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LAVORO - Sicurezza - Violazione dell’obbligo di sicurezza - Lesioni -
Ripartizione dell'onere probatorio - Art. 2087 cod. civ. - Concorso di colpa del
lavoratore - Presupposti. La responsabilità del datore di lavoro per
violazione dell’obbligo di sicurezza sancito dall'art. 2087 cod. civ. non ha
natura oggettiva e, pertanto l’onere della prova del nesso causale tra danno e
inadempimento resta a carico del lavoratore, mentre il datore di lavoro può
liberarsi solo dimostrando la non imputabilità dell’evento. Quanto al tipo di
colpa del lavoratore, rilevante per escludere o ridurre la colpa del datore di
lavoro, la Corte conferma, inoltre, la propria giurisprudenza (da ultimo, Cass.
n. 5493 del 2006) secondo cui si ha concorso di colpa del lavoratore quando lo
stesso abbia concorso a cagionare l’evento con comportamenti negligenti o
imprudenti, ulteriori rispetto a quelli appartenenti al rischio professionale,
le cui conseguenze pregiudizievoli le norme sulla prevenzione infortuni
intendono prevenire, con precetti rivolti al datore di lavoro e la cui
osservanza è ad esso rimessa. Pres. S. Senese, Rel. A. De Matteis. CORTE DI
CASSAZIONE CIVILE Sez. Lavoro, 10 gennaio 2007 (c.c. 26/09/2006), Sentenza n.
238
LAVORO - Risarcimento danni - Responsabilità contrattuale ex art. 2087 cod.
civ. - Risarcibilità del danno morale - Compatibilità - Posizione del datore di
lavoro - Prova liberatoria - Art. 1218 c.c.. In tema di risarcibilità del
danno non patrimoniale, che in presenza di una fattispecie contrattuale, quale
il contratto di lavoro, che obblighi uno dei contraenti (il datore di lavoro) a
prestare una particolare protezione rivolta ad assicurare l'integrità fisica e
psichica dell'altro, ai sensi dell'art. 2087 cod. civ., non può sussistere
alcuna incompatibilità tra responsabilità contrattuale e risarcimento del danno
morale, atteso che la fattispecie astratta di reato è configurabile anche nei
casi in cui la colpa sia addebitata al datore di lavoro per non aver fornito la
prova liberatoria richiesta dall'art. 1218 cod. civ.. Pres. S. Senese, Rel. A.
De Matteis. CORTE DI CASSAZIONE CIVILE Sez. Lavoro, 10 gennaio 2007 (c.c.
26/09/2006), Sentenza n. 238
LAVORO - Sicurezza sul lavoro - Misure adottate - Datore di lavoro - Onere
della prova - Acquisizione prove dal processo penale - Artt. 1218, 1176 e 2087.
In materia di misure di sicurezza sul lavoro, tocca al datore di lavoro di
provare, ai sensi degli artt. 1218, 1176 e 2087, la propria mancanza di colpa
(ex plurimis Cass. 3162/02, Cass. 23 luglio 2004 n. 13887, Cass. 12 luglio 2004
n. 12863). Inoltre, può essere legittimamente acquisto nel processo civile ciò
che è risultato accertato attraverso la ctu svolta nel processo penale (ex
plurimis Cass. 6 aprile 2006 n. 8096). Pres. S. Senese, Rel. A. De Matteis.
CORTE DI CASSAZIONE CIVILE Sez. Lavoro, 10 gennaio 2007 (c.c. 26/09/2006),
Sentenza n. 238
LAVORO - Sicurezza sul lavoro - Infortuni sul lavoro e malattie professionali
- Concorso di colpa del lavoratore - Presupposti - Rischio professionale. In
materia di infortuni sul lavoro e malattie professionali si ha concorso di colpa
del lavoratore quando lo stesso abbia concorso a cagionare l'evento con
comportamenti negligenti o imprudenti ulteriori rispetto a quelli, appartenenti
al rischio professionale, le cui conseguenze pregiudizievoli le norme sulla
prevenzione infortuni intendono prevenire, con precetti rivolti al datore di
lavoro e la cui osservanza è ad esso rimessa. (vedi, da ultimo, Cass. 14 marzo
2006 n. 5493). Pres. S. Senese, Rel. A. De Matteis. CORTE DI CASSAZIONE
CIVILE Sez. Lavoro, 10 gennaio 2007 (c.c. 26/09/2006), Sentenza n. 238
LAVORO - SALUTE - Risarcimento danni non patrimoniali - Art. 185 cod. pen. -
Giurisprudenza costituzionale - Danno biologico per inabilità temporanea, danno
biologico per inabilità permanente, danno morale, danno psichico, danno alla
capacità lavorativa specifica e perdita di chances, rimborso spese mediche.
Il danno non patrimoniale conseguente alla ingiusta lesione di un interesse
inerente alla persona, costituzionalmente garantito, non e soggetto, ai fini
della risarcibilità, al limite derivante dalla riserva di legge correlata
all'art. 185 cod. pen., e non presuppose, pertanto, la qualificabilità del fatto
illecito come reato, giacché il rinvio ai casi in cui la legge consente la
riparazione del danno non patrimoniale ben può essere riferito, dopo l'entrata
in vigore della Costituzione, anche alle previsioni della Legge fondamentale,
ove si consideri che il riconoscimento, nella Costituzione, dei diritti
inviolabili inerenti alla persona non aventi natura economica implicitamente, ma
necessariamente, ne esige la tutela, ed in tal modo configura un caso
determinato dalla legge, al massimo livello, di riparazione del danno non
patrimoniale (Cass. 31 maggio 2003 n. 8827 e 8828). Evoluzione del pensiero
giuridico prontamente recepita dalla giurisprudenza costituzionale (sent. 11
luglio 2003 n. 233). Pres. S. Senese, Rel. A. De Matteis. CORTE DI CASSAZIONE
CIVILE Sez. Lavoro, 10 gennaio 2007 (c.c. 26/09/2006), Sentenza n. 238
LAVORO - Risarcimento danni non patrimoniali - Responsabilità presuntiva ex
art. 2087 cod. civ. - Estensione consequenziale - Giurisprudenza. Alla
risarcibilità del danno non patrimoniale ex artt. 2059 cod. civ. e 185 cod. pen.
non osta il mancato positivo accertamento della colpa dell'autore del danno se
essa, come nel caso di cui all'art. 2054 cod. civ., debba ritenersi sussistente
in base ad una presunzione di legge e se, ricorrendo la colpa, il fatto sarebbe
qualificabile come reato (Cass. 12 maggio 2003 n. 7282, conf. Cass. 15 luglio
2005 n. 15044). L'estensione consequenziale di tali principi alla responsabilità
presuntiva ex art. 2087 cod. civ., è stata operata da Cass. 24 febbraio 2006 n.
4184. Pres. S. Senese, Rel. A. De Matteis. CORTE DI CASSAZIONE CIVILE Sez.
Lavoro, 10 gennaio 2007 (c.c. 26/09/2006), Sentenza n. 238
LAVORO - Risarcimento danni non patrimoniali - Perdita di chance - Autonoma
valutazione - Onere della prova - Danno risarcibile - Conseguenza immediata e
diretta. Il danno derivante dalla perdita di chance non è una mera
aspettativa di fatto, ma un’entità patrimoniale a sé stante, economicamente e
giuridicamente suscettibile di autonoma valutazione, di cui l'interessato ha
l'onere di provare, sia pure in modo presuntivo o secondo un calcolo di
probabilità, i presupposti per il raggiungimento del risultato sperato ed
impedito dalla condotta illecita, della quale il danno risarcibile deve essere
conseguenza immediata e diretta (Cass. 18 marzo 2003 n. 3999, Cass. 11340 del
1998, 10748 del 1996). Pres. S. Senese, Rel. A. De Matteis. CORTE DI
CASSAZIONE CIVILE Sez. Lavoro, 10 gennaio 2007 (c.c. 26/09/2006), Sentenza n.
238
LAVORO - Risarcimento - Danno biologico e danno patrimoniale - Integrità
psicofisica - Verifica del giudice - Capacità lavorativa e capacità di reddito.
L'illecito lesivo dell'integrità psicofisica della persona può dar luogo a
due distinte voci di risarcimento, rispettivamente a titolo di danno biologico e
di danno patrimoniale per la riduzione della capacità lavorativa specifica.
Pertanto, il giudice è tenuto a verificare se le lesioni accertate, oltre ad
incidere sulla salute del soggetto, abbiano anche ridotto la sua capacità
lavorativa specifica, con riduzione, per il futuro, della sua capacità di
reddito (Cass. 23 febbraio 2006 n. 4020). Pres. S. Senese, Rel. A. De Matteis.
CORTE DI CASSAZIONE CIVILE Sez. Lavoro, 10 gennaio 2007 (c.c. 26/09/2006),
Sentenza n. 238
PROCEDURE E VARIE - Liquidazione delle spese processuali - Onorari di
avvocato - Tariffe - Nota specifica prodotta - Inderogabilità dei relativi
minimi. In tema di liquidazione delle spese processuali, il giudice, in
presenza di una nota specifica prodotta dalla parte vittoriosa, non può
limitarsi ad una globale determinazione, in misure inferiori a quelle esposte,
dei diritti di procuratore e degli onorari di avvocato, ma ha l'onere di dare
adeguata motivazione della eliminazione o della riduzione di voci da lui
operata, allo scopo di consentire, l'accertamento della conformità della
liquidazione a quanto risulta dagli atti ed alle tariffe, in relazione alla
inderogabilità dei relativi minimi, a norma dell'art. 24 della legge n. 794 del
1942 (Cass. 1 agosto 2002 n. 11483, Cass. 3 ottobre 1998 n. 10864). Pres. S.
Senese, Rel. A. De Matteis. CORTE DI CASSAZIONE CIVILE Sez. Lavoro, 10
gennaio 2007 (c.c. 26/09/2006), Sentenza n. 238
Camera di consiglio del 26/09/2006
SENTENZA N
REG. GENERALE n.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli III. mi Signori
Omissis
Svolgimento del processo
Il sig. Gilberti Massimiliano,
assunto con contratto di formazione e lavoro dalla s.n.c. Scatolificio Artigiano
di Pea Carlo e Saiani Attilia, ha subito il 19 aprile 1989 infortunio sul lavoro
(mentre provvedeva alla pulizia della macchina di stampa con i rulli in
movimento, rimaneva imprigionato con l'avambraccio sinistro nella macchina, da
cui derivava schiacciamento della mano e dell'avambraccio medesimo, con gravi
postumi permanenti).
Con ricorso del 27 febbraio 1998 egli ha proposto nei confronti dei sigg. Carlo
Pea e Saiani Attilia, in qualità di ex soci ed ex amministratori della società,
domanda di danno differenziale, rispetto a quello indennizzato dall'Inail,
chiedendo le seguenti voci di danno: danno biologico per inabilità temporanea,
danno biologico per inabilità permanente, danno morale, danno psichico, danno
alla capacità lavorativa specifica e perdita di chances, rimborso spese mediche.
Il primo giudice ha accolto parzialmente la domanda, escludendo il danno morale,
avendo ritenuto la relativa azione prescritta nel termine quinquennale; il danno
psichico; quello alla capacità lavorativa specifica ed il rimborso spese
mediche, ritenuti non provati.
La Corte d' Appello di Brescia, con sentenza 2 ottobre/13 novembre 2003 n. 283,
ha emesso le seguenti statuizioni:
1. ha dichiarato la competenza funzionale del giudice del lavoro a conoscere
della domanda di danno differenziale;
2. ha dichiarato la legittimazione
passiva degli ex soci convenuti;
3. ha dichiarato la colpa esclusiva del datore di lavoro nella causazione dell'
infortuno, perché i microinterruttori che avrebbero dovuto impedire movimento
dei rulli della macchina tipografica che il lavoratore stava pulendo erano stati
disattivati;
4. ha ritenuto il danno morale, richiesto per colpa contrattuale ex art. 2087
cod. civ., soggetto alla prescrizione decennale e pertanto nella fattispecie non
prescritto,
5. ha negato il danno per perdita di chance,
6. nonché quello per la perdita di capacità lavorativa specifica,
7. e per il danno biologico di natura psichica;
8. ha quantificato il danno in Euro 91.314,55, di cui 11.134,61 per danno
biologico relativo alla invalidità temporanea; 53.453,29 per danno biologico
relativo alla invalidità permanente; 26.726,65 per danno morale;
9. ha dichiarato la legittimazione passiva degli ex soci ad agire contro la
compagnia assicuratrice della società in nome collettivo, ora in liquidazione,
ed ha condannato la Winterthur assicurazioni, chiamata in causa su richiesta del
Pea e della Saiani, a tenerli indenni dalle conseguenze pecuniarie dell'
infortunio, nei limiti del massimale di polizza.
Avverso tale sentenza hanno proposto ricorso per Cassazione il Pea e la Saiani,
con undici motivi.
Si sono costituiti con controricorso il Gilberti e la Wintertur; entrambi hanno
proposto ricorso incidentale, il primo con sette motivi, la seconda con unico
motivo, e con ricorso incidentale condizionato.
Il Pea e la Saiani hanno depositato controricorso avverso il ricorso
incidentale.
Gli stessi e la Winterthur hanno depositato memoria ai sensi dell'art. 378
c.p.c.
Motivi della decisione
1. Sul ricorso principale Pea e Saiani.
I primi sei motivi riguardano la posizione Gilberti, gli altri quattro il
rapporto con la Winterthur, l'undicesimo non è pertinente.
Con il primo motivo i ricorrenti, deducendo violazione e falsa applicazione
degli artt. 1176 e 1218 cod. civ. (art. 360, n. 3 c.p.c.), censurano la sentenza
impugnata per avere affermato il principio che il datore di lavoro, debitore
dell'obbligo di sicurezza, avesse l'onere, ex art. 1218 cod. civ., di provare la
non imputabilità dell'adempimento. Contestano al giudice d'appello di avere
omesso di considerare che l'art. 1176 cod. civ. limita la responsabilità del
debitore alla ordinaria diligenza e cioè, per le obbligazioni di mezzi e non di
risultato come quella dell'art. 2087 cod. civ., solo al necessario, e non anche
al possibile.
Il motivo è infondato.
L'art. 1176 cod. civ., con l'imporre al debitore la diligenza del buon padre di
famiglia, fotografa in maniera icastica qual è la diligenza che avrebbe dovuto
avere il datore di lavoro, nel caso di specie, nei confronti di un giovane
assunto con contratto di formazione e lavoro, controllando che i congegni di
sicurezza non fossero manomessi.
La sentenza impugnata ha fatto corretta applicazione del principio di diritto
ripetutamente affermato in subiecta materia da questa Corte, secondo cui la
responsabilità del datore di lavoro per violazione dell'obbligo di sicurezza
sancito dall'art. 2087 c.c. non ha natura oggettiva e pertanto l'onere della
prova del nesso causale tra danno ed inadempimento (nel caso di specie, mancanza
delle misure di sicurezza) resta a carico del lavoratore, mentre il datore di
lavoro può liberarsi solo dimostrando la non imputabilità dell'evento.
Pertanto, poiché risulta accertato, attraverso la ctu svolta nel processo penale
e legittimamente acquista al presente processo civile (ex plurimis Cass.
6 aprile 2006 n. 8096), la mancanza delle misure di sicurezza, tocca al datore
di lavoro di provare, ai sensi degli artt. 1218, 1176 e 2087, la propria
mancanza di colpa (ex plurimis Cass. 3162/02 cit. nella sentenza
impugnata, Cass. 23 luglio 2004 n. 13887, Cass. 12 luglio 2004 n. 12863).
Avendo la sentenza impugnata accertato in positivo la colpa del datore di
lavoro, consistente nella negligenza per avere tollerato che i microinterruttori
fossero disattivati, con il secondo motivo i ricorrenti, deducendo violazione e
falsa applicazione degli artt. 1176, 1218, 2087, 2697, 2727, 2728 e 2729 cod.
civ.; insufficiente e contraddittoria motivazione su punto decisivo della
controversia (art. 360, nn. 3 e 5 c.p.c.), censurano la sentenza impugnata nella
parte in cui ha ritenuto provata la colpa del datore di lavoro.
Ma trattasi di accertamento di fatto che risulta congruamente motivato.
Con il terzo motivo i ricorrenti, deducendo violazione e falsa applicazione
degli artt. 1176, 1218, 2056, 2059, 2087, 2104, cod. civ.; 6 e 392 d.p.r. 27
aprile 1955 n. 547; omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su punto
decisivo della controversia (art. 360, nn. 3 e 5 c.p.c.), censurano la sentenza
impugnata nella parte in cui ha escluso il concorso di colpa del lavoratore.
Anche qui trattasi di un accertamento di fatto, che però involge una questione
di diritto, relativa alla identificazione del tipo di colpa del lavoratore
rilevante per escludere o ridurre la colpa del datore di lavoro.
Dalla giurisprudenza di questa Corte (vedi, da ultimo, Cass. 14 marzo 2006 n.
5493) è desumibile il principio di diritto secondo cui in materia di infortuni
sul lavoro e malattie professionali si ha concorso di colpa del lavoratore
quando lo stesso abbia concorso a cagionare l'evento con comportamenti
negligenti o imprudenti ulteriori rispetto a quelli, appartenenti al rischio
professionale, le cui conseguenze pregiudizievoli le norme sulla prevenzione
infortuni intendono prevenire, con precetti rivolti al datore di lavoro e la cui
osservanza è ad esso rimessa. Anche tale motivo deve essere pertanto rigettato.
Con il quarto motivo i ricorrenti, deducendo violazione e falsa applicazione
degli artt. 2059, 2087, 2946 e 2947 cod. civ.; 185 c.p. (art. 360, n. 3 c.p.c.),
censurano la sentenza impugnata per avere riconosciuto il danno morale
soggettivo, mentre il danno non patrimoniale è risarcibile solo nei casi di
responsabilità extracontrattuale da fatti illeciti costituenti reato. Al
riguardo è sufficiente notare che il danno differenziale presuppone il fatto
reato del datore di lavoro, accertato anche in sede civile. Nel caso di specie
il procedimento penale si è concluso con sentenza dibattimentale 2 ottobre
1995/8 marzo 1996 di non doversi procedere per estinzione del reato.
Peraltro la prospettazione dei ricorrenti, e la giurisprudenza citata a
supporto, risulta datata, ed in contrasto con l'innovativo orientamento della
giurisprudenza di legittimità, la quale ha rilevato, a partire dal 2003, che il
danno non patrimoniale conseguente alla ingiusta lesione di un interesse
inerente alla persona, costituzionalmente garantito, non e soggetto, ai fini
della risarcibilità, al limite derivante dalla riserva di legge correlata
all'art. 185 cod. pen., e non presuppose, pertanto, la qualificabilità del fatto
illecito come reato, giacché il rinvio ai casi in cui la legge consente la
riparazione del danno non patrimoniale ben può essere riferito, dopo l'entrata
in vigore della Costituzione, anche alle previsioni della Legge fondamentale,
ove si consideri che il riconoscimento, nella Costituzione, dei diritti
inviolabili inerenti alla persona non aventi natura economica implicitamente, ma
necessariamente, ne esige la tutela, ed in tal modo configura un caso
determinato dalla legge, al massimo livello, di riparazione del danno non
patrimoniale (Cass. 31 maggio 2003 n. 8827 e 8828).
Evoluzione del pensiero giuridico prontamente recepita dalla giurisprudenza
costituzionale (sent. 11 luglio 2003 n. 233).
Un altro recente arresto fondamentale è che alla risarcibilità del danno non
patrimoniale ex artt. 2059 cod. civ. e 185 cod. pen. non osta il mancato
positivo accertamento della colpa dell'autore del danno se essa, come nel caso
di cui all'art. 2054 cod. civ., debba ritenersi sussistente in base ad una
presunzione di legge e se, ricorrendo la colpa, il fatto sarebbe qualificabile
come reato (anche questo orientamento, inaugurato da Cass. 12 maggio 2003 n.
7282, risulta confermato in seguito; da ultimo Cass. 15 luglio 2005 n. 15044).
L'estensione consequenziale di tali principi alla responsabilità presuntiva ex
art. 2087 cod. civ., raccomandata dalla dottrina, è stata operata da Cass. 24
febbraio 2006 n. 4184, la quale ha tratto la conseguenza che in presenza di una
fattispecie contrattuale che, come nell'ipotesi del contratto di lavoro,
obblighi uno dei contraenti (il datore di lavoro) a prestare una particolare
protezione rivolta ad assicurare l'integrità fisica e psichica dell'altro (ai
sensi dell'art. 2087 cod. civ.), non può sussistere alcuna incompatibilità tra
responsabilità contrattuale e risarcimento del danno morale, siccome la
fattispecie astratta di reato configurabile anche nei casi in cui la colpa sia
addebitata al datore di lavoro per non aver fornito la prova liberatoria
richiesta dall'art. 1218 cod. civ.
Con il quinto motivo i ricorrenti, deducendo violazione e falsa applicazione
degli artt. 1176, 1218, 2059, 2087, 2697 cod. civ.; art. 185 c.p.; 115 e 116
c.p.c. (art. 360, n. 3 c.p.c.), censurano la sentenza impugnata per avere
sottoposto il danno morale allo stesso regime di prova del danno biologico.
Anche questo motivo, che appare derivare dalla tesi della riconducibilità del
danno morale solo al reato e quindi la non applicabilità del criterio di
ripartizione valido per la responsabilità contrattuale, è doppiamente infondato:
perché basato su giurisprudenza (Cass. 26 ottobre 2002 n. 15133) che si deve
ritenere superata dall'evoluzione sopra cennata, e perchè la sentenza impugnata
è basata sull'accertamento positivo della colpa del datore di lavoro.
Con il sesto motivo i ricorrenti, deducendo violazione e falsa applicazione
degli artt. 2043, 2087, 2059, 2697 cod. civ.; 414, n. 5 e 416 c.p.c. (art. 360,
n. 3 c.p.c.), censurano la sentenza impugnata nella parte in cui ha liquidato il
danno biologico per invalidità temporanea in Euro 11.134, sul presupposto,
erroneo, che i controricorrenti non avessero impugnato la valutazione del primo
giudice. Riportano il passo del ricorso in appello, pag. 21, par. 22, nel quale
essi deducono: "quanto al danno biologico da inabilità temporanea, lo stesso, in
caso di sussistenza anche di inabilità permanente, rientra nella prima. In ogni
caso, lo stesso non è stato quantificato dalla ctu".
Affermano inoltre che la prima sentenza aveva quantificato il danno in misura
inferiore.
Anche questo ultimo motivo (per la posizione Gilberti) non è fondato. Esso e in
conferente, oltre che erroneo, nella parte in cui pretende l'assorbimento del
danno biologico da temporanea in quello da permanente, mentre per quanto
riguarda la determinazione operata dal giudice d'appello, questa riferisce la
affermazione della mancata contestazione, che il motivo pretende contraria al
vero, al danno da "invalidità temporanea" e non già al danno biologico (vedi
sentenza pagg. 24 e 25).
Con il settimo motivo i ricorrenti, deducendo violazione e falsa applicazione
degli artt. 1176, 1218, 1223, 1224, 1225, 1227, 1882, 1905, 1917, 2043, 2056,
2059, 2087, cod. civ.; 112 c.p.c. (art. 360, n. 3 c.p.c.), censurano la sentenza
impugnata nella parte in cui ha limitato la condanna della Winterthur al
massimale di polizza, ritenendo il difetto di mala gestio, perchè, fino
alla decisione del giudizio, era controversa la prescrizione dell'azione.
Il motivo e inammissibile, perchè la valutazione del giudice del merito circa la
insussistenza della mala gestio costituisce una valutazione di fatto,
nella specie correttamente motivata con la controversia circa la prescrizione
dell'azione. Peraltro si deve aggiungere la circostanza, non contestata, che la
società presentò alla Winterthur una falsa denuncia circa le modalità del
sinistro, si da giustificare la iniziale resistenza dell'assicuratore.
La insussistenza della mala gestio comporta il rigetto dei motivi otto e
nove.
Con l'ottavo motivo i ricorrenti, deducendo violazione e falsa applicazione
degli artt. 1176, 1218, 1223, 1224, 1225, 1227, 1882, 1905, 1917, 2043, 2056,
2059, 2087, (art. 360, n. 3 c.p.c.), censurano la sentenza impugnata nella parte
in cui non ha condannato la Winterthur a pagare la rivalutazione monetaria, e
gli interessi legali, anche ultra vires.
Con il nono i ricorrenti, deducendo violazione e false applicazione degli artt.
1882, 1905 e 1917 cod. civ.; 91 e 112 c.p.c., si dolgono della mancata manleva
per le spese processuali in favore del Gilberti che sono stati condannati a
pagare.
Infatti la condanna al pagamento del capitale, Euro 91,314, supera largamente il
massimale di polizza, pari a 150 milioni per persona, che costituisce il limite
del risarcimento del danno per l'assicuratore, sicché è irrilevante la questione
degli interessi legali, della rivalutazione monetaria e delle spese legali,
perché questi, pur da ritenersi comprese nella domanda originaria, anche se non
espressamente formulati, eccedono massimale, e quindi non sono dovuti per tale
motivo, in difetto di mala gestio.
Con il decimo motivo i ricorrenti, deducendo violazione e falsa applicazione
degli artt. 91 e 112 c.p.c. (art. 360, n. 3 c.p.c.), censurano la sentenza
impugnata per avere omesso di pronunciare sulla domanda di condanna della
Winterthur a pagare le spese nel rapporto processuale Winterthur-Pea e Saiani.
Il motivo è infondato.
E' corretta la interpretazione della sentenza impugnata operata dalla
controricorrente: il giudice d'appello, partendo dall'erroneo presupposto di una
disposta (dal Tribunale) compensazione totale delle spese processuali tra i
convenuti e la terza chiamata, ha inteso confermare detta compensazione anche
per il giudizio di 2° grado, là dove ha così statuito: Quanto alla liquidazione
delle spese, che viene impugnata con antitetici motivi da tutte le parti, questa
appare conforme all'esito della causa".
L'undicesimo motivo è inammissibile perché con ogni evidenza relativo a causa
diversa.
2. Sul ricorso incidentale Giberti.
I primi tre motivi del ricorso incidentale del Giberti attengono alle
valutazioni della sentenza impugnata circa la mancanza di carattere interruttivo
della lettera 11 giugno 1990 del Giberti.
Con il primo motivo il ricorrente, deducendo violazione e falsa applicazione
dell'art. 2943 cod. civ. (art. 360, n. 3 c.p.c.), censura la sentenza impugnata
nella parte in cui ha ritenuto che il contenuto della raccomandata inviata dal
medesimo al datore di lavoro in data 11 giugno 1990, con cui egli si riservava
di agire per il risarcimento dei danni patiti in seguito all'incidente del 19
aprile 1989 lettera non aveva carattere interruttivo della prescrizione.
Con il secondo motivo il ricorrente, deducendo violazione e falsa applicazione
dell'art. 420, 4° comma, c.p.c., si duole che il primo giudice abbia ritenuto
tardiva la capitolazione della prova relativa alla spedizione della lettera di
messa in mora dell' 11.6.1990.
Con il terzo motivo il ricorrente, deducendo violazione e falsa applicazione
degli artt. 2087, 1218, 1223, 1225 cod. civ.; omessa, insufficiente e
contradittoria motivazione su punto decisivo della controversia (art. 360, nn. 3
e 5 c.p.c.), censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto la
contestazione di controparte sufficiente a provare la non corrispondenza del
contenuto della raccomandata.
I tre motivi, da esaminare congiuntamente per la loro connessione, sono
inammissibili per difetto di interesse, perchè la sentenza impugnata ha ritenuto
il diritto non prescritto, in quanto ha applicato alla fattispecie la
prescrizione decennale, nella specie non maturata, e ciò indipendentemente dalla
interruzione della prescrizione ad opera del Giberti.
Con il quarto motivo di ricorso il ricorrente, deducendo violazione e falsa
applicazione degli artt. 1352, 2697, 2725 cod. civ.; omessa, insufficiente e
contraddittoria motivazione su punto decisivo della controversia (art. 360, nn.
3 e 5 c.p.c.), censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto non
raggiunta la prova in ordine alla perdita di chance.
In effetti il danno derivante dalla perdita di chance non è una mera aspettativa
di fatto, ma una entità patrimoniale a sé stante, economicamente e
giuridicamente suscettibile di autonoma valutazione, di cui l'interessato ha
l'onere di provare, sia pure in modo presuntivo o secondo un calcolo di
probabilità, i presupposti per il raggiungimento del risultato sperato ed
impedito dalla condotta illecita, della quale il danno risarcibile deve essere
conseguenza immediata e diretta (Cass. 18 marzo 2003 n. 3999, Cass. 11340 del
1998, 10748 del 1996).
Nel caso di specie, tuttavia, Il motivo, per come prospettato, si risolve nelle
conseguenze della riduzione della capacità lavorativa specifica, oggetto del
motivo successivo, con cui il ricorrente, deducendo violazione e falsa
applicazione degli artt. 1352, 2697, 2725 cod. civ.; omessa, insufficiente e
contraddittoria motivazione su punto decisivo della controversia (art. 360, nn.
3 e 5 c.p.c.), censura la sentenza impugnata nella parte in cui il giudice ha
ritenuto non raggiunta la prova in ordine alla perdita della capacità lavorativa
specifica.
Ricorda che la ctu ha riconosciuto l'incidenza di postumi sulla capacità
lavorativa specifica del 20%, e che a seguito dell' infortunio il Giberti è
stato assunto dalla s.p.a. Beretta nella categoria protetta degli invalidi del
lavoro. Sarebbe dunque evidente che egli non potrà mai più svolgere l'attività
professionale per la quale aveva conseguito specifica qualificazione e sulla
base della quale stava lavorando con contratto di formazione e lavoro.
Il motivo è fondato, sia sotto il
profilo del danno patrimoniale, sia di quello biologico.
L'illecito lesivo dell'integrità psicofisica della persona può dar luogo a due
distinte voci di risarcimento, rispettivamente a titolo di danno biologico e di
danno patrimoniale per la riduzione della capacità lavorativa specifica;
pertanto il giudice è tenuto a verificare se le lesioni accertate, oltre ad
incidere sulla salute del soggetto, abbiano anche ridotto la sua capacità
lavorativa specifica, con riduzione, per il futuro, della sua capacità di
reddito (Cass. 23 febbraio 2006 n. 4020).
La stessa sentenza impugnata ha accertato, oltre i danni estetici, quelli
funzionali, consistenti nella riduzione dei movimenti di estensione e
prosupinazione del gomito e limitazione di circa 2/3 dei movimenti di flessione,
abduzione e adduzione del primo dito della mano; ridotta è anche la formazione
del pugno, con deficit complessivo di forza prensile e del movimento a pinza del
pollice con le altre dita.
E' interesse del ricorrente offrire, in sede di rinvio, la prova più precisa
della entità del danno patrimoniale da riduzione della capacità lavorativa
specifica, ma questo è già di per sé presumibile dalla descrizione della
sentenza impugnata sopra riportata e dalla circostanza di lavorare con
collocamento obbligatorio presso altra ditta.
Con il sesto motivo il ricorrente, deducendo violazione e false applicazione
degli artt. 1218, 1223, 1225, 2697, 2087 cod. civ.; omessa, insufficiente e
contraddittoria motivazione su punto decisivo della controversia (art. 360, nn.
3 e 5 c.p.c.) censura la sentenza impugnata nella parte in cui non ha ritenuto
il danno di natura psichica - esistenziale quale voce autonoma.
Il motivo non è fondato, in quanto i riflessi di natura psichica - esistenziale
sono già compresi nella voce di danno di cui al motivo che precede.
Con il settimo motivo di ricorso il ricorrente, deducendo violazione e false
applicazione dell'art. 91 c.p.c. (art. 360, n. 3 c.p.c.), censura la sentenza
impugnata nella parte in cui ha ritenuto corretta la liquidazione delle spese
processuali operate dal primo giudice, nonostante le specifiche critiche
dell'atto di appello.
Il motivo non è fondato.
In tema di liquidazione delle spese processuali, il giudice, in presenza di una
nota specifica prodotta dalla parte vittoriosa, non può limitarsi ad una globale
determinazione, in misure inferiori a quelle esposte, dei diritti di procuratore
e degli onorari di avvocato, ma ha l'onere di dare adeguata motivazione della
eliminazione o della riduzione di voci da lui operata, allo scopo di consentire,
l'accertamento della conformità della liquidazione a quanto risulta dagli atti
ed alle tariffe, in relazione alla inderogabilità dei relativi minimi, a
norma dell'art. 24 della legge n. 794 del 1942 (Cass. 1 agosto 2002 n. 11483,
Cass. 3 ottobre 1998 n. 10864).
Dalla finalità sopra precisata deriva che la parte che si dolga in Cassazione
della mancata motivazione, ha l'onere di precisare se e in che misura siano
stati violati minimi tariffari.
3. Sul ricorso incidentale Winterthur.
Con unico motivo di ricorso incidentale la soc. Winterthur, deducendo nullità
della sentenza per violazione e falsa applicazione degli artt. 81 c.p.c., 2312,
2304, 2298 e 2310 c. civ. (art. 360, n. 3 c.p.c.), censura la sentenza impugnata
nella parte in cui ha ritenuto la legittimazione attiva del Pea e della Saiani a
far valere giudizialmente la garanzia assicurativa prestata dalla Compagnia in
favore della società in nome collettivo.
Rileva che le società di persone non si estinguono in seguito alla formale
cancellazione dal registro delle imprese.
Il motivo è infondato.
La stessa Winterthur riconosce, nella memoria ex art. 378, che la polizza
garantisce la responsabilità patrimoniale dei soci quale conseguenza della loro
partecipazione a società di persone. Legittimato a far valere la garanzia il
beneficiario, cioè l'assicurato, e non solo lo stipulante.
Va infine respinto il ricorso incidentale della Winterthur condizionato
all'accoglimento di motivi, che sono stati invece respinti.
Provvedimenti consequenziali come in dispositivo.
p.q.m.
riunisce i ricorsi, rigetta il ricorso principale ed il ricorso incidentale
della Winterthur, accoglie il quinto motivo del ricorso incidentale del Giberti,
respinti gli altri, cassa la sentenza impugnata limitatamente al motivo accolto
e rinvia, anche per le spese, alla Corte d'appello di Milano.
Cosi deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Lavoro, il 26
settembre 2006.
L' estensore
Il presidente
A. De Matteis
S. Sanese
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