ALESSANDRO, VISINTIN ANGELO, BARDIN STEFANO, PINARELLO FRANCO, BARATTO FIORENZO e IAVAZZO BERNARDO, rappresentati e difesi dall’avv. Enrico Cornelio, con elezione di domicilio presso lo studio dello stesso in Mestre, via Caneve 77, come da mandato a margine del ricorso;


CONTRO


Il Comune di Treviso, in persona del Sindaco pro tempore rappresentato e difeso dall’avv. Antonio Munari con elezione di domicilio presso lo studio dello stesso in Treviso, via Manin n. 37/A;


PER
il riconoscimento
di crediti connessi al rapporto di pubblico impiego intrattenuto con il Comune di Treviso.


Visto il ricorso, notificato il 14 settembre 2000 e depositato presso la Segreteria il 4.10.2000, con i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Treviso, depositato il 13.12.2000;
Viste le memorie prodotte dalle parti;
Visti gli atti tutti di causa;
Uditi nella pubblica udienza del 29 giugno 2006 - relatore il Consigliere Alessandra Farina - l’avv. Enrico Cornelio per i ricorrenti e l’avv. Alberto Munari, in sostituzione dell’avv. Antonio Munari, per il Comune;
Ritenuto in fatto e in diritto quanto segue:


FATTO


Con il presente ricorso gli odierni istanti, tutti dipendenti del Comune di Treviso ed addetti al servizio di nettezza urbana, chiedono l’accertamento del proprio diritto alla corresponsione da parte dell’amministrazione intimata delle somme dagli stessi anticipate per il lavaggio e la manutenzione degli indumenti di lavoro, debitamente forniti dal Comune, aventi funzione di protezione individuale, con conseguente condanna del datore di lavoro al pagamento del danno così sopportato per effetto dell’inadempimento dell’obbligo contrattuale esistente a carico del Comune, entro i termini di prescrizione decennale o eventualmente con minor decorrenza a far data dall’assunzione in servizio di ciascun richiedente, nella misura indicata o in quella diversa individuata ai sensi dell’art. 1226 c.c..


Contestualmente viene chiesto il pagamento degli interessi legali e la rivalutazione monetaria sulle somme dovute dalle scadenze al saldo, anche ai sensi dell’art. 1283 c.c. .


La pretesa fatta valere in giudizio dai ricorrenti si ricollega all’obbligo gravante sul datore di lavoro di provvedere alla fornitura nonché alla cura degli indumenti di lavoro assegnati ai propri dipendenti, nella specie a favore di dipendenti che, operando nell’ambito del servizio di nettezza urbana, si trovano esposti al contatto con sostanze pericolose ed inquinanti.


A tale obbligo contrattuale il Comune di Treviso è risultato adempiente soltanto per effetto della entrata in vigore della normativa sui “Dispositivi di protezione individuale” (da ora D.P.I.), di cui al D.lgs. n. 626/94, avendo l’amministrazione provveduto con delibera della Giunta Municipale n. 826 del 15.7.1998 ad organizzare il servizio di lavaggio degli indumenti così identificati a carico dell’amministrazione.
Di conseguenza e limitatamente al periodo antecedente la data del 30.6.1998, essendo per il periodo successivo competente in ordine alla pretesa azionata l’autorità giudiziaria ordinaria, con il presente gravame viene richiesto il riconoscimento dell’obbligo a carico del Comune di Treviso di provvedere a tale incombenza, con conseguente rifusione del danno contrattuale subito dai ricorrenti per effetto dell’inadempimento.


L’amministrazione intimata si è costituita in giudizio, sollevando preliminarmente una serie di eccezioni pregiudiziali.


In primo luogo viene eccepita l’improcedibilità del ricorso per nullità dell’atto introduttivo, in quanto sia la copia notificata al Comune che quella depositata presso la Segreteria del Tribunale, risulta mancante di un numero non definito di pagine.


Inoltre, parte resistente denuncia il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo, in quanto per la medesima pretesa, con riguardo al periodo successivo alla data del 30.6.1998, le stesse parti hanno presentato istanza di costituzione della Commissione di Conciliazione di cui all’art. 68 del D.lgs. n. 23/93, prodromica all’instaurazione del giudizio ordinario avanti al giudice civile in veste di Giudice del Lavoro (nella specie il Tribunale Civile di Treviso).


Stante l’identità della fonte della pretesa fatta valere in entrambi i giudizi, sussistendo la possibilità di due diverse pronunce, si giustifica, ad avviso di parte resistente, l’eccepito difetto di giurisdizione.


Quanto al merito della pretesa azionata in giudizio dagli istanti, la difesa comunale rileva come soltanto a partire dall’entrata in vigore della norma che ha introdotto i c.d. “Dispositivi di protezione individuale” sia sorto in capo all’amministrazione il dovere di provvedere anche allo loro manutenzione.


Di conseguenza, nessun inadempimento di obblighi contrattuali deriverebbe dal comportamento del Comune, che al contrario ha debitamente provveduto, secondo il vigente regolamento, a fornire al proprio personale tutti gli indumenti necessari allo svolgimento del servizio.


Inoltre, parte resistente sottolinea come i ricorrenti non abbiano provveduto a quantificare, neppure in termini indicativi, l’entità del danno subito, da cui l’inammissibilità della pretesa risarcitoria, anche se formulata ai sensi dell’art. 1226 c.c..


Infine, in estremo subordine, la difesa comunale chiede che, in caso di accoglimento del ricorso, la quantificazione della somma da attribuire a ciascun dipendente non sia superiore alla quota di £.12.000, così come dovuta all’epoca dei fatti, da convertire in Euro.


All’udienza del 29 giugno 2006, udite le precisazioni dei procuratori delle parti, il ricorso è stato trattenuto per la decisione.


DIRITTO


Preliminarmente il Collegio deve darsi carico di esaminare le eccezioni sollevate dalla difesa comunale.


Va, in primo luogo, disattesa l’eccezione di difetto di giurisdizione, in quanto trattasi di pretesa inerente il rapporto di pubblico impiego e in particolare ad obblighi di natura contrattuale dallo stesso derivanti, attinenti al periodo antecedente l’entrata in vigore del D.lgs. n. 80/98.


Come noto, in base a quanto disposto dall’art. 45, comma 17, del richiamato decreto legislativo, così come sostituito dall’art. 69, comma 7 del D.lgs. n. 165/2001, è stato stabilito che per il periodo successivo alla data del 30.6.1998, tutte le controversie in materia di pubblico impiego siano devolute alla cognizione dell’autorità giudiziaria ordinaria, mentre per le controversie attinenti a periodi di servizio alla dipendenze di una pubblica amministrazione antecedenti a tale data è stato previsto che la giurisdizione continui ad essere affidata all’autorità giudiziaria amministrativa.


Poiché è indiscusso che la pretesa fatta valere dagli istanti attiene a periodi di servizio antecedenti la data sopra indicata (tanto che per identiche pretese relative a periodi successivi è stato adito, peraltro con esito favorevole, il giudice ordinario) appare indiscutibile la sussistenza della giurisdizione del giudice amministrativo nell’ambito della propria giurisdizione esclusiva in materia di pubblico impiego, a nulla valendo ogni possibile contrasto giurisprudenziale.


Quanto alla seconda eccezione preliminare sollevata dalla difesa resistente, il Collegio osserva come nella fattispecie la contestazione possa essere superata, tenuto conto del principio secondo il quale, laddove la notifica dell’atto introduttivo del giudizio risulti mancante di una o più pagine, detta mancanza possa essere superata se essa non è stata tale da ledere il diritto di difesa della controparte (cfr. sul punto, Cass. Civ., Sez. Lavoro n. 7200/2004).


Nel caso di specie, l’esame delle difese rese dall’amministrazione comunale consente di concludere nel senso che, nonostante l’oggettiva mancanza di almeno una pagina del ricorso introduttivo, non sia risultata compromessa la difesa resistente, la quale ha adeguatamente compreso le ragioni addotte a sostegno della pretese di parte ricorrente ed ha approfonditamente svolto le proprie controdeduzioni nel merito.


Passando all’esame della fondatezza della pretesa avanzata dai ricorrenti nei confronti del Comune di Treviso, il Collegio ritiene che il ricorso sia fondato.


Il Comune di Treviso risulta, infatti, inadempiente all’obbligo di provvedere a sua cura e spese alla fornitura ed al mantenimento in buono stato degli indumenti assegnati ai propri lavoratori a scopo di protezione durante lo svolgimento delle mansioni ad essi assegnate, nella specie quelle inerenti al servizio di nettezza urbana, che, per evidenti ragioni, li espongono al contatto con sostanze inquinanti e pericolose.


Non vi sono dubbi in merito alla rilevata inadempienza, atteso che la stessa difesa comunale conferma, seguendo una diversa linea interpretativa circa la sussistenza dell’obbligo di cui si discute, che soltanto a seguito dell’entrata in vigore della normativa sui dispositivi individuali di protezione, D.lgs. 19 settembre 1994 n. 626, ha ritenuto di dover procedere non solo alla fornitura di tali dispositivi, ma anche di farsi carico della loro pulizia e manutenzione.


Invero, come risulta agli atti, soltanto a seguito della deliberazione della Giunta Municipale n. 826/1998, il Comune ha provveduto alla manutenzione e lavaggio degli indumenti di lavoro assegnati ai propri dipendenti.


Secondo la tesi comunale, così come esposta negli atti difensivi, è soltanto a seguito della vigenza della normativa richiamata che è stata introdotta la distinzione tra indumenti di lavoro ordinari e quelli che, invece, assolvono la specifica funzione di assicurare la protezione e la sicurezza dei lavoratori e che solo per tali ultimi, i cd. “D.P.I.”, è sorto, in base all’art. 43, 4° comma del D.lgs. n. 626/94, l’obbligo per il datore di lavoro di mantenerli in piena efficienza, mediante la manutenzione, la riparazione e le sostituzioni necessarie.


La tesi interpretativa del Comune circa la decorrenza e il contenuto dell’obbligo gravante sul datore di lavoro in materia di indumenti di lavoro forniti ai propri dipendenti non è condivisibile, anche alla luce del chiaro orientamento giurisprudenziale formatosi sulla questione, da cui il Collegio non intende discostarsi.


Come affermato dalla Corte di Cassazione, Sez. Lavoro, nella pronuncia n. 11139 del 5.11.1998, in una controversia avente il medesimo oggetto, sussiste per il datore di lavoro l’obbligo di provvedere alla messa a disposizione del lavoratore degli indumenti di protezione, obbligo che deriva già dal disposto del previgente D.P.R. n. 457/55, art. 379, che disciplina la materia della prevenzione degli infortuni sul lavoro, cui ha fatto seguito la disciplina introdotta dal più volte richiamato D.lgs. n. 626/94.


La finalità delle suddette norme si ricollega al principio di rango costituzionale che assegna al diritto alla salute il ruolo di diritto primario assoluto, per cui il datore di lavoro non solo è tenuto a fornire al lavoratore gli indumenti di lavoro, ma deve farsi carico anche della loro manutenzione per tutto il periodo di esecuzione della prestazione di lavoro “…perché solo in tal modo si consegue lo scopo della norma che, nella concreta fattispecie, è quello di prevenire l’insorgenza e il diffondersi d’infezioni, per effetto dell’uso dei mezzi protettivi connesso alla stessa durata della prestazione di lavoro. Ne consegue che, essendo il lavaggio indispensabile per mantenere gli indumenti in stato di efficienza, esso non può non essere a carico del datore di lavoro, quale destinatario dell’obbligo previsto dalle citate disposizioni” (così C.Cass. cit.).


Alla luce dei richiamati principi, va quindi ritenuta la fondatezza della pretesa avanzata dai ricorrenti, atteso che il Comune intimato è risultato inadempiente agli obblighi sopra individuati, quanto meno sino al periodo successivo all’adozione della delibera n.826/1998.


Quanto al danno subito, che è in re ipsa per effetto della mancata osservanza delle norme richiamate, e che si ricollega ad un’inadempienza di natura contrattuale, risulta sufficiente la prova da parte del lavoratore della sussistenza della fonte legale dell’obbligo ed il suo inadempimento.


Atteso, come più volte evidenziato, che il Comune di Treviso non ha provveduto nei termini dovuti alla manutenzione ed al lavaggio degli indumenti di lavoro assegnati ai propri dipendenti, per quanto attiene alla controversia in oggetto relativamente al periodo antecedente la data del 30.6.1998, va riconosciuto il diritto degli istanti al risarcimento del danno dagli stessi subito, consistente nell’aver dovuto darsi carico dei suddetti oneri.


La pretesa risarcitoria va peraltro riconosciuta nei limiti della prescrizione decennale a far data dalla notificazione del presente ricorso o per un periodo inferiore a seconda che l’assunzione in servizio del dipendente sia avvenuta in epoca successiva.


Quanto, infine, alla quantificazione del danno da risarcire, ritiene il Collegio di poterlo quantificare, in via equitativa ai sensi dell’art. 1226 c.c., nella somma di £.25.000 mensili, rapportate in Euro, all’uopo ritenendo adeguato e condivisibile il criterio di computo già seguito in sede civile per la medesima pretesa azionata dai ricorrenti per il periodo successivo al 30 giugno 1998.
A tale riguardo va specificato che l’amministrazione nel provvedere alla liquidazione delle somme spettanti a ciascun ricorrente dovrà tenere in ogni caso conto di eventuali periodi di assenza dal servizio maturati da ogni lavoratore nel periodo considerato.


Sulle somme così individuate dovrà infine essere calcolata la rivalutazione monetaria e gli interessi legali, che andranno corrisposti dalle singole scadenze al saldo, fatta eccezione per quanto riguarda la pretesa ex art. 1283 c.c., in quanto, come correttamente rilevato dalla difesa comunale, non costituendo le somme dovute per effetto del risarcimento del danno un credito liquido ed esigibile, non risultano produttive di interessi per il periodo antecedente la data di deposito del ricorso.


Per cui non sussistendo prima di tale data interessi già scaduti, gli stessi non possono a loro volta essere computati ai fini dell’anatocismo.


Quanto, infine, alle spese di giudizio, appare equo disporre la loro integrale compensazione tra le parti.


P.Q.M.


Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto, Seconda Sezione, respinta ogni contraria istanza ed eccezione, definitivamente pronunciando sul ricorso in premessa, lo accoglie e per l’effetto riconosce nei sensi indicati in parte motiva il diritto dei ricorrenti al risarcimento del danno subito per effetto del comportamento inadempiente del Comune di Treviso, il quale, per l’effetto viene condannato al pagamento delle somme spettanti ai propri dipendenti, comprensive di rivalutazione monetaria ed interessi legali dalle singole scadenze al saldo, così come indicato, per entità e decorrenza, in motivazione.


Compensa le spese e competenze del giudizio tra le parti.


Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.


Così deciso in Venezia, in Camera di Consiglio il 29 giugno 2006.


Il Presidente

L’Estensore

Il Segretario

 

M A S S I M E

Sentenza per esteso


1) Lavoro - Sicurezza sul lavoro - Indumenti protettivi - Obbligo per il datore di lavoro di provvedere alla manutenzione - Anteriormente al D.Lgs. 626/94 - Sussistenza - Art. 379, D.P.R. n. 457/55. L’obbligo del datore di lavoro di mantenere gli indumenti di protezione (cd. D.P.I.) in piena efficienza, mediante la manutenzione, la riparazione e le sostituzioni necessarie, sussisteva anche nel periodo precedente l’entrata in vigore del D.Lgs. 626/94, essendo già previsto dal disposto del D.P.R. n. 457/55, art. 379 (Cass. Sez. Lavoro, n. 11139/98). La finalità delle suddette norme si ricollega al principio di rango costituzionale che assegna al diritto alla salute il ruolo di diritto primario assoluto, per cui il datore di lavoro non solo è tenuto a fornire al lavoratore gli indumenti di lavoro, ma deve farsi carico anche della loro manutenzione per tutto il periodo di esecuzione della prestazione di lavoro (fattispecie relativa al lavaggio degli indumenti destinati agli addetti al servizio della nettezza urbana). Pres. Zuballi, Est. Farina - I.V. e altri (avv. Farina) c. Comune di Treviso (avv. Munari) - T.A.R. VENETO, Sez. II - 8 settembre 2006, n. 2897

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