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registrata presso il Tribunale di Patti Reg. n. 197 del 19/07/2006
RIFIUTI - Materiali provenienti da attività di demolizione e costruzioni edili -
Perdita della qualità di "rifiuto"- Condizioni - Fattispecie. I materiali provenienti da
attività di demolizione e costruzioni edili (nella fattispecie si tratta di
residui del lavaggio delle betoniere, di residui di calcestruzzo indurito, di
frammenti di materiali edili quali: mattoni rotti, pezzi di pietra e residui
rotti del magazzino di laterizi) non vengono qualificati più "rifiuti" a fronte
di una generica volontà di destinarli al riutilizzo, di una effettiva ed
oggettiva riutilizzazione degli stessi nel medesimo o in analogo o diverso ciclo
produttivo o di consumo, semprechè i suddetti materiali non abbiano subito alcun
intervento preventivo di trattamento e vengano utilizzati senza recare
pregiudizio all'ambiente. Pres. Onorato, Est. Franco, Ric. D. U. CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. III,
4 maggio 2007 (Ud. 14/03/2007), Sentenza n. 16953
Udienza camerale del 14 marzo del 2007
SENTENZA N. 169553
REG. GENERALE n
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ONORATO Pierluigi - Presidente -
Dott. TERESI Alfredo - Consigliere -
Dott. FRANCO Amedeo - est. Consigliere -
Dott. IANNIELLO Antonio - Consigliere -
Dott. GAZZARA Santi - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso erroneamente qualificato come appello
proposto da:
D.U., nato a (OMISSIS), e da F.R., nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza emessa il 26 maggio 2005 dal giudice deltribunale di Padova;
udita nella Pubblica udienza del 14 marzo 2007 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. Amedeo Franco;
udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.
SALZANO Francesco, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udito il difensore avv. CAPUZZO Franco.
FATTO
Con la sentenza in epigrafe il giudice del tribunale di Padova dichiarò D.U. e
F.R. colpevoli del reato di cui all'art. 51, comma 1, in relazione al D.Lgs. 5
febbraio 1997, n. 22, art. 28, comma 5, e art. 6 comma 1, lett. m), per avere,
quali legali rappresentanti della "F.lli Donà s.r.l.", effettuato un deposito di
rifiuti non pericolosi, e precisamente per avere stoccato un quantitativo di
circa 200 mq. di rifiuti provenienti dalla attività di demolizioni e costruzioni
edili, che per quantità non poteva essere considerato un deposito temporaneo, in
assenza della prescritta autorizzazione, e li condannò alla pena dell'ammenda.
Gli imputati propongono ricorso per Cassazione - erroneamente qualificato come
appello - deducendo:
1) carenza di motivazione ed erronea interpretazione ed applicazione del D.Lgs.
5 febbraio 1997, n. 22, artt. 6, 28 e 51, perchè non risulta in atti che essi
avessero svolto alcuna attività tra quelle indicata nell'art. 51 cit. nè che il
materiale rinvenuto fosse classificabile come rifiuto, trattandosi di materiale
destinato, per la sua composizione e natura, al riutilizzo. Il giudice non ha
operato alcuna valutazione in ordine alla attività svolta dagli imputati ed alla
classificazione del materiale.
2) carenza ed illogicità della motivazione in ordine alla qualificazione del
materiale in questione come rifiuto, trattandosi invece di materia prima
secondaria presente in azienda.
DIRITTO
Il ricorso è infondato, avendo il giudice del merito dato adeguata motivazione,
priva di vizi logici, sia sulla natura dei materiali in questione, sia sulla
loro effettiva destinazione, sia sulla attività compiuta dagli imputati.
Quanto alla natura ed alla destinazione dei materiali, infatti, è pacifico che
si trattava di residui del lavaggio delle betoniere e di residui di calcestruzzo
indurito nonchè da frammenti di materiali edili (mattoni rotti e pezzi di
pietra, residui rotti del magazzino di laterizi) e quindi certamente di rifiuti. Invero, per poter perdere tale qualità - contrariamente a quanto sostengono i
ricorrenti e conformemente invece alle disposizioni in materia costantemente
interpretate dalla giurisprudenza di questa Corte in conformità con i principi
della normativa e della giurisprudenza europea - vi era bisogno non solo di una
generica, ed indimostrata, volontà di destinarli al riutilizzo, ma, tra l'altro,
di una effettiva ed oggettiva riutilizzazione nel medesimo o in analogo o
diverso ciclo produttivo o di consumo, senza subire alcun intervento preventivo
di trattamento e senza recare pregiudizio all'ambiente.
Nel caso di specie, invece, è mancata completamente la prova di una effettiva ed
oggettiva riutilizzazione ed anzi, vi è la prova contraria che, almeno per una
parte, i rifiuti in questione erano certamente destinati allo smaltimento e non
ad essere riutilizzati.
Gli stessi ricorrenti, infatti, ammettono pacificamente che all'eventuale
riciclo erano destinati soltanto i pezzi più piccoli, mentre i pezzi più grossi
non potevano comunque essere riadoperati e venivano quindi smaltiti.
E' dunque pacifico che, quanto meno per una parte dei materiali in questione, si
trattava di rifiuti stoccati in attesa del futuro smaltimento.
Correttamente poi è stato ritenuto che non ricorressero le condizioni previste
dal D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, art. 6, lett. m) (ora, dal D.Lgs. 3 aprile
2006, n. 152, art. 183, lett. m)) per aversi un deposito temporaneo, avendo il
giudice del merito accertato in fatto che il deposito superava i 20 metri cubi e
che comunque i rifiuti non erano avviati alle operazioni di recupero o di
smaltimento con cadenza almeno trimestrale. Ne consegue che altrettanto
correttamente il giudice ha ravvisato nella condotta degli imputati una attività
non autorizzata di deposito non controllato e non temporaneo ossia di deposito
preliminare di rifiuti destinati allo smaltimento.
Il ricorso deve pertanto essere rigettato con conseguente condanna dei
ricorrenti in solido al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte Suprema di Cassazione, il 14 marzo
2007.
Depositato in Cancelleria il 4 maggio 2007
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