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CONSIGLIO DI STATO
Sez. VI, 11/10/2007 (C.C. 12/06/2007), Sentenza n. 5335
CAVE E TORBIERE - Ripristino ambientale di una cava - Convenzione per lo
sfruttamento e ripristino ambientale - Difetto dell’attività istruttoria e
mancanza delle modalità operative delle prescrizioni - Ordinanza del dirigente
del Settore Urbanistica - Annullamento. In materia di ripristino ambientale
di una cava, il difetto dell’attività istruttoria e la mancanza delle modalità
operative delle prescrizioni viziano inesorabilmente il provvedimento di
ripristino. (Nella specie né dall'ordinanza comunale di ripristino, né dagli
obblighi di convenzione, né dagli elaborati si evidenziavano in maniera puntuale
i necessari interventi finalizzati al recupero dell’area). Pres. Varrone - Est.
Buonvino - Mira (avv. Neri) c. Comune di Orvieto (avv. Tarantini) (annulla TAR
dell’Umbria 31 agosto 2004, n. 492). CONSIGLIO DI STATO Sez. VI, 11/10/2007
(C.C. 12/06/2007), Sentenza n. 5335
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REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
N.5335/2007
Reg.Dec.
N. 10158 Reg.Ric.
ANNO 2004
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) ha pronunciato la
seguente
DECISIONE
sul ricorso in appello n. 10158/2004 proposto dal sig. Danilo Mira, in
proprio e quale legale rappresentante della ditta “Mira Danilo”, rappresentato e
difeso dall’avv. Stefano Neri presso il quale è elettivamente domiciliato in
Roma, largo Toniolo 16,
contro
il Comune di Orvieto, in persona del Sindaco p.t., costituitosi in giudizio,
rappresentato e difeso dall’avv. Giovanni Tarantini, con il quale è
elettivamente domiciliato in Roma, via Morgagni 2/a, presso l’avv. Umberto
Segarelli,
e nei confronti
della sig.ra Serena Attioli Scattoni, non costituitasi in giudizio,
per la riforma
della sentenza del TAR dell’Umbria 31 agosto 2004, n. 492;
visto il ricorso in appello con i relativi allegati;
visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune appellato;
viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
visti gli atti di causa;
relatore alla pubblica udienza del 12 giugno 2007, il Consigliere Paolo Buonvino;
udito l’avv. Police, per delega dell’avv. Stefano Neri, e l’avv. Giovanni
Tarantini.
Ritenuto e considerato, in fatto e in diritto, quanto segue:
F A T T O e D I R I T T O
1) - Con la sentenza impugnata il TAR ha respinto il ricorso proposto
dall’odierno appellante, sig. Danilo Mira (in proprio e quale legale
rappresentante della ditta omonima), per l’annullamento dell’ordinanza del
dirigente del Settore Urbanistica del Comune di Orvieto in data 12 gennaio 2002,
prot. n. 815 in data 17 gennaio 2002.
Ha premesso il TAR, in linea di fatto, che la ditta ricorrente aveva esercitato
attività di estrazione (di pozzolana, mista a terra e tufo) nella cava sita in
località Bardano del Comune di Orvieto, in base alla convenzione 18 giugno 1982,
rep. 12853 ed alla concessione n. 5/359 in data 27 luglio 1982; che, scaduto il
periodo di otto anni di durata della concessione, non avendo ottenuto il
rinnovo, aveva sospeso l’attività dal 1997, continuando lo smistamento del
materiale già estratto.
Ha ricordato, poi, il TAR che, con ordinanza prot. 6190 in data 5-11 aprile
2001, il Comune aveva disposto il corretto ripristino ambientale della parte
della cava di proprietà Attioli (non invece della parte di proprietà
dell’Istituto Diocesano per il Sostentamento del Clero, per la quale la
ricorrente aveva chiesto il rinnovo dell’autorizzazione) e che, entro il termine
prefissato (a seguito di proroga, il 12 luglio 2001) la ditta ricorrente aveva
eseguito i lavori; in data 8 agosto 2001 era stato effettuato un sopralluogo, da
parte dei tecnici comunali, che non aveva dato luogo a rilievi o contestazioni.
Tuttavia, hanno ricordato, ancora, i primi giudici, con ordinanza n. 815 in data
12-17 gennaio 2002, il Comune aveva disposto il ripristino ambientale della
suddetta parte di cava, secondo le indicazioni tecniche contenute nella nota del
geologo Trastulli (consulente della proprietaria dell’area); lo stesso TAR, al
riguardo, ha anche sottolineato come in tale provvedimento si desse atto che la
predetta nota tecnica “non risulta suffragata da elaborati che evidenzino in
maniera puntuale i necessari interventi al fine di recuperare l’area”.
Dopo avere riassunto le censure svolte dal ricorrente, il TAR ha respinto il
ricorso avendo ritenuto che gli atti concessori originari e le valutazioni
tecniche intervenute nel procedimento finalizzato al ripristino ambientale
dell’area di cava dismessa consentivano di individuare un parametro certo,
ancorché sinteticamente definito, per la realizzazione degli interventi di
ripristino/ricomposizione che la ditta ricorrente era tenuta ad effettuare; ciò
perché l’articolo 7 della convenzione prevedeva: nei tre mesi successivi alla
cessazione dell’esercizio di cava, la concessionaria “ha l’obbligo di provvedere
al conguaglio dei residui di lavorazione e alla conseguente ricarica totale
della zona di cava con terreno vegetale per tutto il materiale scavato e
sistemazione della giacitura per i terreni circostanti”; in data 23 marzo 2001,
in esito ad un sopralluogo al quale era presente il titolare della ditta
ricorrente, la proprietaria aveva espresso (confermato) la volontà di riprendere
possesso del terreno “ripristinato e reso idoneo … per lo svolgimento delle
normali attività agricole”; l’area di cava era classificata zona agricola (in
parte E1 - colture agricole - ed in parte E2 - carattere agroforestale);
l’articolo 6 della l.r. n. 2/2000, al comma 2, disponeva che il progetto di
coltivazione dovesse prevedere “la destinazione finale del terreno agli usi
preesistenti o compatibile con le caratteristiche oggettive dei luoghi
originari”.
Occorreva, perciò, distinguere, ad avviso dei primi giudici, tra l’esito finale
degli interventi, come sopra esposto, dalle “modalità operative” - che non
risultavano chiaramente formalizzate e dettagliate nella convenzione, e che (in
assenza di una adeguata e coerente indicazione progettuale da parte della
concessionaria) ben poteva individuare il Comune con propri provvedimenti; tali
modalità operative, in particolare, venivano individuate nella nota tecnica;
rispetto ad essa, gli “elaborati che evidenzino in maniera puntuale i necessari
interventi”, di cui si ammetteva la mancanza, costituivano un elemento
ulteriore, che sembrava dovere essere riferito, più che agli interventi stessi,
alla loro localizzazione (posto che a tale funzione servivano gli elaborati
grafici e che, per contro, alcune modalità operative erano indubbiamente
prescritte nella nota tecnica, tanto che venivano specificamente censurate dalla
ricorrente); ma, per il TAR, non era la mancanza di tale ulteriore dettaglio ad
essere oggetto della contestazione della ricorrente, bensì i contenuti che dalla
nota tecnica risultavano univocamente indicati.
E, invero, hanno rilevato, ancora, i primi giudici, il tecnico della
proprietaria, sulla base delle risultanze sopra riportate, aveva ritenuto che le
attività svolte dalla ricorrente, consistenti nel mero livellamento del piazzale
di cava, non fossero sufficienti rispetto al parametro convenzionale
(sopraindicato) ed aveva specificato talune modalità realizzative che il Comune
ha recepito ponendole alla base del provvedimento impugnato.
Dopo avere sottolineato il fatto che non rilevava, ai fini del decidere e sotto
lo specifico profilo istruttorio, la circostanza che non erano stati presi
esplicitamente in considerazione elementi, quali la durata della coltivazione o
il volume di materiale potenzialmente estraibile, o addirittura le vicende
relative alla porzione di cava contigua avente una diversa proprietà, il
Tribunale ha rilevato come non rilevasse neppure il fatto che il Comune aveva
semplicemente recepito le valutazioni tecniche espresse dal geologo incaricato
dalla proprietà; tale circostanza, invero, non appariva sintomo di tendenziosità
o incompletezza dell’istruttoria svolta dal Comune, occorrendo, piuttosto,
verificare se tali valutazioni, alla luce delle censure dedotte, fossero o meno
inficiate da vizi logici che ne mettevano in discussione l’attendibilità; e
neppure il fatto che in precedenza (vale a dire in sede di verifica di quanto
disposto con l’ordinanza n. 6190/2001, o in occasione del sopralluogo dell’8
agosto 2001) si fosse trascurato di trarre sin da allora le debite conseguenze
dall’incompleto adempimento da parte della ricorrente degli obblighi di
riambientamento poteva precludere ora l’ulteriore esercizio dei poteri
ordinatori (poteri da ritenersi esercitati, forse, in modo intempestivo ed
apparentemente sollecitato dall’iniziativa del proprietario, ma, comunque, in
modo doveroso).
Infine, ha sottolineato, ancora, il TAR, le modalità operative prescritte non
apparivano viziate da travisamento, né da illogicità; infatti, era l’articolo 7
della convenzione che prevedeva l’utilizzazione del terreno vegetale (e non
quindi dello scarto di cava, ancorché suscettibile di essere utilizzato anche
per coltivazioni); era la medesima disposizione a richiedere, non soltanto la
ricarica dell’area di cava in senso stretto, ma anche la “sistemazione della
giacitura tra i terreni circostanti”, che esprimeva proprio la necessità di
raccordare l’area, livellandola, ai suoli limitrofi, nella prospettiva di un
continuum territoriale (esigenza evidente, se solo si considera la
geomorfologia collinare dell’area interessata); infine, quanto alla prescrizione
di uno spessore di almeno 1 metro di terreno vegetale, essa appariva congrua o
comunque non illogica, se soltanto si considerava che la zona agricola
circostante era caratterizzata da vigneti di pregio (e non da serre o campi di
calcio, per i quali sarebbe stata sufficiente la pozzolana scavata) e che a tale
utilizzazione poteva essere correlato l’obbligo di ripristino.
In conclusione, il TAR ha respinto il ricorso sottraendosi, il provvedimento
impugnato, alle censure dedotte.
2) - La sentenza è impugnata dalla ditta originariamente ricorrente che ne
deduce l’erroneità sotto ogni profilo.
Premesso che la convenzione del 1982 non avrebbe affatto precisato quali
dovessero essere le specifiche modalità di ripristino ambientale, l’ordinanza
impugnata avrebbe dovuto, logicamente e di conseguenza, contenere la puntuale
descrizione delle stesse; ciò che, invece, avrebbe fatto del tutto difetto
nell’atto impugnato, che non recava neppure gli elaborati tecnico-grafici;
laddove, ricorda ancora l’appellante, egli aveva puntualmente provveduto a dare
corso ai lavori di ripristino in precedenza ordinati - nel 2001 - con materiali
di risulta e stoccaggio provenienti dalla cava stessa e che avrebbero dovuto
essere ritenuti utili e sufficienti ad assicurare il ripristino, così come, del
resto, in un primo tempo riconosciuto dallo stesso Comune, che ha poi
modificato, immotivatamente, il proprio orientamento in una situazione di
assoluta carenza istruttoria e puro e semplice richiamo ad un documento di parte
(proveniente dalla proprietà dell’area di cava), in ogni caso, del tutto
insufficiente - al contrario di quanto ritenuto dai primi giudici - a precisare
la puntuale natura dell’intervento di ripristino stesso e la sua esatta
localizzazione.
Deduce, inoltre, l’appellante che il difetto dell’attività istruttoria (che il
TAR erroneamente non avrebbe rilevato) apparirebbe ancora più grave ed evidente
dal momento che il Comune avrebbe semplicemente preso atto della relazione
geologica del dott. Trastulli (tecnico di parte), senza effettuare la minima
verifica tecnica in relazione agli effettivi obblighi di convenzione e senza
permettere alla ditta ricorrente di poter contraddire alle argomentazioni della
proprietaria dell’area di cava; del resto, compito della P.A. sarebbe stato
quello di verificare, sulla base della convenzione e del Piano comunale per le
attività estrattive, il ripristino e recupero dell’area, mentre i rapporti tra
le parti non avrebbero potuto riguardare l’amministrazione stessa, in capo alla
quale sarebbe rimasto solo il dovere di accertare l’attività di recupero dovuta,
rimasta, invece, sostanzialmente imprecisata.
In ogni caso, l’attività di recupero effettuata nel 2001 sarebbe stata, per sua
natura, del tutto conforme alla convenzione e alla logica di ripristino del
terreno agricolo che - contrariamente a quanto affermato dai primi giudici - non
sarebbe stato mai adibito a coltivazione della vite, essendo stato utilizzato a
cava fin dal 1920.
3) - Resiste il Comune appellato che insiste per il rigetto dell’appello e la
conferma della sentenza impugnata.
Con memorie conclusionali le parti ribadiscono i rispettivi assunti difensivi.
4) - L’appello è fondato.
L’art. 7 della citata convenzione prevedeva, invero, che “entro tre mesi dalla
data di cessazione dell’esercizio di cava, la Ditta concessionaria ha l’obbligo
di provvedere al conguaglio dei residui di lavorazione e alla conseguente
ricarica totale della zona di cava con terreno vegetale per tutto il materiale
scavato e sistemazione della giacitura fra i terreni circostanti”.
Cessata l’attività estrattiva, il Comune, con ordinanza del 5 aprile 2001
ordinava alla ditta Mira di procedere “al corretto ripristino ambientale del
sito di cava.....ed alla rimozione di tutti gli impianti e mezzi insistenti
nell’area entro due mesi......”.
Con nota del 12 luglio 2001 (facente seguito a proroga del termine contenuto
nell’ordinanza ora detta) la ditta appellante comunicava al Comune di avere
ultimato i lavori.
Questi sono consistiti, come precisato dalla stessa ditta appellante, nel
riporto, sui terreni, di materiale di “scarto” di cava e dello stesso materiale
ivi rimasto stoccato e, cioè, pozzolana mista a terra utilizzata per
giardinaggio e per i campi sportivi in erba.
L’8 agosto 2001 il Comune ha effettuato un sopralluogo senza formulare rilievi.
Successivamente, peraltro, ha proceduto a notificare alla ditta interessata
l’ordinanza qui impugnata, del seguente tenore:
“il Dirigente, facendo seguito alle risultanze del sopralluogo del
08/08/2001........; considerato che i sigg.ri Scattoni, come risultante dal
sopraccitato verbale, si sono riservati la facoltà di richiedere un parere
tecnico per la corretta sistemazione finale del terreno......; preso atto della
nota dell’avvocato Morcella Manlio per conto dei sigg.ri Scattoni e
dell’allegato parere tecnico a firma del dott. geologo Sandro Trastulli;
nell’allegato parere tecnico si evidenzia, tra l’altro, che la Ditta, oltre al
riporto di terreno vegetale, dovrà ricaricare il materiale scavato in esubero
per consentire, così, un più agevole raccordo con i terreni
circostanti........con spessori di terreno vegetale non inferiore a mt. 1,00;
considerato che la suddetta nota tecnica non risulta suffragata da elaborati che
evidenzino in maniera puntuale i necessari interventi al fine di recuperare
l’area agli usi preesistenti.......ordina.....il ripristino del sito.....secondo
le indicazioni tecniche contenute nella nota a firma del dott. geologo Sandro
Trastulli.....”.
Ebbene, così operando - come dedotto dall’appellante - l’amministrazione, dopo
che, in sede di sopralluogo, non ebbe a formulare alcun rilevo proprio, si è,
successivamente, puramente e semplicemente rimessa al giudizio tecnico espresso
dall’altra parte interessata, senza esperire, al riguardo, alcuna propria
specifica attività tecnico-valutativa volta a verificare se quanto asserito
nella citata nota tecnica di parte rispondesse affettivamente a quanto richiesto
dall’art. 7 della Convenzione del 1982.
In particolare, il Comune stesso ammetteva che la suddetta nota tecnica non
risultava accompagnata da “elaborati in grado di evidenziare in maniera puntuale
i necessari interventi al fine di recuperare l’area agli usi preesistenti”; ma,
a sua volta, non redigeva alcun elaborato in tal senso; tenuto conto, però, del
fatto che il ripetuto art. 7 della convenzione era formulato in termini del
tutto generici in ordine alle modalità di ripristino dell’area (“conguaglio dei
residui di lavorazione e alla conseguente ricarica totale della zona di cava con
terreno vegetale per tutto il materiale scavato e sistemazione della giacitura
fra i terreni circostanti”), ne consegue che preciso onere dell’amministrazione
era quello di precisare, sulla base di propri autonomi accertamenti (ancorché da
esperire in contraddittorio tra le parti) sotto quali puntuali profili
l’attività di ripristino espletata dalla ditta interessata a seguito
dell’ordinanza del 5 aprile 2001 non potesse essere ritenuta valida - e in quali
precisi limiti - ai fini della soddisfazione degli obblighi dalla stessa
convenzione (e, se del caso, dalla successiva disciplina normativa di settore)
nascenti.
Gli elaborati tecnici mancanti, del resto, non valgono solo alla localizzazione
dell’area, ma anche e soprattutto a definirne le attuali caratteristiche ed a
precisare, rispetto a queste e al piano di campagna da recuperare, quali precisi
interventi, in termini di necessari apporti volumetrici e altimetrici ai fini
del riempimento, avrebbero dovuto essere effettuati dalla parte in vista del
pieno rispetto degli oneri convenzionali.
Inoltre, il Comune ha aderito anche, acriticamente, a quei contenuti della nota
tecnica di parte in cui veniva precisato che, “in merito allo spessore di
terreno vegetale si ritiene che lo stesso non debba essere inferiore ad 1,0 m.
in quanto uno spessore minore non potrà consentire la ripresa della pratica
agricola caratteristica dell’intera zona con presenza di consistenti di vigneti
di alto pregio enologico e paesistico”.
Sennonché, anche sotto tale profilo ha fatto difetto ogni attività da parte dei
competenti organi tecnici comunali atta a verificare quale fosse, in realtà, al
momento della stipula della convenzione, la situazione inerente alle colture
agricole esistenti sia sul lotto di cava, sia sulle aree limitrofe all’epoca
della stipula della convenzione e rapportare ad esse, motivatamente, le proprie
determinazioni finali.
Vero che la convenzione prevedeva “la ricarica totale della zona di cava con
terreno vegetale”; non di meno, la P.A. avrebbe dovuto appurare se la copertura
effettuata dalla ditta qui appellante fosse o meno da considerare effettuata con
terreno da considerarsi “vegetale” e in grado di assicurare la possibilità di
effettuare le colture che, all’epoca della stipula della convenzione medesima,
caratterizzavano la zona e, in particolare, sia l’area di cava che le limitrofe
aree a vocazione agricola appartenenti ai sigg.ri Scattoni (eventuali modifiche
significative in ordine alle coltivazioni, intervenute successivamente alla
stipula della convenzione, non potendo far carico alla ditta interessata,
l’onere convenzionale dovendo essere rapportato alla situazione colturale in
atto al momento della stipula stessa); quanto allo spessore dello strato di
terreno vegetale da stendere sull’area di cava (da rapportarsi alle dette
colture), era pure onere dell’amministrazione precisarlo in base ad apposita,
propria attività istruttoria ed avvalendosi, se del caso, dei necessari apporti
tecnico-agronomici.
In definitiva, contrariamente a quanto ritenuto dal TAR, il difetto
dell’attività istruttoria dedotto dall’appellante vizia inesorabilmente il
provvedimento impugnato.
5) - Per tali motivi il presente appello appare fondato e va accolto e, per
l’effetto, in riforma della sentenza impugnata e in accoglimento del ricorso di
primo grado, va annullata l’ordinanza in quella sede gravata; salvi restando gli
ulteriori provvedimenti dell’amministrazione.
Le spese del doppio grado possono essere integralmente compensate tra le parti.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione sesta, accoglie l’appello
in epigrafe e, per l’effetto, in accoglimento del ricorso di primo grado,
annulla l’ordinanza in quella sede impugnata.
Spese del doppio grado compensate.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 12 giugno 2007 con
l’intervento dei sigg.ri:
CLAUDIO VARRONE - Presidente
PAOLO BUONVINO - Consigliere est.
DOMENICO CAFINI - Consigliere
ALDO SCOLA - Consigliere
BRUNO ROSARIO POLITO- Consigliere
Presidente
Claudio Varrone
Consigliere
Segretario
Paolo Buonvino
Vittorio Zoffoli
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
il 11/10/2007
(Art. 55, L.27/4/1982, n.186)
Il Direttore della Sezione
Maria Rita Oliva
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