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Beni culturali e ambientali - Imposizione del vincolo anche su aree di gran
lunga eccedenti la superficie - Illegittimità. L’inscindibilità di un
unitario complesso archeologico, la cui parte più rilevante, si trova su aree
pacificamente estranee all’area sottoposta a vincolo, e l’esigenza di
preservarlo nella sua globalità, non giustificano l’imposizione del vincolo
anche su aree di gran lunga eccedenti la superficie, risultando in assunto,
proprio nell’impostazione motivazionale prescelta dall’amministrazione e nelle
giustificazioni fattuali da questa addotte, che il sacrificio imposto alla
proprietà privata, risulta sproporzionato, irragionevole e immotivato. Pres.
Varrone - Est. Barra Caracciolo - Ministero per i beni e le attività culturali-
Soprintendenza per i beni archeologici dell’Etruria meridionale (Avv. Stato) c.
Bisenzio s.r.l. (avv. Lemme) (conferma TAR Lazio sede di Roma Sezione II n.7649
del 3/10/2005). CONSIGLIO DI STATO Sez. VI, 19/01/2007 (C.C. 31/10/2006),
Sentenza n.120
Beni culturali e ambientali - C.d. tutela del “vuoto strutturale” - Mancanza
assoluta del ritrovamento di reperti significativi - Estensione del vincolo -
Esclusione. L’esigenza di tutela del “vuoto strutturale” legato
all’esistenza di “horti” e giardini ipotizzati come “continuum” rispetto ad una
Villa romana, collegabili alla struttura viaria localizzata in un’area
delimitata, in mancanza assoluta del ritrovamento di reperti significativi, si
rivela sprovvista dei caratteri della ragionevolezza, adeguatezza e, in specie,
proporzionalità che escluderebbero la natura del tutto contraddittoria e
immotivata dell’estensione del vincolo a tutta l’area interessata. Pres. Varrone
- Est. Barra Caracciolo - Ministero per i beni e le attività culturali-
Soprintendenza per i beni archeologici dell’Etruria meridionale (Avv. Stato) c.
Bisenzio s.r.l. (avv. Lemme) (conferma TAR Lazio sede di Roma Sezione II n.7649
del 3/10/2005). CONSIGLIO DI STATO Sez. VI, 19/01/2007 (C.C. 31/10/2006),
Sentenza n. 120
Beni culturali e ambientali - Imposizione del vincolo diretto - Effettiva
esistenza delle cose da tutelare - Necessità - Fondamento - Artt.1 e 3 L. n.
1089/1939. Per l’imposizione del vincolo diretto di cui agli artt.1 e 3
della legge n. 1089 del 1939 imprescindibile presupposto è la dimostrata,
effettiva esistenza delle cose da tutelare; con la conseguenza che il relativo
provvedimento si deve considerare illegittimo, per carenza o errore nei
presupposti, ove sia stato acclarato che in un’area non irrilevante della zona
vincolata in realtà non esiste alcun bene archeologico suscettibile di
protezione. Ciò in quanto la legge in esame, dove consente l’imposizione del
vincolo diretto sulle cose di interesse artistico, storico o archeologico,
incide, comprimendolo, sul diritto di proprietà. Se ne trae la conseguenza che,
al fine di evitarne un’inutile limitazione, è consentito all’amministrazione di
adottare il relativo provvedimento soltanto nel presupposto della già acquisita
certezza dell’esistenza delle cose oggetto di tutela e previa rigorosa
delimitazione della zona da proteggere (C. Stato, sez. VI, 09-05-02, n. 2525).
Pres. Varrone - Est. Barra Caracciolo - Ministero per i beni e le attività
culturali- Soprintendenza per i beni archeologici dell’Etruria meridionale (Avv.
Stato) c. Bisenzio s.r.l. (avv. Lemme) (conferma TAR Lazio sede di Roma Sezione
II n.7649 del 3/10/2005). CONSIGLIO DI STATO Sez. VI, 19/01/2007 (C.C.
31/10/2006), Sentenza n.120
Beni culturali e ambientali - Ruderi archeologici - Vincolo ad intere aree -
Complesso unitario ed inscindibile - Limitazione proporzionata alla finalità di
pubblico interesse. Tutela di beni archeologici In materia di tutela di beni
archeologici, l’amministrazione può estendere il vincolo ad intere aree in cui
siano disseminati ruderi archeologici particolarmente importanti, tuttavia, in
tal caso è necessario, non solo che i ruderi stessi costituiscano un complesso
unitario ed inscindibile, ma anche che il sacrificio totale degli interessi dei
proprietari sia reso indispensabile e che non sussista la possibilità di
adottare soluzioni meno radicali, evitandosi, in ogni caso, che l’imposizione
della limitazione sia sproporzionata rispetto alla finalità di pubblico
interesse cui è preordinata. Pres. Varrone - Est. Barra Caracciolo - Ministero
per i beni e le attività culturali- Soprintendenza per i beni archeologici dell’Etruria
meridionale (Avv. Stato) c. Bisenzio s.r.l. (avv. Lemme) (conferma TAR Lazio
sede di Roma Sezione II n.7649 del 3/10/2005). CONSIGLIO DI STATO Sez. VI,
19/01/2007 (C.C. 31/10/2006), Sentenza n. 120
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REPUBBLICA
ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
N. 120/2007
Reg.Dec.
N. 613 Reg.Ric.
ANNO 2006
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) ha pronunciato la
seguente
DECISIONE
sul ricorso in appello proposto da Ministero per i beni e le attività culturali-
Soprintendenza per i beni archeologici dell’Etruria meridionale, in persona del
Ministro pro-tempore rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato
presso cui è ope legis domiciliato in Roma via dei Portoghesi 12;
contro
Bisenzio s.r.l. in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e
difeso dagli avv.ti prof. Fabrizio Lemme e Giuliano Lemme, presso cui è
elettivamente domiciliato in Roma, Corso di Francia 197;
per l'annullamento
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio sede di Roma
Sezione II n.7649 del 3 ottobre 2005.
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio della società appellata;
Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
Visti gli atti tutti della causa;
Alla pubblica udienza del 31 ottobre 2006 relatore il Consigliere Luciano Barra
Caracciolo.
Uditi l’avv. dello Stato Galluzzo e l’avv. Fabrizio Lemme;
Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:
FATTO
Con la sentenza in epigrafe il Tar del Lazio ha accolto, per quanto di ragione,
il ricorso proposto dalla società Bisenzio avverso il decreto della
Soprintendenza regionale per i beni e le attività culturali del Lazio, datato 8
luglio 2003, con il quale, ad integrazione di un vincolo archeologico
preesistente (d.m. 13 marzo 1999), è stata dichiarata di interesse
particolarmente importante un’area di sua proprietà sita in Comune di
Capodimonte, tra la S.P. Verentana e le sponde del lago di Bolsena, interessata
da lavori conseguenti ad un piano di lottizzazione.
L’adito Tribunale premetteva che, a causa del ritrovamento dei resti di una
villa rustica romana nel corso di sbancamenti afferenti lavori di cui ad un
piano di lottizzazione, con d.m. 13 marzo 1999, il Ministero per i beni e le
attività culturali dichiarava l’interesse particolarmente importante, ai sensi
della l. 1° giugno 1939, n. 1089, di immobili di proprietà della società
ricorrente, siti in Comune di Capodimonte (fg. 15, p.lle 109, 447, 449 e 450).
La previsione edificatoria prevista per tali immobili (realizzazione di una
struttura alberghiera) veniva indi trasferita su altre aree di proprietà della
medesima società, ed, in particolare, sul lotto 34 del piano di lottizzazione,
pari a mq. 4550 (fg. 15, p.lle 350, 370 parte, 351 parte, 431, 432, 359 parte,
444 parte e 230 parte). Nel corso dei relativi scavi, venivano rinvenuti resti
di un tratto di strada di epoca romana, lungo m. 70 e largo m. 3.
La Soprintendenza archeologica per l’Etruria Meridionale, sulla base
dell’assunto che il tratto di strada ritrovato costituisse un antico tracciato
perilacuale, parallelo alla sponda del lago, direzione N-S, e ipotizzando un
collegamento tra la villa romana e lo stesso, manifestava l’intento di ampliare
il precedente vincolo sull’intero lotto 34, solo in parte interessato dal
ritrovamento (p.lle 350 parte, 432 parte e 359 parte), nonché su altre aree,
alcune delle quali già irriversibilmente modificate in seguito alla
realizzazione di opere previste dalla lottizzazione.
L’area di cui al lotto 34 veniva, quindi, interessata da scavi e saggi, a spese
della società e sotto la vigilanza della Soprintendenza, che non conducevano ad
altri ritrovamenti.
La medesima Soprintendenza formalizzava, comunque, la proposta di vincolo
sull’intera area predetta, ivi incluso il lotto 34.
Interveniva, poi, la comunicazione di avvio del procedimento.
Alla luce dell’esito degli esperimenti di cui sopra, la società ricorrente
richiedeva in più occasioni la limitazione del costituendo vincolo alla striscia
di terreno interessata dal tracciato della strada e alla relativa zona di
rispetto, al fine di realizzare, con i necessari accorgimenti, la previsione
edificatoria sulla parte del lotto non interessata dai ritrovamenti. In
particolare, la società proponeva un ridimensionamento della progettata
struttura alberghiera e il suo inserimento in un progetto di riqualificazione
(parco archeologico) dell’area.
Interveniva, da ultimo, l’impugnato decreto 8 luglio 2003, di dichiarazione
dell’interesse particolarmente importante di tutte le particelle interessate, ab
inizio, dalla proposta di vincolo, ivi compreso l’intero lotto 34.
Rilevava il Tar come, nella controversia in esame, fosse pacifico, emergendo dal
complesso degli atti di causa, che il rinvenimento di reperti archeologici ha
interessato solo in parte l’area, più vasta, di proprietà della ricorrente.
In particolare, precisava la relazione fatta pervenire dall’amministrazione in
data 28 maggio 2005, in esito all’incombente istruttorio disposto dal Collegio,
trattarsi di un’area di mq. 3.400 priva di emergenze archeologiche, a fronte di
una superficie di mq. 12.500 complessivi.
E’, altresì, pacifico che l’imposizione del vincolo sull’area non interessata da
ritrovamenti si fondava sull’ipotesi, esternata sia in sede di relazione
illustrativa al provvedimento, sia in sede giudiziale, che tratterebbesi, nella
specie, di un “vuoto strutturale” e non di un “vuoto archeologico”, riferibile
all’esistenza di un collegamento viario tra il tracciato perilacuale e la villa
romana già oggetto di vincolo.
Poste tali premesse, il Collegio conveniva con le censure proposte dalla società
ricorrente nel secondo motivo di ricorso (contrasto con i criteri di
proporzionalità e ragionevolezza).
Si osservava, in particolare, che il su riferito ordine argomentativo adottato
dall’amministrazione traduce in fatto una mera ipotesi, non suffragata dal
concorso di elementi obiettivi, certi e concordanti, movendo dai quali fosse
possibile affermare indiscutibilmente che i reperti rinvenuti in una certa zona
costituissero l’emersione di un più vasto insediamento che interessasse altra
area circostante, e che il carattere inscindibile ed unitario del compendio
rendesse indispensabile il sacrificio degli interessi privati coinvolti.
E’, invero, acquisito dalla giurisprudenza il principio secondo cui
imprescindibile presupposto per l’imposizione del vincolo diretto di cui agli
artt.1 e 3 della legge n. 1089 del 1939 è la dimostrata, effettiva esistenza
delle cose da tutelare; con la conseguenza che il relativo provvedimento si deve
considerare illegittimo, per carenza o errore nei presupposti, ove sia stato
acclarato che in un’area non irrilevante della zona vincolata in realtà non
esiste alcun bene archeologico suscettibile di protezione.
Ciò in quanto la legge in esame, dove consente l’imposizione del vincolo diretto
sulle cose di interesse artistico, storico o archeologico, incide,
comprimendolo, sul diritto di proprietà; se ne traeva la conseguenza che, al
fine di evitarne un’inutile limitazione, è consentito all’amministrazione di
adottare il relativo provvedimento soltanto nel presupposto della già acquisita
certezza dell’esistenza delle cose oggetto di tutela e previa rigorosa
delimitazione della zona da proteggere (C. Stato, sez. VI, 09-05-02, n. 2525).
Né valeva a contrario obiettare che la medesima giurisprudenza ammette che
l’esistenza dell’oggetto della tutela possa essere dimostrata anche per
presunzione.
Nel procedimento sopra descritto, infatti, la presunzione di cui trattasi ha
formato oggetto di indagini, che non ne hanno confortato la fondatezza.
Si è, quindi, in presenza non di una dimostrazione presuntiva, bensì di una mera
ipotesi, ovvero, in altre parole, di un indicazione che, se idonea a supportare
una specifica istruttoria, com’è accaduto nella fattispecie, non poteva
tradursi, al relativo esito, nel quale è risultata priva di qualsiasi riscontro
obiettivo, nel definitivo provvedimento.
D’altra parte, se così non fosse e si ammettesse la possibilità di adottare la
misura vincolistica sulla base di una mera indicazione di esistenza del bene
archeologico ed in vista di una eventuale, successiva attività diretta ad
individuarne la consistenza ed a portarlo alla luce, il relativo provvedimento
di vincolo finirebbe con l’assumere la fisionomia di misura di salvaguardia del
patrimonio in questione, non prevista dalla legge n. 1089 del 1939 e, pertanto,
non suscettibile di applicazione.
Andava, altresì, considerato che è pure acquisito alla giurisprudenza
l’ulteriore principio secondo cui l’amministrazione può estendere il vincolo ad
intere aree in cui siano disseminati ruderi archeologici particolarmente
importanti: è necessario, però, in tal caso, non solo che i ruderi stessi
costituiscano un complesso unitario ed inscindibile, ma anche che il sacrificio
totale degli interessi dei proprietari sia reso indispensabile e che non
sussista la possibilità di adottare soluzioni meno radicali, evitandosi, in ogni
caso, che l’imposizione della limitazione sia sproporzionata rispetto alla
finalità di pubblico interesse cui è preordinata (ibidem).
Che è quanto, invece, avvenuto nel caso in esame, nel quale l’area priva di
emergenze archeologiche non è di irrilevante entità, costituendo circa un quarto
di quella complessivamente vincolata.
Con riferimento, poi, a tale ultimo profilo, inerente la ponderazione
dell’intensità del sacrificio imposto agli interessi privati, dovevano ritenersi
fondate anche le censure di difetto di istruttoria e insufficiente motivazione
di cui al primo motivo di ricorso.
Il provvedimento impugnato, invero, nonostante la carenza di riscontri univoci
ed obiettivi all’ipotesi scientifica formulata anteriormente alle operazioni di
scavo e di saggio, dà attuazione alla suddetta ipotesi, senza neanche
confortarla con il ricorso a circostanziati e consolidati elementi eventualmente
desumibili da diversa fonte, e senza, altresì, darsi carico di esternare le
ragioni ritenute ostative alla possibilità di limitare il vincolo, con ogni
idoneo accorgimento, alle aree effettivamente interessate dai ritrovamenti
archeologici, tema che aveva formato oggetto di specifico intervento della
società ricorrente nel procedimento.
Di talchè difettavano sia l’esaustiva illustrazione di non trascurabili elementi
che hanno caratterizzato il procedimento, sia l’apprezzamento della consistenza
dei precipui interessi privati coinvolti, con un effetto di detrimento della
funzione dell’istruttoria e della motivazione, le quali, vieppiù, assumono
particolare valore qualora non sia possibile, come nella fattispecie, porre in
diretta ed immediata correlazione gli esiti dell’attività medio termine
intervenuta e le scelte definitivamente assunte dall’amministrazione.
Risultate, indi, fondate le censure da parte ricorrente formulate avverso il
provvedimento di vincolo datato 8 luglio 2003 nell’atto introduttivo del
giudizio, il ricorso principale andava accolto, per quanto di ragione.
Per le medesime motivazioni, risultavano, poi, fondate le doglianze proposte
mediante la presentazione di motivi aggiunti avverso il parere negativo
formulato, ex art. 24, d. lgs. 490/99, dalla Soprintendenza per i beni
archeologici dell’Etruria Meridionale, con nota n. 8194, del 18 dicembre 2003,
sul progetto edilizio presentato dalla ricorrente. Andava, invece, respinta la
domanda di risarcimento del danno, genericamente proposta da parte ricorrente
nell’atto introduttivo del giudizio e non quantificata in corso di causa.
Appella l’Amministrazione deducendo le seguenti censure:
Il Tar si è essenzialmente basato sul convincimento che l’asserito collegamento
tra i ruderi della Villa romana e quelli del tracciato di antica strada
perilacuale fossero frutto di una “mera ipotesi, non suffragata dal concorso di
elementi obiettivi, certi e concordanti”.
Al contrario, circa la legittimità del vincolo dell8 luglio 2003, in questa come
in altre analoghe circostanze, l’obiettivo perseguito dall’Amministrazione è
stato di dare continuità e completezza ad un’azione di tutela già avviata, cfr;
vincolo d.m. 13 marzo 1999, alla luce di nuove consistenti, risultanze
archeologiche scaturite da indagini. Il prosieguo degli scavi nell’area oggetto
della lottizzazione ha condotto infatti a individuare ulteriori elementi
archeologici, più rilevanti ed estesi dei primi, tutti da ricondurre ad un’unica
e articolata villa di epoca romana. Il complesso risulta indagato solo in parte,
avendo le indagini seguito il piano di lottizzazione, mentre parte
dell’insediamento permane nel sottosuolo. Della villa si sono al momento
individuati due soli limiti, in direzione nord, di ingresso alla struttura e
quella con la viabilità di servizio, gravitanti verso il lago. Sul fronte
settentrionale del complesso individuato non ipotizzando, come sostiene il Tar,
ma in presenza di elementi certi, scaturiti dagli scavi, sono stati riportati in
luce due cippi di confine, disposti ai lati dell’ingresso della villa. Davanti
all’entrata, in corrispondenza dei cippi, come evidenziato nella relazione
scientifica del provvedimenti impugnato, un’area sistemata a cocciopesto, appare
riferibile ad un piazzale antistante il complesso. L’ingresso alla villa, poi,
si apre verso l’arteria stradale che nell’antichità correva lungo il lago, di
cui è stato posto in luce un tratto della lunghezza di m.70, per una larghezza
di m.3, e l’esame topografico delle strutture rinvenute, pur nella loro
frammentarietà dovuta alla moderna situazione dei luoghi, e alle vicende
contingenti dello scavo, collega l’ingresso della villa alla sua viabilità,
rendendo il complesso inscindibile, come tale tutelabile nella sua interezza.
L’assenza di altre strutture archeologiche nel lotto 34, è dovuta solo ad un
vuoto strutturale, non archeologico, essendo noto che in strutture come le ville
romane vi erano, accanto a ambienti coperti, spazi aperti adibiti a horti e
giardini, concorrenti, non meno delle strutture, a caratterizzare tale tipo di
insediamenti, formati appunto, da “vuoti e pieni”. Da tali considerazioni
scaturisce l’imposizione del vincolo a tutta l’area, perseguendosi, a fronte
dell’inscindibilità dell’intero complesso archeologico e relativa viabilità,
l’intento di salvaguardare l’unitarietà del contesto. Dall’incompatibilità
dell’edificazione alberghiera con l’obbligo di conservazione di tale insieme
unitario di elementi scaturisce come logica conseguenza il diniego della
Soprintendenza. L’edificazione, se realizzata, alterebbe irrimediabilmente una
realtà archeologica di per sé unitaria, stravolgendo la conservazione di un
contesto omogeneo, fornito anche di un proprio asse viario di servizio.
Analogamente, in prospettiva, perderebbe di sostanza il sacrificio imposto ai
privati per le restanti parti già tutelate da vincolo per le quali verrebbe a
cessare il senso di compendio insediativi omogeneo.
Si è costituita la società appellata deducendo l’infondatezza dell’appello.
Con ordinanza n.1936\2006, emanata in sede cautelare, il Collegio ha disposto
incombenti istruttori cui l’Amministrazione ha ottemperato depositando la nota
prot.n.9986 del 12 giugno 2006.
DIRITTO
L’appello è infondato e va respinto.
Come confermato dall’espletata istruttoria, nell’area denominata “lotto 34” è
stato posto in luce, nella parte settentrionale, esclusivamente un tratto di
antica strada perilacuale, interessante quindi solo una porzione delimitata del
lotto stesso, come ben evidenziato nella sentenza impugnata, nei termini
ampiamente riportati in narrativa; la stessa istruttoria ha altresì acclarato
ulteriormente come, la restante parte del lotto 34, “venne scavata senza
evidenziare strutture archeologiche e raggiungendo il banco di arenaria. Alla
luce di quanto riportato appare dunque del tutto improduttivo procedere ad
ulteriori indagini in detta area che, in presenza del banco, non potrebbe
fornire nuovi indizi archeologici in aggiunta a quelli già enunciati”.
Della insufficienza di questi ultimi a giustificare il vincolo esteso all’intero
lotto 34 ha appunto trattato “funditus” la sentenza di primo grado, con rilievi
che non appaiono superabili in base alla deduzioni, eminentemente fattuali, su
cui è incentrato l’appello.
Quanto affermato dal Tar, sulla contraddittorietà del vincolo, così esteso, alla
luce delle risultanze istruttorie procedimentali, vieppiù confermate dalla
riportata nota acquisita in questa sede, nonché sulla ingiustificata
sproporzione dell’estensione attribuita allo stesso e sulla mancata
considerazione dell’interesse del privato al fine di adeguare ragionevolmente il
vincolo medesimo alle esigenze obiettivamente emerse dai ritrovamenti
effettivamente accertati come esistenti, non è invalidato dalle deduzioni
appellatorie.
Ed infatti, l’inscindibilità dell’unitario complesso archeologico in questione,
la cui parte più rilevante, la Villa romana, si trova su aree pacificamente
estranee al lotto 34, e l’esigenza di preservarlo nella sua globalità, non
giustificano l’imposizione del vincolo anche su aree di gran lunga eccedenti la
superficie del ritrovamenti stradari localizzati sul lotto 34, risultando in
assunto, proprio nell’impostazione motivazionale prescelta dall’amministrazione
e nelle giustificazioni fattuali da questa addotte, che il sacrificio imposto
alla proprietà privata, risulta sproporzionato, irragionevole e immotivato,
come, in sintesi, ha rilevato la sentenza impugnata, con argomenti dai quali
quanto dedotto in appello non induce a discostarsi.
L’esigenza di tutela del “vuoto strutturale” legato all’esistenza di “horti” e
giardini ipotizzati come “continuum” rispetto alla Villa romana, collegabili
alla struttura viaria localizzata in un’area delimitata del lotto 34, infatti,
in mancanza assoluta del ritrovamento di reperti significativi, si rivela
sprovvista dei caratteri della ragionevolezza, adeguatezza e, in specie,
proporzionalità che escluderebbero la natura del tutto contraddittoria e
immotivata dell’estensione del vincolo a tutta l’area interessata.
L’appello va pertanto respinto e alla soccombenza segue la condanna nelle spese
come da dispositivo.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Sesta, respinge il
ricorso in appello indicato in epigrafe, confermando per l’effetto la sentenza
impugnata.
Condanna l’appellante alla rifusione delle spese di giudizio, liquidate in
complessivi Euro 3000,00 di cui Euro 2500,00 per diritti ed onorari, oltre ad
oneri di legge.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, il 31 ottobre 2006 dal Consiglio di Stato in sede
giurisdizionale - Sez.VI -, riunito in Camera di Consiglio, con l'intervento dei
Signori:
Claudio Varrone Presidente
Gianpiero Paolo Cirillo Consigliere
Giuseppe Romeo Consigliere
Luciano Barra Caracciolo Consigliere Est.
Giuseppe Minicone Consigliere
Presidente
CLAUDIO VARRONE
Consigliere Segretario
LUCIANO BARRA CARACCIOLO ANNAMARIA RICCI
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
il 19/01/2007
(Art. 55, L.27/4/1982, n.186)
Il Direttore della Sezione
MARIA RITA OLIVA
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