Per altre sentenze vedi: Sentenze per esteso
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Tribunale di
Santa Maria Capua Vetere - Sez. I penale - 24 luglio 2006, Sentenza n.
1104
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Innanzi al Tribunale di Santa Maria Capua Vetere - Prima Sezione Penale
Giudice monocratico dott. CARLO ALESSANDRO MODESTINO
Alla pubblica udienza del'8 luglio 2005 ha pronunziato e pubblicato mediante lettura del dispositivo la seguente
SENTENZA
nei contronti di XXX
LIBERO COMTUMACE
IMPUTATO
Proc. Nr. 3371/00 mod. Trib.
Proc. Nr. 3366/98 mod. PM
A) Del reato p. e p. dall'art. 633-639 bis c.p. perchè nella qualità di procuratore speciale della XXX S.p.A. occupava arbitrariamente senza alcuna autorizzazione e/o concessione una superficie di 1.500.000 metri quadrati di demanio dello Stato, gestendo sopra tale superficie una vera e propria città abusiva costituita da:
- complessi di fabbricati ad uso residenziale per un totale di circa 11.000 vani pari a un milione di metri cubi ed una superficie coperta di circa 160.000 metri quadrati;
- complessi di fabbricati destinati ad uso di servizi pubblici quali Caserma Carabinieri, chiesa, Ufficio postale e ad uso sanitario assistenziale per una superficie complessiva di 6.000 metri quadrati;
- complessi e fabbricati destinati ad uso commerciale per una superficie complessiva di 37.000 metri quadrati;
- complessi di fabbricati destinati ad uso ricreativo per una superficie complessiva di 8.000 metri quadrati;
- complessi di fabbricati destinati ad uso turistico residenziale per una superficie complessiva di 35.000 metri quadrati ed in particolare N. 5 alberghi denominati: 1) HOTEL RESIDENCE ITALIA, 2) HOTEL RESIDENCE COSTA BLEU; 3) HOTEL RESIDENCE FONTANA BLEU; 4) ALBERGO ACACIE; 5) PARCO MARINO RIO BLU;
- complessi destinati a parcheggio per una superficie di circa 130.000 metri quadrati di cui 50.000 all'aperto;
- complessi destinati ad aree verdi attrezzate per una superficie complessiva di circa 300.000 metri quadrati;
- complesso di opere di urbanizzazione dell'intero territorio costituito da: rete viaria principale e secondaria, rete fognaria per un totale di 50 Km. circa, rete elettrica per un totale di circa 60 Km., rete di illuminazione pubblica per un totale di circa 60 Km.
B) del reato p. e p. dall'art. 21 legge 319/76, perchè realizzando la rete fognaria servente la città abusiva di cui al capo a) ed avente recapito nella zona Nord dell'insediamento abusivo, scaricava e comunque effettuava scarichi di acque reflue provenienti da insediamenti produttivi senza avere richiesto la prescritta autorizzazione;
C) del reato p.e p. dall'art. 632, 639 bis c.p. perchè deviava le acque del canale artificiale dei Regi Lagni mediante la divisione a metà dell'invaso con la creazione di un istmo artificiale ed il dragaggio artificiale della vecchia foce, al fine di procurare a sè un ingiusto profitto, costituito dalla utilizzazione degli spazi così ricavati ai fini edilizi e di urbanizzazione;
D) del reato p.e p. dallì'art. 734 c.p. perchè mediante le condotte indicate sub a) b) c) d) ed f) distruggeva ed alterava le bellezze naturali dei luoghi soggetti alla speciale protezione dell'autorità ex Regio Decreto n° 1797/39;
E) del reato p. e p. dagli artt. 54 e 1161 R..D 30.03.1942 N° 327 (C.d.N:), perchè arbitrariamente con parte delle opere di cui ai precedenti capi di imputazione, occupava uno spazio di demanio marittimo compreso nella fascia di rispetto di metri 300 dalla linea della battigia.
F) del reato p.e p. dall'art. 388 c.p., perchè si sottraeva all'adempimento degli obblighi nascenti dalle seguenti sentenze: Sentenza del 02.02.1978 Tribunale di Napoli prima sezione Civile N'' 2896/78 scritto al N° 17376 del ruolo generale degli affari contenziosi del 1973; Sentenza N° 1433 del 14.04/21.09.1982 della Corte di Appello di Napoli N° 2013/78 del
R.G.; Sentenza N° 2352 del 11.11.1983 depositata in cancelleria il 12.04.1984 R.G. 12/12-2364/83 a mente delle quali era tenuto a restituire allo Stato ampie zone del demanio pubblico;
G) del reato p.e p. dall'art. 2 L. 283/62, perchè esercitava l'attività alberghiera e quindi preparava, confezionava nonchè deteneva in deposito sostanze alimentari presso gli alberghi specificati al capo a) senza la prescritta autorizzazione di cui all'articolo sopraindicato;
H) del reato p.e p. dall'art. 22 R.D. n. 1265/34 perchè adibiva gli immobili di cui al capo a) ad uso abitativo senza essere munito della prescritta licenza di abitabilità.
In Castel Volturno fino al 20/ marzo/ 1999
Proc. Nr. 893/01 mod. Trib. (procedimento riunito al nr. 3371/00 mod. Trib)
Proc. Nr. 8858/99 mod. PM
I) del reato p. e p. dagli artt. 81 cpv, e 483 CP perchè, con più atti esecutivi di un medesimo disegno criminoso, nella qualità di Amministratore Unico del XXX attestava falsamente in sei ricorsi inoltrati il ........ al T.A.R. Campania, avverso e per l'annullamento di provvedimenti dell'Ufficio Tecnico Servizio Urbanistica del Comune di Castelvoltuno con i quali venivano rigettate le richieste di concessione edilizia in sanatoria, avanzate dalla società XXX S.p.A. ai sensi della legge 47/85, per numerosi manufatti realizzati abusivamente in Castelvoltuno, la maggioranza dei quali inequivocabilmente realizzati su aree del demanio dello Stato, che le opere realizzate dalla società XXX S.p.A. in Pinetamare di Castelvoltunno, la maggioranza dei quali inequivocabilmente realizzati su aree del demanio dello Stato, che le opere realizzate dalla società XXX S.p.A. in Pinetamare di Castelvoltuno ed oggetto delle domande di condono edilizio: prot. 23984 del 31.10.86; prot. 6455 dell'1.3.95, prot. 6418 dell'1.3.95; prot. 9764 del 30.53.95; prot. 6417 dell'1.3.95; prot. 23986 del 31.7.86 erano state realizzate entro il 31.12.67 ivi compresi i manufatti abusivi rientranti nella licenza edilizia n 135 che sarebbe stata rilasciata dal Sindaco del Comune di Castelvoltuno il 14.3.64, sebbene è assolutamente certo dai rilievi fotografici del 1974 che a quest'ultima data non vi era alcuna traccia degli edifici menzionati (che sarebbero stati realizzati a mente delle citate istanze entro il 1967), e che gli edifici oggetto delle altre istanze di condono sarebbero stati realizzati entro il 31.12.93, mentre in realtà dai rilievi fotografici risultano essere stati realizzati in epoca successiva, circostanze allo stesso note nella citata qualità e che infine le oblazioni si riferivano ad opere di completamento, mentre i manufatti erano opere nuove totalmente abusive;
L) del reato p. e p. dagli artt. 56 e 640 comma II CP, perchè poneva in essere atti idonei consistiti nelle false dichiarazioni di cui al capo precedente, diretti in modo non equivoco ad indurre il T.A.R. Campania ed il Comune di Castelvoltuno in errore sulla condonabilità, delle opere di cui alle richieste di condono, al fine di procurarsi l'ingiusto profitto ai danni di Enti Pubblici, costituito dal rilascio di, concessioni edilizie in sanatoria per manufatti palesemente illegittimi e realizzati in epoche successive ai periodi previsti dalla legge di condono, non riuscendo nell'intento per cause indipendenti dalla sua volontà;
M) del reato p.e p. dagli artt. 48, 56 e 479 CP perchè con artifizi e raggiri consistiti nelle false dichiarazioni di cui al capo a) dell'imputazione, inducendo in errore il Comune di Castelvolturno ed il TAR Campania, compiva atti idonei diretti in modo non equivoco ad attestare falsamente, nelle formazione dei predetti atti concessori in sanatoria, che le opere (...), evento non verificatosi per cause indipendenti dalla sua volontà.
Accertato il 31/3/1999 in Castelvolturno il 10.6.99
CONCLUSIONI:
● Il PM chiede affermarsi la penale responsabilità dell'imputato e la condanna alla pena di anni 4 e mesi 2 di reclusione ed € 1500,00 di multa, nonchè al risarcimento dei danni, quantificati in non meno di venti milioni di euro oltre le spese processuali
● Il difensore delle parti civili Presidenza del Consiglio dei Ministri, Ministero dell'Ambiente e Ttela del Territorio, Ministero dell'Economia e delle Finanze, Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, Ministero delle Politiche Agricole e Forestali (tutte rappresentate e difese dall'Avvocatura dello Stato) si riporta alle conclusioni scritte che deposita
● Il difensore della parte civile Regione Campania, si riporta alle conclusioni scritte che deposita
● Il difensore della parte civile Legambiente Campania, si riporta alle conclusioni scritte che deposita
● Il difensore della parte civile L.I.P.U., si riporta alle conclusioni scritte che deposita
● Il difensore della parte civile WWF Italia, in proprio e quale sostituito processuale della Provincia di Caserta e del Comune di Castelvolturno, si riporta alle conclusioni scritte che deposita
● Il difensore dell'imputato si riporta alla nota scritta che deposita e chiede l'assoluzione dell'imputato per non aver commesso il fatto in ordine ai capi A, C ed E, perchè il fatto non sussiste in relazione ai capi F, I , L, M; perchè il fatto non è previsto dalla legge come reato in relazione ai capi B e H; non dovendosi procedere in relazione ai reati di cui ai capi D e G.
IN FATTO ED IN DIRITTO
Con decreto emesso in data 20 marzo 1999, il Pubblico Ministero della Procura della Repubblica presso la Pretura Circondariale di Santa Maria Capua Vetere disponeva la citazione a giudizio di XXX in relazione alle imputazioni di cui in epigrafe e ne fissava la comparizione all'udienza del 12 maggio 2000 dinnanzi alla Pretura di Capua.
All'udienza del 12.5.2000 compiute le formalità preliminari, dichiarata la contumacia dell'imputato, la Presidenza del Consiglio dei Ministri, il Ministero dell'Ambiente e Tutela del Territorio, il Ministero dell'Economia e delle Finanze, il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, il Ministero delle Politiche agricole e Forestali (tutte rappresentare e difese dall'Avvocatura dello Stato), la Regione Campania, la WWF Italia, in proprio e quale sostituto processuale ai sensi dell'art. 81 c.p.c. del Comune di CastelVolturno e della Provincia di Caserta, la L.I.P.U. (lega Italiana Protezioni Uccelli) depositavano atto di costituzione civile. Il Pretore decideva come da ordinanza allegata al verbale di udienza.
Nelle more, interveniva la modifica legislativa sulla competenza del tribunale in composizione monocratica a seguito della quale veniva soppressa la Pretura di Capua ed i procedimenti ivi pendenti rimessi alla cognizione del giudice unico presso il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere.
Veniva, dunque, disposta la rinnovazione della citazione a giudizio e fissata l'udienza l'udienza edl 26 aprile 2002 (soltanto successivamente alla assegnazione del processo a questo giudice), rinviata al 28 giugno 2002 per legittimo impedimento dell'imputato.
Compiute le formalità preliminare, dichiarata la contumacia dell'imputato, ritualmente citato e non comparso, la Presidenza del Consiglio dei Ministri, il Ministero dell'Ambiente e Tutela del Territorio, il MInistero dell'Economia e delle Finanze, il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, il Ministero delle Politiche Agricole e Forestali (tutte rappresentate e difese dall'Avvocatura dello Stato), la Regione Campania, Legambiente Campania, la WWF Italia, in proprio e quale sostituto processuale ai sensi dell'art. 81 c.p.c. del Comune di CastelVolturno e della Provincia di Caserta, la L.I.P.U. (lega Italiana Protezioni Uccelli) si riportavano all'atto di costituzione di parte civile depositato dinanzi al precedente giudice, chiedendo di essere ammessi ad esperire nel presente processo l'azione risarcitoria nei confronti dell'imputato.
Il Pubblico Ministero nulla osservava e la Difesa si opponeva alla costituzione di parte civile sia delle amministrazioni statali, sia delle associazioni ambientaliste.
Il giudice, esaminati gli atti di costituzione di parte civile depositati e rilevatane la ritualità, ammetteva le predette costituzioni di parte civile come da ordinanza dettata a verbale di udienza, ad integrazione della quale in questa sede valgano le osservazioni che si espliciteranno infra nella parte dedicata alle questioni civili.
Si dichiarava aperto il dibattimento e il Pubblico Ministero chiedeva di provare i fatti di causa attraverso l'escussione dei testi di lista, e la documentazione dettata a verbale di causa, nonchè di quella che si riservava di esibire all'esito dell'escussione dei testi, in uno con il supporto video delle riprese aeree effettuate in collaborazione alla Aeronautica Militare sul territorio oggetto delle condotte di occupazione abusiva. Sul punto la Difesa nulla osservava ed il tribunale ammetteva le prove indicate come da ordinanza dettata al verbale di udienza.
Si dava luogo all'escussione di testi del Pubblico Ministero secondo l'ordine di cui appresso.
Udienza 25.10.2002 - dott. Costantino Nicola, all'epoca dei fatti tecnico presso la struttura commissariale di governo per la gestione del territorio di Castelvolturno, dott. Medici Francesco, all'epoca dei fatti in servizio presso il Commissariato Straordinario del Governo per Castelvolturno; Tomasetta Alessandro, all'epoca dei fatti in servizio presso l'Ufficio Provinciale del Territorio di Napoli.
Udienza 11.4.2003 - Colonnello Libertino Mario; Comandante Russo Giancarlo all'epoca dei fatti , dal '94 al '96 (settembre '94 - settembre '96) in servizio presso il Comando Circondariale Marittimo di Pozzuoli; M.llo della Capitaneria di Porto Mattiello Mario attualmente in servizio presso la Sezione Operativa del Commissario Straordinario del Governo per la gestione delle aree di Castel Volturno, all'epoca dei fatti dal '94 all'ottobre del 2000 comandante dell'Ufficio Locale Marittimo di Castel Volturno.
Udienza 9.1.2004 - Comandante Cuomo Aniello, sono ufficiale superiore della Capitaneria di porto, attualmente in servizio alla Capitaneria di porto di Salerno, all'epoca dei fatti lavoravo alla Capitaneria di porto di Napoli con l'incarico di curare il contenzioso demaniale; dott. Della Volpe Emanuele, funzionario dell'Agenzia del Demanio di Napoli, sezione distaccata di Caserta, all'epoca dei fatti dipendente dell'ex Ufficio Tecnico Erariale di Caserta, l'UTE.
Udienze 14.5.2004 e 28.52004 - Geometra Amendola Giovanni, all'epoca dei fatti in servizio presso l'Ufficio del Genio Civile Marittime dal '90 al 2000; dott. Fuschetti Giovanni, attualmente coordinatore regionale del Corpo Forestale dello Stato per la Campania, all'epoca dei fatti coordinatore provinciale del Corpo Forestale di Caserta; dott. Di Fusco Nicola Pasquale, nominato nel 1987 dal Ministro dell'Agricoltura Amministratore della Gestione Foreste Demaniali per conto del Corpo Forestale dello Stato del Ministero Agricoltura e Foreste.
Nel corso dell'udienza del 14.5.2006 in via preliminare le parti chiedevano che al presente procedimento, che pende nella stessa fase del procedimento nei confronti dello stesso imputato, venga riunito quello recante il numero 893/01 mod. 16 per ragioni di connessione oggettiva e soggettiva. Rilevato che i procedimenti si trovano nella stessa fase, si disponeva la riunione al presente procedimento di quello recante il numero 893/01 modello 16 3666/98 Notizie di Reato. Ritenuta la diversità del Giudicante, si disponeva la rinnovazione del dibattimento, il Pubblico Ministero si riporta alle precedenti richieste, analogamente la Difesa, il Giudice dichiarava ammesse le prove e reiterava la medesima ordinanza di riunione, al fine di condurre i due procedimenti nella medesima fase.
Udienza 11.6.2004 - Colonnello Sergio Costa, all'epoca dei fatti comandante del Settore Regionale di Polizia Ambientale del Corpo Forestale dello Stato; nel corso di tale udienza, presenti l'Ammiraglio Ispettore Piero Gallerano e l'Ing. Ferdinando Luminoso, redattori della consulenza effettuata nel corso delle indagini dal Pubblico ministero, sull'accordo delle parti si dava lettura previa acquisizione dell'elaborato.
Udienza 25.6.2004 - Prefetto Trevisone Giancarlo, commissario straordinario del Governo per la gestione dell'area di Castel Volturno e Prefetto di Livorno.
Udienza 9.7.1994 - Prefetto dott. Mario Ciclosi, direttore centrale dei servizi demografici del dipartimento degli affari interni e territoriali del Ministero dell'Interno, all'epoca dei fatti Commissario di Governo per il territorio di Castel Volturno, giusta D.P.R. 3 agosto del '98 e sino al 30 giugno 2000.
Udienza 8.10.2004 - Ing. Ferdinando Luminoso, sulla consulenza espletata nel corso delle indagini ed acquisita all'udienza dell'11.6.2004.
Dopo avere integrato la produzione documentale risultante dalle deposizioni ed aver prodotto la sentenza resa dal Tribunale Civile di Napoli nella causa tra Ministero dell'Ambiente e Presidenza del Consiglio dei Ministri, contro la XXX s.p.a., in persona del legale rappresentante XXX (avente ad oggetto la responsabilità della XXX s.p.a. per la trasformazione edilizia e la successiva gestione a fini di profitto economico del tratto demaniale del litorale domizio oggi denominato "Riviera Fontana Bleu"), all'udienza del 26.11.2004 il Pubblico Ministero rinunciava all'esame degli altri testi di lista, le Parti Civili e la Difesa nulla osservavano ed il tribunale, rilevata la superfluità dei residui messi istruttori, revocava l'ordinanza di ammissione delle prove in parte qua.
Alla udienza del 22.4.2005, premesso che in riferimento al tempo del commesso reato nei capi di imputazione si fa riferimento a date sicuramente successive al conseguimento della maggiore età da parte dell'imputato XXX, veniva disatteso ogni accertamento ulteriore richiesto dalla Difesa. Veniva acquisita la documentazione offerta dall'avvocato Garofalo limitatamente alle certificazioni del Comune di Castel Volturno a XXX, nonchè la certificazione dell'ufficio tecnico erariale esibita in stralcio sempre dalla Difesa, rigettandosi nel resto la richiesta di produzione documentale, nonchè della nota dell'ufficio tecnico erariale di Caserta del 1984, in quanto non pertinenti all'oggetto del presente processo.
Terminata l'acquisizione delle prove e rigettandosi le ulteriori richieste di approfondimento istruttorio, ritenendosi la causa adeguatamente istruita, veniva dichiarata chiusa l'istruttoria dibattimentale e utilizzabili tutti gli atti inseriti nel fascicolo e si invitavano le parti alla discussione, all'esito della quale rassegnavano le conclusioni riportate in epigrafe.
LA VICENDA PROCESSUALE - LA CONSISTENZA DELLA OCCUPAZIONE
Solitamente, nella prassi giudiziaria che tratta la materia afferente l'invasione e l'occupazione abusiva di aree territoriali di proprietà del demanio marittimo o forestale ci si imbatte in violazioni caratterizzate da costruzioni di lidi balneari, delimitazioni di confini incerti, realizzazione di manufatti destinati a parcheggio, bar, o anche a civile abitazione, il tutto in riferimento a superfici o volumetrie circoscritte a realtà costruttive specificamente individuate e, comunque, oggettivamente distinte e distinguibili dal contesto in cui vengono realizzate.
Non vi è chi non veda che, almeno in termini quantitativi, la fattispecie in esame risulta davvero unica quanto a vastità dell'intervento edilizio incriminato, riferendosi ad un'area territoriale estesa per oltre un milione e mezzo di metri quadrati, all'interno della quale è stato realizzato (si vedrà con quale grado di illiceità) un vero e proprio insediamento urbanistico, attraverso la costruzione di strade, alberghi, ville, parchi residenziali, edifici pubblici. Eloquente e condivisibile, sul punto, si ritengono le osservazioni introduttive della consulenza tecnica redatta dall'Ammiraglio Piero Gallerano, dall'ing. Ferdinando Luminoso e dall'Ispettore Capo Umberto Puma, in cui si sintetizza l'evolversi dei fatti la cui risultante finale è la massiccia devastazione della fascia costiera e del retrostante patrimonio boschivo, perpetrata in località Pinetamare e del tenimento di Castelvolturno, in danno detta proprietà Statale, mediante la cementificazione "sine regula" eseguita per l'insediamento del complesso edilizio denominato "Villaggio Coppola", di quella zona che per la sua originaria, selvaggia natura, ... si collocava, ancora intatta, quale classico esempio dell'antico, primario naturale assetto delle coste mediterranee ed in particolare del litorale italiano, conformatesi, con tutta probabilità, durante le ere geologiche del cenozoico (terziario) e neozoico (Quaternario).
L'oggetto del presente processo attiene, dunque, ad una ipotesi occupativa consistente nella realizzazione di una vera e propria città abusiva (completa di opere di urbanizzazione primaria e secondaria) sedente su di un territorio di proprietà dello Stato, che prima dell'intervento era costituito - in parte - da una riserva naturale gestita dall'Amministrazione Forestale dello Stato e per altra parte dal litorale marino domizio prossimo alla foce del Canale dei Regi Lagni, di proprietà del demanio marittimo. L'esatta determinazione territoriale della zona che in questa sede interessa, si rinviene nella cartografia acquisita nel corso del dibattimento, la quale illustra le particelle 1 e 2 del folio 47 e le particella 1, 2 e 3 del foglio 49 del catasto del Comune di Castel Volturno, località Pinetamare, zona vincolata secondo la legge 1497/39 sulle bellezze naturali nonchè secondo la successiva Legge Galasso 431/85. Tali particelle risultano di proprietà statale ed in particolare: la particella 1 e la particella 2 del folio 47 e la particella 1 del folio 49 dal Demanio Marittimo, le particelle 1 e 2 del folio 49 del Demanio Forestale. Dalla consulenza acquisita (la cui disanima accurata di tutte le problematiche affrontate la pone come fondamentale elemento di conoscenza processuale) e dalla deposizioni dei testi escussi, nonchè dalla documentazione riversata in atti, è emerso che con Decreto reso in data 5.6.1970 si è provveduto a delimitare il confine tra il demanio marittimo con apposita linea di demarcazione e con successivo Decreto interministeriale n. 1746 dell'11.6.1970 è stata eseguita la classificazione dell'area del Demanio Marittimo posta a monte della linea di delimitazione del 1970. Va sottolineato sul punto che a tale declassificazione non è mai conseguito (sino alla recente data del 18 marzo 2005, nella fase delle trattative dell'accordo transattivo di cui si dirà appresso) un mutamento dello stato proprietario dell'area demaniale, che è rimasta sempre e comunque di proprietà dello Stato, anche se posseduta ed occupata (illegittimamente) dal XXX e dalla XXX s.p.a., giacchè la demanialità viene meno solo per effetto di espliciti provvedimenti.
L'insediamento urbanistico nella predetta area ebbe inizio nel 1963 ad opera di XXX, poi XXX s.r.l., attraverso la realizzazione della rete viaria dell'insediamento residenziale turistico che prenderà il nome di Villaggio Coppola. Essa è costituita da due assi ortogonali: Viale degli Oleandri funge da collegamento dalla Strada Statale Domitina sino al mare in direzione Est-Ovest, viale delle Acacie che si snoda lungo un tracciato parallelo alla battigia in direzione Nord - Sud. Da tali assi principali si snodano tutte le altre strade realizzate all'interno del Villaggio Coppola, (via dei Rosmarini, via Mare), completo di una rete fognaria che ha uno sviluppo di cinquanta chilometri.
All'epoca degli accertamenti effettuati nel 196 nel corso delle indagini preliminari, venne rilevata dai consulenti del Pubblico Ministero (anche attraverso l'effettuazione di aerofotogrammetrie e riprese fotografiche ) l'esistenza di una rete telefonica di quaranta chilometri facente capo ad una centrale Telecom al servizio di diecimila utenze nonchè una rete idrica collegata all'Acquedotto Campano. E' stata, inoltre rilevata la realizzazione di macroscopiche opere di difesa del litorale, costituite da scogliere in massi calcarei che si spingono in mare per una lunghezza di oltre 200 metri e sono presenti su un fronte di litorale di oltre due chilometri.
Sull'intera area demaniale sopra descritta insiste, dunque, un ampio insediamento urbanistico costituito da fabbricati a uso residenziale, attrezzature scolastiche, attrezzature a verde, edifici di culto, attrezzature commerciali e ricreative, attrezzature turistiche, nonchè opere portuali e di difesa del litorale, il tutto in totale assenza di valido titolo autorizzatorio o concessorio da parte delle competenti autorità amministrative.
In particolare, i fabbricati ad uso residenziale, di varia tipologia ed altezza, comprendono circa 3800 appartamenti per un totale di 11.000 vani ed 1.000.000 di metri cubi (vuoto per pieno) ed una superficie coperta di circa 160.000 mq (si veda la consulenza alle pagg. 115 e ss.).
Le opere portuali consistono essenzialmente in una darsena (darsena San Bartolomeo) e n canali navigabili di collegamento con il mare, fornita di pontili per l'attracco di imbarcazioni, il tutto per una superficie occupata di circa 70.000 mq. Le opere di difesa del litorale sono costituite da "pennelli di imbonimento" aggettanti a mare e da scogliere costituenti il porto e l'avamporto, per una superficie di circa 32.000 mq.
Inoltre, è stata rilevata la realizzazione di complessi di fabbricati destinati ad uso turistico residenziale per una superficie complessiva di 35.000 metri quadrati ed un particolare cinque alberghi denominati Hotel Residence Italia, Hotel Residence Coste Bleu; Hotel Residence Fontana Bleu; Albergo Acacie; Parco Marino Rio Blu.
La consistenza della occupazione si evince in tutta la sa evidenza dalla ripresa aerea, illustrata nel corso del dibattimento, dal dott. Fuschetti. Va in proposito preliminarmente precisato che le procedure per le riprese dall'altro nel caso di specie sono state effettuate nel rispetto del complesso di regole tecniche che ne garantiscono l'autenticità e l'affidabilità. Infatti, prima di iniziare il volo finalizzato alla ripresa, è stato espletato un sopralluogo e una registrazione fotografica della zona di interesse; successivamente si è proceduto alla ripresa aerea, per poi sottoporne il risultato all'ufficio specifico della Aeronautica Militare, che la ha siglata al fine di visionarla; il tutto nella rigorosa garanzia di assenza di manomissione, dal momento delle riprese al momento del rilascio del nulla osta da parte dell'Autorità competente.
Dalla visione del filmato risulta che le operazioni si sono incentrate proprio sull'area di Castelvolturno Villaggio Coppola, Pinetamare, in particolare nell'area delle torri e poi a risalire verso tutto il Villaggio Coppola. In questa area dove l'intervento principale è stato effettuato, sin dagli anni '30 dal Corpo Forestale dello Stato si vedono delle pinete costiere artificiali, pinete con presenza anche di querce che furono costituite per seme. Il dott. Fuschetti ha dichiarato che nel corso delle riprese risultava evidente l'incidenza fortissima della atrofizzazione che ha creato sicuramente dei problemi di grosso inquinamento. Si nota chiaramente l'arretramento della fascia di vegetazione che si trova sia sul lato mare, in alcuni casi, e sia del retroterra, per cui si vedono chiaramente i problemi sorti a danno della vegetazione. La zona è ormai priva di elementi di naturalità. Sempre nel corso della medesima deposizione il dott. Fuschetti ha precisato che l'area occupata supera abbondantemente i dieci ettari.
Dall'esame del dott. Ciclosi risulta che sono state fatte operazioni di rilievo di tutto il territorio in contestazione con l'identificazione delle aree del demanio marittimo in cui insistevano i vari manufatti, il che è avvenuto con un rilievo topografico per la corretta individuazione e delimitazione delle proprietà di Stato. Sulla scorta degli accertamenti esperiti, anche al fine di addivenire ad un accordo transattivo con le società facenti capo alla famiglia XXX, è emerso che la XXX s.r.l., facente capo a XXX (padre dell'attuale imputato), si rese protagonista dell'insediamento sopra descritto su una area territoriale di proprietà demaniale sia marittimo che forestale. Parte dei terreni (sempre demaniali) originariamente posseduti dalla detta società, sono stati successivamente trasferiti ad altre società. tra cui la XXX s.p.a., facente capo al XXX, che hanno realizzato nella medesima zona altre costruzioni che tuttora detengono.
PREMESSA SULLA INTERPRETAZIONE DELLE FATTISPECIE DI CUI ALL'ART. 633 C.P. E ALL'ART. 1161 COD. NAV.
ART. 1161 COD. NAV.
Il reato di arbitraria occupazione di area demaniale implica l'instaurazione di un rapporto di fatto illegittimo, che esclude in tutto o in parte quello preesistente riguardante il soggetto pubblico, dal quale il privato (occupante) possa trarre un qualsiasi profitto.
La giurisprudenza è costante nel ritenere che la demanialità è una qualità del territorio che deriva direttamente dalla legge, sicchè i beni che ne sono oggetto sfuggono a qualsiasi forma di sdemanializzazione tacita, potendosi attuare quella espressa mediante uno specifico provvedimento di carattere costitutivo della competente autorità amministrativa. Sul punto è stato precisato che per la determinazione dell'appartenenza o meno di un bene al demanio marittimo, e quindi, per la definizione dell'oggetto della tutela penale, la giurisprudenza non ha ritenuto necessario la previa promozione del procedimento di delimitazione di cui all'art. 32 cod. nav., trattandosi di qualità, quella demaniale appunto, discendente direttamente dalla legge (per tutte: Cass. Pen. 31.5.2002, sez. III, n. 21386).
In tale ottica è stato condivisibilmente sostenuto che ai fini dell'esclusione del requisito dell'arbitrarietà nell'occupazione di area demaniale marittima sono irrilevanti, rispetto all'istituto della concessione, le figure giuridiche dell'acquiescenza (la costruzione del porto sarebbe "avvenuta sotto gli occhi di tutti e nel silenzio acquiescente di tutti") degli organi preposti e del conseguente consenso dell'avente diritto (Nella specie la S.C. ha osservato che la concessione è un atto amministrativo che acquista giuridica esistenza ed efficacia solo se emessa nella forma che documentalmente la individua, non ammette equipollenti e non può essere surrogata da manifestazioni di consenso od omissione di dissenso, se non nei casi espressamente e tassativamente previsti dalla legge; che il consenso scriminante è solo quello concernete diritti soggettivi privati - il che non può dirsi in ordine a consenso eventualmente prestato all'uso o all'occupazione di beni demaniali - e, inoltre, e soprattutto è necessario che il consenso del titolare del diritto preceda la condotta dell'agente) (Cass. pen. 10.1.1996, sez. III, n. 3747, 24.4.19995, Sez. II, n. 4332, 27.7.1994, Sez.III, n. 8450, 24.1.2003, Sez. III, n. 3535, 24.2.2003, Sez. III, n. 8759).
Sotto tale profilo, è stato sostenuto che il ritardo della pubblica amministrazione nella repressione di eventuali illeciti su area demaniale, se implica una possibile responsabilità per omissione di atti di ufficio a carico degli organi di controllo dello Stato e degli enti locali, non può mai sortire effetti di esclusione della responsabilità penale nei confronti del responsabile della occupazione senza titolo e, perciò, arbitraria (si veda Cassazione 22.2.1996, n. 865, Coppola, pronunciatasi in merito alla legittimità del sequestro preventivo disposto dal G.I.P. del Tribunale di Santa maria Capua Vetere in data 28.7.1995 nell'ambito del presente provvedimento). Neppure può essere invocata una sorta di causa di giustificazione atipica di inesigibilità sociale in quanto la destinazione demaniale di un bene già risponde per sua natura ad una finalità sociale positiva ed eventuali opere anche utili alla collettività, possono essere realizzate solo in conformità e nel ieno rispetto della normativa che regola la materia, giammai attraverso una arbitraria sostituzione autoritativa provata ai soggetti pubblici.
L'art. 1161 del Codice della Navigazione prevede quattro ipotesi contravvenzionali distinte: "l'arbitraria occupazione di spazio del demanio marittimo", l'esercizio di attività che ne "impediscono l'uso pubblico", l'esecuzione in tali zone di "innovazioni non autorizzate" e l'"inosservanza delle disposizioni degli artt. 55, 714 e 716 cod. nav.".
La distinzione tra le predette ipotesi appare chiara, riguardando la prima "l'abusiva occupazione diretta" del demanio marittimo; la seconda l'esercizio di attività impeditive dell'uso pubblico che possano svolgersi anche in zone non demaniali e di proprietà privata; la terza l'esecuzione di innovazioni non autorizzate anche in presenza di un rapporto concessorio; la quarta le utilizzazioni della proprietà privata in contrasto con i vincoli, a favore del pubblico demanio marittimo, previsti dal codice della navigazione.
Definiti i contorni dell'oggetto della tutela penale, occorre esaminare i presupposti per la configurabilità del reato in esame, che, come detto, viene integrato ogni qualvolta vengono poste in essere arbitrarie occupazioni od innovazioni in spazi demaniali marittimi, eseguite attività impeditive dell'uso pubblico, ovvero realizzate opere senza titolo nella fascia di rispetto di cui all'art, 55 cod. nav.
La norma in esame attua una tutela completa e articolata del demanio marittimo, prevedendo come reato quattro forme alternative di condotta, costituite dall'occupazione diretta o dall'esecuzione del demanio di innovazioni non autorizzate o dall'impedimento dell'uso pubblico di esso ovvero dall'inosservanza delle disposizioni degli artt. 55, 714 e 716 cod. nav. Sotto il profilo oggettivo, quindi, l'ipotesi astratta contempla un reato a forma mista, nel senso che una sola delle azioni alternativamente previste è sufficiente a concretarlo e che la commissione di cui o più di tali azioni realizza un'ipotesi di concorso di reati (cfr. in tali termini terza sezione Penale della Corte di Cassazione, sentenza del 16.2.01, n. 611).
Quanto all'impedimento all'uso pubblico del demanio, si sottolinea come l'art. 1161 cod. nav. non pone alcuna limitazione riguardo i modi e ai termini in cui l'impedimento deve essere realizzato per divenire penalmente rilevante. Ne deriva che il reato configurato è a forma libera, in quanto il precetto penale comprende qualsiasi tipo di condotta che, al di fuori dell'occupazione diretta, impedisca tale uso, ad esempio, precludendovi o anche semplicemente rendendovi più difficile l'ingresso mediante opere realizzate in zona limitrofa a quella demaniale. In tale ottica, si rende colpevole del reato previsto dall'art. 1161 cod. nav. colui che, pur senza occupare direttamente una zona demaniale, ne impedisce tuttavia l'uso pubblico mediante l'esecuzione nella sua proprietà di opere, quali sbarramenti, recinzioni, cancelli e simili, che se non negano in diritto, ostacolano comunque in concreto l'esercizio di fatto delle facoltà di raggiungere il demanio e, quindi, di usufruirne secondo la destinazione che gli è propria (si veda Cass. da ultimo citata).
Sotto il profilo della natura permanente del reato in esame, la Cassazione ha sottolineato che la violazione persiste finchè dura la condotta antigiuridica dell'agente o fino a quando sia intervenuta sentenza di condanna e tale assunto legittima di per sè l'adozione della misura cautelare del sequestro preventivo, diretto ad impedire che il comportamento illecito, protraendosi nel tempo, possa produrre ulteriori e più gravi conseguenze (Cass. Pen. 2.12.1999, sez. V, n. 5215 Cass. pen. 3.5.2002, sez. III, n. 16240).
In ordine al momento di cessazione della permanenza del reato di cui all'articolo 55 del codice della navigazione, sono recentemente intervenute le Sezioni Unite penali della Corte di Cassazione con la sentenza 27 febbraio - 8 maggio 2002, n° 17178, secondo cui "il reato previsto dagli articoli 55 e 1161 del codice della navigazione ha natura permanente, ma che tale permanenza cessa al termine dell'esecuzione delle opere abusive".
Nell'esprimere tale principio di diritto, le sezioni unite hanno posto l'accento sulla distinzione tra l'abusiva occupazione del demanio marittimo 8art. 54, anche mediante esecuzione di innovazioni non autorizzate) e la esecuzione non autorizzata di operare nella zona di rispetto dello stesso demanio (art. 55).
L'art 55 citato stabilisce testualmente che l'esecuzione di nuove opere entro una zona di trenta metri dal demanio marittimo o dal ciglio di terreni elevati dal mare è sottoposta all'autorizzazione del capo del compartimento; e al comma 5 aggiunge che quando siano abusivamente eseguite nuove opere entro la zona indicata nei primi due commi del presente articolo, l'autorità marittima provvede ai sensi dell'articolo precedente; quest'ultimo, e cioè l'art. 54, a sua volta recita che qualora siano abusivamente occupate zone del demanio marittimo o vi siano eseguite innovazioni non autorizzate, il capo del compartimento ingiunge al contravventore di rimettere le cose in pristino entro il termine a tale fine stabilito e, in caso si mancata esecuzione dell'ordine, provvede d'ufficio, a spese dell'interessato; infine, l'art. 1161, comma 1, prevede le sanzioni per la violazione delle norme su riferite e statuisce perciò che chiunque arbitrariamente occupa unno spazio del demanio marittimo o aeronautico o delle zone portuali della navigazione interna, ne impedisce l'uso pubblico o vi fa innovazioni non autorizzate, ovvero non osserva le disposizioni degli artt. 55, 714 e 716, punito con l'arresto fino a sei mesi o con l'ammenda fino a £ 1.000.000, sempre che il fatto non costituisca più grave reato.
Procedendo all'analisi delle norme su citate, risalta con tutta evidenza che il legislatore ha dichiaratamente distinto, anzitutto sul piano terminologico, tra l'abusiva occupazione (anche mediante esecuzione di innovazioni non autorizzate) del demanio marittimo (art. 54), e la esecuzione non autorizzata di operare nella zona di rispetto dello stesso demanio (art. 55).
La distinzione, resa maggiormente evidente dal fatto che i due diversi comportamenti sono previsti da norme distinte, è dovuta anche all'ovvia ragione che nell'ipotesi dell'occupazione del demanio marittimo il soggetto attivo invade in maniera permanente un bene di proprietà dello Stato; mentre nell'ipotesi di costruzione nella zona di rispetto, il bene utilizzato per l'esecuzione dell'opera è normalmente di proprietà, dello stesso privato che l'ha effettuata, e quindi non si verifica alcun tipo di invasione di un immobile altrui. Ciò posto, sembra opportuno evidenziare che il termine occupazione, nella nostra lingua designa una presa di possesso stabile o temporanea, di un bene, mentre il termine esecuzione indica l'attuazione sul piano pratico o materiale di un'opera. Dunque è agevole rilevare che, secondo l'interpretazione più coerente al significato proprio della parole secondo la connessione di esse, e all'intenzione del legislatore (art. 12 delle preleggi), la occupazione di un bene demaniale costituisce un reato permanente dal momento che la condotta illecita si compie con il fatto della presa di possesso del bene e si protrae per tutto il tempo in cui questa persiste; e che, invece, nel caso di esecuzione di un'opera, l'azione vietata si perfezione ed esaurisce con la materiale attuazione dell'opera stessa, la quale va dall'inizio alla ultimazione dei lavori, con la conseguente configurabilità di una permanenza circoscritta nell'ambito di questi due momenti.
Nel caso di specie, oltre a quanto sarà appresso specificato, si ritiene concretata innanzitutto l'ipotesi della occupazione da parte del XXX del bene demaniale marittimo in relazione alle particela 1 e 2 del folio 47 e 1 del folio 49 sopra specificate, in violazione dell'art 54 cod. nav. In particolare, prima con l'immissione in possesso dei beni demaniali precedentemente occupati dal padre, poi attraverso la gestione della XXX s.p.a, l'attuale imputato ha posto in essere la tipica condotta sanzionata dall'art. 1161 cod. nav. realizzando nuove costruzioni, nonchè attraverso le opere di manutenzione degli immobili acquisiti.
ART. 633 C.P.
Oggetto della tutela, in dottrina e in giurisprudenza, è il diritto di godere e disporre del patrimonio immobiliare da parte sia del proprietario che del possessore e l'inviolabilità di tale patrimonio, per la consequenziale ed inevitabile esigenza di arrivare a disordini sociali, costituisce un interesse pubblico e quindi da difendere (C.f.r. F. antolisei, Manuale di diritto penale, Parte speciale I, Giuffrè, MIlano 1982).
D'altronde, in accordo con la dottrina maggioritaria (Venditti, Invasione di terreni o edifici, in Enc. Dir, vol. XXII, 1972, p. 626) la giurisprudenza ha costantemente, ritenuto che il delitto ex art. 633 c.p. non richiedesse, per la sua sussistenza un ingresso violento nel terreno e/o l'edificio poichè il termine "invasione" non deve essere inteso etimologicamente, cosa questa che implica quasi un concetto di violenza fisica ma nel senso d'accesso arbitrario contro la volontà del proprietario e non momentanea. Il vantaggio che si dovrebbe conseguire è insito nella occupazione stessa del bene altrui venendosi così a ledere la obiettività giuridica costituita dalla tutela del possesso e dalla disponibilità dell'immobile anche indirettamente poichè può essere riferito anche alla utilità economica dello stesso.
La giurisprudenza ha affermato che l'azione prevista dall'art. 633 c.p. necessita come conditio sine qua non sia la penetrazione nell'immobile dall'esterno che la violazione dell'esclusività della proprietà o del possesso con la conseguenza che il reato de quo non è configurabile qualora l'autore si trovi già legittimamente nel possesso
o nel compossesso dell'immobile e lo utilizzi al di là dei limiti consentitigli o del suo diritto (C.f.r. Tribunale Milano, 14 luglio 2004 ed in particolare Cassazione penale, sez. II, 27 novembre 2003, n. 49169 in Cass. pen. 2005, f. 2, 456 secondo la quale "nel reato di invasione di terreni o edifici di cui all'art. 633 c.p. la nozione di "invasione" non si riferisce all'aspetto violento della condotta, che può anche mancare, ma al comportamento di colui che si introduce "arbitrariamente", e cioè contra ius, in quanto privo del diritto d'accesso.
La conseguente "occupazione" deve ritenersi pertanto l'estrinsecazione materiale della condotta vietata e la finalità per la quale viene posta in essere l'abusiva occupazione. Nel caso in cui l'occupazione si protragga nel tempo il delitto ha natura permanente e cessa soltanto con l'allontanamento del soggetto dall'edificio o con la sentenza di condanna. Dopo la pronuncia della sentenza la protrazione del comportamento illecito dà luogo ad una nuova ipotesi di reato che non necessita del requisito dell'invasione ma si sostanzia nella prosecuzione dell'occupazione".
Sulla natura del dolo richiesto per questa ipotesi criminosa la giurisprudenza è concorde nel ritenere che "la sola consapevolezza della illegittimità dell'invasione di un l'altrui bene immobile non vale, di per sè, a rendere configurabile il dolo specifico richiesto per la sussistenza del reato di cui all'art. 633 c.p., caratterizzato dalla finalità di occupare l'immobile o di trarne altrimenti profitto, non potendosi, in particolare, confondere - nel caso di beni demaniali, per i quali il reato è perseguibile d'ufficio, ai sensi dell'art. 639 bis c.p. - l'elemento soggettivo richiesto per la fattispecie criminosa con quello sufficiente per l'illecito amministrativo dell'omesso pagamento della tassa di occupazione di suolo pubblico" (così Cassazione penale, sez. II, 24 gennaio 2003, n. 14799 in Riv. pen. 2003, 48; Cassazione penale, sez II, 17 ottobre 2003, n. 43393 in Cass. pen. 2005, f. 1, 62 secondo cui "non integra il delitto di invasione di terreni o edifici di cui all'art. 633 c.p. la condotta di chi sia sempre vissuto in un immobile di proprietà pubblica, locato a suo padre, e dopo il trasferimento di quest'ultimo abbia continuato il pagamento dei bollettini indicando come causale l'indennità di occupazione, in attesa della formale assegnazione in suo favore, sia per l'assenza del dolo specifico che per la mancanza dell'elemento materiale rappresentato dalla necessaria arbitraria invasione dell'immobile").
Sempre secondo la costante giurisprudenza, (Cassazione penale, sez. II, 6 aprile 2001, n. 23800, in Riv. pen, 2001, 830) in tema di reato di invasione di terreni o edifici vanno fissati i seguenti punti: 1) l'elemento materiale non è l'occupazione (che è una delle finalità illecite dell'invasione), ma l'invasione, ossia l'accesso dell'esterno nell'altrui immobile che non deve essere del tutto momentaneo, ma che, tuttavia, non richiede una protrazione per un periodo di tempo definito; 2) l'introduzione deve essere arbitraria, nel senso che deve avvenire senza l'approvazione dell'avente diritto, ovvero senza una legittimazione dei pubblici poteri ecc.); 3) il dolo specifico, richiesto come elemento soggettivo, deve avere la finalità dell'occupazione (che implica il concetto di durevolezza), oppure di trarre comunque un diverso profitto, che non va inteso come dato strettamente patrimoniale e direttamente conseguente all'invasione, ma può consistere anche in un uso strumentale del bene per conseguire altre utilità".
nella fattispecie, il XXX ha posto in essere una vera e propria condotta di arbitraria immissione nel possesso di beni altrui, vale a dire appartenenti allo Stato. E la natura demaniale delle aree territoriali invase, risultava di tutta evidenza sia dalle caratteristiche orografiche e naturali delle stesse, sia dalla totale mancanza di validi titoli di provenienza privata.
A parere di questo giudice, ai fini della configurabilità del reato in esame, non rileva il fatto che la condotta illecita sia stata cominciata da terzi (nella specie, il padre) in epoca remota, in quanto ciò che rende penalmente significativa la condotta descritta dall'art. 633 c.p., è l'altruità del bene di cui l'agente si impossessa, in uno con la consapevolezza circa l'attuazione di una situazione possessoria priva di titolo legittimante. Del resto, il XXX, quale legale rappresentante della società gerente la proprietà immobiliare costruita sul demanio marittimo e forestale, era destinatario di atti di diffida da parte dell'Autorità che ne rivendicava il titolo proprietario, nonchè il pagamento di indennizzi di occupazione.
Del resto, in materia era intervenuta la sentenza della Corte di Cassazione n. 2352 del 1984, la quale attribuiva in via definitiva alla Amministrazione forestale i terreni demaniali illecitamente occupati da XXX. Della vicenda era perfettamente al corrente anche il XXX, il quale, con evidente intento strumentale, continuò a rivendicare la proprietà intentando un ulteriore giudizio (poi estinto) sul medesimo presupposto già ritenuto infondato dalla Cassazione, vale a dire l'esistenza di una scrittura privata attestante l'acquisto delle aree in questione da parte di XXX dagli eredi XXX, con atto 10.4.1963.
Tuttavia, l'imputato ha sempre mantenuto il possesso e la gestione di tutta l'area abusivamente occupata, ponendo in essere un'attività di trasformazione edilizia e successiva gestione a fini di profitto economico di un vasto tratto demaniale del litorale domizio, denominato "Riviera fontana Bleu", dove un tempo, per circostanza pacifica, vi erano solo pinete sino alla spiaggia. E, sotto altro e concorrente profilo, tale contegno sostanzia, con estrema e chiara immediatezza, anche l'elemento soggettivo del dolo specifico volto alla realizzazione di un profitto.
Concludendo va puntualizzato che possono ritenersi provati gli estremi integrativi delle fattispecie di reato contestate all'imputato, sia relativamente all'aspetto dell'occupazione punita dall'art. 633 C.P., sia in relazione alla contravvenzione di cui all'art. 1161 R.D. 327/42. In proposito va osservato che è ammissibile il concorso di reati fra il delitto di cui agli art. 633 e 639 bis C.P., e la contravvenzione di cui all'art. 1161 R.D. 327/42, essendo diverse le due condotte illecite e differenti i beni giuridici tutelati; tuttavia, in alcuni casi (come quello che ci occupa), le due condotte possono coincidere, quando l'introduzione abusiva si protrae nel tempo ed è stata effettuata al fine di occupare il suolo demaniale o di trarne altrimenti profitto, mentre l'elemento discriminante è rappresentato dall'elemento psicologico, essendo richiesto il dolo specifico nel delitto e solo la colpa per la contravvenzione.
LA RIFERIBILITA' DEI FATTI A XXX
DISAMINA CAPO F
Le imputazioni sollevate nei due procedimenti penali, riuniti in questa sede, a carico di XXX descrivono la storia recente della trasformazione illecita e della destinazione innaturale di una vasta area territoriale di Castelvolturno, comunemente individuata come Villaggio Coppola. Il senso della unitaria trattazione dei due processi, basata sulle evidenti ragioni procedurali di connessione soggettiva e probatoria sussistente tra i fatti, risiede nella logica e giuridica riferibilità all'imputato dei fatti di occupazione ed invasioni di beni appartenenti al demanio marittimo che ebbero inizio negli anni 1960 ad opera di XXX, padre dell'attuale imputato.
Infatti, la gestione giuridica e di fatto della XXX s.p.a. da parte del XXX, dimostrata oltre che dagli accertamenti effettuati dal Pubblico Ministero nel corso del procedimento 3366/98 rg. Mod. 22, si rivela in tutta la sua evidenza anche attraverso le condotte descritte ai capi I, L, M, relative ad una serie di ipotesi di falso, frode processuale e truffa, posti in essere proprio in ragione e nel perseguimento degli scopi di lucro ad opera dell'attuale imputato, quale legale rappresentante della predetta società.
A ciò si aggiunga che la XXX s.p.a. ha partecipato alle attività edificatorie successive al 1981, subentrando alle altre società della famiglia XXX o coadiuvando con le stesse. Il XXX si è reso, dunque, protagonista sia della immissione in possesso in beni appartenenti allo Stato ( e si è precisato che non rileva la circostanza che su tali beni il padre avesse già cominciato a realizzare l'insediamento urbano sopra descritto), sia del successivo sfruttamento economico delle opere realizzate; il che consente di attribuire alla gestione che il XXX ha attuato nella XXX s.p.a un ruolo decisivo, sotto il profilo causale, alla condotta di invasione, occupazione e illecita trasformazione e utilizzazione del territorio di Cstelvolturno facente capo al demanio.
Inoltre, dall'esame del Colonnello Costa è emerso che nell'ambito delle attività delegate dalla Procura della Repubblica di Santa Maria Capua Vetere sono stati acquisiti numerosi atti presso la Regione Campania Servizio Turismo a firma del signor XXX. Tali documenti (acquisiti all'esito della deposizione del Costa) si riferiscono fondamentalmente all'istanza id contributo a fondo perduto in conto capitale o mutuo agevolato per la realizzazione di costruzioni nell'ambito del comprensorio di Castel Volturno, foglio 49, particella 2 e 3, vale a dire delle zone illecitamente occupate. In due casi le istanze hanno determinato la contribuzione in conto capitale a fondo perduto per £ 412.500.000, in un caso e 450.000.000 nel secondo caso, in altre tre istanze invece non hanno dato luogo a contribuzione o a mutuo agevolato perchè il servizio turismo ha dichiarato che ancora era in itinere la procedura. Anche sulla scorta di tali emergenze, si è, dunque, potuto verificare che il XXX era nel pieno possesso e disponibilità delle aree oggetto di invasione ed occupazione, in ordine alle quali paventava anche un titolo legittimante per la concessione di contributi pubblici.
Sotto altro profilo e sempre nel medesimo senso dimostrativo, dall'esame dei documenti e dalla deposizione del dott. Trevisone, risulta che il XXX ha sottoscritto in data 30 giugno 2005 il protocollo d'intesa con l'Agenzia del Demanio Filiale Campania, perchè all'epoca era Presidente del Consiglio di Amministrazione e rappresentante legale della XXX s.p.a. Peraltro, come precisato dal dott. Mario Ciclosi, sicuramente il XXX era stato identificato come uno dei soggetti che reclamavano parte delle proprietà delle aree in contestazione e costantemente partecipe a tutti gli incontri preliminari alla sottoscrizione del protocollo di intesa.
Come condivisibilmente osservato dal Pubblico Ministero in fase di conclusioni, i documenti acquisiti dal Colonnello Sergio Costa del Corpo Forestale dello Stato, nel quadro identificato come scheda sinottica numero 22, attestano inequivocabilmente che XXX, di professione imprenditore, era ed è presidente della società XXX s.p.a. sin dal 1989 (tale è la data del primo atto indicato). Quindi, profili di dubbia riferibilità al XXX quale legale rappresentante della XXX assolutamente non ve ne sono.
DISAMINA CAPO F
Strettamente consequenziale alle considerazioni appena espresse, si pone l'esame della vicenda relativa alla contestazione descritta al capo F della rubrica. Si tratta di una ipotesi che trae la sua dimostrazione direttamente dall'esame dei provvedimenti giurisdizionali acquisiti, da cui emerge che il XXX si è sottratto all'adempimento degli obblighi nascenti dalle seguenti sentenze: Sentenza del 02.02.1978 Tribunale di Napoli prima sezione Civile N" 2896/78 iscritto al N° 17376 del ruolo generale degli affari contenziosi del 1973; Sentenza N° 1433 del 14.04./21.09.1982 della Corte di Appello di Napoli N° 2013/78 del R.G.; Sentenza N° 2352 del 11.11.1983 depositata in cancelleria il 12.04.1984 R.G. 12/12-2364/83.
L'obbligo nascente in capo alla società XXX, della quale il XXX è rappresentante legale, in forza delle predette decisioni giurisdizionali consisteva nella restituzione allo Stato delle aree demaniali illegittimamente occupate. Restituzione che, come si è avuto modo di appurare, non è mai avvenuta.
E tale contegno appare idoneo a integrare gli estremi del reato di cui all'art. 388 c.p. (mancata esecuzione dolosa di un provvedimento del giudice), il quale è configurabile tutte le volte che l'agente ponga in essere, con consapevole volontà, una condotta diversa da quella disposta dal giudice, così ledendo il bene giuridico protetto. L'elemento psicologico del reato rimane integrato dalla cosciente volontà di eludere il provvedimento senza che sia richiesto alcun fine specifico (Cass., sez. VI, 06-10-1998, De Leo, Ced. Cass. rv. 211739)
DISAMINA DEI CAPI A, C, D, E
Oltre alle emergenze di fatto sopra delineata, la consistenza oggettiva e la verificazione storica delle ipotesi di reato descritte ai capi A, C, D, E, può sintetizzarsi nelle conclusioni dell'elaborato di consulenza tecnica Gallarano - Luminoso - Puma, a tenore del quale:
1) La Società XXX, con l'inizio dalla fine degli anni 60, ha proceduto alla sistematica, programmata, rilevante occupazione di vaste zone di demanio marittimo, idrico e forestale, in località
Pinetamare nel Comune di Caselvolturno, ove, mercè la totale distruzione e la profonda, irreversibile modifica dell'originario naturale assetto del sito, di cui si è ampiamente trattato nelle pagine precedenti, (taglio ed espianto del soprassuolo arboreo costituente il patrimonio boschivo e macchiatico, escavazione dell'alveo e delle ripe del tratto di canale denominato "Vecchia foce", sbancamenti e livellamenti del suolo, posa in mare di grossi massi per la formazione di scogliere, ecc.), realizzando un imponente insediamento edilizio. In generale, per poter meglio comprendere la vastità e la portata del fenomeno, possono citarsi ad esempio, tra le altre, le più rilevanti violazioni che così si riassumono:
● massicci sbancamenti e spianamenti estesi a tutto il tratto litoranee (fogli di mappa n. 47 e 49 in parte) oggetto della edificazione di numerosi corpi di fabbrica, destinati ad abitazioni, esercizi commerciali ed alberghieri, uffici ed impianti ludico-ricreativi;
● costruzione di consistente e ramificata rete viaria, parte inframmista ai fabbricati e parte sulla fascia litoranea, con andamento parallelo alla battigia;
● livellamento di parte del canale (Regio Lagno), che aveva andamento parallelo al lido del mare e successivamente parzialmente edificato;
● dragaggio parziale della Vecchia Foce per la realizzazione dell'attuale "Darsena S. Bartolomeo" e conseguente costruzione di banchinamento, opere portuali, manufatti ed aree asservite;
● formazione di scogliere frangiflutto che dalla battigia, con andamento ad esso quasi perpendicolare, si protendono verso il mare;
● edificazione di fabbricati elevantisi per 14 piani fuori terra su parte della zona litoranea posta a Nord (Torri del Villaggio Coppola).
2) Il complesso edilizio che per la sua vastità può definirsi una vera e propria cittadella è corredato da tutte le opere infrastrutturali e si compone prevalentemente di fabbricati di abitazioni, in parte ad uso stagionale ed in parte per stabile residenza di nuclei familiari, colà insediatisi, dopo i fenomeni sismici del 1980 e successivi, di alberghi, ristoranti e bar, di negozi e botteghe, di locali utilizzati per agenzie ed uffici, ecc. Come detto in precedenza, detto complesso insiste parte sul demanio marittimo, parte su beni del A.S.F.D. e parte su tratti di canali demaniali.
3) Per quanto concerne l'occupazione di aree demaniali marittime, si rende opportuna e necessaria evidenziare che, per i fini della presente relazione, di alcuna rilevanza è il confine delimitato con il verbale redatto e definitivamente approvato nel 1970; infatti detta formalità, sostanzialmente ha voluto ridisegnare a monte i limiti del demanio necessario (lido e spiaggia) in conseguenza del notevole ed abnorme ripascimento che ha interessato la fascia costiera in esame. Quest'ultima circostanza è agevolmente rilevabile dal raffronto delle risultanze cartografiche, allestite all'impianto del N.C.T. (foglio di mappa 47 p.lla 1 e foglio di mappa 49 p.lla 1) e lo stato di fatto esistente all'epoca della citata delimitazione.
Successivamente alla richiamata confinazione, per l'arenile, di notevole profondità, reliquato a monte, compreso tra l'originario confine di cui alle precipitate mappe di impianto e quello individuato nell'anno 1970, non è mai intervenuto alcun provvedimento di formale sclassifica e pertanto della area, di rilevantissima estensione per quanto rappresentato nell'apposito capitolo riservato al regime giuridico del demanio marittimo, continua ad appartenersi ad esso e perciò assoggettato alla specifica normativa che lo regola.
4) Degno di nota è il parere reso dall'Avvocatura Generale dello Stato (nota 34471 del 4.10.1985 - allegato n. 5) recepito e fatto proprio dalla Direzione Generale del Catasto e dei Servizi Tecnici Erariali (nota n. TCIII3/3047 del 23.10.1985 - allegato n. 5) mercè il quale è stato fatto carico all'Ufficio Tecnico Erariale di Caserta di procedere "senza indugio" alle mutazioni catastali, previa compilazione delle tabelle di variazione modello 13 - istruzione XIV modif. NCT. Siffatto provvedimento ha provocato l'intestazione alla Ditta "Coppola Pinetamare" di vastissime aree demaniali marittime ed il conseguente accatastamento al N.C.E.U. con alienazione a terzi dei fabbricati abusivamente realizzati. Le tabelle di variazioni (allegati n. 4) sono state compilate e sottoscritte in data 30 novembre 1985 dai Tecnici Cicala Romualdo e Batelli Vittorio, dal Capo della Sezione Geom. Mario Sposilo, su ordine del Capo dell'Ufficio Ing. Domenico Balsamo.
5) Si nutrono dubbi sulla validità dei numerosi rogiti notarili, riguardanti la vendita a terzi, da parte della Soc. XXX, e comunque dei suoi Legali Rappresentanti o Società ad essa subentrate in quanto sostanzialmente in contrasto con il dettato della legge notarile (art. 28), al cui apposito capitolo si rinvia, riscontrandosi dalle letture di essi negligenza o comunque scarsa attenzione nell'acclarare la provenienza o la legittimità dei cespiti con essi alienati.
6) Si ritiene superfluo aggiungere ulteriori considerazioni circa l'appartenenza allo Stato dell'intero compendio riguardante la Darsena S.Bartolomeo e le sue pertinenze, essendo incontestabile la sua morfologia marittima.
7) omissis
8) Va sottolineato che l'insediamento urbanistico ed edilizio è stato reso possibile dalla reiterata costante inerzia delle Amministrazioni preposte alla tutela dei beni dello Stato; di fatto l'Autorità Marittima non ha mai concretizzato i provvedimenti di sgombero e rimessa in pristino delle realtà demaniali marittime, costà ubicate, nè ha proceduto alle previste acquisizioni alla proprietà demaniale dei manufatti nel suo ambito realizzati.
9) Soltanto di recente gli Uffici finanziari competenti, la Sezione Staccata demanio dell'U.T.E. e l'Ufficio del registro, quest'ultimo cono notevole ritardo per quanto di competenza e nonostante i solleciti della Direzione Centrale del Demanio, stanno attuando il recupero in relazione all'ammontare delle indennità dovute a titolo di ristoro all'Erario, per effetto degli abusi rilevati.
10) Una valutazione, seppure di larga massima ed in presenza di disposizioni legislative e vaghe dell'indennizzo dovuto per occupazione abusiva dei suoli ha permesso di determinare una somma relativa al periodo 1970-1996 di circa 177.000.000.000 di lire al netto di interessi e dei canoni di concessione. Tale valore si discosta molto dall'ammontare determinato dagli Ufficio finanziari sopra citati, che hanno adottato una diversa metodologia di calcolo.
Dalla deposizione del dott. Della Volpe risulta che con supporto strumentale e cartografico, nonchè in base alle mappe a disposizione del catasto e in base alla strumentazione in dotazione all'ufficio vennero effettuati dei rilievi della zona descritta in rubrica e riportati sulle mappe, in guisa tale da ricostruire l'abuso su un supporto cartografico.
Dall'esame di tale cartografia, raffrontata con le fotografie aeree dell'Istituto Geografico Militare, emerge in tutta evidenza che alcuni immobili risultavano essere realizzati proprio dove c'era il mare, vale a dire nella zona cosiddetta di ripascimento.
Nell'accertare tutti i manufatti al di sotto della linea del 70 fino alla battigia, il dott. Della Volpe ha riferito che gli abusi realizzati si sviluppano su una linea di 4 chilometri e 300.
La deposizione del dott. Di Fusco, Amministratore delle Foreste demaniali ha fatto riferimento, tra l'altro, alla decisione della Corte di Cassazione del 1984 che con una statuizione inequivocabile riconosceva all'Amministrazione Forestale dello Stato che le particelle 2 e 3 parte del foglio 47 "In tenimento di Castel Volturno" fossero di appartenenza all'Amministrazione dello Stato, quindi gestite dall'Azienda di Stato Foreste Demaniali, dove l'Amministrazione ha speso notevoli fonti per poter gestire e rendere quella riserva adeguatamente fruibile dalla collettività.
Tuttavia, quella zona di territorio è stata oggetto di aggressioni che sono consistite già nel 1968/69 in demolizione sistematica con ruspe della recinzione effettuata in rete metallica e filo spinato. Il risultato della trasformazione di tali aree è stata la distruzione della riserva naturale e delle notevoli caratteristiche ecologiche e biologiche della zona, contrassegnata com'era da ecotipi sia floristici che faunistici di elevato valore naturalistico, ragion per cui venne decretata riserva naturale dello Stato. Di particolare pregio naturalistico erano, infatti, le formazioni retrodunali, che rappresentano gli ultimi o rappresentavano in parte gli ultimi relitti delle formazioni retrodunali dell'intera penisola, versante Tirrenico, oggi quasi scomparsi in tutta Italia, restando dolo alcuni isolati esempi nel Lazio e in Campania (la zona di Sabaudia, la zona di Ostia, Ostia sud, fino ad arrivare a Varcaturo). Queste formazioni antiche retrodunali, tutelavano le parti pianeggianti di territorio prospicienti sul mare, consentendo l'insediamento di vegetazioni tipiche ed endemiche della fascia retrodunale tipica.
Alla luce delle emergenze dibattimentali, costituisce, quindi, circostanza incontrovertibile, documentata nello stesso protocollo di intesa ed in quella sede ammessa dal legale rappresentante della società XXX, la partecipazione di quest'ultima, quale società nascente dal gruppo XXX, all'abusiva opera di invasione e di edificazione sulla vasta zona di territorio demaniale sito alla località Pinetamare, in particolare sulle particelle 1, 2 e 3 del folio 47 e particelle 2 e 3 del foglio 49 del Catasto del Comune di Castel Volturno, nella parte denominata Riviera Fontana Bleu. E si ribadisce che l'eventuale parziale inizio della speculazione edilizia in tempi pregressi, prima della stessa nascita della XXX, non rileva perchè comunque detta società ha usufruito di tale attività, percependone altresì i frutti con le relative vendite e la gestione dei complessi alberghieri, centri commerciali, parchi giochi, insediamenti residenziali e quant'altro risulta censito nelle zone occupate.
Oltre alla attività di urbanizzazione, il XXX si è reso autore anche della deviazione di corsi d'acqua in riferimento alle acque del canale artificiale dei Regi Lagni mediante la divisione a metà dell'invaso con la creazione di un istmo artificiale ed il dragaggio artificiale dello vecchia foce. Anche tale condotta risulta connotata dal fine di procurare a sè un ingiusto profitto, costituito dalla utilizzazione degli spazi così ricavati ai fini edilizi e di urbanizzazione.
Sul piano giuridico la giurisprudenza ritiene che per deviazione delle acque ai sensi dell'art. 632 c.p. deve qualificarsi modificazione, comunque ottenuta, dell'equilibrio idrico di un corso d'acqua, incluse le acque stagnanti delle zone barenose (Cass., 05-02-1982 nella fattispecie la corte ha ravvisato il reato nella costruzione di argini in una golena prospiciente un canale, con conseguente inibizione del flusso dell'acqua nella zona golenosa).
Il bene giuridico tutelato dall'art. 632 c.p. è l'integrità dell'altrui proprietà immobiliare e del possesso contro ogni arbitraria modificazione dello stato dei luoghi che possa renderne incerta la posizione giuridica o alterarne le condizioni di pacifico godimento; costituisce immutazione qualunque alterazione dello stato dei luoghi, della loro fisionomia ed andamento planimetrico ed altimetrico, in modo che vengano ad assumere, sia pure in parte, forme o condizioni diverse da quelle originarie; pertanto per la sussistenza del reato non è essenziale che l'azione sia rivolta all'appropriazione, totale o parziale, dell'altrui immobile o all'acquisizione dei diritti reali di godimento su di esso, essendo vietata qualsiasi modificazione materiale, purchè questa abbia tale entità da determinare conseguenze dannose sull'integrità dell'immobile e sull'accertamento dei relativi diritti (cass. , 6-04-1983, Di Niro, Riv. pen., 1984, 531).
Ai fini della prova della condotta del reato di cui all'art. 632 c.p. non si richiede un radicale cambiamento della fisionomia del luogo, ma un apprezzabile mutatio loci (Cass., 30-06-1981, Tancredi, Riv. Pen,, 1982, 295). Nella fattispecie, risulta ampiamente delineata la deviazione del Canale dei Regi Lagni al fine di consentire l'espansione urbanistica del territorio demaniale illecitamente occupato dal XXX.
DISAMINA CAPI I - L - M
CAPO I
Anche l'ipotesi descritta in rubrica al capo I risulta dimostrata in via immediata sulla scorta della acquisizione documentale intervenuta nel corso del dibattimento. Tuttavia a parere di questo giudice nel caso di specie risultano essersi concretati gli estremi del reato di cui all'art. 374 c.p., in tal senso dovendosi, dunque, riqualificare la condotta contestata al XXX.
In punto di fatto, risulta documentalmente acquisito il dato relativo alla sottoscrizione da parte del XXX, nella qualità di Amministratore Unico e legale rappresentante della XXX s.p.a., di sei ricorsi inoltrati il 10.6.99 al T.A.R. Campania, avverso e per l'annullamento di provvedimenti dell'Ufficio Tecnico Servizio Urbanistica del Comune di Castelvoltuno, con i quali venivano rigettate le richieste di concessione edilizia in sanatoria, avanzate dalla società XXX s.p.a. ai sensi della legge 47/85, in relazione a numerosi manufatti realizzati abusivamente in Castelvolturno, la maggioranza dei quali inequivocabilmente realizzati su aree del demanio dello Stato. In tali atti, il XXX attestava falsamente che le opere realizzate dalla società XXX s.p.a. in Pinetamare di Castelvoltuno ed oggetto dele domande di condono edilizio (prot. 23984 del 31.10.86; prot. 6455 dell'1.3.95; prot. 6418 dell'1.3.95; prot. 9764 del 30.3.95; prot. 6417 dell'1.3.95; prot. 23986 del 31.7.86) , erano state realizzate entro il 31.12.67 ivi compresi i manufatti abusivi rientranti nella licenza edilizia n. 135 che sarebbe stata rilasciata dal Sindaco del Comune di Castelvoltuno il 14.3.64.
Tuttavia, dagli accertamenti effettuati nel corso delle indagini, anche attraverso la consulenza tecnica a firma dell'arch. Antonio Maio e dell'arch. Maria Neola, nonchè dalle riprese aerofotogrammetriche, risulta documentalmente provato che nel 1974 non vi era alcuna traccia degli edifici menzionati (che, invece, sarebbero stati realizzati a mente delle citate istanze entro il 1967), e che gli edifici oggetto delle altre istanze di condono sarebbero stati realizzati entro il 31.12.93, mentre in realtà dai rilievi fotografici risultano essere stati realizzati in epoca successiva.
Si legge, infatti, nella relazione tecnica acquisita che:
In data 01.03.1995, venivano presentate al Comune di Castel Volturno, da XXX, quale procuratore speciale della XXX s.p.a. le seguenti istanze di condono: L'istanza N° 991/94 relativa all'impianto di stoccaggio collocato a sud-ovest del Viale del Mare in prossimità della località la Cittadella; tale costruzione risulta essere stata costruita dopo il 1990, così come appare nella foto aerea eseguita dall'Istituto Geografico Militare, e trova conferma nella dichiarazione della data di inizio lavori successiva al 15.03.1985 contenuta nell'istanza stessa. - L'istanza N° 954/94 relativa al piazzale ubicato a sud del Viale delle Acacie al km 38,000; i lavori relativi a tale opera erano già in atto alla data del 04.09.1990 così come è visibile dalla foto aerea succitata, e trova conferma nella dichiarazione della data di inizio lavori successiva al 15.03.1985 contenuta nell'istanza stessa. ● L'istanza N° 971/94 relativa alle opere di fondazione ed elevazione sulle stesse di pareti in e. a realizzate a sud del viale privato al Km 38,000;i lavori relativi a tali opere non erano già in atto alla data del 04.09.1990 così come è visibile dalla foto aerea succitata, e trova conferma nella dichiarazione della data di inizio lavori successiva al 15.03.1985 contenuta nell'istanza stessa. ● L'istanza N° 1209/94 relativa al piazzale e fontana ubicate a sud-ovest del fabbricato n. 9 di viale Valentina località Pinetamare Riviera Fontana Bleu; i lavori relativi a tale opera erano già in atto alla data del 04.09.1990 così come è visibile dalla foto aerea succitata, e trova conferma nella dichiarazione della data di inizio lavori successiva al 15.03.1985 contenuta nell'istanza stessa. ● L'istanza N° 953/94 è relativa al prolungamento del Viale del Mare al km 38,000; i lavori relativi a tale opera erano già in atto alla data del 04.09.1990 così come è visibile dalla foto aerea succitata, e trova conferma nella dichiarazione della data di inizio lavori successiva al 15.03.1985 contenuta nell'istanza stessa.
Avendo esaminato le istanze di condono presentate ai sensi della legge n. 724/94 si evince che le opere, per stessa dichiarazione dell'istante sono state ultimate entro il 1993 e sono cominciate successivamente alla data del 15/03/85. L'area in oggetto ha un vincolo di inedificabilità assoluta, ai sensi della Legge 13.05.1974, dove non vi è in atto nessuna attività edilizia nell'area, ne elementi costruttivi riconducibili agli abusi oggetto delle istanze di condono, se ne deduce che queste opere non sono condonabili perchè realizzate dopo il 1974 quando era in vigore i vincolo di inedificabilità assoluta.
Inoltre vi è da evidenziare che le opere oggetto delle istanze sono dichiarate appartenere alla tipologia 7 ai sensi della legge 28 febbraio 1985. Tale tipologia include le opere di manutenzione straordinaria come definite dall'art. 31 lett. B della Legge N° 457/78, realizzate senza Licenza Edilizia, o Autorizzazione o in difformità della stessa: opere o modalità di esecuzione non valutabili in termini di superficie o di volume e varianti di cui all'art. 15 della presente legge.
Le costruzioni relative alle istanze di condono, non rientrano nelle categorie previste dall'art. 31 della Legge 457/78 ne in quelle previste all'articolo prevedono lavori su di un'opera già in essere in virtù di Licenza o Concessione, mentre le opere oggetto di istanza di condono ne sono prive. Ne consegue che il calcolo delle oblazioni è errato perchè eseguito facendo rientrare le opere nella tipologia.
Inoltre nella documentazione allegata alle cinque istanze vi è la dichiarazione che la Società XXX è proprietaria delle opere oggetto di condono e non vi è alcuna menzione relativamente alla proprietà del suolo. Succesivamente il Comune di Castelvolturno con istanza del 25.11.1996 richiedeva l'atto di proprietà del suolo. La società XXX per tale richiesta presentava un atto di fusione di società, redatto in data 17 febbraio 84 alla presenza del notaio Domenico Funiciello, in cui erano trasferiti dei beni immobiliari, tra cui i suoli su cui insistevano i manufatti da condonare. In tale atto però non sono riportati i titoli di proprietà dei beni stessi, quindi non è da considerarsi come produzione di titolo di proprietà.
Nel richiedere la copie conformi delle istanze di condono N° 991/94; 954/94; 971/94: 1909/94; 953/94 al Comune di Castelvolturno, il dirigente dell'U.T. ci ha fornito altre due istanze di condono di edifici costruiti nella medesima area, identificate come n. 7580 e 7581 dell'U.T., comunque oggetto di ordinanza di demolizione. Trattasi di due palazzine in muratura di tufo con solai in latero cemento di due piani fuoriterra e con due unità abitative per piano. Le palazzine erano allo stato rustico con solo le strutture perimetrali ultimate. in merito alla veridicità delle dichiarazioni riportate nelle istanze di condono vi è da evidenziare che: le oblazioni sono calcolate in base all'appartenenza delle suddette costruzioni alla tipologia 7 della legge 47 del 1985 per opere eseguite prima del 1967. Tale tipologia prevede che siano incluse le opere di manutenzione straordinaria, come definite dall'art. 31 lett B) della legge 457 del 1978, realizzate senza licenza edilizia o autorizzazioni o in difformità della stessa. Opere o modalità di esecuzione non valutabili in termini di superficie o di volume e varianti di cui all'art. 15 della presente legge, ritenendo veritiera l'affermazione che la società XXX fosse in possesso della licenza edilizia n. 135 rilasciata il 14.03.1964, licenza non allegata agli atti di condono in possesso degli scriventi, vi è da sottolineare a codesta Procura che, l'affermazione inerente la data di costruzione del manufatto, la cui ultimazione è dichiarata al 1967, è mendace. Tale non veridicità delle dichiarazioni rilasciate nelle istanze di condono è pienamente riscontrabile in quanto, nella foto aerea del 1974, allegata alla presente relazione, non vi è alcuna traccia degli edifici menzionati ne traccia di attività edilizia. pertanto le istanze di condono sono mendaci come mendaci i calcoli dell'oblazione.
Esaminando le varie ordinanze del Comune di Castelvolturno datate 1.04.1999, le quali non accoglievano la richiesta di Concessione Edilizia in sanatoria e ingiungevano la demolizione di tutte le opere abusive, si è potuto constatare che, nel corso dei nostri sopralluoghi eseguiti sino alla data del 28 settembre 1999 le opere di demolizione erano avvenute solo per una palazzina, la tipo "D", presso la Cittadella e per parte delle opere fondazionali poste lungo il viale privato a sud del complesso Fontana Bleu.
Si ritiene che la predetta analisi appaia adeguata alla ricostruzione dei fatti, i quali depongono nel senso che il XXX ha posto in essere un'attività fraudolenta, riversando fraudolentemente negli atti rivolti alla autorità giudiziaria amministrativa circostanze del tutto mendaci e smentite dai rilievi dei luoghi e dall'esame della documentazione.
In materia di false dichiarazioni o attestazioni in atti destinati all'autorità giudiziaria, la falsità non rileva in considerazione della natura dell'atto, bensì in rapporto alla funzione probatoria da esso concretamente svolta; è dunque del tutto irrilevante sia il tipo di atto, sia lo stesso dato attinente alla sua autenticità materiale, contando solo che esso veicoli in modo idoneo (anche, come nella fattispecie, attraverso un'attribuzione di paternità frutto di contraffazione) un contenuto fraudolento in rapporto alla sua destinazione (Cass., sez. VI, 11-07-1997, Sarodi, Riv. pen., 1997, 1005). La frode processuale di cui all'art. 374 c.p. è un reato di pericolo a consumazione anticipata. Altrimenti detto è un reato formale, con dolo specifico, che è integrato da qualsiasi immutazione artificiale dello stato dei luoghi o delle cose commessa al fine di inquinare le fonti di prova e ingannare il giudice nell'accertamento dei fatti. Per tale fine non ha alcun rilievo il fatto che il giudice non abbia ancora disposto l'assunzione del mezzo di prova, sia esso una ispezione o una perizia, appunto perchè l'inquinamento dell'accertamento giurisdizionale è solo un elemento psicologico e non un elemento materiale del reato.
Sulla stessa linea la Corte di cassazione ha già stabilito che "con interpretazione estensiva, lecita anche con norme penali, è possibile ritenere che l'art. 374 cod. pen. (frode processuale) includa anche la previsione degli accertamenti ex art. 354 cod. proc. pen. (accertamenti urgenti sui luoghi, sulle cose e sulle persone). Nella specie la S.C. ha osservato che tali accertamenti, per la parte che interessa, hanno lo stesso scopo e contenuto del mezzo di ricerca della prova, disposto dall'autorità giudiziaria, che l'art. 246 cod. proc. pen. classifica come ispezione")" (Sez. III, n. 8699 del 26.9.1996, Perotti, rv. 206678).
Alla luce delle brevi considerazioni che precedono, si ritiene che anche in riferimento a tale addebito il XXX deve essere dichiarato colpevole.
CAPO L
La condotta fraudolenta come sopra descritta ed accertata, si pone, altresì, come elemento tipico della fattispecie di tentativo di delitto di truffa, potendo integrare il requisito degli artifici e raggiri previsto dall'art. 640 c.p.. Infatti, attraverso la sottoscrizione dei precedenti ricorsi, fondati su mendaci attestazioni, il XXX ha posto in essere atti idonei diretti in modo non equivoco ad indurre il T.A.R. Campania ed il Comune di Castelvoltuno in errore sulla condonabilità, delle opere di cui alle richieste di condono, al fine di procurarsi l'ingiusto profitto ai danni di Enti Pubblici, costituito dal rilascio di, concessioni edilizie in sanatoria per manufatti palesemente illegittimi e realizzati in epoche successive ai periodi previsti dalla legge di condono.
CAPO M
Del pari, la medesima condotta accertata in relazione al capo I si è posta come concretamente idonea e diretta a determinare in errore il Comune di Castelvolturno ed il TAR Campania, in guisa tale da far loro emettere dei provvedimenti e delle pronunce giudiziarie fondate su circostanze mendaci e fraudolentemente prospettate, consistenti principalmente nella attestazione relativa alla ultimazione delle opere di cui alle istanze di condono citate.
L'IPOTESI DI CUI AL CAPO G
Si tratta di una violazione formale di natura permanente, e comunque protrattasi sino al marzo 1999 (secondo la contestazione), dimostrata in via documentale dalla assenza di prescritta autorizzazione di cui all'art. 2 L. 283/62 in ordine preparazione, confezionamento e detenzione in deposito di sostanze alimentari presso gli alberghi gestiti dalla XXX. Ne consegue che, essendo il legale rappresentante della società e, quindi, diretto responsabile anche della gestione dell'attività alberghiera, il XXX va dichiarato colpevole anche in relazione a tale addebito.
LE ASSOLUZIONI
I fatti descritti ai capi B e H della rubrica, non sono più previsti dalla legge come reato, in quanto sia l'art. 21 L. 319/76, sia l'art. 221 R.D. 1265/34, risultano essere stati oggetto di depenalizzazione. Ne consegue l'assoluzione perchè il fatto no è previsto dalla legge come reato.
LE PRESCRIZIONI
Il reato descritto al capo D (art 734 c.p.) ha natura contravvenzionale, per cui il tempo necessario alla prescrizione risulta maturato ai sensi del combinato disposto di cui agli artt. 157 comma 1 n. 4 e 160 ultimo comma C.P.. Infatti, si tratta di contravvenzioni per cui la legge stabilisce la pena dell'ammenda, con la conseguenza che il calcolo della prescrizione va effettuato sulla base dell'art. 157 comma 1 n. 5 C.P., per cui il tempo ordinario di prescrizione è pari ad anni due, elevabile al massimo ad anni tre ai sensi dell'art. 160 ultimo comma C.P.
I fatti sono contestati sino al marzo 1999, per cui la prescrizione risulta maturata nel marzo 2001.
Non essendo evidente per le ragioni sopra esposte l'insussistenza del fatto ovvero la non riconducibilità all'imputato, in questa sede deve pronunciarsi sentenza di non doversi procedere per estinzione del reato a seguito di prescrizione.
LA PENA
a) il vincolo della continuazione tra i reati
In considerazione dello svolgersi dell'intera vicenda, nonchè della successione temporale delle condotte criminose, valutate nella loro fenomenologia spaziale e cronologica, presentano i necessari requisiti della previa programmazione, almeno nelle linee essenziali, finalizzata all'attuazione di un disegno criminoso unitario, supportato da un'unica ed onnicomprensiva determinazione psicologica unificante le varie azioni. Ne consegue che appare applicabile l'istituto del reato continuato di cui all'art. 81 cpv. C.P. fra le condotte contestate per cui è intervenuta condanna.
b) l'insussistenza delle circostanze attenuanti generiche
Nella formulazione delle conclusioni, la Difesa ha chiesto - in via subordinata alla assoluzione - l'applicazione delle circostanze previste dall'art. 62 bis C.P. e la determinazione della pena nel minimo edittale.
All'esito della deliberazione il Tribunale non ha ritenuto di accedere a siffatta richiesta, poichè nelle vicende per cui è intervenuta condanna non si sono riscontrati elementi che potessero indurre ad attenuare il regime sanzionatorio previsto in astratto per le ipotesi delittuose in cui i fatti sono stati sussunti.
Come è noto, la ragion d'essere della previsione normativa dell'art. 62 bis C.P. è quella di consentire al giudice un adeguamento in senso più favorevole all'imputato della sanzione prevista dalla legge, in considerazione di peculiari e non codificabili connotazioni del fatto e del soggetto che di esso si è reso responsabile, nel senso di un adeguamento della pena al caso concreto anche in base ad una valutazione che sfugge ad una casistica predeterminata (cfr. Cass. 13.3.1987, Anselmo, Cass, Pen. 1989, 47, nonchè Cass. 19.10.92, Gennuso, ivi, 1994, 2688). Invero, le attenuanti generiche non possono essere intese come oggetto di benevola e discrezionale 'concessione' del giudice, ma come il riconoscimento di situazioni non contemplate specificamente, non comprese cioè tra le circostanze da valutare ai sensi dell'art. 133 C.P., che presentano tuttavia connotazioni tanto rilevanti e speciali da esigere una più incisiva, particolare, considerazione ai fini della quantificazione della pena (cfr. Cass., 14-10-1999, catone, CED Cass. rv. 212804). Ne consegue che il diniego delle stesse può essere legittimamente fondato anche sull'apprezzamento di un solo dato negativo, oggettivo o soggettivo, che sia ritenuto prevalente rispetto ad altri elementi (cfr. Cass. 28.5.99, Milankovic, CED Cass. 214200).
La vicenda processuale sin qui esaminata ha certamente evidenziato un elevato grado di disvalore penale delle condotte poste in essere dal XXX. L'aggressione al bene tutelato in via principale dagli articoli di legge violati è stata oltre che durevole, di una portata davvero rilevante. Il che rappresenta un dati di fatto che, sia sul piano della gravità oggettiva, sia su quello della persistenza ed insistenza nel delitto, impedisce di ravvisare l'esistenza di elementi circostanziali di significato attenuante nel senso voluto dall'art. 62 bis C.P.
c) la commisurazione - le pene accessorie.
In applicazione dei criteri valutativi espressi dall'art. 133 C.P. ed in considerazione della gravità dei fatti per cui è intervenuta condanna, la misura della pena, anche in prospettiva del tempo necessario alla rieducazione dell'imputato, è stata individuata in anni quattro di reclusione ed Euro novecento di multa (pena base per il reato sub A ritenuto più grave, ani due di reclusione ed € 100 di multa, aumentata di anni uno di reclusione ed € 200 di multa per la continuazione con il reato di cui al capo C, aumentata di mesi otto di reclusione ed € 200 di multa per la continuazione con il reato sub E, ulteriormente aumentata di mesi uno di reclusione ed € 100 di multa per la continuazione con ciascuno dei reati sub G, I, L, M, per complessivi ulteriori mesi quattro di reclusione ed € 400 di multa).
Alla dichiarazione di penale responsabilità consegue la condanna dell'imputato al pagamento delle spese processuali.
Ai sensi dell'art. 29 c.p. il XXX va dichiarato interdetti dai pubblici uffici per la durata di anni cinque.
LE QUESTIONI CIVILI
1. LA LEGITTIMAZIONE PROCESSUALE
La legge n. 349 del 1986 - "Istituzione del Ministero dell'ambiente e norme in materia di danno ambientale" rappresenta il risultato di un laborioso e contrastato iter parlamentare, che è stato caratterizzato da un ampio dibattito sorto dalla necessità, già all'epoca particolarmente avvertita, di apprestare una adeguata tutela al bene ambientale. Infatti, attraverso la istituzione di un apposito ministero e al previsione di un congegno di responsabilità per danni ambientali, secondo lo schema della tutela aquiliana, la legge 349/86 fornisce, con la disposizione dell'art. 18, la risposta normativa al crescente interesse collettivo alla protezione dell'ambiente.
Non essendo questa la sede più opportuna per soffermarsi sul risultato conseguito in termini di politica legislativa dalla L. 349/86, ci limitiamo, ai fini propri che ci occupano, ad indicare i punti più qualificati in ordine alla tutela giurisdizionale ivi contenuta.
In particolare, dal testo dell'art. 18, si rileva: che "qualunque fatto doloso o colposo in violazione di disposizioni di legge o di provvedimenti adottati in base a legge, che comprometta l'ambiente, ad esso arrecando danno, alterandolo, deteriorandolo o distruggendolo in tutto o in parte, obbliga l'autore del fatto al risarcimento nei confronti dello Stato (primo comma)";
che l'azione di risarcimento del danno ambientale, anche se esercitata in sede penale, è promossa dallo Stato, nonchè dagli enti territoriali sui quali incidano i beni oggetto del fatto lesivo (terzo comma); che la giurisdizione nelle azioni di risarcimento appartiene al giudice ordinario (2° comma), il quale con la sentenza di condanna dispone, ove possibile, il ripristino dello stato dei luoghi a spese del responsabile (ottavo comma) e liquida il danno anche in via equitativa (sesto comma); nei casi di concorso nello stesso evento di danno, ciascuno risponde nei limiti della sua responsabilità (settimo comma). Inoltre, i cittadini e le associazioni di protezione ambientale a carattere nazionale e quelle presenti in almeno cinque regioni, possono denunciare i fatti lesivi di beni ambientali, al fine di sollecitare l'azione di risarcimento (quarto comma); tali associazioni possono, altresì, intervenire nei giudizi per danno ambientale e ricorrere in sede di giurisdizione amministrativa per l'annullamento di atti illegittimi (quinto comma).
In relazione alla tematica dell'esercizio dell'azione civile nel presente processo, si ritiene evidente l'attinenza alla tematica della legittimazione ad agire, sia in via ordinaria, sia in via straordinaria attraverso la sostituzione processuale prevista dall'art. 81 c.p.c.. In tale ottica va letta la disposizione dell'art. 18 L. 349/86 laddove prevede (terzo comma) che l'autore dell'illecito è obbligato al risarcimento del danno ambientale nei confronti dello Stato, individuato titolare della relativa azione, e riconosce la legittimazione ad agire anche agli enti territoriali sui quali incidano i beni oggetto del fatto lesivo.
Si pongono, sul piano della titolarità del potere di agire in giudizio, due diversi problemi non necessariamente collegati tra loro: a) stabilire se l'azione di risarcimento del danno ambientale è esercitata dallo Stato in via sostitutiva rispetto ai cittadini, nel senso che lo Stato fa valere, nella qualità di sostituto processuale, un diritto - la protezione e la tutela del bene ambientale - di cui la collettività è titolare; oppure se lo Stato (inteso come Stato-persona o come Stato-comunità), in quanto soggettivamente individuato come titolare del diritto al risarcimento fa valere con la relativa azione una posizione sostanziale propria; b) qualificare la legittimazione degli enti territoriali a promuovere l'azione di risarcimento del danno ambientale, come legittimazione straordinaria (secondo lo schema del capoverso dell'art. 81 c.p.c., che detta il principio secondo cui nessuno può far valere in giudizio un diritto altrui se non nei casi espressamente previsti dalla legge), in quanto il risarcimento è previsto a favore dello Stato, per cui l'azione di tali enti risulterebbe esperita su un diritto altrui; oppure come legittimazione concorrente, fondata su un titolo diverso ma collegato a quello dello Stato, per cui le due azioni sarebbero esercitabili disgiuntamente.
Le due questioni prospettate sub a) e sub b), pur essendo concettualmente autonome, presentano un punto di incontro. Infatti, la soluzione di entrambe dipende dalla identificazione della esatta natura del diritto al risarcimento del danno ambientale riconosciuto esclusivamente allo Stato, in relazione alla ratio ed allo spirito dell'art. 18 L. 349/86.
A tal fine occorre muovere preliminarmente dalla individuazione dell'interesse tutelato dalla normativa in esame, ricercarne la eventuale titolarità e la tecnica di imputazione e, conseguentemente, qualificare la legittimazione a farlo valere in giudizio. in proposito sono prospettabili due interpretazioni, caratterizzate dalla comune idea che, per apprestare tutela al bene ambientale, sia innanzitutto necessario soggettivare l'interesse collettivo alla protezione dell'ambiente per scoprirne il naturale titolare legittimato a farlo valere in giudizio.
secondo una prima impostazione, il bene ambientale appartiene alla collettività nazionale, ma per essa è amministrato dallo Stato, il quale è tenuto ad assicurarne la protezione sia in via amministrativa, sia attraverso l'azione civile si sensi del terzo comma art. 18 L. 349/86, contro i fatti che ne determinano la compromissione. In tale prospettiva il bene ambiente è configurabile come bene pubblico affidato alle cure dello Stato, al quale la L. 349/86 riconosce una situazione soggettiva di vantaggio conferendogli la esclusiva titolarità del diritto al risarcimento. Alla stregua di questa prima impostazione, relativamente ai problemi che ci siamo posti, sono intuibili le conseguenze. Sulla prima questione, non si è di fronte ad una ipotesi di legittimazione sostitutiva dello Stato nei confronti dei cittadini, in quanto esso agisce per far valere, in nome e per conto proprio, un diritto proprio - il risarcimento del danno cagionato all'ambiente, sebbene tale sua titolarità sia funzionalizzata alla fruizione del bene da parte della collettività. In relazione, invece alla seconda questione che ci compete, la legittimazione riconosciuta agli enti territoriali colpiti dall'illecito previsto dall'art. 18 L. 349/86, si deve considerare come legittimazione straordinaria, in quanto diretta a far valere nel processo un diritto altrui, vale a dire dello Stato, al quale sono direttamente da imputare gli effetti giuridici inerenti all'azione di risarcimento del danno così come si ritiene disposta dalla citata disposizione. In tale ottica l'ente territoriale sarebbe abilitato ad esperire l'azione, nella sua qualità di sostituto processuale, in quanto anche esso è coinvolto dagli effetti della sentenza, poichè interessato al ripristino dello stato dei luoghi e dalla condanna del responsabile del danno. Comunque, al giudizio dovrebbe prendere parte anche lo Stato sostituito nella persona del Ministero dell'ambiente, come litisconsorte necessario, in quanto titolare della posizione sostanziale dedotta in giudizio, altrimenti non potrebbe emettersi una valida pronuncia. A tale lettura è sottesa una particolare visione della L. 349/86, dalla quale si deduce che gli interessi collettivi da essa tutelati - la protezione del bene ambientale - sono stati concepiti interessi propri ed esclusivi dello Stato, individuato quale idoneo soggetto a cui imputare la titolarità esclusiva del diritto al risarcimento di cui all'art. 18 della citata legge.
Secondo un'altra ricostruzione - che si ritiene preferibile - della realtà normativa scaturente dalla L. 349/86, la soggettivazione dell'interesse collettivo alla protezione dell'ambiente, è proposta in maniera diversa. Esclusivo titolare dell'interesse socialmente e giuridicamente rilevante alla protezione del bene ambientale, nonchè destinatario della sua tutela, è la collettività che, soggettivizzata, ha nello Stato (nell'ente territoriale Regione, Provincia, Comune) soltanto il gestore di quell'interesse. A tale concezione si attaglia la formula dell'"ente esponenziale", d'uso comune nella tematica degli interessi diffusi. Da questo punto di vista si accentua il dato pragmatico della mera gestione da parte dello Stato del diritto sociale dell'ambiente: lo Stato-comunità, a cui compete la tutela dell'interesse della collettività, assorbe completamente in sè lo Stato-persona. da ciò consegue che il danno inferto al bene ambientale, fa sorgere un diritto al risarcimento che appartiene non allo Stato, ma alla collettività la quale è legittimata ad agire in giudizio nella sua espressione territoriale massima (lo Stato), o quella compresa entro limiti territoriali minori (Regione, Provincia, Comune). Questa impostazione risulta essere confortata dall'orientamento della Corte Costituzionale emerso nella sentenza del 30 dicembre 1987 n. 641 (i Foro It. 1988, 694 e ss.), in cui la Corte ha fornito una dettagliata interpretazione della funzione della L. 349/86 ed in particolare del ruolo che assume la disciplina dell'art. 18, della stessa legge, nell'ambito dell'attuale ordinamento giuridico. In primo luogo, nella pronuncia citata, è stato evidenziato che il Ministero dell'ambiente, istituito con la L. 349/86, "...per le funzioni ad esso attribuite, assurge a centro di riferimento dell'interesse pubblico ambientale e di fatto realizza il coordinamento e la riconduzione ad unità delle azioni politico amministrative finalizzate alla sua tutela". Da una siffatta definizione della funzione del Ministero dell'ambiente, non risulta una posizione soggettiva di vantaggio ad esso riconosciuta dalla L. 349/66, ma si evince il suo ruolo di ente esponenziale della collettività in relazione alla salvaguardia ed alla protezione del bene ambientale, il quale "... non è certamente possibile oggetto di una situazione soggettiva di tipo appropriativo ma è ... fruibile dalla collettività". Pertanto, il diritto al risarcimento del danno ambientale risulta - nell'orientamento della Corte Costituzionale - riconosciuto allo Stato non in funzione di una sua titolarità rispetto al bene, ma in funzione del suo ruolo esponenziale - e quindi di espressione - della collettività, alla quale va imputata la titolarità dell'interesse alla tutela dell'ambiente.
Venendo, ora, alla soluzione delle questioni innanzi prospettate, alla luce di quest'ultima interpretazione, della quale si è fatta portatrice la Corte Costituzionale, è senz'altro da ritenere che - in relazione al primo problema - non sussiste nello Stato - ente esponenziale una legittimazione sostitutiva rispetto ai cittadini in quanto l'azione di risarcimento del danno prodotto all'ambiente, risulta come proposta dalla collettività, in quanto questa, in uno con lo Stato, è titolare della posizione sostanziale dedotta in giudizio; infatti la titolarità del diritto al risarcimento è indicata dall'art. 18 L. 349/86 a favore dello Stato-comunità. Rimangono, peraltro, impregiudicate le azioni individuali proposte ex art. 2043 e ss. dai soggetti danneggiati, anche se fondate sugli fatti lesivi, data la diversità della situazione - diritto soggettivo e non interesse collettivo - dedotta in giudizio.
La soluzione del secondo problema, se cioè la legittimazione degli enti territoriali a promuovere l'azione ex art. 18 L. 349/86, si configuri o meno quale straordinaria rispetto a quella già riconosicuta allo Stato, è legata alla individuazione della natura del risarcimento previsto dalla stessa norma che prevede l'azione. sul punto non si può tralasciare quanto la Corte Costituzionale, con la citata sentenza del 30.12.87 n. 641, ha osservato in merito ala disposizione dell'art. 18 L. 349/86. In relazione alle finalità protettive del bene ambientale conseguite con la detta norma - attraverso il congegno della tutela aquiliana - la Corte ha sottolineato che "si è, così, in grado di provvedere non solo alla reintegrazione del patrimonio del danneggiato, ma anche a prevenire e a sanzionare l'illecito ... la responsabilità civile può ben assumere, nel contempo, compiti preventivi e sanzionatori". Da tale puntualizzazione della Corte, nonchè dalla lettere dell'art. 18 L. 349/86, si evince la duplice funzione che viene ad assumere il risarcimento del danno ambientale, che a tal fine può ritenersi formato da due componenti egualmente rilevanti e tra loro strettamente collegate: da un lato si evidenzia la funzione ripristinatoria finalizzata alla reintegrazione del patrimonio danneggiato o, se ciò non fosse possibile, comunque, finalizzata al pagamento dell'equivalente rispetto alla alterazione arrecata al bene ed alla conseguente perdita subita dalla collettività, in relazione alle eventuali spese che l'ente territoriale, su sui è inciso il danno, abbia dovuto sostenere; dall'altro si evidenzia la funzione sanzionatoria - quindi anche general-preventiva -, in quanto il risarcimento può estendersi anche oltre le spese necessarie per il ripristino, poichè il danno è determinato in base alla gravità della colpa individuale dell'autore, o dal profitto da questo ottenuto quale risultato del suo illecito comportamento (cfr. terzo comma art. 18 L. 349/86). Da una tale natura e funzione del diritto al risarcimento del danno ambientale, risulta - come osserva ancora la Corte nella sopra citata sentenza "...superata la considerazione secondo cui il diritto al risarcimento del danno sorge solo a seguito della perdita finanziaria contabile nel bilancio dell'ente pubblico, cioè della lesione del patrimonio dell'ente", e risalta con maggiore rilievo il fatto che, nella fattispecie prevista all'art. 18 L. 349/86, "...non si incide su di un bene appartenente allo Stato".
Per quanto concerne, poi, la legittimazione ad agire attribuita dall'art. 18, L. 349/86 allo Stato ed agli enti territoriali, la Corte Costituzionale ha evidenziato che essa "... non trova fondamento nel fatto che essi hanno affrontato spese per riparare il danno o nel fatto che essi abbiano subito una perdita economica, ma nella loro funzione a tutela della collettività e della comunità nel proprio ambito territoriale e degli interessi all'equilibrio ecologico, biologico e sociologico del territorio che ad essi fanno capo".
E' da rilevare, dunque, che la Corte Costituzionale, attraverso le considerazioni contenute nella sentenza del 30.12.87 n. 641, assume una precisa posizione in merito alla individuazione della natura del risarcimento del danno ambientale e della conseguente legittimazione a promuovere la relativa azione. Si viene così a indicare una linea interpretativa del contenuto e della funzione dell'art. 18 L. 349/86, dalla quale discende che la legittimazione ad agire è ivi attribuita allo Stato ed agli enti territoriali in virtù della loro istituzionale funzione, propria a ciascuno di essi, di tutela della collettivià e quindi dell'interesse collettivo all'equilibrio ambientale - inteso in tutte le sue componenti - del territorio a cui essi enti fanno capo. La legittimazione degli enti territoriali, prevista dall'art. 18 L. 349/86, si configura, pertanto, come legittimazione concorrente rispetto a quella attribuita dalla stessa norma allo Stato, poichè si riferisce alla loro qualità di enti esponenziali della collettività, qualità analoga a quella dello Stato. Ed è su tale qualità, comune ad entrambi, che si fonda la legittimazione prevista, tanto per lo Stato quanto per gli enti territoriali, a promuovere l'azione ex art. 18.
Il carattere concorrente della legittimazione dello Stato e degli enti territoriali si palesa ancor più se si tiene conto che le due azioni potrebbero essere esercitate anche per conseguire due differenti scopi che, però, si unificano nella loro rilevanza giuridica così come concretata dalla L. 349/86. Intendiamo qui riferirci alla diversità dell'interesse ad agire che potrebbe lo Stato e gli enti territoriali all'esperimento della azione ex art. 18. L'interesse del primo, sempre in quanto ente esponenziale della collettività, risulterebbe prevalentemente rivolto alla funzione sanzionatoria del risarcimento del danno ambientale; mentre l'interesse dei secondi, anch'essi considerati quali enti esponenziali della collettività, sebbene in riferimento ad un più ristretto ambito territoriale, verrebbe ad essere rivolto alla funzione ripristinatoria o, comunque, diretto alla reintegrazione del danno anche in relazione alle spese sostenute per fronteggiarlo. Due aspetti, questi, che, comunque, si unificano indissolubilmente nella lettera della disposizione in esame. infatti, le somme riscosse a seguito della azione di risarcimento sono, vincolate alla reintegrazione del danno ambientale, in ogni caso, cioè sia se l'azione venga esercitata dallo Stato sia se venga promossa dall'ente territoriale.
E' opportuno, infine, segnalare che è prospettabile un'altra chiave di lettura della L. 349/86, tesa a superare la necessità di soggettivare il diritto alla tutela dell'ambiente. in tale ottica l'interesse della collettività, per divenire giuridicamente rilevante, non necessiterebbe del riferimento ad un soggetto di diritto. Infatti, poichè la collettività è intesa come ente indeterminato e indeterminabile sul piano soggettivo, l'interesse che la legge tutela ha carattere necessariamente obiettivo.
Obiettivare la materia giuridica che in misura crescente alimenta l'idea dei diritti collettivi, appare, secondo questo orientamento, l'unico mezzo per superare l'ambiguità insita nelle figure intermedie tra diritto ed interesse legittimo. In tema di danno ambientale, il vero ed unico problema è quello di rendere giustiziabile e quindi effettiva, la tutela che è ricolta non ad un soggetto, ma al bene in quanto tale. Per cui diviene irrilevante la individuazione di una situazione soggettiva tutelata, assumendo rilievo maggiore la identificazione, in relazione al bene ambientale, di un danno risarcibile in conseguenza di un determinato comportamento antigiuridico.
Alla stregua di tali considerazioni, la tutela dell'ambiente non passa attraverso l'attribuzione di una situazione soggettiva di vantaggio, ma attraverso la valutazione del comportamento di chi arreca pregiudizio ad interessi socialmente e giuridicamente rilevanti. Il bene ambientale assume, pertanto, una rilevanza puramente obiettiva, tradotta in norma dalla L. 349/86, che a tal fine predispone forme di pura legittimazione ad agire. Il termine Stato indica, dunque, la collettività nazionale non personificata, a vantaggio della quale devono rifluire gli effetti della pronuncia ripristinatoria - sanzionatoria; per cui il diritto al risarcimento riconosciuto allo Stato assume carattere meramente strumentale. Rimossa, così, l'idea della esistenza di un diritto fatto valere in giudizio dallo Stato come proprio, la sua legittimazione ad agire si configura quale mero strumento processuale e si allinea con identica valenza a quella degli enti territoriali minori. Anche per quest'altra via, quindi, in riferimento ai due problemi innanzi prospettati, inerenti la tematica della sostituzione processuale, si profilano altrettante ipotesi di legittimazione ad agire conferite dalla legge in via ordinaria. Infatti, dalle premesse esaminate, risulta evidente che debba escludersi una legittimazione sostitutiva dello Stato rispetto alla collettività, in quanto lo Stato agisce ex art. 18 L. 349/86 per la difesa di un interesse obiettivo, che resta sempre tale. In secondo luogo la legittimazione degli enti territoriali prevista dalla più volte citata disposizione, risulta essere concorrente con quella dello Stato, in quanto analogamente riferita ad una situazione obiettiva giuridicamente rilevante, per la quale la legge 349/86 prevede la tutela giurisdizionale.
Una volta chiarita la natura concorrente della legittimazione prevista per lo Stato e per gli enti territoriali minori, riferita, come si è visto, alla medesima funzione esponenziale nei confronti della collettività, va ora inquadrato il problema della legittimazione in via sostitutiva delle associazioni o organizzazioni ambientaliste per far valere in giudizio la pretesa risarcitoria per danno ambientale in favore dello stato.
Nell'ordinamento è espressamente prevista all'art. 9 comma 3 del D.L.vo 267/2000 una legittimazione straordinaria delle associazioni in questione quando prevede che esse possano 'proporre le azioni risarcitorie di competenza del giudice ordinario che spettino al comune e alla provincia, conseguenti a danno ambientale' e che 'l'eventuale risarcimento è liquidato in favore dell'ente sostituito e le spese processuali sono liquidate a favore o a carico dell'associazione'. il tenore letterale di tale disposizione lascia immediatamente desumere la natura straordinaria della legittimazione ad agire delle dette organizzazioni o associazioni, conformemente al principio prescritto dall'art. 81 c.p.c.
Tuttavia, il principio indiscusso che tutte le associazioni o organizzazioni, riconosciute o non, possono costituirsi parte civile, qualora abbiano subito una lesione di un diritto soggettivo (o anche di un interesse giuridicamente rilevante secondo la sentenza delle Sezioni Unite civili n. 500 del 1999) del sodalizio dalla azione criminosa, viene da alcuni disconosciuto alle associazioni ecologiche, in relazione al danno ambientale, per il disposto dell'art. 18 L. 349/1986. Questo articolo stabilisce, tra l'altro, che l'azione di risarcimento del danno ambientale, anche se esercitata in sede penale, è promossa dallo Stato nonchè dagli enti territoriali sui quali incidono i beni oggetto del fatto lesivo e che le associazioni, individuate a sensi dell'art. 13 stessa legge, possono intervenire nel giudizio. Per taluni la facoltà di intervento consente alle associazioni solo l'ingresso nel processo alle condizioni e con i limiti di cui agli artt. 91 ss. c.p.p.; tale tesi è sostenuta con riferimento al testo letterale della norma, ai lavori preparatori da cui emergerebbe una volontà del Legislatore in tale senso, ed all'art. 212 delle norme di coordinamento al codice di procedura vigente secondo il quale - quando le leggi o i decreti consentono la costituzione di parte civile al di fuori delle ipotesi indicate nell'art. 74 c.p.p. - è permesso solo l'intervento nei limiti di cui agli artt. 91 ss c.p.p. (Cass. Sez. 4, 17.12.1988, n. 12659 imp. Zorzi; Sez. 3, 23.6.1994 n. 7572, imp. Galletti).
La giurisprudenza di legittimità è andata oltre questo principio è ed ha rilevato che il danno ambientale presenta, oltre a quella pubblico, una dimensione personale e sociale quale lesione del diritto fondamentale all'ambiente salubre di ogni uomo e delle formazioni sociali in cui si sviluppa la personalità; il danno in oggetto, in quanto lesivo di un bene di rilevanza costituzionale, quanto meno indiretta, reca una offesa alla persona umana nella sua sfera individuale e sociale. Tale rilievo porta alla conclusione che la legittimazione a costituirsi parte civile per danno ambientale non spetta solo ai soggetti pubblici, in nome dell'ambiente come interesse pubblico, ma anche alle persone singole o associate in nome dell'ambiente come diritto fondamentale di ogni uomo. Di conseguenza la legittimazione in oggetto spetta anche alle associazioni ecologiche quando hanno subito dal reato una lesione di un diritto di natura patrimoniale (ad esempio, per i costi sostenuti nello svolgimento della attività dirette ad impedire pregiudizio al territorio o per la propaganda) o non patrimoniale (ad esempio, attinente alla personalità del sodalizio per il discredito derivante dal mancato raggiungimento dei fini istituzionali che potrebbe indurre gli associati a privare l'ente del loro sostegno personale e finanziario).
Sulla possibilità delle associazioni ambientaliste a costituirsi parte civile, nel caso in esame, si è pronunciata la prevalente giurisprudenza di legittimità sia pure con differenti motivazioni (Cass. V, Sez. 6^ 10.1.1990, n. 59 imp. Monticela; Sez. 3 26.2.1990, n. 2603 imp. Contento; Sez. 3 11.4.1992 n 4487 imp. Ginatta; Sez. 3 13.11.1992 n. 10956 imp. Serlenga; Sez. 3 21.5.1993 5230 imp. Tessarolo; Sez. 3 28.10.1993 n. 9727 imp. Benericetti; Sez. 3 19.1.1994 n. 439 imp. Mattiuzzi; sez. 3 6.4.1996 n. 3503 imp. Russo; Sez. 3 19.11.1996 n. 9837 imp Locatelli; Sez. 3 26.9.1996 n. 8699 imp. Perotti; Sez. 3 10.6.2002 n. 22539 imp. Kiss Gunter). A questo punto, si impone una precisazione: non sono legittimati a costituirsi parte civile gli enti e le associazioni quando l'interesse perseguito sia quello genericamente inteso all'ambiente o, comunque, un interesse che, per essere caratterizzato da un mero collegamento con l'interesse pubblico, resta diffuso e, come tale, non proprio del sodalizio e non risarcibile.
Quando, invece, l'interesse alla tutela dell'ambiente non rimane una categoria astratta, ma si concretizza in una realtà storica di cui il sodalizio ha fatto il proprio scopo, esso cessa di essere comune alla generalità dei consociati. in questo caso, possono costituirsi parte civile le associazioni che sono centri di tutela e di imputazione dell'interesse collettivo all'ambiente che, in tale modo, cessa di essere diffuso e diviene soggettivizzato e personificato.
Perchè una associazione si possa considerare ente esponenziale della collettività, in cui si trova oggetto della protezione, necessita che abbia come fine statutario essenziale la tutela dell'ambiente che diviene la ragione dell'ente, sia radicata sul territorio anche attraverso sedi locali, sia rappresentativa di un gruppo significativo di consociati, abbia dato prova di continuità della sua azione e rilevanza del suo contributo a difesa del territorio.
A tali condizioni le associazioni ecologiste sono legittimate alla azione per la difesa del proprio diritto soggettivo alla tutela dell'interesse collettivo alla salubrità dell'ambiente. Peraltro, posti i medesimi requisiti strutturali di rappresentatività, dall'art. 9 D.L.vo 267/2000 in capo a tali associazioni si evince un tipico potere di azione anche in via sostitutiva dell'ente territoriale comune o provincia, volto a far valere in giudizio le ragioni risarcitorie dell'ente esponenziale titolare del diritto al risarcimento.
Applicando tali principi al caso concreto, si deve rilevare che la WWF Italia ha nel suo statuto (art. 5) come fine primario la protezione dell'ambiente in tutte le sue articolazioni, che prevedere in modo specifico e, pertanto, l'interesse in oggetto è elemento costitutivo del sodalizio; inoltre ha dato ampia prova di avere svolto a livello nazionale e internazionale attività a tutela dell'ambiente, è insediata sul territorio e presente con sezioni e sottosezioni, può riconoscersi alla stessa un potere rappresentativo degli interessi collettivi coinvolti nella presente vicenda processuale, in quanto certamente agisce per la tutela dell'interesse collettivo alla salubrità del territorio, esclusivamente per finalità di pubblica utilità. ne consegue che ne può essere ammessa sia la costituzione in proprio, sia in qualità di sostituto processuale del Comune di Castelvolturno e della Provincia di Caserta.
La costituzione di parte civile da parte di Legambiente e da parte della Lega Italiana per la Protezione degli Uccelli, va, invece, inquadrata esclusivamente come esercizio di un diritto di azione volto alla riparazione degli interessi (la cui tutela è espressamente contemplata nei rispettivi statuti) lesi a cagione della condotta illecita accertata in questa sede.
2. IL DANNO
Sul piano oggettivo, il danno cagionato al territorio di Castelvolturno, per effetto della condotta di invasione ed occupazione sopra descritta, risulta autoevidente dal solo raffronto tra lo stato dei luoghi anteriore agli atti di invasione e quello attuale: una estesa area di demanio forestale e demanio marittimo (pari a circa 1.500.000 di mq) è stata oggetto di una incredibile opera di trasformazione abusiva, comportando un radicale mutamento orografico e idrografico del territorio e la completa alterazione della sua natura originaria (insediamenti boschivi, dune desertiche a ridosso del litorale, occupazione dell'arenile, deviazione del Corso dei Regi Lagni, alterazione del tratto di costa attuata mediante l'apposizione abusiva di scogliere e di pennelli), attraverso la realizzazione di una zona ampiamente urbanizzata, tanto da potere essere efficacemente definita come una città abusiva realizzata su suolo demaniale in totale assenza di atti autorizzativi o concessori da parte delle competenti autorità.
Il rapporto di casualità tra la condotta illecita accertata in questa sede e l'enorme danno cagionato all'ambiente è di natura diretta ed immediata, in quanto la trasformazione del territorio naturale in zona urbana a tutti gli effetti implica la necessaria distruzione degli elementi ambientali.
Come è stato condivisibilmente sostenuto, il danno ambientale costituisce un surplus rispetto al danno alle singole componenti materiali dell'ambiente. infatti, l'ambiente in senso giuridico, quale bene unitario ma anche immateriale ..., rappresenta ... un insieme che, pur comprendendo vari beni o valori, si distingue ontologicamente da questi e si identifica in una realtà, priva di consistenza materiale, ma espressione di un autonomo valore collettivo, specifico oggetto, come tale, di tutela da parte dell'ordinamento, rispetto ad illeciti, la cui idoneità lesiva va valutata con riguardo a siffatto valore e indipendentemente dalla particolare incidenza verificatasi su una o più della dette singole componenti, secondo un concetto di pregiudizio che, sebbene riconducibile a quello di danno patrimoniale, si connota tuttavia per una pià ampia accezione di danno svincolata da una concezione aritmetico-contabile (Cass. 98/1087; vedi anche Corte Cost. 87/641 e parere CdS n. 426/01, oltre a Cass. 98/5650, Cass. 95/9211 e Cass. 92/4562).
L'edificazione abusiva, ove pregiudizievole all'ambiente, è assoggettata alla disciplina risarcitoria di cui all'art. 2043 anche ante L. 349/86. Attesa la natura meramente ricognitiva dell'art. 18 legge 349/86 cit, diventa pertanto irrilevante il dato temporale della conclusione dell'opera di edificazione. Peraltro, ove si consideri che il danno ambientale non è limitato alla mera attività di trasformazione del territorio, ma è riconducibile alla continuità tra l'edificazione e la gestione delle opere abusive, la permanenza dell'illecito fa sì che esso rientri, anche sotto il profilo temporale, nell''ambito di applicabilità della L. 349/86.
Sotto questo aspetto, più specificamente attinente alla condotta posta in essere dal XXX quale rappresentante legale della società XXX, anche la sola attività di utilizzo con profitto economici di opere edilizie può costituire fonte di danno ambientale perchè se quest'ultimo si identifica nella lesione dell'interesse, costituzionalmente protetto, alla "conservazione, ... razionale gestione e ... miglioramento delle condizioni naturali (aria, acqua, suolo e territorio), l'esistenza e la preservazione dei patrimoni genetici terrestri o marini, di tutte le specie animali o vegetali che in esse vivono allo stato naturale ed in definitiva della persona umana in tutte le sue estrinsecazioni" (Corte Cost. 87/210), è evidente la sussistenza di tale tipo di danno anche in relazione al mero sfruttamento del territorio abusivamente trasformato, in quanto anche tale sfruttamento esclude la "razionale gestione e il miglioramento delle condizioni naturali" nonchè "l'esistenza e la preservazione dei patrimoni genetici terrestri o marini".
D'altra parte, lo stesso fatto che l'art. 18 L. 349/86, il quale prevede una disciplina specifica per il danno ambientale, al comma 6 individui tra i criteri di liquidazione del danno "il profitto conseguito dal trasgressore" sta a significare che anche l'utilizzazione economica del territorio, ove ad essa sia riconducibile una condotta illecita in contrasto con la disciplina dettata, integra anche l'illecito civile. Pertanto, nella fattispecie in esame, il danno ambientale può essere ricondotto in via unitaria all'opera di edificazione e di gestione delle opere abusive e l'illecito, perdurando nel tempo, finisce per rientrare, anche sotto il profilo temporale, nell'ambito di applicabilità della L. 349/86.
L'attività di edificazione e gestione abusiva del territorio assume la veste di "illecito permanente", il quale, a differenza dell'"illecito istantaneo ad effetti permanenti", è risarcibile mediante un'azione il cui dies a quo decorre dalla cessazione della permanenza. (Cfr. Cass. 90/594; Cass. 97/6967 e Cass. 80/1624, in cui si sottolinea che l'esecuzione di una costruzione in violazione di norma di edilizia dia luogo ad un illecito permanente, con la conseguenza che la prescrizione del diritto al risarcimento del danno non decorre dalla data di realizzazione della costruzione ma da quello di cessazione della permanenza, e cioè dal momento in cui la costruzione viene demolita, ovvero dal momento in cui essa viene resa legittima mediante rinuncia dell'amministrazione, che irroghi una sanzione pecuniaria, ad ordinarne la demolizione, ovvero dal decorso del termine utile per l'usucapione del diritto reale di mantenere la costruzione nelle condizioni in cui si trova).
Richiamati, dunque, integralmente i fatti che sono posti a base della presente vicenda processuale, in questa sede va riconosciuta l'esistenza del rapporto di casualità tra la condotta accertata a carico di XXX e il danno all'ambiente arrecato al territorio oggetto di invasione ed occupazione abusiva. Ne consegue la condanna al risarcimento del danno nei confronti delle parti civili costituite quali articolazioni dello Stato, Presidenza del Consiglio dei Ministri, Ministero dell'Ambiente e Tutela del Territorio, Ministero dell'Economia e delle Finanze, Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, Ministero delle Politiche Agricole e Forestali (tutte rappresentate e difese dall'Avvocatura dello Stato), nonchè alla Regione Campania, ciascuna per quanto di rispettiva competenza in relazione alle specifiche attribuzioni di tutela e gestione del territorio e in ordine al danno derivante dalla occupazione illecita del demanio marittimo e forestale e della compromissione all'ambiente a questa collegata, anche in riferimento al danno all'immagine arrecato alle predette Istituzioni Statali e Regionale.
Aspetto la cui valutazione in termini di definizione del diritto al risarcimento, quantificazione e liquidazione dello stesso, va rimesso al giudice civile.
Analogamente, nei medesimi termini, va accolta la pretesa risarcitoria avanzata dalla WWF Italia in via di sostituzione processuale del Comune di Castelvolturno e della Provincia di Casera, nei confronti dei quali enti territoriali la valutazione e liquidazione del danno sarà oggetto di delibazione in separata sede.
Va, altresì, riconosciuto il diritto al risarcimento dei danni sofferti iure proprio dalle associazioni ambientaliste WWF Italia, Legambiente e L.I.P.U., in quanto i fatti accertati a carico del Coppola Francesco, oltre ad avere leso il bene ambientale, hanno mortificato e vanificato l'azione di tutela dell'ambiente e del territorio svolta dalle predette associazioni, compromettendone le finalità statuarie. Anche in riferimento a tale ultima statuizione, la specificazione del titolo risarcitorio sarà oggetto della valutazione del giudice civile.
Quanto alla forma risarcitoria, se per equivalente o specifica, seppure anche sotto tale aspetto la valutazione è rimessa al giudice civile, si ritiene qui opportuno evidenziare che nonostante l'art. 18 L. 349/86 operi una collocazione formale del rimedio del ripristino dello stato dei luoghi in un comma successivo a quello che prevede il risarcimento per equivalente e quello in via equitativa, è sicuramente prevalente l'orientamento in giurisprudenza sul carattere prioritario del ripristino.
Facendo espresso riferimento alla ratio dell'art. 18 della legge 8 luglio 1986, n. 349, nella parte in cui prevede che il giudice dispone "il ripristino dello stato dei luoghi a spese del responsabile", a prescindere da una richiesta della parte in causa e con l'unico limite di ammissibilità relativo alla verifica della impossibilità materiale di tale riduzione in pristino (senza, cioè, quelle che sono le condizioni di ammissibilità per l'applicazione dell'art. 2058 c.c.) è agevole desumere che la scelta del legislatore obbedisca ad una precisa esigenza pratica: quella cioè di apprestare, di fronte alla lesione dei beni ambientali, e in conformità con la natura sociale di tale danno, una modalità di risarcimento che si traduce in una sentenza di condanna al rispristino della situazione precedente in modo da mettere "la collettività interessata in condizione di godere pienamente del bene danneggiato".
In materia la Cassazione (Cass. Pen. 22-10-1988, in RPE; 1989, 20) si è pronunciata in tal senso affermando che la condanna al ripristino dei luoghi a spese del responsabile assume posizione dominante tra le forme risarcitorie, in virtù di deroga al disposto di cui al secondo comma dell'art. 2058 c.c., e costituisce pertanto ... la misura "privilegiata" da adottare, sol che sia possibile, a preferenza della condanna al risarcimento pecuniario, in quanto essa sola è idonea a sopprimere la fonte della sequela dei danni futuri (a volte di difficile previsione e di ancor più opinabile quantificazione in termini monetari attuali). Le Sezioni Unite hanno confermato tale orientamento sostenendo che la preferenza ... accordata alla misura risarcitoria in forma specifica rispetto a quella per equivalente pecuniario, trae ampia giustificazione dall'intento di favorire una più fattuale (anche se tendenziale) coincidenza tra i soggetti portatori degli interessi lesi dal degrado ambientale e di soggetti beneficiari del ripristino dello stato dei luoghi, in un contesto caratterizzato ... dalla difficoltà di identificare i primi e di graduarne comparativamente i singoli pregiudizi (Cass. Sez. Un. 25-1-1989, n. 440, in RGA, 1989, 103).
Il risarcimento in forma specifica attraverso il rimedio del ripristino dei luoghi danneggiati assurge, dunque, a criterio prioritario nella materia del danno ambientale uguale o simile a quella preesistente al danno.
Le considerazioni sin qui formulate valgono, inoltre, a segnare la differenza funzionale tra l'art. 18 e l'art. 2058 c.c.: il ruolo prioritario svolto dalla modalità risarcitoria del ripristino dell'ambiente danneggiato viene affermato dall'art. 18 in modo così perentorio da derogare all'art. 2058 c.c., comma secondo, in base al quale "il giudice può disporre che il risarcimento avvenga solo per equivalente, se la reintegrazione in forma specifica risulta eccessivamente onerosa per il debitore".
Il ripristino dello stato dei luoghi è infatti svincolato da qualsiasi valutazione da parte del giudice sui costi gravanti sul danneggiante per rimuovere gli effetti dannosi del suo comportamento illecito. L'unico limite resta quello della circostanza racchiusa nella formula legislativa "ove sia possibile". In tale ottica, è da ritenere ammissibile un ripristino solo parziale, qualora cioè solo in parte risulti possibile la reintegrazione delle risorse ambientali compromesse, cumulandosi ad esso il risarcimento pecuniario per la parte restante.
Ritenuto, dunque, acquisito il titolo risarcitorio in capo alle parti civili costituite, quanto alle spese la decisione discende in via immediata dall'art. 538 c.p.p., ai sensi del quale il XXX deve essere inoltre condannato alla rifusione delle spese di costituzione e difesa delle predette parti civili che si liquidano come segue:
● Per l'Avvocatura dello Stato in complessivi € 3.000,00 per onorario ed € 300,00 per spese, oltre IVA e CPA;
● Per la Regione Campania in complessivi € 3.000,00 per onorario ed € 30,00 per spese, oltre IVA e CPA;
● Per l'Avv. Luigi Mazzone in complessivi € 1.500,00 per onorario ed € 150,00 per spese, oltre IVA e CPA;
● Avv. Maurizio Balletta in complessivi € 2.000,00 per onorario ed € 200,00 per spese, oltre IVA e CPA;
● Avv. Fausto Porcu in complessivi € 2.000,00 per onorario ed € 200,00 per spese, oltre IVA e CPA.
3. L'IRRILEVANZA NEL PRESENTE PROCESSO DELL'ACCORDO TRANSATTIVO DEL 30 GIUGNO 2005
Quanto all'accordo transattivo sottoscritto in data 30 giugno 2005 e intervenuto tra l'Agenzia del Demanio Filiale Campania giusta determinazione del 25.2.2005 del Direttore dell'Agenzia del Demanio e, tra gli altri (XXX, XXX) XXX, quale legale rappresentante e presidente del consiglio di amministrazione della XXX s.p.a., volto alla definizione del contenzioso relativo all'occupazione ed alla edificazione di aree demaniali nel territorio di Castelvolturno, si osserva che non riveste alcuna rilevanza nel presente procedimento sul piano della permanenza delle pretese risarcitorie avanzate dalle Amministrazioni Statali costituitesi in giudizio.
va in primo luogo sottolineato che l'Avvocatura dello Stato, quale rappresentante in giudizio delle parti civili Presidenza del Consiglio dei ministri, Ministero dell'Ambiente e Tutela del Territorio, Ministero dell'Economia e delle Finanze, Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, Ministero delle Politiche Agricole e Forestali, in sede di conclusioni (avvenute in data successiva alla sottoscrizione dell'accordo in parola) ha insistito nella domanda risarcitoria nei confronti del XXX. Ne consegue che deve ritenersi immutato il contenuto del mandato ad processus istituzionalmente conferito dalle predette amministrazioni statali alla Avvocatura dello Stato e, quindi, valida ed ammissibile la valutazione della pretesa risarcitoria riversata nell'atto di costituzione di parte civile. E ciò non ostante nell'atto transattivo si faccia espresso riferimento alla nota n. Di.Ca.5489/3.9.5.1.1. del 26 maggio 2005 con la quale la Presidenza del Consiglio dei Ministri (parte civile in questa sede) ha chiesto all'Agenzia del Demanio di sottoscrivere, per conto del Governo, l'accordo transattivo di che trattasi.
Non ostante l'apparente contraddizione che può rilevarsi, a ben vedere l'oggetto della transazione è limitato (si veda l'art. 1 e l'art. 4) alla definizione bonaria di tutte le controversie pendenti dinanzi dl Tribunale Regionale delle Acque Pubbliche di Napoli ed alla Corte di Appello di Roma ed in qualsiasi altra sede in relazione alle questioni attinenti la proprietà ed il possesso di aree site nel territorio del villaggio Coppola Pinetamare e del Comune di Castelvolturno.
Dalla lettura dell'atto sottoscritto in data 30.6.2005 sembra emergere che la finalità principale della transazione sia stata quella di realizzare una serie di cessioni in permuta da parte delle società private occupanti le zone demaninali di Castelvolturno, avente ad oggetto il trasferimento di immobili in favore dell'Agenzia del Demanio a fronte della cessione di alcune delle aree demaniali abusivamente occupate, nonchè la riduzione in pristino di alcune zone a parziale soddisfo dei crediti vantati dallo Stato a titolo di indennizzo per l'occupazione dei terreni e dello specchio d'acqua.
Inoltre, dalla lettera dell'art. 19 dell'accordo transattivo, si evince chiaramente che l'ambito della transazione è estraneo alle questioni di fatto ed alle connesse pretese risarcitorie accertate in questa sede processuale. Infatti, sono state espressamente escluse dalla transazione le pretese e le controversie relative a violazioni di qualunque natura riguardanti norme di carattere edilizio, urbanistico, ambientale, paesaggistico e simili, rimanendo escluso che l'atto transattivo possa costituire sotto qualsiasi profilo una forma di rinuncia ad esse o di definizione delle relative vertenze da parte delle Amministrazioni (così testualmente l'art. 19 citato).
In definitiva, si può fondamentalmente ritenere che tutta la materia trattata nel presente processo sia rimasta estranea all'accordo in parola. Al più può prospettarsi l'insorgere di alcune questioni attinenti alla forma del risarcimento e la praticabilità dello stesso in presenza delle pattuizioni contenute nella transazione in parola, ma tale aspetto involge la valutazione che il giudice civile intenderà effettuare in ordine alla pretesa delle Amministrazioni Statali costituite.
La conferma di tale conclusione si desume, peraltro, dal tenore della deposizione del dott. Trevisone, il quale ha riferito che nel gennaio del 2000, quindi sei mesi prima prendesse possesso dell'incarico, ebbe l'incarico dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri di provvedere alla definizione di un atto transattivo, la possibilità nel caso affermativo di definire un atto transattivo, cosa che dopo due anni di incontri sempre con la presenza dell'Avvocatura Generale dello Stato, il 18 giugno del 2002 è stato scritto un protocollo d'intesa vincolante per le parti private in cui si arrivava ad un accordo transattivo. La cosa più importante è che il protocollo d'intesa si limita soltanto a definire una volta per tutte i problemi fondiari e immobiliari, quindi non tocca nè si interessa dei problemi urbanistici, paesaggistici, ambientali e la violazione di eventuali vincoli idrogeologici avvenuti nella zona Villaggio Coppola. in particolare l'atto transattivo prevede l'acquisizione da parte dello Stato di tutta una serie di immobili da destinare a pubblica utilità, rimessi a nuovo e a carico delle società che l'hanno sottoscritto.
P.Q.M.
Letti gli artt. 533 e 535 C.P.P., dichiara XXX colpevole dei reati ascrittigli ai capi A, C, E, F, G, (proc. Pen. 3371/00 mod. 16), I, riqualificata la condotta come violazione dell'art. 374 C.P.P, L, M (A, B e C proc. N. 893/01 mod. 16) e, ritenuta la continuazione tra le condotte contestate, lo condanna alla pena di anni quattro di reclusione e Euro novecento di multa, oltre al pagamento delle spese processuali.
Letti gli artt. 338 e ss. C.P.P., condanna XXX al risarcimento dei danni in favore della parti civili costituite, da liquidarsi per tutte in separata sede anche in riferimento alla possibilità della riduzione in pristino delle aree oggetto di occupazione illecita, ed in particolare:
● In favore della Presidenza del Consiglio dei Ministri, del Ministero dell'Ambiente e Tutela del Territorio, Ministero dell'Economia e delle Finanze, Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, Ministero delle Politiche Agricole e Forestali, riguardo al danno derivante dalla occupazione illecita del demanio marittimo e forestale e della compromissione dell'ambiente a questa collegata, anche in riferimento al danno all'immagine arrecato alle predette Istituzioni Statali;
● In favore della Regione Campania, per i danni patrimoniali derivanti dalla illecita occupazione del suolo demaniale, nonchè all'immagine della predetta Istituzione in riferimento alla carretta gestione del territorio in funzione del perseguimento del pubblico interesse.
● Legambiente Campania, in riferimento al danno ambientale conseguente alla condotta di occupazione abusiva di suolo demaniale;
● WWF Italia, quale sostituto processuale della Provincia di Caserta e del Comune di Castelvolturno, in riferimento al danno ambientale conseguente alla condotta di occupazione abusiva di suolo demaniale;
● L.I.PU., in riferimento al danno ambientale conseguente alla condotta di occupazione abusiva di suolo demaniale.
Condanna altresì il predetto XXX alla rifusione delle spese di costituzione e difesa di parte civile che si liquidano:
● Per l'Avvocatura dello Stato in complessivi € 3.000,00 per onorario ed € 300,00 per spese, oltre IVA e CPA;
● Per la Regione Campania in complessivi € 3.000,00 per onorario ed € 30,00 per spese, oltre IVA e CPA;
● Per l'Avv. Luigi Mazzone in complessivi € 1.500,00 per onorario ed € 150,00 per spese, oltre IVA e CPA;
● Avv. Maurizio Balletta in complessivi € 2.000,00 per onorario ed € 200,00 per spese, oltre IVA e CPA;
● Avv. Fausto Porcu in complessivi € 2.000,00 per onorario ed € 200,00 per spese, oltre IVA e CPA.
Letto l'art. 530 C.P.P., assolve XXX dai reati ascrittigli ai capi B e H della rubrica, perchè il fatto non è previsto dalla legge come reato.
Letto l'art. 531 C.P.P., dichiara di non doversi procedere nei confronti del predetto in ordine al reato ascrittogli al capo D della rubrica, perchè estinto a seguito di prescrizione.
Giorni novanta per il deposito della motivazione.
Santa Maria Capua Vetere, 8 luglio 2005.
Il Giudice
Dott. Carlo Alessandro Modestino
Tribunale di S. Maria C.V.
Sez. Prima penale
Depositato in Cancelleria
il 24/7/06
1) Aree demaniali - Demanio marittimo - Sdemanializzazione tacita - Inconfigurabilità - Appartenza di un bene al demanio marittimo - Previa promozione del procedimento di delimitazione ex art. 32 cod. nav. - Necessità - Esclusione. La demanialità è una qualità del territorio che deriva direttamente dalla legge, sicchè i beni che ne sono oggetto sfuggono a qualsiasi forma di sdemanializzazione tacita, potendosi attuare quella espressa mediante uno specifico provvedimento di carattere costitutivo della competente autorità amministrativa. Per la determinazione dell'appartenenza o meno di un bene al demanio marittimo, e quindi, per la definizione dell'oggetto della tutela penale, non è necessario la previa promozione del procedimento di delimitazione di cui all'art. 32 cod. nav., trattandosi di qualità, quella demaniale appunto, discendente direttamente dalla legge (Cass. Pen. 31.5.2002, sez. III, n. 21386). Tribunale di Santa Maria Capua Vetere - Sez. I penale - 24 luglio 2006, Sentenza n. 1104
2) Aree demaniali - Demanio marittimo - Ritardo della P.A. nella repressione di illeciti su area demaniale - Responsabile della occupazione senza titolo - Cessazione della responsabilità penale - Esclusione. Il ritardo della pubblica amministrazione nella repressione di eventuali illeciti su area demaniale, se implica una possibile responsabilità per omissione di atti di ufficio a carico degli organi di controllo dello Stato e degli enti locali, non può mai sortire effetti di esclusione della responsabilità penale nei confronti del responsabile della occupazione senza titolo e, perciò, arbitraria (Cass. 22.2.1996, n. 865). Tribunale di Santa Maria Capua Vetere - Sez. I penale - 24 luglio 2006, Sentenza n. 1104
3) Aree demaniali - Demanio marittimo - Articolo 1161 cod. nav. - Distinte ipotesi contravvenzionali. L'art. 1161 del Codice della Navigazione prevede quattro ipotesi contravvenzionali distinte: "l'arbitraria occupazione di spazio del demanio marittimo", l'esercizio di attività che ne "impediscono l'uso pubblico", l'esecuzione in tali zone di "innovazioni non autorizzate" e l'"inosservanza delle disposizioni degli artt. 55, 714 e 716 cod. nav.". La distinzione tra le predette ipotesi appare chiara, riguardando la prima "l'abusiva occupazione diretta" del demanio marittimo; la seconda l'esercizio di attività impeditive dell'uso pubblico che possano svolgersi anche in zone non demaniali e di proprietà privata; la terza l'esecuzione di innovazioni non autorizzate anche in presenza di un rapporto concessorio; la quarta le utilizzazioni della proprietà privata in contrasto con i vincoli, a favore del pubblico demanio marittimo, previsti dal codice della navigazione. Tribunale di Santa Maria Capua Vetere - Sez. I penale - 24 luglio 2006, Sentenza n. 1104
4) Aree demaniali - Demanio marittimo - Articolo 1161 cod. nav. - Impedimento dell’uso pubblico del demanio - Reato a forma libera. L'art. 1161 cod. nav. non pone alcuna limitazione riguardo i modi e ai termini in cui l'impedimento dell’uso pubblico del demanio deve essere realizzato per divenire penalmente rilevante. Ne deriva che il reato configurato è a forma libera, in quanto il precetto penale comprende qualsiasi tipo di condotta che, al di fuori dell'occupazione diretta, impedisca tale uso, ad esempio, precludendovi o anche semplicemente rendendovi più difficile l'ingresso mediante opere realizzate in zona limitrofa a quella demaniale. In tale ottica, si rende colpevole del reato previsto dall'art. 1161 cod. nav. colui che, pur senza occupare direttamente una zona demaniale, ne impedisce tuttavia l'uso pubblico mediante l'esecuzione nella sua proprietà di opere, quali sbarramenti, recinzioni, cancelli e simili, che se non negano in diritto, ostacolano comunque in concreto l'esercizio di fatto delle facoltà di raggiungere il demanio e, quindi, di usufruirne secondo la destinazione che gli è propria. Tribunale di Santa Maria Capua Vetere - Sez. I penale - 24 luglio 2006, Sentenza n. 1104
5) Aree demaniali - Demanio marittimo - Artt. 54 e 55 cod nav. - Occupazione di un bene demaniale - Natura - Reato permanente. La occupazione di un bene demaniale (anche mediante esecuzione di innovazioni non autorizzate) del demanio marittimo (art. 54 cod. nav.) costituisce un reato permanente dal momento che la condotta illecita si compie con il fatto della presa di possesso del bene e si protrae per tutto il tempo in cui questa persiste; e che, invece, nel caso di esecuzione non autorizzata di operare nella zona di rispetto dello stesso demanio (art. 55 cod. nav.) l'azione vietata si perfezione ed esaurisce con la materiale attuazione dell'opera stessa, la quale va dall'inizio alla ultimazione dei lavori, con la conseguente configurabilità di una permanenza circoscritta nell'ambito di questi due momenti. Tribunale di Santa Maria Capua Vetere - Sez. I penale - 24 luglio 2006, Sentenza n. 1104
6) Aree demaniali - Artt. 633 e 639 bis c.p. - Occupazione di terreni - Art. 1161 cod. nav. - Concorso di reati - Ammissibilità. E’ ammissibile il concorso di reati fra il delitto di cui agli art. 633 e 639 bis C.P. (occupazione di terreni), e la contravvenzione di cui all'art. 1161 R.D. 327/42, essendo diverse le due condotte illecite e differenti i beni giuridici tutelati; in alcuni casi, le due condotte possono coincidere, quando l'introduzione abusiva si protrae nel tempo ed è stata effettuata al fine di occupare il suolo demaniale o di trarne altrimenti profitto: l'elemento discriminante è rappresentato dall'elemento psicologico, essendo richiesto il dolo specifico nel delitto e solo la colpa per la contravvenzione. Tribunale di Santa Maria Capua Vetere - Sez. I penale - 24 luglio 2006, Sentenza n. 1104
7) Acqua - Corsi d’acqua - Art. 632 c.p. - Deviazione di acque e modificazione dello stato dei luoghi - Bene giuridico tutelato - Individuazione. Il bene giuridico tutelato dall'art. 632 c.p. è l'integrità dell'altrui proprietà immobiliare e del possesso contro ogni arbitraria modificazione dello stato dei luoghi che possa renderne incerta la posizione giuridica o alterarne le condizioni di pacifico godimento; costituisce immutazione qualunque alterazione dello stato dei luoghi, della loro fisionomia ed andamento planimetrico ed altimetrico, in modo che vengano ad assumere, sia pure in parte, forme o condizioni diverse da quelle originarie; pertanto per la sussistenza del reato non è essenziale che l'azione sia rivolta all'appropriazione, totale o parziale, dell'altrui immobile o all'acquisizione dei diritti reali di godimento su di esso, essendo vietata qualsiasi modificazione materiale, purchè questa abbia tale entità da determinare conseguenze dannose sull'integrità dell'immobile e sull'accertamento dei relativi diritti (Cass., 6-04-1983). Tribunale di Santa Maria Capua Vetere - Sez. I penale - 24 luglio 2006, Sentenza n. 1104
8) Danno ambientale - Parte civile - Legittimazione - Soggetti pubblici e persone singole e associate. Il danno ambientale presenta, oltre a quella pubblica, una dimensione personale e sociale quale lesione del diritto fondamentale all'ambiente salubre di ogni uomo e delle formazioni sociali in cui si sviluppa la personalità; il danno in oggetto, in quanto lesivo di un bene di rilevanza costituzionale, quanto meno indiretta, reca una offesa alla persona umana nella sua sfera individuale e sociale. Tale rilievo porta alla conclusione che la legittimazione a costituirsi parte civile per danno ambientale non spetta solo ai soggetti pubblici, in nome dell'ambiente come interesse pubblico, ma anche alle persone singole o associate in nome dell'ambiente come diritto fondamentale di ogni uomo. Di conseguenza la legittimazione in oggetto spetta anche alle associazioni ecologiche quando hanno subito dal reato una lesione di un diritto di natura patrimoniale (ad esempio, per i costi sostenuti nello svolgimento della attività dirette ad impedire pregiudizio al territorio o per la propaganda) o non patrimoniale (ad esempio, attinente alla personalità del sodalizio per il discredito derivante dal mancato raggiungimento dei fini istituzionali che potrebbe indurre gli associati a privare l'ente del loro sostegno personale e finanziario). Tribunale di Santa Maria Capua Vetere - Sez. I penale - 24 luglio 2006, Sentenza n. 1104
9) Danno ambientale - Danno alle singole componenti ambientali - Differenza. Il danno ambientale costituisce un surplus rispetto al danno alle singole componenti materiali dell'ambiente. Infatti, l'ambiente in senso giuridico, quale bene unitario ma anche immateriale ..., rappresenta ... un insieme che, pur comprendendo vari beni o valori, si distingue ontologicamente da questi e si identifica in una realtà, priva di consistenza materiale, ma espressione di un autonomo valore collettivo, specifico oggetto, come tale, di tutela da parte dell'ordinamento, rispetto ad illeciti, la cui idoneità lesiva va valutata con riguardo a siffatto valore e indipendentemente dalla particolare incidenza verificatasi su una o più della dette singole componenti, secondo un concetto di pregiudizio che, sebbene riconducibile a quello di danno patrimoniale, si connota tuttavia per una più ampia accezione di danno svincolata da una concezione aritmetico-contabile. Tribunale di Santa Maria Capua Vetere - Sez. I penale - 24 luglio 2006, Sentenza n. 1104
10) Danno ambientale - Mero sfruttamento economico del territorio abusivamente trasformato - Lesione dell’interesse alla razionale gestione e miglioramento delle condizioni naturali. Anche la sola attività di utilizzo con profitto economico di opere edilizie può costituire fonte di danno ambientale perchè se quest'ultimo si identifica nella lesione dell'interesse, costituzionalmente protetto, alla "conservazione, ... razionale gestione e ... miglioramento delle condizioni naturali (aria, acqua, suolo e territorio), l'esistenza e la preservazione dei patrimoni genetici terrestri o marini, di tutte le specie animali o vegetali che in esse vivono allo stato naturale ed in definitiva della persona umana in tutte le sue estrinsecazioni" (Corte Cost. 87/210), è evidente la sussistenza di tale tipo di danno anche in relazione al mero sfruttamento del territorio abusivamente trasformato, in quanto anche tale sfruttamento esclude la "razionale gestione e il miglioramento delle condizioni naturali" nonchè "l'esistenza e la preservazione dei patrimoni genetici terrestri o marini". Tribunale di Santa Maria Capua Vetere - Sez. I penale - 24 luglio 2006, Sentenza n. 1104
11) Danno ambientale - Attività di edificazione e gestione abusiva del territorio - Natura - Illecito permanente - Risarcibilità - Azione - Dies a quo. L'attività di edificazione e gestione abusiva del territorio assume la veste di "illecito permanente", il quale, a differenza dell'"illecito istantaneo ad effetti permanenti", è risarcibile mediante un'azione il cui dies a quo decorre dalla cessazione della permanenza. Tribunale di Santa Maria Capua Vetere - Sez. I penale - 24 luglio 2006, Sentenza n. 1104
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