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CONSIGLIO DI STATO
Adunanza Plenaria, 22/10/2007 (C.C. 15/10/2007), Sentenza n. 12
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REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
N.12/2007
Reg.Dec.
N. 8 Reg.Ric.
ANNO 2007
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Adunanza Plenaria, ha pronunciato
la seguente
DECISIONE
sul ricorso in appello n. 8/2007 dell’Adunanza Plenaria (n. 1614/2006 della Sez.
IV del Consiglio di Stato) proposto dalla Provincia di Mantova, in persona del
Presidente in carica, rappresentata e difesa dal Prof. Avv. Paolo Colombo e
dall’avv. Alessandro Sperati, elettivamente domiciliata presso lo studio del
secondo in Roma, Piazza Mazzini, n. 27.
CONTRO
Gatti Marino, rappresentato e difeso dall’avv. Elia Di Matteo, elettivamente
domiciliato presso lo studio dell’avv. Francesco Da Riva Grechi in Roma, viale
Bruno Buozzi, n. 109.
NONCHÉ CONTRO
Corso Eugenio, Merchiori Anna, Rabitti Marcello, Vanz Gloria e Nico Costruzioni
s.r.l. non costituiti in giudizio.
PER L'ANNULLAMENTO
della sentenza non definitiva del TAR per la Lombardia, Sezione staccata di
Brescia 19 dicembre 2005, n. 1342.
Visto il ricorso in appello con i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del signor Gatti Marino;
Vista l’ordinanza della Sezione IV. n. 3288/2007 del 19 giugno 2007 con cui è
rimesso all’Adunanza Plenaria il ricorso n. 1614/2006;
Visti gli atti tutti della causa;
Relatore, alla pubblica udienza del 15 ottobre 2007, il Presidente Giovanni
Ruoppolo e uditi l’avv. Paolo Colombo e l’avv. Elia Di Matteo;
Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:
FATTO
La Sezione quarta, rimettendo, con sentenza 19 giugno 2007 n. 3288/07,
all’Adunanza plenaria di decidere sulla questione di giurisdizione proposta
dalla Provincia di Mantova con l’atto di appello in epigrafe, ha accertati e
chiariti i fatti in maniera puntuale e completa.
In questa sede, perciò, ci si può limitare a riferire sugli aspetti ancora
rilevanti della vicenda rinviando, per una completa disamina, alla sentenza di
remissione.
Con provvedimento 30 aprile 1999 n. 119 la Giunta provinciale di Mantova,
acquisite le correlate deliberazioni del Comune di Mendole e della Regione
Lombardia, approvava il progetto per la esecuzione della circonvallazione di
Mendole, ne dichiarava la pubblica utilità e fissava il termine di cinque anni,
decorrenti dalla data della delibera, per la conclusione dei lavori e della
procedura.
Con successive deliberazioni 2 giugno 2000 n. 137 e 5 dicembre 2002 n. 423 la
stessa Giunta, approvando varianti al progetto esecutivo e rinnovando la
dichiarazione di pubblica utilità , confermava lo stesso termine finale in
precedenza fissato.
Seguivano, intanto, altri atti della procedura relativi alla occupazione
d’urgenza (18 ottobre 2000), alla immissione in possesso delle aree (26 ottobre
2001), alla consegna dei lavori ( 26 aprile 2001), alla determinazione delle
dovute indennità provvisoria (6 marzo 2001) e definitiva ( 6 dicembre 2002), al
frazionamento delle aree interessate alla procedura espropriativa ( 13 settembre
2004), al deposito presso la Cassa DD.PP. delle somme ancora dovute.
Il 17 gennaio 2005, con decreto n, 3273/05, si disponeva infine il trasferimento
della proprietà delle aree private in conformità delle risultanze del
frazionamento.
L’intera procedura era incisa, insieme agli atti presupposti, da plurimi ricorsi
proposti, in tempi diversi, dai soggetti privati titolari delle aree coinvolte
che deducevano motivi di violazione di legge, incompetenza ed eccesso di potere
nei confronti della Provincia, del Comune e della Regione, dei cui provvedimenti
si chiedeva l’annullamento.
Il TAR per la Lombardia, Sezione di Brescia, nel contraddittorio ritualmente
formatosi, disposta la riunione di tutti i ricorsi e ritenuta la giurisdizione,
con sentenza non definitiva 27 dicembre 2005, n. 1342/05:
- dichiarava estinti, per rinuncia, i giudizi, avviati con ricorsi 257/99,
697/00, 1284/00, nei confronti dei Signori Ferrardi , Branzini e Cerruti;
- dichiarava improcedibili, per sopravenuta carenza di interesse, i ricorsi n.
1544/97, 1548/97, 257/99 e 697/00 e, per quanto riguarda i profili impugnatori,
1284/00 ad eccezione, per questo ricorso, della pretesa risarcitoria già
avanzata e dal Signor Gatti e dai Signori Corso e Marchiori, rispettivamente
acquirente ed alienante di una delle aree coinvolte;
- accoglieva parzialmente il ricorso n. 476/05 annullando il decreto di
espropriazione di 17 gennaio 2005 n. 3273/05 e dichiarando la intervenuta,
irreversibile trasformazione dei beni occupati;
- disponeva la prosecuzione del giudizio per il completamento della consulenza
tecnica già disposta ai fini della pronuncia sulla istanza risarcitoria.
Proponeva appello, con atto notificato al Signor Gatti, nonché ai Signori Corso
e Marchiori, la Provincia di Mantova deducendo alcune questioni pregiudiziali,
contestando la ritenuta tardività del decreto di espropriazione e rilevando, per
il caso di acclarata decadenza della dichiarazione di pubblica utilità, difetto
di giurisdizione del giudice amministrativo.
Si costituiva il solo Signor Gatti proponendo ricorso incidentale.
Questi e la Provincia illustravano con specifiche memorie le proprie posizioni e
concludevano, il primo, in via principale di merito, per la conferma della
sentenza di primo grado e per la condanna della Provincia al risarcimento del
danno, la seconda, per la declaratoria del difetto di giurisdizione.
La Sezione quarta, accertato che l’espropriazione era stata decretata, in data 7
giugno 2005, dopo la scadenza dei cinque anni decorrenti dalla data della
deliberazione della Giunta Provinciale 30 aprile 1999, ha rimesso l’esame della
questione di giurisdizione all’Adunanza Plenaria.
Le conclusioni delle parti sono state rassegnate con memorie in data 26 e 30
settembre 2007.
Motivi della decisione.
I - La Sezione quarta, dubitando della permanente attualità – dopo la
pubblicazione della sentenza Corte Cost. 11 maggio 2006, n. 191 e delle
correlate pronunce delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione - dei principi
ripetutamente affermati dalla Adunanza Plenaria ha correttamente rimesso a
quest’ultima il rinnovato esame della individuazione del giudice amministrativo
quale giudice cui spetta di pronunciarsi in tema di c.d. accessione invertita,
allorché la formale espropriazione intervenga dopo la sopravvenuta inefficacia,
per decorso del suo termine finale, della dichiarazione di pubblica utilità.
Correttamente, si è detto, alla stregua delle esigenze che, positivamente poste
nei confronti del giudizio per cassazione (art. 374 cod.proc.civ. come
sostituito dall’art. 8 D.Lg.vo 2 febbraio 2006, n. 40), derivano da generali
principi di certezza del diritto e di economicità della funzione giurisdizionale
che ovviamente coinvolgono il processo innanzi al Consiglio di Stato, nel quale
è per altro già prevista la opportunità, qui di nuovo sottolineata, della
rimessione in ordine a questioni di diritto che abbiano dato luogo o possano dar
luogo a contrasti giurisprudenziali ovvero allorché si renda necessaria la
risoluzione di questioni di massima di particolare importanza ( art. 45 co. 2 e
3 T.U. 26 giugno 1924, n. 1054 come sostituiti dall’art. 5 L.21 dicembre 1950,
n. 1018 ).
II - La rimessione in parola, è necessario premettere ad ulteriore
chiarificazione delle proposte questioni pregiudiziali, concerne esclusivamente
il ricorso 1284/2000 ed il ricorso 476/2005 e motivi aggiunti con i quali
Signori Corso – Marchiori e Cerruti hanno proposto, siccome accertato dal
Tribunale regionale amministrativo e ritenuto dalla Sezione quarta, domanda
risarcitoria.
Gli altri ricorsi inizialmente proposti risultano, infatti, oggetto di
dichiarazione di estinzione per rinunzia ovvero di improcedibilità per carenza
di interesse, improcedibilità estesa, dal predetto Tribunale, anche ai motivi
del ricorso 1284/2000 relativi alla impugnazione per annullamento di alcuni
degli atti emessi nel corso del procedimento di espropriazione il cui atto
conclusivo (decreto n. 3273/05 della Provincia) è stato espressamente annullato
dal Tribunale, con connessa dichiarazione di irreversibile trasformazione dei
beni occupati.
In tale situazione la Sezione remittente ha ritenuto di superare le deduzioni
della Provincia relative alla pretesa non integrità del contraddittorio in primo
grado e del Gatti relative alla omessa notifica dell’appello a Regione, Comune,
Niero s.r.l. e Signori Rabitti e Vanz. Invero, mentre contro questi ultimi
soggetti nessuna domanda risarcitoria è proposta, né si configura alcun loro
interesse e mentre Comune e Regione sono stati intimati in primo grado ( il
primo si è anche costituito) in relazione agli atti da loro emessi (ric.
1544/97, 1548/97 e 257/99), ed hanno ricevuto notificazione della sentenza
appellata, la domanda risarcitoria fu proposta nei soli confronti della
Provincia, ente espropriante, e concerne, una volta definiti come s’è ricordato
gli altri giudizi, esclusivamente i rapporti tra la stessa Provincia e, ormai,
il Signor Gatti ed i suoi danti causa.
Ne risulta l’infondatezza delle domande di integrazione del contraddittorio
ritualmente instaurato e in primo grado e in appello.
L’annullamento, poi, dell’atto finale della procedura di espropriazione e la
pronuncia di intervenuta accessione invertita, di per sé non impugnata dal
Signor Gatti, e per altro satisfattiva della richiesta tutela , rendono prive di
rilievo le di lui deduzioni relative ad atti e comportamenti e della Regione e
del Comune, ormai irrilevanti a seguito del predetto annullamento, e della
Provincia dalle quali mai potrebbe conseguire la restituzione, e su questa non
si insiste nelle conclusioni rassegnate il 7 marzo 2006 ed il 30 settembre 2007,
delle aree coinvolte dalla costruzione della strada, pressoché terminata ed
aperta al traffico (v. note in atti del Responsabile del procedimento in data 25
febbraio 2004 e 19 aprile 2005) già al 25 febbraio 2004 e, comunque, “parecchi
mesi prima dello stesso 19 aprile 2005” e, perciò, nel corso dei termini della
dichiarazione di pubblica utilità.
Dato atto di ciò, deve infine rilevarsi che il Tribunale non si è in alcun modo
pronunciato sulla domanda risarcitoria, proposta e perfino quantificata nel
corso del relativo grado di giudizio (v. oltre alle istanze notificate il 23
febbraio ed il 29 ottobre 2001 le ammissioni nelle memorie della Provincia del
19 dicembre 2000 e del 11 aprile 2001 nonché l’istanza di sospensiva del
giudizio indennitario dalla stessa proposta alla Corte di Appello e la correlata
ordinanza e v., ancora, il ricorso 11 aprile 2005 notificato il successivo 12
aprile), sulla quale ha soltanto disposto il completamento dell’istruttoria in
corso: sono, pertanto, intempestive le relative deduzioni della Provincia nonché
degli appellati e perciò inammissibili in questa sede le loro richieste.
III - Si rileva, venendo perciò al punto di diritto in contestazione, che
permangono, nella giurisprudenza più recente, significativi contrasti in tema di
discriminazione della giurisdizione, contrasti forse avvertiti con maggior
disagio di quelli pur vivi nel secolo scorso ora che sussistono condizioni di
ulteriore sviluppo sociale ed economico, di correlato aumento della legislazione
e delle discipline così civili come amministrative e, perciò, di più forte
richiesta di decisioni di merito pronte, facilmente accessibili, coerenti con le
esigenze operative e con le aspettative di tutela delle pubbliche
amministrazioni, delle imprese e di ciascun componente la comunità nazionale.
I recenti, ripetuti richiami della Corte Costituzionale ( v. da ultimo, sent. 12
marzo 2007, n. 77) ai precetti dell’art. 24 Cost. confermano un orientamento
perseguito con ancor più determinata convinzione; orientamento che,
sottolineando il valore servente delle forme, pur ferme e vincolanti, rispetto
alle aspettative sostanziali, merita di essere condiviso e seguito, come pare
sia condiviso dallo stesso legislatore ( cfr., di recente, in tema di
giurisdizione e di procedure, la L. 21 luglio 2000, n. 205 e, puntualmente in
tema di nullità, la L. 7 agosto 1990, n. 191 ) le cui rinnovate dichiarazioni di
volontà semplificatrice si traducono tuttavia, in qualche caso, in complicazioni
di discipline di non sottile spessore e di non agevole applicazione da parte di
una Amministrazione costretta a troppo frequenti mutamenti dei suoi complessi
moduli organizzativi ed operativi ed a tal fine, specie in sede locale, non
sempre munita di necessari mezzi e di adeguate strutture.
In generale, ed omettendo analisi storiche altrove e da altri svolte con
puntualità e completezza, la discriminazione è positivamente fissata, nel quadro
dei rigidi precetti posti dagli artt.24, 102,103, 111 e 113 Cost., dalla L. 21
luglio 2000, n. 205, - in vigore dal 1 agosto 2000 e seguita dalla L. 11
febbraio 2005, n. 15 e dal D.Lg.vo 12 aprile 2006, n. 163 - , che, anche
riformulando le disposizioni del D.Lg.vo 31 marzo 1998, n. 80, ha
sostanzialmente definito il disegno innovatore avviato con l’art. 13 della L. 19
febbraio 1992, n. 142 ed organicamente posto dalla legge di delega 15 marzo
1997, n. 59:
Su questa disciplina è ripetutamente intervenuta e, per quanto qui rileva,
specialmente con le sentenze 17 luglio 2000, n. 292, 6 luglio 2004, n. 204, 28
luglio 2004, n. 281, 11 maggio 2006, n. 191, 12 marzo 2007, n. 77 e 27 aprile
2007, n. 140, la Corte Costituzionale.
Punti fondamentali dell’assetto normativo che ne è derivato e che, salvo le
integrazioni e le precisazioni appresso indicate, vige attualmente sono: 1)
resta fermo, e vincola lo stesso legislatore, che criterio generale di
discriminazione è quello fondato sulla natura della situazione giuridica di cui
si chiede tutela, nel senso che giudice dei diritti soggettivi è il giudice
ordinario e giudice degli interessi legittimi è il giudice amministrativo;
2) resta fermo che è nella, per così dire, ragionevole discrezionalità del
legislatore attribuire alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo,
in particolari materie (e non in blocchi indiscriminati di materie) specialmente
caratterizzate dalla compresenza o dalla difficile qualificazione di diritti
soggettivi ed interessi legittimi, anche la tutela di diritti soggettivi;
3) il giudice amministrativo conosce, nell’ambito della sua giurisdizione, sia
essa di sola legittimità ovvero, pur con differente dizione, esclusiva, “ anche
di tutte le questioni relative all’eventuale risarcimento del danno ingiusto,
anche attraverso la reintegrazione in forma specifica, e agli altri diritti
patrimoniali conseguenziali “;
4) il giudice ordinario, cui non spetta mai giurisdizione sugli interessi
legittimi, non ha il potere di annullare i provvedimenti amministrativi nè
quello di risarcire il danno conseguente all’annullamento degli stessi da parte
del giudice amministrativo, e tuttavia, vertendosi in tema di lesione dei
diritti soggettivi non ricompresi nella cennata giurisdizione esclusiva, può
disapplicare gli atti dell’amministrazione e provvedere al risarcimento
dell’eventuale danno.
IV - Con riferimento al nuovo assetto così sommariamente descritto si sono
riproposti alla giurisprudenza spinosi problemi interpretativi già vivi nel
quadro della precedente disciplina ed ulteriori questioni sostanziali e
procedurali ha posto l’ampliamento della giurisdizione esclusiva e dei poteri
del giudice amministrativo.
Deve ricordarsi, al primo proposito, il permanere dalle difficoltà di
discriminazione poste dalla dicotomia diritto soggettivo – interesse legittimo
nell’ambito di una legislazione che dalla considerazione della loro natura il
più delle volte prescinde preferendo enucleare dalle situazioni soggettive e
disciplinare puntualmente, con riferimento alla attività amministrativa, tal
volta spezzoni qualificabili come facoltà, più spesso aspetti analitici solo
mediatamente riferibili ad individuabili situazioni di diritto o di interesse.
Si tratta, nell’uno e nell’altro caso, di situazioni mai direttamente definite
dalla legge e di derivazione dottrinale e giurisprudenziale spesso collegate ad
esigenze di preconcetti ed immobili schemi sistematici piuttosto che ad
ordinamenti e norme i quali supporrebbero, nel loro continuo aggiornarsi, il
continuo aggiornamento di un “ sistema “ che, dismessa la pretesa di imporsi
alla legge, da questa ricevesse la sua necessaria legittimazione.
Il dibattito, in proposito, è continuo e basti segnalare, di recente, la
distinzione proposta dalla Corte di Cassazione (Sez. un. 1 agosto 2006, n. 17461
) che rivendica la giurisdizione del giudice ordinario in ogni caso quando si
sia in presenza di “ posizioni soggettive a nucleo rigido “ (es. in tema di
salute e di ambiente ) che, a differenza di quelle “ a nucleo variabile “,
sarebbero assolutamente incomprimibili. Siffatta tesi, espressamente
contraddetta dalla Corte Costituzionale (sent. 27 aprile 2007, n. 140 ), reca in
se il corollario della inesistenza del provvedimento amministrativo che, pur
emesso in applicazione di legge, siffatti incomprimibili diritti in concreto
incidesse.
Corollario che sembra meritare attenti approfondimenti nel punto in cui pare
prescindere e dalle attribuzioni esclusive della Corte Costituzionale in tema di
verifica della costituzionalità delle leggi e dalle attribuzioni del giudice
amministrativo in tema di provvedimenti che conformemente a legge incidono su
situazioni soggettive degradandole, come si è soliti ripetere, ad interesse
legittimo.
Riconosciuta a quest’ultimo giudice, com’è doveroso per chiunque, “ piena
dignità di giudice “ e tenuto conto della compiuta effettività della sua tutela,
organizzata positivamente come efficace e sollecita, non si vede la ragione
perché le regole di discriminazione della giurisdizione debbano essere, a fronte
dei diritti c.d. “ a nucleo rigido “, di categoria, cioè, suscettibile di
estensione ben oltre i casi esemplificati, né si comprende la sottesa, asserita
pretesa di una minore incisività della giurisdizione amministrativa.
Di tale opinione non è, per altro, lo stesso legislatore che, in maniera
espressa ed univoca, ipotizza, con l’art. 21 co. 8 della L. 1034/71, come
integrato dalla L. 21 luglio 2000, n. 205, provvedimenti cautelari del giudice
amministrativo anche in tema di “interessi essenziali della persona quali il
diritto alla salute, alla integrità dell’ambiente, ovvero ad altri beni di
primario rilievo costituzionale”.
E’ ben vero che allo stato si riscontra positivamente in relazione a talune
situazioni soggettive del genere di quelle indicate e di altre ancora una
ordinaria e prevalente giurisdizione del giudice civile che in nessun modo si
contesta; epperò, mentre non può escludersi che in astratto ed in concreto si
profilino situazioni di interesse legittimo ovvero di attribuzione di
giurisdizione esclusiva, è seriamente controvertibile una tesi che, muovendo
dalla categoria dei diritti soggettivi incomprimibili e varcando la soglia della
sola descrittività, sancisca aprioristicamente limiti assoluti e non
costituzionalmente posti alla giurisdizione amministrativa.
Ai fini della concreta verificazione di questa è necessario poi ribadire che
configurano situazioni soggettive di interesse legittimo non solo quelle che
come tali originariamente nascono in capo al loro titolare sibbene anche quelle
che pur qualificandosi genericamente ed in astratto di diritto soggettivo siano,
in presenza di una norma che ciò consenta e di un procedimento ovvero di un
provvedimento in tal senso indirizzato, successivamente apprezzabili in concreto
come di interesse legittimo. Certo è necessario che procedimento e provvedimento
siano svolti e decisi da un’autorità a ciò competente, senza che concorrano
violazioni di legge, senza che intervengano sviamenti e note carenze. Questi,
tuttavia, sono puntualmente i vizi rimessi allo scrutinio della giurisdizione
amministrativa, individuabile anche in base al fondamentale criterio, appresso
approfondito, della riconducibilità della lesione sofferta all’esercizio del
potere autoritativo in astratto conferito all’autorità. Il criterio innovativo
come innovativa è stata la citata legislazione, è per altro frutto anche del
consapevole contributo di tutte le riflessioni che, in più di un secolo di
elevato e fertile impegno, dottrina e giurisprudenza hanno arrecato: dalla
distinzione delle norme di azione dalle norme di relazione, dalle dottrine del
diritto condizionato ed affievolito fino alla stessa rilevata notazione dei c.d.
diritti a “nucleo rigido “ non v’è nulla di totalmente superato ovvero di
superabile con improvvisazione e in ogni riflessione si riscontra un elemento di
validità che è di ausilio per sciogliere nodi che legislazione e pronunce
costituzionali tendono oggi a rendere meno aggrovigliati nel contestuale
riconoscimento della unitarietà, quoad effectum, della giurisdizione, attribuita
sì a giudici diversi, ma di uguale dignità, muniti di analoghi poteri ugualmente
compiuti ai fini della completezza delle tutele di merito loro commesse,
ugualmente intesi ad attuare i precetti degli artt. 24 e 111 Cost. (cfr. Cort.
Cost., 12 marzo 2007, n. 77).
Questi aspetti unitari, che valgono ad attenuare, almeno nella concretezza delle
vicende giudiziarie, il rilievo di talune estreme questioni di giurisdizione,
non consentono, tuttavia, di inferirne il corollario, come avanti si vedrà in
tema di “pregiudiziale amministrativa”, della necessità, formale e sostanziale,
della uguaglianza della tutela.
V - Si sono posti, al secondo proposito, con riferimento, cioè, al nuovo assetto
come sopra descritto, il problema della estensione della giurisdizione
esclusiva, sia con riferimento a materie ritenute di solo diritto soggettivo sia
con riferimento a precisazioni del legislatore ordinario dell’ambito di
cognizione concreta del giudice amministrativo ed il problema, inoltre, della
connessione tra la domanda di annullamento e la domanda risarcitoria.
Su questi ed altri problemi, approfonditi in dottrina, è ripetutamente
intervenuta, con puntuali pronunce, la Corte Costituzionale che, con le sentenze
innanzi citate ha precisato:
a) i confini della giurisdizione esclusiva relativa alla materia dei pubblici
servizi e della giurisdizione esclusiva relativa alla materia urbanistica ed
edilizia e delle espropriazioni;
b) la natura del potere del giudice amministrativo di provvedere sulle domande
risarcitorie e sugli altri diritti patrimoniali consequenziali alla pronuncia di
annullamento.
Così in materia di pubblici servizi, dalla quale sono state espunte controversie
ritenute di diritto soggettivo e, perciò, di pertinenza della giurisdizione
ordinaria, come in materia di urbanistica ed edilizia nonché delle
espropriazioni, la Corte Costituzionale, confermata la nodale relazione tra
l’esercizio di poteri pubblici autoritativi e la giurisdizione esclusiva del
giudice amministrativo, ha segnato il limite di quest’ultima.
Ha cioè dichiarato la illegittimità costituzionale dell’art. 33 co. 1 D.Lg.vo 31
marzo 1990, n. 80, come sostituito dall’art. 7 lett. b. della L. 21 luglio 2000,
n. 205, dell’art. 34 co. 1 del medesimo decreto, nonché dell’art. 53, co.1, del
D.Lg.vo 8 giugno 2001, n. 325 ( v. D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, art. 53 ) nella
parte in cui, devolvendo alla giurisdizione esclusiva le controversie relative a
“ i comportamenti delle pubbliche amministrazioni e dei soggetti ad esse
equiparati non esclude i comportamenti non riconducibili, nemmeno mediamente,
all’esercizio di un pubblico potere “ (così Cort. cost. 11 maggio 2006, n. 191
con riferimento alla giurisdizione esclusiva in tema di espropriazione per
pubblica utilità e, in precedenza, Cort. cost. 6 luglio 2004, n. 204).
Puntualizzato, da una parte, che l’aggettivo “ mediatamente “ si riferisce, come
sopra ricordato, ai casi in cui l’esercizio del potere si realizza nelle
consentite forme negoziali, e , d’altra parte, che sussiste, nelle motivazioni
delle due sentenze, ancora riprese da quelle successive, un espresso legame sì
che esse, integrandosi costituiscono un unico, coerente disegno nei limiti del
quale la Corte ammette la legittimità costituzionale delle norme scrutinate,
deve subito fissarsi un primo punto.
I “comportamenti”, cioè, che esulano dalla giurisdizione amministrativa
esclusiva non sono tutti i comportamenti, ma solo quelli che, tenuto conto dei
riferimenti formali e fattuali di ogni concreta fattispecie, non risultano
riconducibili all’esercizio di un pubblico potere.
Altrimenti detto, quando può affermarsi che nella specie sia rilevabile un
oggettivo, e non meramente intenzionale, svolgersi di un’attività amministrativa
costituente esercizio di un potere astrattamente riconosciuto alla pubblica
amministrazione o ai soggetti ad essa equiparati, sussiste ogni elemento
sufficiente ad affermare la giurisdizione amministrativa.
Caratterizzante, perciò, non è la legittimità dell’esercizio del potere, che, se
fosse richiesta, finirebbe per privare di causa la tutela appunto prevista per i
casi di incompetenza, violazione di legge ed eccesso di potere, né lo è il
maggiore o minore spessore della illegittimità ovvero della situazione giuridica
tutelata.
Caratterizzante è , invece, la mera emersione di un agire causalmente riferibile
ad una funzione che per legge appartenga all’amministrazione agente e che per
legge questa sia autorizzata a svolgere e che, in concreto, risulti svolta.
Se così è, l’in sé dell’esercizio del potere deve rilevarsi, prioritariamente,
in materia comportamentale, non tanto dalle intenzioni e dalla generiche
dichiarazioni del soggetto pubblico agente quanto dalle oggettive vicende
procedimentali che, mentre nella grande maggioranza dei casi precedono ed
accompagnano il fenomeno comportamentale, testimoniano esse, oggettivamente,
della rilevanza e della finalità e della consistenza del comportamento
consentendo di individuarne la genesi e di distinguerlo dai casi di semplice
generica presupposta esistenza del pubblico interesse.
La illegittimità di questo o quel momento procedimentale , cioè di quella serie
formale strumentalmente rivolta a realizzare l’interesse pubblico e sintomatica
dell’agire autoritativo consentito dalla legge , può sì far concludere per la
illegittimità e, nei congrui casi, per la illiceità del comportamento con
effetti anche analoghi o uguali a quelli propri della accertata carenza del
potere, ma tale conclusione spetta al giudice cui, con garanzie ed effettività
di certo non inferiori a quelle apprestate dal giudizio ordinario, compete alla
stregua dell’ordinamento: al “giudice naturale della legittimità dell’esercizio
della funzione pubblica “.
E a questo “giudice naturale “ compete, in diretta applicazione dei principi di
effettività e di concentrazione della tutela nonché delle norme poste dal
legislatore ordinario, di conoscere non solo delle domande intese
all’annullamento dell’attività autoritativa e, comunque, impugnatorie ma “di
tutte le questioni relative all’eventuale risarcimento del danno ingiusto, anche
attraverso la reintegrazione in forma specifica, e agli altri diritti
patrimoniali consequenziali”; risarcimento che, nell’ambito della giurisdizione
esclusiva, è “disposto” con procedure anche innovative (v. art. 7 e 8 L. n. 205
del 2000).
In proposito la Corte Costituzionale, chiarita la irrilevanza della natura
giuridica intrinseca alla pretesa risarcitoria, se di per sé di diritto
soggettivo o meno, ha escluso la configurabilità della giurisdizione ordinaria
“per ciò solo che la domanda abbia ad oggetto esclusivo il risarcimento del
danno” ed ha dichiarato costituzionalmente legittimo il nuovo sistema di riparto
che riconosce esclusivamente al giudice naturale della legittimità
dell’esercizio della funzione pubblica poteri idonei ad assicurare piena tutela,
e quindi anche il potere di risarcire, sia per equivalente sia in forma
specifica, il danno sofferto per l’illegittimo esercizio della funzione.
Ciò in quanto il potere di risarcire il danno ingiusto non costituisce una nuova
materia attribuita alla cognizione del giudice amministrativo ma uno “strumento
di tutela ulteriore “ rispetto a quello demolitorio, strumento che, in armonia
con l’art. 24 Cost. ne completa i poteri “non soltanto per effetto della
esigenza di concentrare davanti ad un unico giudice l’intera protezione del
cittadino avverso le modalità di esercizio della funzione pubblica, ma anche
perché quel giudice è idoneo ad offrire piena tutela” oltre che agli interessi
legittimi “ai diritti soggettivi, anche costituzionalmente garantiti coinvolti
nell’esercizio della funzione amministrativa “ ( Cort. cost. 27 aprile 2007, n.
140).
L’illegittimità dell’esercizio del potere, nel senso sopra precisato, comporta,
dunque, sempre nel caso di lesione di interessi e, nell’ambito della
giurisdizione esclusiva, anche nel caso di lesioni di diritti soggettivi, di
qualsiasi spessore, la configurabilità della sola giurisdizione amministrativa
così nel caso che la domanda risarcitoria venga proposta congiuntamente a quella
demolitoria come nel caso che venga proposta autonomamente, derivandosi anche in
tal caso la risarcibilità del danno dalla ipotizzata illegittimità dell’attività
amministrativa.
La Corte di Cassazione, pur convenendo su tali conclusioni generali (v. già
Cass. 23 gennaio 2006, n. 1207), sottolinea ancora , non senza rimarchevoli
oscillazioni, perplessità di non lieve momento.
Adducendo ora la perdurante vigenza della L. 20 marzo 1865, all. E, artt. 2 e 4,
e non solo dei suoi generali principi così come costituzionalmente recepiti,
ora, con non felice espressione, una asserita difficoltà del giudice
amministrativo a penetrare le regole civilistiche sul risarcimento del danno
ingiusto, ora la individuabilità di diritti in assoluto riservati alla tutela
ordinaria, la indicata Corte:
1) limita i casi in cui si è in presenza di “un concreto esercizio del potere“
ai casi in cui l’esercizio stesso sia riconoscibile come tale perché a sua volta
deliberato nei modi e in presenza dei requisiti richiesti per valere come atto o
provvedimento e non come mera via di fatto ( Sez. un. 13 giugno 2006, n. 13659)
“in consonanza con le norme che lo regolano “ (Sez. un. 15 giugno 2006, n.
13911; Cass. 7 febbraio 2007, n. 2691);
2) costruisce una categoria di diritti incomprimibili in maniera assoluta e
perciò sempre da comprendere nell’ambito della giurisdizione ordinaria;
3) asserisce che la giurisdizione amministrativa è rifiutata ove, in presenza di
autonoma domanda risarcitoria, il giudice non provvede all’esame di merito per
la ragione che nel termine per ciò stabilito non sono stati chiesti
l’annullamento dell’atto e la conseguente rimozione dei suoi effetti. In tali
circostanze avverte la Corte, il rifiuto si espone a cassazione ex art. 362, co.
1, cod.proc.civ. (Sez.un. 13 giugno 2006, n. 13659 e n. 13660; 5 gennaio 2007,
n. 13; 19 gennaio 2007, n. 1139).
Si tratta, come ognuno vede, di perplessità gravi nella misura in cui
sostanzialmente evocano, per via di una definizione resa fortemente restrittiva
dal suo carattere analitico, la dicotomia sussistenza del potere – esercizio del
potere nei termini, anch’essi ambigui , precedenti il nuovo assetto di riparto
della giurisdizione; nella parte in cui confliggono con le univoche
dichiarazioni della Corte Costituzionale 27 aprile 2007, n. 140 in tema di c.d.
diritti incomprimibili e 12 marzo2007, n. 77 in tema di limiti, ex art. 362 e
386 cod.proc.civ., inerenti il controllo dei confini esterni della
giurisdizione; nella parte in cui, varcando tali limiti, assoggetta a nuove
forme di sindacato le sentenze del giudice amministrativo.
Al primo proposito si rileva che, proprio con riferimento alla materia delle
espropriazioni, la Corte di Cassazione, nel suo indirizzo più radicale (v. Sez.
un. 7 febbraio 2007, n. 2688, 2689, 2691; 13 febbraio 2007, n. 3048; 19 febbraio
2007, n. 3723; 12 aprile 2007, n. 9323) che sembra attenuato da altro pur
recentemente confermato indirizzo (Sez. un. 20 dicembre 2006, n. 27190 e 27192),
configura la giurisdizione ordinaria non solo, com’è pacifico, nei casi in cui
l’amministrazione agisce, fuori di ogni schema procedimentale, in via di fatto,
ma anche nei casi in cui la dichiarazione di pubblica utilità risulti
“radicalmente nulla “ per omessa indicazione dei termini per l’espropriazione o
per scadenza degli stessi, ovvero per imprecisioni nella indicazione delle aree.
In tali casi, ed inoltre nei casi di decreto di espropriazione emesso fuori
termine, rilevandosi anche violazione dell’art. 42 Cost., si sarebbe, secondo la
Corte, in presenza di vizi di spessore maggiore di quelli che, in altri casi,
inducendo il giudice amministrativo all’annullamento della dichiarazione di
pubblica utilità o del decreto di espropriazione, legittimerebbero, sia pure per
sole esigenze di concentrazione, la giurisdizione amministrativa (v. Sez. un. 2
luglio 2007, n. 14594).
Ora la perplessità che tale indirizzo suscita non attiene soltanto alla
identificazione di una categoria di speciali vizi che non sembra trovare
conforto positivo e che anzi contrasta con le disposizioni analiticamente
introdotte con l’art. 14 della L. 11 febbraio 2005, n. 15, ma nella sostituzione
del criterio della riferibilità dell’esercizio del potere all’agire autoritativo,
riferibilità che come sopra si è visto chiama in causa l’intero procedimento,
con il criterio del sindacato concreto della legittimità del provvedimento della
cui applicazione si tratta, che non si vede come possa tal volta competere al
giudice ordinario e tal altra al giudice amministrativo.
In materia di espropriazione, poi, si prescinde del tutto – non solo dal nuovo
regime della nullità introdotto, ad integrazione della L. 7 agosto 1990, n. 241,
dall’art. 14 della L. 11 febbraio 2005, n. 15 – ma anche dall’entrata in vigore,
il 30 giugno 2003, del T.U. approvato con D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, il cui
art. 43 sembra, come si preciserà più avanti, avere apportato sul punto
definitivi chiarimenti.
Dei diritti c.d. incomprimibili s’è detto.
VII - Quanto, infine, al problema della c.d. pregiudizialità amministrativa,
istituto risalente nel tempo ed utilizzato di recente in tema di appalti (v.
art. 13 L. 19 febbraio 1992, n. 142 e, per qualche profilo generale, Corte cost.
8 maggio 1998, n. 165), esso è estremamente complesso (v.Ad. plen. 26 marzo
2003, n. 4) e qui non pertinente se non per la sua connessione, già richiamata
dalla Corte di Cassazione, con la questione della giurisdizione.
Basti, perciò, enunciarne taluni profili problematici, relativi:
- il primo, alla struttura stessa della tutela del giudice amministrativo che,
come si è visto è, specialmente articolata sia in sede di giurisdizione di
legittimità sia in sede di giurisdizione esclusiva, nel senso che il
provvedimento amministrativo lesivo di un interesse sostanziale (e non, perciò,
il mero comportamento) può essere aggredito e in via impugnatoria, per la sua
demolizione, e “conseguenzialmente” in via risarcitoria, per i suoi effetti
lesivi, ponendosi, nell’ uno e nell’altro caso, la questione della sua
legittimità.
Il carattere “conseguenziale” ed “ulteriore” della tutela risarcitoria,
espressamente ed inequivocamente posto, in armonia con gli artt. 103 e 113 co. 3
Cost., dall’art. 35. co. 1 e 4 del D.Lg.vo 31 marzo 1988, n. 80 e confermato dal
successivo co. 5 che comunque abroga “ogni disposizione che prevede la
devoluzione al giudice ordinario della controversie sul risarcimento del danno”
ancora una volta visto come “conseguente all’annullamento di atti
amministrativi”, sembra invero incontestabile.
Ed è confermato dalla ritenuta riferibilità della pronuncia di condanna
all’insieme dei poteri strumentali attribuiti al giudice per rimediare
compiutamente alla lesione della situazione soggettiva concettualmente, prima
ancora che positivamente, unica e ciò sia che l’esercizio dei poteri del giudice
sia chiesto contestualmente sia che, giudizialmente accertatasi la
illegittimità, sia richiesto, per vero con condivisa interpretazione estensiva
non del tutto allineata, tuttavia, con le convenienze della “contestualità”,
l’esercizio di ulteriori poteri prima non sollecitati.
Non c’è traccia, nella pronunce della Corte Costituzionale di alcun sospetto di
illegittimità costituzionale di siffatto disegno ed, anzi, sembra agevole
inferirne il contrario.
L’istituto, per altro, autorevolmente confermato da motivate pronunce della
stessa Corte di Cassazione (v. 10 gennaio 2003, n. 157; 27 marzo 2003, n. 4538;
23 gennaio 2006, n. 1207), ha, oltre a radici storiche e letterali di univoco
rilievo, ragioni del pari univoche.
Deve considerarsi, in proposito, che diritto ed interesse, benché molto spesso
partecipi di una assimilabile pretesa ad un c.d. bene della vita, sono
situazioni soggettive fortemente differenziate e tali ritenute già a livello
costituzionale.
Il primo, per dirla nei noti, riassuntivi termini, è assistito da una tutela
tendenzialmente piena e diretta e, nei suoi confronti, è sempre circoscritta la
eventualità di condizionamenti esterni, anche se imputabili ad una
amministrazione pubblica e, perciò, ad interessi generali.
Il secondo origina da un compromesso, chiaramente solidaristico, tra le esigenze
collettive di cui è portatrice, ex art. 97 e 98 Cost.., la amministrazione
stessa e la pretesa, di colui che dalla loro legittima soddisfazione è
coinvolto, di veder preservati quei suoi beni giuridici che preesistono
all’attività pubblica ovvero che nel corso di questa si profilino.
Ne deriva un coinvolgimento costante dell’interesse del singolo nell’interesse
della collettività che si esprime nell’attività, non libera, ma doverosa e
funzionalizzata dell’amministrazione e questo legame genetico spiega non solo la
previsione di una giurisdizione a ciò specificamente deputata ma, insieme, le
differenze, che rimangono marcate, che possono individuarsi e in tema di
discipline processuali e in tema di connotati della tutela.
I commendevoli contributi acquisiti, in sede dottrinale e giurisprudenziale, in
tema “giudizio sul rapporto“, non sembrano condivisibili ove approdino al
disconoscimento della natura principalmente impugnatoria dell’azione innanzi al
giudice amministrativo, cui spetta non solo di tutelare l’interesse privato ma
di considerare e valutare gli interessi collettivi che con esso si confrontano
e, non solo di annullare, bensì di “conformare” l’azione amministrativa affinché
si realizzi un soddisfacente e legittimo equilibrio tra l’uno e gli altri
interessi.
Queste essenziali circostanze, mentre si riflettono sui diversi caratteri del
giudizio amministrativo rispetto a quello civile, nel quale si contrappongono
pretese ascrivibili ad analoghe fonti e di regola sottratte ad interferenze
esterne da parte dell’autorità pubblica, sembrano spiegare e giustificare e la
priorità dell’azione impugnatoria, nel cui ambito soltanto è possibile e
doveroso esercitare compiutamente l’anzidetto vaglio di legittimità nonché
misurare spessore e valenza così della dedotta situazione soggettiva come della
denunciata lesione, e la posta “conseguenzialità “ rispetto ad essa, dell’azione
risarcitoria.
Non si trascuri che il risarcimento del danno, oltre che “conseguenziale” è
previsto, nell’ambito della processualmente qualificante giurisdizione di
legittimità, anche come “eventuale” con un attributo, cioè, che mentre è di
regola oggetto di ingiustificata pretermissione, riassume e sottopone alla
consapevolezza del giudice i travagli che le relative norme hanno inteso
risolvere e che, in dottrina, hanno persino indotto a configurare come
“speciale” la figura in discorso.
Si ricorderà che la stessa Corte costituzionale aveva avuto modo, nel
sottolineare l’urgenza di “prudenti” soluzioni normative, di ipotizzare “scelte
tra misure risarcitorie, indennitarie, reintegrative in forma specifica e
ripristinatorie” nonché la “delimitazione delle utilità economiche suscettibili
di ristoro patrimoniale nei confronti della pubblica amministrazione” (v.ord.8
maggio 1998, n, 165 e sent. 25 marzo 1980, n. 35) nella considerazione della
inesistenza della copertura di rilievo costituzionale della pretesa “regola
generale di integralità della riparazione ed equivalenza al danno cagionato” (Cort.
Cost. 2 novembre 1996, n. 369), con evidenti rilessi anche di natura
processuale.
E’ su queste premesse che, rimasta inattuata la articolata delega di cui
all’art. 20 co. 5, lett. h, della legge 15 marzo 1997, n. 59, il legislatore è,
infine, pervenuto a stabilire, con formula che privilegia le ritenute esigenze
di concentrazione dei giudizi, il criterio della conseguenzialità -
evidentemente inteso a confermare la priorità del processo impugnatorio e in
vista della prevalenza dell’interesse collettivo al pronto e risolutivo
sindacato dell’agire pubblico e in vista della convenienza, per la collettività,
dell’esercizio del sindacato stesso secondo criteri e modalità che, essendo
positivamente propri del giudizio di annullamento, da esso non consentono di
prescindere - ed il criterio della “eventualità “ del risarcimento del danno
arrecato all’interesse legittimo, criterio rafforzato dalla diversa prescrizione
in tema di giurisdizione esclusiva e che, perciò, non solo esclude automatismi
ma impone i predetti apprezzamenti specifici, possibili soltanto allorché sia in
causa, siccome suo oggetto principale e diretto, il provvedimento, con le sue
ragioni ed i suoi effetti.
E’ su queste premesse, perciò, che dev’essere apprezzato il vulnus che si
ritiene connesso alla c.d. pregiudiziale amministrativa che, in effetti, da un
lato corrisponde ad avvertite esigenze di controllo, convenientemente
sollecitate dalle azioni impugnatorie, della legittimità e della trasparenza
dell’azione autoritativa e, d’altra parte, consente il compiuto rilievo degli
interessi collettivi e generali coinvolti, rilievo certamente monco e
claudicante anche con riferimento alla giurisdizione esclusiva, pur sempre
relativa anche ad interessi legittimi e a diritti “degradati”, nell’ambito di un
processo di solo tipo risarcitorio, nel quale, per altro, gli interessi
economici coinvolti appaiono non più rilevanti degli interessi spesso anche di
libertà che si fanno valere, senza che la relativa decadenza sia motivo di
censura, nel processo di annullamento.
Lo stesso soggetto leso sembra avere convenienza, a fronte dei non gravissimi
disagi correlati alla previsione di decadenza, agevolmente superabili con il
doveroso uso della diligenza media e certamente più ridotti rispetto a quelli
che la legislazione consente o impone in altre anche se diverse materie, a
sperimentare preventivamente l’azione di annullamento, nella cui procedura e
nella cui finalità strumentale, gli è consentito rilevare vizi ed approfondirne
lo spessore con risultati ben utili ai fini dell’accertamento compiuto dell’an
e del quantum della richiesta riparazione.
Ragioni sostanziali, dunque, non meno che formali, sembrano assistere le
conclusioni già raggiunte dall’Adunanza plenaria;
- il secondo, alla c.d. presunzione di legittimità, che, mentre involge radicati
poteri della pubblica amministrazione e positivi caratteri dei suoi
provvedimenti, come la efficacia e la esecutorietà, emergenti da una
legislazione costante nel tempo, si tramuta da relativa in assoluta allorché,
nel termine di decadenza, - certamente eluso in ipotesi di vanificazione della
pregiudiziale - siasi omessa impugnazione ovvero finchè, in presenza di
discrezionale apprezzamento, non sia intervenuto annullamento d’ufficio (v. L.
11 febbraio 2005, n. 15 );
- il terzo, alla articolazione della tutela sopra ricordata che, in entrambi i
suoi casi, concerne la stessa illegittimità del provvedimento strumentalmente
invocata, “principaliter”, e ai fini del buon esito della domanda
impugnatoria e ai fini del buon esito della domanda risarcitoria con la
conseguenza che, costituisca il “danno ingiusto” fatto o, come sembra
preferibile, fattispecie, esso non può essere configurato a fronte di una
illegittimità del provvedimento che, per l’assolutezza della cennata
presunzione, è, de jure, irreclamabile;
- il quarto, alla incidenza della lamentata “decadenza” che attiene, a ben
vedere, all’azione impugnatoria invece che all’azione risarcitoria, impedita,
piuttosto che dalla decadenza, dalla non configurabilità, in presenza di un
provvedimento inoppugnabile così come in presenza di un provvedimento
inutilmente impugnato, di una sua condizione che la contraddizione
legittimità-illeceità rende essenziale, la formale inesistenza, cioè, della
ingiustizia del danno che è nucleo essenziale, anche se non sufficiente, della
illiceità;
- il quinto, alla concreta equivalenza del giudicato che, rilevando
immediatamente la inesistenza della appena ricordata condizione, dichiari la
improponibilità della domanda col giudicato che, pronunciandosi, come si
pretende, nel merito dichiari infondata – e questa volta con pronuncia
inequivocabilmente sottratta a verifica ex art. 362 cod.proc.civ. - la domanda
per difetto della denunziata illegittimità;
- il sesto, al reclamato potere regolatore della Corte di Cassazione ( Sez. un,
19 gennaio 2007, n. 1139; 4 gennaio 2007, n. 13 ) che, secondo il correlato
avvertimento della Corte Costituzionale (sent. 12 marzo 2007, n. 77) , “con la
sua pronuncia può soltanto, a norma dell’art. 111, comma ottavo, Cost.,
vincolare il Consiglio di Stato e la Corte di Conti a ritenersi legittimati a
decidere la controversia, ma certamente non può vincolarli sotto alcun profilo
quanto al contenuto (di merito o di rito) di tale decisione “. Ad analogo
principio, prosegue la Corte Costituzionale “si ispira l’art. 386 cod. proc.
civ. applicabile anche ai ricorsi proposti a norma dell’ art. 362, comma primo
cod. proc. civ., disponendo che “la decisione sulla giurisdizione è determinata
dall’oggetto della domanda e, quando prosegue il giudizio, non pregiudica le
questioni sulla pertinenza del diritto e sulla proponibilità della domanda”;
- il settimo, ma non ultimo, relativo alla correlata verifica degli eventuali
limiti dell’indirizzo della Corte di Cassazione secondo cui la inoppugnabilità
dell’atto amministrativo, siccome relativa agli interessi legittimi, non
impedirebbe in nessun caso al giudice ordinario di disapplicarlo (v. Cass. 9
maggio 2006, n. 10628 e Cass. 26 maggio 2006, n. 12646).
VIII - Quanto si è fin qui considerato consente di confermare l’attualità degli
indirizzi già assunti dall’Adunanza plenaria con riferimento alla questione da
decidere, in merito alla quale la giurisdizione amministrativa è affermata anche
dalle Sezioni unite (v., da ultimo, 2 luglio 2007, n. 14954).
Già con pronuncia 30 agosto 2005, n. 4 l’Adunanza plenaria ha posto il principio
secondo cui deve configurarsi la giurisdizione amministrativa in ordine a “liti
che abbiano ad oggetto diritti soggettivi quando la lesione di questi ultimi
tragga origine, sul piano eziologico, da fattori causali riconducibili
all’esplicazione del pubblico potere, pur se in un momento nel quale
quest’ultimo risulta ormai mutilato nella sua forma autoritativa per la
sopraggiunta inefficacia disposta dalla legge per la mancata conclusione del
procedimento” e ciò anche se il risarcimento è autonomamente richiesto, nei
limiti temporali della prescrizione quinquennale (v. Ad. pl. 9 febbraio 2006, n.
2), di seguito all’intervenuto annullamento del provvedimento degradatorio,
anche in via di autotutela.
Nello stesso senso si è poi pronunciata Ad. plen. 16 novembre 2005, n. 9, che,
anche richiamando analoghi orientamenti delle Sezioni Unite ( ord. 22 novembre
2004, n. 21944 e sent. 31 marzo 2005, n.6745), ha ritenuto compresa nella
giurisdizione amministrativa quelle “condotte che si connotano quale attuazione
di potestà amministrative manifestatesi attraverso provvedimenti autoritativi
che hanno spiegato, secundum legem, i loro effetti pur se successivamente
rimossi, in via retroattiva, da pronunce di annullamento”.
Più di recente Ad. plen. 30 luglio 2007, n. 9 che, in fattispecie per più versi
analoga, conclude che “nella materia dei procedimenti di esproprio sono devolute
alla giurisdizione amministrativa esclusiva le controversie nelle quali si
faccia questione - naturalmente anche ai fini complementari della tutela
risarcitoria - di attività di occupazione e trasformazione di un bene
conseguenti ad una dichiarazione di pubblica utilità e con essa congruenti,
anche se il procedimento all’interno del quale sono state espletate non sia
sfociato in un tempestivo atto traslativo ovvero sia caratterizzato dalla
presenza di atti poi dichiarati illegittimi”.
Infine Ad. plen. 30 luglio 2007, n. 10, ha statuito che pur nell’ambito della
giurisdizione generale di legittimità spetta al giudice amministrativo
conoscere, ai fini risarcitori, dei danni conseguiti ad un provvedimento
amministrativo annullato per intervenuta scadenza del suo termine di efficacia
(nella specie: requisizione) anche se i danni stessi si sono verificati dopo la
stessa scadenza.
Ne deriva, conclusivamente, che la domanda per cui è causa è stata correttamente
compresa, dal giudice di primo grado, nella giurisdizione del giudice
amministrativo in quanto intesa a rimediare, insieme in via impugnatoria e
risarcitoria, ad una lesione che risulta conseguente ad una serie procedimentale
certamente svolta, dalla Provincia di Modena, nella sua veste di Autorità
nell’esercizio, sia pure illegittimo, del potere ad essa spettante.
Assumono particolare rilievo, ai fini della riconducibilità della lesione
all’esercizio del potere pubblico, i provvedimenti di variazione e di
integrazione della pianificazione urbanistica, i reiterati provvedimenti di
dichiarazione di pubblica utilità, i conseguenziali provvedimenti di occupazione
e di determinazione e deposito delle indennità nonché lo stesso provvedimento di
trasferimento della proprietà che, benché adottato dopo la scadenza del termine
fissato dalla dichiarazione di pubblica utilità e perciò illegittimo e perciò
annullato, da una parte non inficia la dispiegata efficacia degli atti posti in
essere precedentemente – atti giunti a configurare la irreversibile destinazione
del bene all’uso pubblico - e, d’altra parte, non vulnera la ritenuta
riconducibilità procedimentale dell’attività amministrativa all’esercizio di un
pubblico potere autoritativo.
IX - Si deve, infine, sottolineare – e la circostanza sembra avere chiari
riflessi nella intera materia delle espropriazioni per pubblica utilità - che, è
intanto entrato in vigore, con decorrenza 30 giugno 2003, il T.U. approvato con
D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, (v. in merito all’art. 57, Ad. plen. 29 aprile
2005, n. 2 e Sez.un. 30 maggio 2005, n. 11336 e 2 luglio 2007, n. 14954) che,
nel suo art. 43 detta una innovativa disciplina in tema di fattispecie già
inquadrate negli schemi, contrastati anche dalla Corte di Strasburgo, della c.d.
accessione invertita, derivi essa da occupazione acquisitiva o usurpativa.
In presenza di utilizzazione di un bene immobile per scopi di interesse pubblico
- prescrive la norma - che sia modificato “in assenza del valido ed efficace
provvedimento di esproprio o dichiarativo di pubblica utilità “ l’autorità cui
risale l’utilizzazione “anche quando sia stato annullato l’atto da cui sia sorto
il vincolo preordinato all’esproprio, l’atto che abbia dichiarato la pubblica
utilità di un’opera o il decreto di esproprio” può disporre che l’immobile
stesso “vada acquisito al suo patrimonio indisponibile” con provvedimento
discrezionale che, verso determinazione e preventivo pagamento della misura del
risarcimento del danno, comporta il trasferimento del diritto di proprietà.
La norma, che rimette alla valutazione discrezionale dell’amministrazione di
negare la restituzione del bene e che attribuisce al giudice amministrativo di
sindacare, nell’ambito della giurisdizione attribuitagli ai sensi del successivo
art.53, le ragioni del diniego - secondo alcuni con competenza non solo
esclusiva ma estesa al merito - sembra rilevare, per quanto qui interessa, sotto
due aspetti.
Da una parte ed in generale essa conferma, infatti, quanto si è venuto esponendo
in tema di positiva priorità del criterio di discriminazione fondato sulla
“riconducibilità” dell’esercizio del potere all’autorità per altro estendendo la
possibilità di accertarlo anche per via del solo accertamento della qualifica di
“autorità” del soggetto agente e delle strumentalità del suo agire ai fini della
realizzazione degli “scopi di interesse pubblico” la cui cura è ad essa
commessa.
D’altra e più specifica parte la norma importa, ed i suoi compiuti effetti
debbono essere ovviamente verificati nel nuovo quadro definito dall’intero
decreto, una profonda revisione degli istituti dell’accessione invertita così
come introdotti e sviluppati dalla giurisprudenza.
La fattispecie regolata resta per più di un verso analoga nei suoi tratti
generali posto:
- che non è sufficiente il mero impossessamento del bene immobile altrui ma è
necessario che lo stesso immobile sia anche “modificato” ed “utilizzato per
scopi di interesse pubblico”, che, cioè, si sia in presenza e di un’attività
materiale e di una sua obiettiva strumentalità;
- che permane l’esigenza della qualificazione del soggetto pubblico agente, che,
dovendo configurarsi come “autorità” deve agire, alla stregua di una
interpretazione costituzionalmente orientata, nel riconoscibile esercizio dei
suoi poteri autoritativi.
L’istituto è per altro innovato sia, come già rilevato, quanto ai modi di
emersione di questo esercizio rispetto ai quali appare fortemente recessiva la
rilevanza dei momenti procedurali della dichiarazione di pubblica utilità e del
decreto di espropriazione e sintomatica, perciò,la sola astratta previsione del
potere; sia quanto all’estensione dell’ambito della discrezionalità
amministrativa; sia quanto al meccanismo del trasferimento della proprietà del
bene immobile, del quale l’autorità può rifiutare la restituzione nel solo
ambito delle cennate garanzie giuridiche ed economiche, la cui esigenza è stata
specialmente sottolineata dalla Corte di Strasburgo; sia con riferimento alla
tutela giudiziaria, interamente attribuita, ora, con la sola eccezione delle
“vie di fatto” materiali, al giudice amministrativo, ben al di là, perciò, dei
limiti precedentemente affermati.
Si realizza per tale maniera, nella materia delle espropriazioni (eccezion fatta
per le questioni indennitarie) quella estesa concentrazione della giurisdizione
che è tra gli obiettivi prioritari della recente legislazione e che, coerente
con la acquisita pienezza dei poteri del giudice amministrativo, consente
ponderate riflessioni anche nelle altre materie che tuttora esprimono elementi
di incertezza sul tema per più versi centrale degli esposti criteri di
discriminazione.
X - Ne deriva che, ritenuta e dichiarata la giurisdizione del giudice
amministrativo, l’appello deve essere respinto con assorbimento del ricorso
incidentale.
Le spese del grado di giudizio, tenuto conto della complessità delle questioni
esaminate e del relativo esito, possono compensarsi.
Deve ordinarsi la rimessione degli atti di causa al Tribunale regionale
amministrativo per la Lombardia, sezione di Brescia, per la definizione del
giudizio
P. Q. M.
L’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, ritenuta e dichiarata la
giurisdizione del giudice amministrativo, respinge l’appello con assorbimento
del ricorso incidentale.
Compensa le spese del giudizio di appello.
Ordina la rimessione della causa al Tribunale regionale amministrativo per la
Lombardia , sezione di Brescia, per la definizione del giudizio.
Così deciso in Roma dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, riunito in
Adunanza plenaria nella camera di consiglio del giorno 15 ottobre 2007 con
l’intervento dei signori Magistrati:
Mario Egidio Schinaia - Presidente del Consiglio di Stato
Paolo Salvatore - Presidente di Sezione
Giovanni Ruoppolo - Presidente di Sezione Est.
Raffaele Carboni - Consigliere
Costantino Salvatore - Consigliere
Luigi Maruotti - Consigliere
Carmine Volpe - Consigliere
Chiarenza Millemaggi Cogliani - Consigliere
Pier Luigi Lodi - Consigliere
Giuseppe Romeo - Consigliere
Luciano Barra Caracciolo - Consigliere
Cesare Lamberti - Consigliere
Aldo Fera - Consigliere
Presidente
Estensore Segretario
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
il 22/10/2007 .
(Art. 55, L.27/4/1982, n.186)
Il Dirigente
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