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Testata registrata presso il Tribunale di Patti Reg. n. 197 del 19/07/2006



CONSIGLIO DI STATO Sez. VI, 19/10/2007 (C.c. 10/07/2007), Sentenza n. 5457



URBANISTICA E EDILIZIA - Piano di recupero - Natura - Strumento di pianificazione urbanistica - Impugnazione - Termine di decadenza - Decorrenza - Fattispecie. Il piano di recupero è da considerarsi uno strumento di pianificazione urbanistica, la cui impugnativa, da parte di soggetti ad esso estranei, deve essere fatta entro il termine di decadenza a decorrere dalla data di pubblicazione della delibera di approvazione (C.d.S., sez. V, n. 2284/2001). Nella specie, non è stata condivisa la tesi della necessità della notifica individuale della delibera di approvazione del piano di recupero, avendo questo ad oggetto un singolo immobile (e non un intero quartiere con pluralità indeterminata di destinatari), ben potendo essere proposta la sua impugnativa, unitamente ai permessi di costruire, la cui sola conoscenza ha consentito di avere contezza della lesività del piano di recupero medesimo. Pres. Ruoppolo - Est. Romeo - Brezza s.r.l. (avv.ti Bassani e Adinolfi) c. Comune di Annone Brianza (avv.ti Pisacane e Riccardo Delli Santi) (conferma sentenza n. 1922 del 31 luglio 2006 del Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia, sez. II). CONSIGLIO DI STATO Sez. VI, 19/10/2007 (C.c. 10/07/2007), Sentenza n. 5457

BENI CULTURALI E AMBIENTALI - Autorizzazione rilasciata in emergenza occorsa in sede di esecuzione dei lavori ex art. 22 del d.p.r. n. 380/2001 - Ulteriore autorizzazione paesaggistica - Necessità - Esclusione. Nei casi in cui, ai sensi dell’art. 22 del d.p.r. n. 380/2001, l’autorizzazione è stata rilasciata per ovviare ad una emergenza occorsa in sede di esecuzione dei lavori e non persegue alcuna finalità innovativa rispetto alle previsioni del piano di recupero, la modifica imposta dalla situazione di pericolo che si è venuta a determinare nel corso dell’esecuzione dei lavori, non può comportare la necessità di una ulteriore autorizzazione paesaggistica, essendo la precedente esaustiva della valutazione positiva di compatibilità ambientale, che non può dirsi compromessa da una limitata demolizione e fedele ricostruzione, dovuta al fatto che “la funzionalità statica delle suddette murature è compromessa”. Pres. Ruoppolo - Est. Romeo - Brezza s.r.l. (avv.ti Bassani e Adinolfi) c. Comune di Annone Brianza (avv.ti Pisacane e Riccardo Delli Santi) (conferma sentenza n. 1922 del 31 luglio 2006 del Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia, sez. II). CONSIGLIO DI STATO Sez. VI, 19/10/2007 (C.c. 10/07/2007), Sentenza n. 5457

BENI CULTURALI E AMBIENTALI - Tutela paesistico-ambientale nella L.R. Lombardia n. 18/1997 - Relazione dell’esperto ambientale. In base al contenuto della normativa regionale, articoli 5 e 8 della legge regionale n. 18/1997 (riordino delle competenze e semplificazione delle procedure in materia di tutela dei beni ambientali e di piani paesistici e di subdeleghe agli enti locali), la relazione dell’esperto ambientale non è necessaria che preceda la seduta della commissione edilizia, né che sia resa disponibile durante la seduta medesima (dec. n. 2073/2005). Pres. Ruoppolo - Est. Romeo - Brezza s.r.l. (avv.ti Bassani e Adinolfi) c. Comune di Annone Brianza (avv.ti Pisacane e Riccardo Delli Santi) (conferma sentenza n. 1922 del 31 luglio 2006 del Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia, sez. II). CONSIGLIO DI STATO Sez. VI, 19/10/2007 (C.c. 10/07/2007), Sentenza n. 5457


 

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REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

N.5457/2007
Reg.Dec.
N. 9472 Reg.Ric.
ANNO 2006
 

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) ha pronunciato la seguente


DECISIONE


sul ricorso in appello proposto da Brezza s.r.l., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dagli avvocati Mario Bassani e Antonio Adinolfi, ed elettivamente domiciliata presso lo studio degli avv. ti Giuseppe Ciaglia e Francesco Caso in Roma, via Savoia n. 71,
contro
il Comune di Annone Brianza, rappresentato e difeso dall’avv. Carmen Pisacane e dell’avv. Riccardo Delli Santi, ed elettivamente domiciliato presso lo studio di quest’ultimo in Roma, via Di Monserrato n. 25,
il Ministero Beni e le Attività Culturali, in persona del Ministro p.t., non costituito;
e nei confronti
della società La Filanda sul Lago, rappresentata e difesa dall’avv. Daniela Viva e dall’avv. Alessandra Sandulli, ed elettivamente domiciliata in Roma presso lo studio di quest’ultima, Corso Vittorio Emanuele, II n. 349,
per l'annullamento
della sentenza n. 1922 del 31 luglio 2006 del Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia, sez. II, resa inter partes.
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio delle parti avanti indicate;
Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
Visti gli atti tutti della causa;
Alla pubblica udienza del 10 luglio 2007, relatore il Consigliere Giuseppe Romeo, uditi l’avv. Bassani, l’avv. Adinolfi, l’avv. Di Paolo per delega dell’avv. Delli Santi e l’avv. Sandulli.
Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue.


FATTO


1.- Con la sentenza impugnata, il TAR ha dichiarato inammissibile il ricorso proposto dalla ricorrente (odierna appellante) innanzi al TAR Lombardia per l’annullamento di due permessi di costruire rilasciati dal Comune di Annone Brianza, di due autorizzazioni paesistiche (rilasciate dallo stesso Comune), del “silenzio serbato” dalla Sovrintendenza sui predetti nulla osta, del piano di recupero del comparto Fornace, nonché per il risarcimento del danno. Con la stessa sentenza, sono stati dichiarati inammissibili i successivi motivi aggiunti, proposti per l’annullamento della nota del Comune di Annone Brianza del febbraio 2005, della valutazione integrativa di compatibilità ambientale del giugno 2004, della valutazione storico ambientale relativa alla suddetta autorizzazione, dell’autorizzazione sempre del Comune di Annone n. 187 del 13 gennaio 2005.


In particolare, il TAR ha dichiarato inammissibile il ricorso principale (e con esso i successivi motivi aggiunti, alcuni dei quali dichiarati inammissibili anche per motivi diversi) perché “ è stato introdotto con unica domanda sia un giudizio di annullamento che un giudizio sul silenzio, procedura che si ritiene preclusa dalle regole procedurali, stante la diversità dei riti e come da giurisprudenza consolidata di questa sezione”, e perché il giudice non potrebbe scegliere tra l’una e l’altra domanda, “pena la violazione della terzietà ed imparzialità costituzionalmente tutelate dall’art. 111 Cost.”.


I tre atti contenenti motivi aggiunti sono stati dichiarati inammissibili: quelli del 5.4.2005, perché contengono una domanda inerente l’accesso e una impugnatoria; quelli del 5.5.2005, perché è stata impugnata una autorizzazione edilizia che ha il suo necessario presupposto nella concessione impugnata con il ricorso principale, che è stato dichiarato inammissibile; quelli del 30.6.2005, perché introducono doglianze nuove che si aggiungono alle precedenti, e che potevano essere dedotte prima (valgono comunque gli evidenziati profili di inammissibilità per essere stati impugnati sia atti sia il silenzio).


2.- La originaria ricorrente contesta decisamente la ricostruzione operata dal primo giudice, che, in modo “assai superficiale”, avrebbe esaminato il ricorso dalla stessa proposto, e deduce i motivi dell’originario ricorso di cui chiede l’accoglimento, previa declaratoria di ammissibilità degli stessi in riforma della sentenza impugnata.


Questi i motivi:
- violazione dell’art. 7 delle N.T.A. del P.R.G. nonché violazione dell’art. 12 e 22 del D.P.R. n. 380/2001. Eccesso di potere per difetto di istruttoria, contraddittorietà ed irragionevolezza manifeste, travisamento e sviamento.


I permessi di costruire impugnati consentono interventi edilizi che non sono compatibili con le previsioni del piano di recupero (è stata autorizzata la demolizione e la ricostruzione delle porzioni di piano terreno), senza peraltro ottenere l’autorizzazione paesaggistica, essendo la zona soggetta a tutela. L’intervento, nelle sue modalità esecutive, attua una totale trasfigurazione dell’aspetto esteriore dell’edificio, e vi sono inoltre evidenti difformità tra le tavole di progetto allegate al piano di recupero e quelle relative ai permessi di costruire impugnati, che riguardano in particolare il fabbricato denominato “ex stalla” (è prevista la realizzazione di un nuovo balcone).


- ulteriori profili di violazione di legge dell’art. 1 quinquies l. n. 4311985 e degli artt. 146 e 149 D. Lgs. 490/1999, con conseguente falsa applicazione degli articoli 151 e 152 D. Lgs. n. 490/1999 nonché dell’art. 8 L. R. n. 18/1997. Carenza di potere per difetto di istruttoria, sviamento, travisamento dei fatti e dei presupposti. Irragionevolezza e illogicità manifeste.


L’area su cui sorge il complesso immobiliare è soggetto a vincolo di inedificabilità assoluta fino all’approvazione dei relativi piani paesistici, e, nelle more, sono ammessi solo interventi di “manutenzione ordinaria, straordinaria, di consolidamento statico e di risanamento conservativo che non alterino lo stato dei luoghi e l’aspetto esteriore degli edifici” (art. 152 D. Lgs. n. 490/1999, ora art. 149 D. Lgs. n. 42/2004). Al momento del rilascio dei titoli edilizi impugnati non vigeva nell’area alcuno strumento di pianificazione urbanistica, e ciò nonostante il Comune di Annone ha assentito interventi che non rientrano nelle indicate tipologie edilizie (gli interventi sono di nuova costruzione: la filanda di tre piani è divenuta un condominio di cinque piani, e il porticato con soffitto in legno di due piani è divenuto un fabbricato di quattro piani).


- violazione degli artt. 5 e 8 della legge regionale n. 18/1997, dovendo in ogni caso il rilascio dell’autorizzazione paesaggistica essere preliminare all’avvio dei procedimenti edilizi (il procedimento volto al rilascio dei titoli edilizi impugnati si è concluso senza il necessario approfondimento in sede di autorizzazione di compatibilità ambientale dell’intervento).


- ulteriore violazione dell’art. 7 delle N. T. A. di P.R.G. e violazione dell’art. 12 D.P.R. n. 380/2001. Eccesso di potere per difetto di istruttoria, contraddittorietà e irragionevolezza manifeste, travisamento, sviamento.


Il piano di recupero (la cui impugnativa deve considerarsi ammissibile, perché esso concerne il recupero di una singola unità immobiliare, e la ricorrente, in assenza di notifica individuale, ha avuto conoscenza delle sue caratteristiche tipologiche, e quindi della sua lesività, solo in occasione del rilascio dei permessi edilizi impugnati) ha autorizzato mutamenti delle caratteristiche tipologiche dell’edificio (catalogato come edificio di cat. B/C, ai sensi dell’art. 2 delle N. T. A. del P.R.G.) di entità così rilevante da snaturarne l’aspetto originario.


3.- Resistono il Comune di Annone e la Filanda sul Lago, chiedendo la conferma della sentenza impugnata, e comunque la reiezione dei motivi dell’originario ricorso.


4.- Il gravame è stato trattenuto in decisione all’udienza del 10 luglio 2007, nel corso della quale la difesa dell’appellante ha mostrato le fotografie dell’immobile (condominio con non meno di 17 appartamenti), una volta completati gli interventi edilizi autorizzati.


DIRITTO


a.- Il TAR Lombardia non ha esaminato l’originario ricorso con i motivi aggiunti, perché, in applicazione di “una giurisprudenza consolidata della sezione”, ha ritenuto inammissibile la “unica domanda” con la quale è stato “introdotto sia un giudizio di annullamento sia un giudizio sul silenzio”.


Deve convenirsi con l’appellante sulla abnorme erroneità della statuizione, che non trova alcuna rispondenza negli atti processuali.


A giudizio del TAR, la ricorrente ha contestato il silenzio unitamente ai permessi di costruire, rilasciati alla controinteressata, e questa duplice impugnativa con unica domanda ha determinato un cumulo di riti differenti, e conseguentemente, non potendo il giudice terzo scegliere quale dei due riti applicare (camerale ovvero ordinario), il ricorso è inammissibile.


La realtà processuale è diversa. La originaria ricorrente ha impugnato, unitamente ai permessi di costruire, il silenzio mantenuto dalla Sovrintendenza per i beni ambientali e architettonici, la quale ha fatto decorrere il termine di sessanta giorni alla stessa assegnato per provvedere, sicché il nulla osta, trasmesso dal Comune, ha acquistato piena validità ed efficacia.


Non è il caso di procedere a definizioni del silenzio (o meglio del mancato esercizio del potere di annullamento del nulla osta) della Sovrintendenza (approvazione, silenzio assenso, o altro), perché, nella specie, si è consolidato il nulla osta comunale, rispetto al quale la Sovrintendenza, una volta acquisita la documentazione integrativa, è rimasta inerte, e quindi l’impugnativa del “comportamento silente” della Sovrintendenza stessa che aveva lasciato decorrere il termine a sua disposizione per procedere all’annullamento, è da dichiararsi inammissibile, e giammai può essere qualificata quale contestazione del “silenzio rifiuto”, sottoposta al rito camerale.


Detto questo, prima di procedere all’esame del merito del ricorso, il Collegio deve esaminare le ulteriori statuizioni di inammissibilità dei motivi aggiunti che la ricorrente ha proposto successivamente alla notifica del ricorso principale.


I primi motivi aggiunti, depositati in data 5.4.2005, diversamente da quanto statuito dal TAR che ne ha dichiarato l’inammissibilità, perché ha ravvisato un cumulo di domande, incompatibili tra di loro (una, riguardante l’accesso, e l’altra, un giudizio caducatorio), sono inammissibili, perché volti a contestare una nota sprovvista di contenuto lesivo (si chiedeva l’annullamento di una nota con la quale l’’Amministrazione, in esito alla domanda di accesso della istante, ha messo a disposizione la documentazione trasmessa dal Comune alla Sovrintendenza).


I secondi motivi aggiunti, depositati in data 5.5.2005, sono invece ammissibili, perché, con essi, si lamenta che sarebbero stati illegittimamente assentiti interventi edilizi diversi da quelli previsti dal progetto originario, e non (come erroneamente statuito dal TAR) interventi meramente esecutivi rispetto a quelli già assentiti con la concessione, la cui impugnativa altrettanto erroneamente il TAR ha dichiarato inammissibile.


I terzi motivi aggiunti, depositati in data 30.6.2005, devono invece essere dichiarati irricevibili (in ciò concordando con il TAR), perché vengono proposte censure nuove avverso atti che sono stati già contestati, ovvero avverso atti, come il piano di recupero, divenuti ormai inoppugnabili per decorso del termine di impugnativa.


Per completare il quadro delle questioni pregiudiziali, è bene affrontare la reiterata eccezione (formulata dai resistenti) di irricevibilità della impugnativa nei confronti del piano di recupero dell’edificio in esame, al quale si riferiscono i permessi di costruire e il nulla osta paesaggistico, la cui legittimità è stata contestata con il ricorso originario.


Non vi può essere alcun dubbio sulla irricevibilità della contestazione (in verità residuale) che l’appellante muove, con il ricorso principale notificato il 19 febbraio 2005, anche nei confronti del piano di recupero, la cui approvazione risale al 4 novembre 2003, giacché non è condivisibile la tesi che nella specie sarebbe stata necessaria la notifica individuale della delibera di approvazione del menzionato piano di recupero, avendo questo ad oggetto un singolo immobile (e non un intero quartiere con pluralità indeterminata di destinatari), e ben potendo essere proposta la sua impugnativa, unitamente ai permessi di costruire, la cui sola conoscenza ha consentito di avere contezza della lesività del piano di recupero medesimo.


La giurisprudenza amministrativa ha (come esattamente rilevato dai resistenti) da sempre considerato il piano di recupero uno strumento di pianificazione urbanistica, la cui impugnativa, da parte di soggetti ad esso estranei, deve essere fatta entro il termine di decadenza a decorrere dalla data di pubblicazione della delibera di approvazione (per tutte, C.S., sez. V, n. 2284/2001).


Neppure convince la tesi che la lesività del piano di recupero si sarebbe manifestata una volta conosciuti gli impugnati (in termine) permessi di costruire con “le caratteristiche tipologiche del complesso immobiliare frontistante”.


Per certi versi la tesi potrebbe confermare che la lesione della posizione giuridica dell’appellante sarebbe dovuta al piano di recupero, la cui impugnazione è sicuramente tardiva, a meno che non si voglia sostenere che i permessi di costruire (impugnati in termine) abbiano causato un pregiudizio alla ricorrente, perché difformi dal piano di recupero, e, in tal caso, l’impugnativa (come correttamente sostenuto dai resistenti) sarebbe inutile a motivo della sua non lesività.


b.- Prima di formulare le proprie deduzioni “in diritto”, l’appellante premette “in fatto” (pag. 5 del gravame) che, nel giudizio di primo grado, “ha evidenziato, in primo luogo, le difformità esistenti tra l’opera realizzanda e il progetto di recupero”, e “si sono illustrati i vizi propri dei permessi di costruire impugnati, autonomi altresì rispetto a quelli inficianti la validità del piano di recupero” e “in secondo luogo, è stato censurato il piano medesimo, in quanto contrastante con la normativa urbanistica ed edilizia vigente nella zona, e con la tutela ambientale”.


Da una lettura dell’originario ricorso (e dei motivi aggiunti) non pare che la sintesi che l’appellante fa di quanto “evidenziato nel giudizio di primo grado”, trovi perfetta rispondenza nelle originarie deduzioni innanzi al TAR.


Con il ricorso di primo grado (forse per la consapevolezza della mancata impugnativa in termini del piano di recupero), si è soprattutto contestato che il Comune di Annone Brianza abbia ritenuto “l’intervento di cui trattasi compatibile con la normativa di tutela paesaggistica riguardante l’area”, sottoposta a tutela paesistica (d.m. 5.7.1971) e prospiciente le sponde del lago di Annone (ai sensi dell’art. 1 quinquies, lett. b della legge 8 agosto 1985, l’area è assoggettata a vincolo di assoluta immodificabilità fino alla approvazione dei relativi piani paesistici). Non si sarebbe, quindi, potuto rilasciare alcun nulla osta per interventi qualificati di ristrutturazione, “seppur solo interna”, essendo assentibili solo “interventi di manutenzione ordinaria, straordinaria, di consolidamento statico e di restauro conservativo che non alterino lo stato dei luoghi e l’aspetto esteriore degli edifici”. L’impossibilità di rilascio di qualsiasi nulla osta avrebbe dei riflessi negativi sulla legittimità dei relativi titoli edilizi che non avrebbero potuto essere rilasciati, “in quanto inerenti interventi non assentibili”.


“Sotto il profilo eminentemente edilizio”, sono stati censurati i permessi di costruire impugnati (n. 20/2003 e n. 4/2004), perché, ai sensi dell’art. 7 delle N. T. A. del p.r.g., sono ammessi interventi di ristrutturazione edilizia nella sola parte dell’immobile, classificata “C”, e nella restante porzione “B” sono ammessi interventi di sola “ristrutturazione interna” (anche il piano di recupero deve attenersi a questa normativa di p.r.g.), mentre sono stati assentiti interventi destinati a “modificare radicalmente le luci e le aperture dell’originario impianto edilizio, ammettendosi, inoltre, la realizzazione di balconi” (questi interventi modificano l’aspetto esteriore, e se modificazioni potevano ammettersi con il piano di recupero, ciò poteva avvenire nella sola porzione “C”). In ogni caso, si dovrebbe escludere che il piano di recupero possa prevedere le censurate difformità edilizie, e legittimare varianti allo strumento urbanistico generale, per cui, ove dovesse ritenersi che il piano di recupero abbia legittimato la realizzazione di interventi in contrasto con lo strumento urbanistico generale, “determinando una totale trasfigurazione dell’originario aspetto esteriore dell’edificio”, deve ritenersi censurato anche detto piano “a meri fini di completezza difensiva”.


Appare chiaro che la trama del ricorso di primo grado muove da una illegittimità delle autorizzazioni paesaggistiche (impugnate in termini) e finisce per coinvolgere anche i permessi di costruire, dei quali si lamenta, in modo generico ed ambiguo, oltre la loro illegittimità per i vizi che inficiano le prime, il contrasto con “le previsioni di prg” (art. 7 N.T.A.), e con il piano di recupero, perché non vengono salvaguardate le murature perimetrali.


I permessi di costruire, da un parte, sarebbero in contrasto con le previsioni di p.r.g, e, dall’altra, sarebbero altresì in contrasto con il piano di recupero, che sulla base dell’art. 7 N.T.A. “poteva prevedere interventi di sostanziale modificazione dell’aspetto esterno dell’edificio per le sole parti classificate “C” (pag. 32 del ricorso di primo grado).


L’ambiguità di queste censure “sotto il profilo edilizio” si coglie agevolmente dalla menzionata affermazione (pag. 33 del ricorso di primo grado), che, qualora si dovesse ritenere che i permessi di costruire sono conformi al piano di recupero, “a meri di completezza difensiva deve censurarsi anche il suddetto piano di recupero”, e dall’ulteriore affermazione (pag. 10 dei motivi aggiunti del 21.6.2005, con i quali tardivamente si censura il piano di recupero per falsa rappresentazione della realtà “ante operam”), che il piano di recupero non può avere i contenuti del progetto edilizio, assentito con i permessi di costruire (impugnati in termini), perché “di fatto (si) costringe ad anticiparne il sindacato all’atto della formazione della scelta pianificatoria che, di contro, non è deputata a contenere tali prescrizioni e che, quindi, non chiede all’interessato di affrontare valutazioni inerenti il progetto edilizio”.


c.- Detto questo, della prima censura del gravame in esame (rubricata al n. 3) deve ritenersi ammissibile la sola parte in cui si contesta la legittimità dell’autorizzazione n. 187 del 13 gennaio 2005 (impugnata innanzi al TAR con i secondi motivi aggiunti), perché sarebbe stata rilasciata una autorizzazione che ha per oggetto l’integrale demolizione e la ricostruzione delle murature perimetrali, in contrasto con il piano di recupero, le cui previsioni imponevano la salvaguardia di tali costruzioni, oltretutto in assenza di una nuova autorizzazione paesaggistica.


Sono invece inammissibili le deduzioni (fatte con la stessa censura) sulle modalità esecutive (la muratura portante in pietre locali è stata sostituita da una struttura in cemento armato e tamponature in mattoni forati) e sulle difformità che riguardano il fabbricato denominato “ex stalla”.


La prima, oltre che priva di interesse dal momento che pone in dubbio la legittimità di una modalità costruttiva, che, ove realmente difforme da quanto previsto, comporterebbe il solo rifacimento della “muratura portante”, e non la eliminazione della struttura, la cui presenza pregiudica la posizione della ricorrente, è inammissibile perché pare individuare per la prima volta una specifica difformità costruttiva, rispetto alla generica dedotta immodificabilità dell’edificio, esempio di “archeologia industriale”.


La seconda, è inammissibile perché dedotta per la prima volta in appello.


La censura, ammissibile nella sola parte in cui si lamenta il contrasto dell’autorizzazione n. 187/2005 con il piano di recupero, e non nella parte in cui si deduce per la prima volta il contrasto con l’art. 22 del d.p.r. n. 380/2001, è infondata, perché la autorizzazione è stata rilasciata per ovviare ad una emergenza occorsa in sede di esecuzione dei lavori, e quindi non persegue alcuna finalità innovativa rispetto alle previsioni del piano di recupero, che, tra l’altro, prevedono la possibilità di demolizione di muri perimetrali (art. 9, punto. 4, delle norme tecniche di attuazione del piano di recupero).


Una modifica di così modesta portata, imposta dalla situazione di pericolo che si era venuta a determinare nel corso dell’esecuzione dei lavori, non può comportare – come assume l’appellante – la necessità di una ulteriore autorizzazione paesaggistica, essendo la precedente esaustiva della valutazione positiva di compatibilità ambientale, che non può dirsi compromessa da una limitata demolizione e fedele ricostruzione delle “due porzioni del piano terreno della muratura perimetrale del corpo centrale del complesso edilizio”, dovuta – come detto – al fatto che “la funzionalità statica delle suddette murature è compromessa”.


Prosegue l’istante, reiterando la censura, con la quale si è dedotto che il complesso immobiliare in questione sorge su un’area sottoposta a tutela paesaggistica, e vincolata ai sensi dell’art. 1 quinquies, lett. b) della legge n. 431/1985, che assoggetta a vincolo di immodificabilità assoluta tutti “i territori contermini ai laghi compresi in una fascia della profondità di 300 metri dalla linea di battigia”, fino all’approvazione dei relativi piani paesistici (nelle more sono ammissibili interventi di manutenzione ordinaria, straordinaria, di consolidamento statico e di restauro conservativo che non alterino lo stato dei luoghi e l’aspetto esteriore degli edifici), e nella specie, nonostante la mancata approvazione di detti piani paesistici, sono stati assentiti interventi che non rientrano in alcuna delle tipologie indicate.


La censura - che intende riferirsi alla lettera b) dell’art. 82 del d.p.r. n. 616/1977, come modificato dal D. L. n. 312/1985, e alla successiva legge di conversione n. 431/1985, che ha introdotto l’art. 1 quinquies, il quale dispone che “le aree e i beni individuati ai sensi dell’art. 2 del decreto ministeriale 21 settembre 1984 sono inclusi tra quelli in cui è vietata, fino all’adozione da parte delle regioni dei piani di cui all’art. 1 bis, ogni modificazione dell’assetto del territorio nonché ogni opera edilizia”, con esclusione degli interventi avanti menzionati – è infondata.


Viene, infatti, omesso di menzionare il comma 2 del citato art. 82, che, dopo avere richiamato il vincolo ai sensi della legge n. 1497/1939 imposto sui territori costieri compresi in una fascia di profondità di 300 metri dalla linea di battigia, dispone che tale vincolo “non si applica alle zone A e B”, per cui l’immobile in esame, che ricade in zona A, resta soggetto alla disciplina di prg.


Quanto poi al preteso divieto di modificazione del territorio sino all’adozione dei piani paesistici, di cui all’art. 1 quinquies della legge n. 431/1985, la ricorrente offre una lettura parziale di questa norma, dal momento che non considera che il divieto di immodificabilità assoluta opera solo sulle “aree e i beni individuati ai sensi dell’art. 2 del decreto ministeriale 21 settembre 1984”, individuazione di cui, nella specie, non è stata data alcuna prova.


Rimane l’ultima censura con la quale si lamenta la violazione degli articoli 5 e 8 della legge regionale n. 18/1997 (riordino delle competenze e semplificazione delle procedure in materia di tutela dei beni ambientali e di piani paesistici e di subdeleghe agli enti locali), che prevedono che le commissioni edilizie comunali siano integrate da almeno due esperti in materia di tutela paesistico – ambientale, in possesso di comprovata esperienza, e che le commissioni stesse si esprimano alla presenza di almeno uno degli esperti, “le cui valutazioni devono essere riportate per esteso nei verbali di seduta, allegando apposita relazione scritta”, e che il rilascio dell’autorizzazione, di cui all’art. 7 della legge 1497/1939, deve, in ogni caso essere preliminare all’avvio dei procedimenti edilizi.


La censura è infondata in fatto.


Si assume erroneamente che la relazione degli esperti ambientali è stata redatta in epoca successiva (29.6.2004) alla seduta della commissione edilizia (19.11.2003), e che il rilascio della autorizzazione paesaggistica non abbia preceduto il rilascio dei permessi edilizi.


Nel provvedimento di autorizzazione paesistica del 10.2.2004 si richiama “il parere della Commissione edilizia, integrata ai sensi dell’art. 5 della legge regionale 18/1997, espresso nella seduta del 19.11.2003 e la relazione degli esperti in materia paesistico ambientale che si allega”, e il rilascio del permesso edilizio n. 20/2003 (l’unico che interessa la ricorrente, non avendo coltivato l’impugnativa dell’altro n. 4/2004) è avvenuto in data 17 febbraio 2004, cioè successivamente al 10.2.2003, data di formalizzazione dell’autorizzazione paesistica.


La censura è infondata anche in diritto, perché non sussiste la violazione della normativa regionale (richiamata dall’appellante), alla stregua dell’orientamento di questa Sezione (dec. n. 2073/2005), la quale, sulla premessa che non è possibile dare della normativa avanti richiamata una lettura formalistica, ha statuito che non è necessario che la relazione dell’esperto ambientale preceda la seduta della commissione edilizia, né che sia resa disponibile durante la seduta medesima.


Il ricorso va, pertanto, in parte respinto, e in parte ritenuto inammissibile e/o irricevibile, previa riforma della sentenza impugnata.


Le spese e gli onorari di giudizio possono essere compensati.


P.Q.M.


Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Sesta, in parte respinge e in parte dichiara irricevibile il ricorso in epigrafe, previa riforma della sentenza impugnata. Compensa le spese.


Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità amministrativa.


Così deciso in Roma, il 10 luglio 2007 dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) nella Camera di Consiglio con l'intervento dei Signori:
Giovanni Ruoppolo Presidente
Giuseppe Romeo Consigliere est.
Domenico Cafini Consigliere
Francesco Caringella Consigliere
Roberto Chieppa Consigliere


Presidente
Giovanni Ruoppolo
Consigliere                           Segretario
Giuseppe Romeo                  Giovanni Ceci

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

il 19/10/2007
(Art. 55, L.27/4/1982, n.186)
Il Direttore della Sezione
Maria Rita Oliva



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