Per altre sentenze vedi: Sentenze per esteso
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T.A.R. VENETO Sez.
II, 8 Settembre 2006, Sentenza n. 2899
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
IL
TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE
PER IL VENETO
SECONDA SEZIONE
Ric. n. 3178/00
Sent. n. 2899/06
con l'intervento dei signori magistrati:
Elvio Antonelli Presidente f.f.
Claudio Rovis Consigliere relatore
Mauro Springolo Consigliere
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso n. 3178/00, proposto da MASET GIULIANA, NATIVIDAD NOGUERAS FRANCO,
GUARINONI ARIANNA, BARBIERO MICHELE, FASOLO CLAUDIO,SACCAROLA SAVERIO, LUGATO
GIANCARLO e MORELLI EMANUELA, rappresentati e difesi dagli avv.ti Raffaele Bucci
e Luigi De Lazzari, con elezione di domicilio presso l’intestato Tribunale ai
sensi dell’art. 35 del RD n. 1054/24;
CONTRO
COMUNE DI SPINEA, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso
dall’avv. Alberto Cartia, con domicilio presso la Segreteria del T.A.R., ai
sensi dell’art. 35 R.D. 26.6.1924 n. 1054;
PER
l’annullamento dei provvedimenti 25.7.2000 con i quali il Comune di Spinea
ha dichiarato non abitabili le unità immobiliari site in viale Viareggio per
mancanza dei requisiti di salubrità;
E PER
il risarcimento del danno;
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Spinea;
Viste le memorie delle parti;
Visti gli atti tutti di causa;
Uditi nella pubblica udienza del 15.6.2006 - relatore il Consigliere Claudio
Rovis - i procuratori delle parti;
Ritenuto in fatto e in diritto quanto segue:
FATTO
Nel 1985 la signora Tessari, dante causa della Sinteco s.r.l., a sua volta dante
causa degli odierni ricorrenti, presentava al Comune di Spinea domanda di
rilascio di concessione edilizia in sanatoria, ai sensi dell’art. 31 della legge
n. 47/85, relativamente ad alcuni interventi edilizi eseguiti abusivamente su un
immobile di sua proprietà consistenti nella trasformazione del sottotetto in
otto mansarde abitabili.
Dopo alterne vicende, la concessione in sanatoria veniva rilasciata per due
delle otto unità immobiliari, relativamente alle quali, peraltro, la proprietà
inoltrava istanza di rilascio del certificato di abitabilità, che veniva però
denegato per mancanza dei requisiti igienico-sanitari di salubrità con
provvedimento 20.7.1994 n. 64.
Ritualmente impugnato, tale provvedimento veniva annullato dall’intestato
Tribunale per difetto di motivazione, evidenziandosi nella sentenza (28.5.1998
n. 2324) la necessità di valutare caso per caso la sussistenza dei presupposti
di abitabilità delle mansarde condonate.
Nelle more, in data 30.6.1997 le ulteriori sei mansarde precedentemente escluse
dal condono (e nel frattempo alienate a soggetti diversi) ottenevano la
concessione edilizia in sanatoria ai sensi della legge n. 47/85.
Ciò stante, i proprietari ne richiedevano l’abitabilità presentando le relative
domande in date comprese tra il 23.4.1998 ed il 26.1.1999, e, in prosieguo, le
vendevano a terzi (eccetto una).
Analogamente, Sinteco s.r.l., proprietaria delle due mansarde condonate nel
1994, diffidava in data 8.2.1999 il Comune di Spinea a rilasciare il certificato
di abitabilità relativamente ai predetti immobili, che successivamente
provvedeva ad alienare.
Con atto 20.10.1999, pertanto, il Comune di Spinea comunicava ai proprietari
delle otto unità immobiliari interessate l’avvio del procedimento amministrativo
finalizzato alla definizione delle richieste di rilascio dei certificati di
abitabilità.
Svolti gli opportuni accertamenti tecnici sulla sussistenza dei requisiti
igienico-sanitari, con provvedimenti in data 25.7.2000 il Comune di Spinea -
accertato il mancato rispetto delle prescrizioni relative alle altezze interne,
nonché alle superfici aero/illuminate degli immobili, come previste dall’art. 2,
I comma della LR n. 12/99 per il recupero dei sottotetti ai fini abitativi -
respingeva, su conforme parere dell’ASL, le domande di abitabilità per mancanza
delle condizioni di salubrità previste dall’art. 221 , II comma del TULS e
dall’art. 4 del DPR n. 425/94.
Avversavano tale diniego gli odierni ricorrenti denunciandone l’illegittimità
per violazione di legge e per eccesso di potere sotto diversi profili.
Resisteva in giudizio l’intimata Amministrazione comunale opponendo
l’infondatezza del proposto gravame, del quale, conseguentemente, chiedeva la
reiezione.
La causa è passata in decisione all’udienza del 15.6.2006.
DIRITTO
1.- Con il primo motivo i ricorrenti affermano che l’inutile decorso del termine
previsto dall’art. 4 del DPR n. 425/94 (ora trasfuso nell’art. 25 del DPR n.
380/01) avrebbe comportato la formazione di un provvedimento implicito di
assenso sulle domande presentate, con conseguente preclusione a denegare
successivamente l’abitabilità senza aver previamente annullato gli atti taciti
asseritamente formatisi.
Il motivo è infondato.
La richiamata norma, lungi dal prevedere un’ipotesi di silenzio-assenso,
legittima l’istante, trascorso il termine di 45 giorni dalla presentazione della
domanda, ad intraprendere l’attività (abitativa o di altro genere) nei locali
per i quali è stata richiesta l’abitabilità o l’agibilità, ma non fa venire
meno, giusta il III comma dell’art. 4 cit. (il termine ivi previsto è meramente
ordinatorio: cfr. TAR Liguria, II, 5.7.2002 n. 801), il potere di controllo e di
verifica dell’effettiva sussistenza dei requisiti igienici richiesti ( TAR
Liguria, I, 25.10.2004 n. 1473).
L’eventuale decorso del predetto termine, cioè, non priva l’Amministrazione
comunale del potere-dovere di accertare la sussistenza di tutti i presupposti ex
lege per la concreta abitabilità/agibilità dell’immobile e, in caso negativo, di
rifiutare il certificato richiesto: per ciò stesso non può sussistere in capo ad
essa l’onere di annullare d’ufficio un ipotetico provvedimento che non può
essersi formato in quanto non sussistevano i requisiti prescritti dalla legge
(TAR Milano, II 27.12.2001 n. 8440).
Nel caso di specie, le unità immobiliari sono risultate prive dei necessari
requisiti igienico-sanitari inerenti alla salubrità e, in particolare, l’idonea
aerazione ed illuminazione, nonché la sufficiente altezza interna dei locali.
2.- Nè può essere condiviso l’assunto prospettato con il secondo motivo di
censura secondo il quale, per gli immobili oggetto di concessione edilizia in
sanatoria ai sensi dell'art 35 della legge 28 febbraio 1985 n. 47, il rilascio
della licenza di abitabilità, in base al disposto del ventesimo comma dello
stesso articolo, costituirebbe atto dovuto, anche in assenza dei prescritti
requisiti igienico-sanitari.
In proposito, non v’è motivo per discostarsi dall’orientamento giurisprudenziale
secondo cui il rilascio del certificato di abitabilità di un fabbricato,
conseguente al condono edilizio ai sensi dell'art 35, comma 20, L. n. 47 del
1985, può legittimamente avvenire in deroga solo a norme regolamentari e non
anche quando siano carenti le condizioni di salubrità, richieste invece da fonti
normative di livello primario, in quanto la disciplina del condono edilizio, per
il suo carattere eccezionale e derogatorio, non è suscettibile di
interpretazioni estensive e, soprattutto, tali da incidere sul fondamentale
principio della tutela della salute (cfr. CdS, V, 15.4.2004 n. 2140; 13 aprile
1999 n. 414).
Orientamento, questo, in accordo con quello espresso dalla Corte Costituzionale,
la quale con sentenza n. 256 del 1996, ha avuto modo di precisare che la deroga
introdotta dalla norma suindicata “non riguarda i requisiti richiesti da
disposizioni legislative e deve, pertanto, escludersi una automaticità assoluta
nel rilascio del certificato di abitabilità ... a seguito di concessione in
sanatoria, dovendo invece il Comune verificare che al momento del rilascio del
certificato di abitabilità siano osservate non solo le disposizioni di cui
all'art. 221 T.U. delle leggi sanitarie (rectius, di cui all'art. 4 del D.p.r.
425/94), ma, altresì quelle previste da altre disposizioni di legge in materia
di abitabilità e servizi essenziali relativi e rispettiva normativa tecnica ....
Permangono, infatti, in capo ai Comuni tutti gli obblighi inerenti alla verifica
delle condizioni igienico-sanitarie per l'abitabilità degli edifici, con l'unica
possibile deroga ai requisiti fissati da norme regolamentari”.
E, nel caso di specie, le deficienze igienico sanitarie (scarsa aerazione ed
illuminazione e difetto di altezze) riscontrate nei locali di cui si tratta dai
competenti uffici tecnici del Comune e dell’ASL integrano la violazione di
prescrizioni poste a tutela della salubrità degli ambienti adibiti ad abitazione
da fonti normative di carattere primario, quali gli artt. 218 e 221 del T.U.
delle leggi sanitarie 27 luglio 1934 n. 1265.
Anche il secondo mezzo di doglianza va, pertanto, respinto.
3.- Assumono, ancora, i ricorrenti l’inconferenza, ai fini del diniego
dell’abitabilità, della rilevata mancanza dei requisiti previsti dall’art. 2, I
comma della LR n. 12/99.
Anche tale censura è destituita di fondamento.
L’art. 1, I comma della citata LR n. 12/99 (adottata con il dichiarato obiettivo
di limitare l’utilizzazione edilizia del territorio mediante la
razionalizzazione dei volumi esistenti) prevede espressamente la possibilità di
recuperare ai fini abitativi i sottotetti esistenti (regolarmente concessionati
o, comunque, non in contrasto con la normativa edilizio-urbanistica) purchè
rispettino, però - fra l’altro -, le “prescrizioni igienico-sanitarie
riguardanti le condizioni di abitabilità”: orbene, i parametri minimi
inderogabili di tali condizioni, indicati al successivo art. 2, I comma -
altezza utile media di m 2,40 e rapporto illuminante non inferiore a 1/16 -, non
sono posseduti dalle unità immobiliari in questione.
Né, a tal proposito, assume rilievo il richiamo, operato dai ricorrenti, al
paragrafo 3.9 del DM n. 22421/95 - interpretativo della normativa in materia di
definizione agevolata delle violazioni edilizie - che qualifica come derogabili
le norme relative alle altezze: sussiste, infatti, completa autonomia
(strutturale e funzionale) tra il procedimento di concessione edilizia (in
sanatoria) e quello di rilascio del certificato di abitabilità, essendo diversi
i requisiti e le finalità che li accompagnano (TAR Veneto, II, 5.12.2003 n.
6052).
4.- Va disattesa anche l’ultima censura con la quale i ricorrenti lamentano la
disparità di trattamento in relazione ad un asserito rilascio del certificato di
abitabilità a favore di unità immobiliari aventi la medesima tipologia edilizia.
Un (eventuale) provvedimento illegittimo, infatti, non può costituire utile
parametro di riferimento per rivendicare analogo trattamento, non potendosi
fondatamente pretendere, da parte dell’Amministrazione, la reiterazione
dell’illegittimità.
5.- Per le considerazioni che precedono, dunque, il ricorso è infondato e va
respinto, e con esso la domanda di risarcimento.
Le spese possono essere compensate.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto, Seconda Sezione,
definitivamente pronunciando sul ricorso in premessa, lo respinge.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.
Così deciso in Venezia, in Camera di Consiglio, il 15.6.2006.
Il Presidente
L’Estensore
Il Segretario
1) Urbanistica ed edilizia - Condono edilizio - Rilascio del certificato di abitabilità - Deroga alle condizioni di salubrità richieste da fonti normative di livello primario - Esclusione. Il rilascio del certificato di abitabilità di un fabbricato, conseguente al condono edilizio ai sensi dell'art 35, comma 20, L. n. 47 del 1985, può legittimamente avvenire in deroga solo a norme regolamentari e non anche quando siano carenti le condizioni di salubrità, richieste invece da fonti normative di livello primario, in quanto la disciplina del condono edilizio, per il suo carattere eccezionale e derogatorio, non è suscettibile di interpretazioni estensive e, soprattutto, tali da incidere sul fondamentale principio della tutela della salute (cfr. CdS, V, 15.4.2004 n. 2140; 13 aprile 1999 n. 414). Pres. f.f. Antonelli, Est. Rovis - M.C. e altri (avv.ti Bucci e De Lazzari) c. Comune d Spinea (avv. Cartia) - T.A.R. VENETO, Sez. II - 8 settembre 2006, n. 2899
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