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Testata registrata presso il Tribunale di Patti Reg. n. 197 del 19/07/2006


CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. III, 25 Gennaio 2007 (Ud. 18/12/2006), Sentenza n. 2871



RIFIUTI - Gestione dei rifiuti urbani non domestici - Violazione dell'autorizzazione - Responsabilità del gestore - Principi - Art. 7, D. L.vo, n. 22/1977 - D. L.vo n. 36/2003. I rifiuti urbani non domestici e, comunque, diversi da quelli urbani previsti dall'art. 7 del decreto legislativo n 22/1977, si configurano automaticamente speciali indipendentemente da ogni deliberazione di conferma e la loro gestione deve essere penalmente sancita. Nella specie, è stata riscontrata la responsabilità del gestore che, in violazione dell'autorizzazione ha versato in discarica rifiuti, come i pneumatici usati, non compresi tra quelli "assimilati" dal regolamento comunale e neanche inseriti nella deliberazione interministeriale del 27 luglio 1984 [GU n. 253/1884], come materiali inerti da demolizione, nonché rifiuti assimilati a quelli urbani in quantità superiore a quella giornaliera autorizzata e fanghi diversi da quelli autorizzati. Pres. Papa - Est. Teresi - Ric. Rando. CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. III, 25 gennaio 2007 (Ud. 18/12/2006), Sentenza n. 2871

RIFIUTI - Rifiuti speciali assimilati agli urbani - Comuni - Potere di assimilazione - Disciplina - Principi "d'efficienza, efficacia ed economicità" - Tassabilità delle superficie - Conferimento in discarica di rifiuti speciali - Procedura d'ammissione - Necessità - Del. interm. 27 luglio 1984 - D. L.vo, n. 22/1977 - D. L.vo n. 36/2003. In materia di rifiuti, è stato, riconosciuta ai Comuni la facoltà di attivare il potere di assimilazione, ripristinato con l'art. 21, comma 2 lettera g) del decreto legislativo n. 22/1997 ed esercitabile sulla base di norme regolamentari tecniche vigenti [deliberazione interministeriale 1984] e delle nuove disposizioni di cui agli art. 18, comma 2 lettera d) e 57, comma 1, del d. lgs. n. 22/1997. Pertanto, i rifiuti speciali assimilati agli urbani sono soltanto quelli che per qualità e quantità siano previsti dai regolamenti comunali, sicché il Comune, tenuto a rispettare, nella gestione dei rifiuti urbani, i principi "d'efficienza, efficacia ed economicità", nel concedere l'autorizzazione [che comporta necessariamente la tassabilità delle superficie in cui si producono i rifiuti], ha il potere, quanto alla qualità, di stabilire quali, tra i rifiuti inseriti nella delibera interministeriale del 27 luglio 1984 [GU n. 253/1884], siano assimilabili e, quindi, escluderne altri, nonché d'individuare le quantità conferibili. Ne consegue che, per versare rifiuti speciali in discarica, il richiedente o il gestore deve seguire la procedura d'ammissione stabilita dai regolamenti comunali ed osservate le prescrizioni imposte nell'autorizzazione. Pres. Papa - Est. Teresi - Ric. Rando. CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. III, 25 gennaio 2007 (Ud. 18/12/2006), Sentenza n. 2871

RIFIUTI - Gestione e smaltimento dei rifiuti - Criterio dell'assimilabilità - Disciplina vigente - D. M. 2/5/2006 - Dir. 75/442/CE; 91/689/CE; 75/442/CE - Dec. 2000/532/CE - D. L.vo n. 36/2003 - Ignoranza dell'illiceità della condotta - Esclusione - Art. 5 c. p.. In materia di gestione e smaltimento dei rifiuti, il criterio dell'assimilabilità è stato mantenuto anche nella Direttiva del Ministero dell'ambiente del 9 aprile 2002, in relazione alla spedizione dei rifiuti e al nuovo elenco dei rifiuti, che - al n. 20 dell'allegato A - riporta i "rifiuti urbani (rifiuti domestici e assimilabili prodotti da attività commerciali e industriali nonché dalla istituzioni) inclusi i rifiuti della raccolta differenziata", classificazione confermata dal Decreto Ministeriale 2 maggio 2006 sull'elenco dei rifiuti in conformità dell'art. 1, comma 1 lettera A della Direttiva 75/442/CE e dell'art. 1, paragrafo 4, della Direttiva 91/689/CE, di cui alla decisione della Commissione 2000/532/CE del 3 maggio 2000. Conforme alla direttiva n. 31 è il decreto legislativo d'attuazione 13 gennaio 2003 n. 36 che consente l'ammissione nelle discariche dei "rifiuti urbani" e dei "rifiuti non pericolosi di qualsiasi altra origine che soddisfino i criteri di ammissione dei rifiuti previsti dalla normativa vigente ". Nella specie, i reati non sono stati esclusi sotto il profilo soggettivo per errore sull'ignoranza dell'illiceità della condotta perché nemmeno in virtù del criterio dell'ignoranza inevitabile teorizzato nella sentenza Corte Cost. n. 364/1988 è possibile scusare il gestore di attività che comportino la gestione di rifiuti senza informarsi delle leggi penali che disciplinano la materia, incombendo all'interessato l'onere di approfondire la conoscenza della normativa di settore, complessa ma di chiara precettività, di cui è presunta la conoscenza ex art. 5 cod. pen.. Pres. Papa - Est. Teresi - Ric. Rando. CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. III, 25 gennaio 2007 (Ud. 18/12/2006), Sentenza n. 2871

PROCEDURE E VARIE - Nuovo sistema processuale - Integrazione del materiale probatorio insufficiente o mancante ex art. 507 c.p.p. - Ammissione di prove - Contestazione suppletiva ed a modificazione dell'imputazione ex art. 516 c.p.p. - Poteri conferiti al giudice - Principio iura novit curia. In considerazione della centralità del dibattimento, dei poteri conferiti al giudice sia in materia d'integrazione del materiale probatorio insufficiente o mancante ex art. 507 c.p.p., che in tema di ammissione di prove, e della possibilità di procedere a contestazione suppletiva ed a modificazione dell'imputazione ex art. 516 c.p.p., non è necessaria una dettagliata imputazione. Ciò, aderendo alle novità del nuovo sistema processuale, disancorato da visioni formalistiche e da valori epistemologici delle radici letterali e teso a considerare l'imputazione nel suo complesso ed il fondamentale principio iura novit curia (Cassazione Sezione I, n. 382/1999, Piccioni, RV. 215140). Pres. Papa - Est. Teresi - Ric. Rando. CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. III, 25 gennaio 2007 (Ud. 18/12/2006), Sentenza n. 2871



Pubblica Udienza 18.12.2006
SENTENZA N. 2122
REG. GENERALE n. 29426/2005


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE


Composta dagli III. mi Signori
 

Omissis


ha pronunciato la seguente


SENTENZA

 

sul ricorso proposto da Rando Francesco, nato a Genova il 12.08.1937, avverso la sentenza pronunciata dal Tribunale di Roma in data 15.03.2005 con cui è stato condannato alla pena di €. 7.000 d'ammenda per i reati di cui all'art. 51, comma 1 lettera a) e comma 4 D. Lgs. n. 22/1997;


Visti gli atti, la sentenza denunciata, il ricorso e la memoria difensiva;


Sentita in pubblica udienza la relazione del Consigliere dott. Alfredo Teresi;


Sentito il PM nella persona del PG dott. Vittorio Meloni, il quale ha chiesto il rigetto del ricorso;


Sentito il difensore del ricorrente, avv. Gian Michele Gentile, il quale ha chiesto l'accoglimento del ricorso;


osserva


Con sentenza in data 15.03.2005 il Tribunale di Roma condannava Rando Francesco alla pena di €. 7.000 d'ammenda perché, quale legale responsabile della s. r. I. Giovi  [gestore della discarica di Malagrotta] e della  s. r. I. Secor [società d'intermediazione per rifiuti conferiti alla discarica da soggetti privati], non aveva osservato le prescrizioni dell'autorizzazione 12.12.2001, con cui si consentiva lo smaltimento in discarica dei rifiuti provenienti dai Comuni di Roma, Ciampino, Fiumicino e dalla Città del Vaticano limitatamente a 4.500 t/giorno di RSU; 150 t/giorno di rifiuti assimilati agli urbani secondo quanto stabilito dai regolamenti comunali emanati ai sensi dell'art. 21, comma 2 lettera g), d. lgs. n.  22/1997; 400 t/giorno di fanghi da depurazione, accettando e smaltendo nella discarica anche rifiuti speciali non assimilati (per qualità i quantità) agli urbani con provvedimenti comunali,
superando costantemente il limite giornaliero di 150 t/giorno ed inoltre perché aveva effettuato attività di smaltimento di rifiuti speciali [non assimilabili a quelli urbani] senza la prescritta autorizzazione.

Rilevava il Tribunale che, a seguito dell'abrogazione di una norma comunitaria [art. 39 legge n. 146/1994] che disponeva l'assimilazione ope legis ai rifiuti urbani dei rifiuti speciali propri delle attività economiche riconducibili alla delibera del Comitato interministeriale 27 luglio 1984, il Comune di Roma - con delibera n. 119 del 15 giugno 1998 - aveva dichiarato assimilabili ai rifiuti urbani, per qualità e quantità, i rifiuti speciali non pericolosi provenienti da attività economiche; in particolare, quelli aventi una composizione merceologica analoga a quella dei rifiuti urbani d'origine domestica o, comunque, costituiti da manufatti e materiali simili a quelli compresi nell'elenco allegato (aspetto qualitativo), elenco riportante i rifiuti assimilabili alla Tabella 1.1.1. della citata Delibera interministeriale, fatta eccezione per la voce "gomma e caucciù e manufatti composti prevalentemente da tali materiali, come camere d'aria e copertoni" e la voce "rifiuti ingombranti" sino ad un conferimento massimo espresso in kg. per mq. l'anno, individuato per ciascuna tipologia di rifiuto (aspetto quantitativo).


La suddetta delibera stabiliva, quindi, la categoria dei rifiuti assimilati a quelli urbani ai soli fini dello smaltimento in discarica, sicché i rifiuti speciali, se non assimilati ai sensi del regolamento comunale [come previsto dall'art. 7 n. 2 lettera b) e 21, comma 2 lettera g) del d. lgs. n. 22/1997], restavano tali e sottoposti al relativo regime.


Pertanto, i rifiuti speciali assimilati agli urbani dovevano intendersi soltanto quelli compresi nella delibera del Comitato interministeriale ed espressamente richiamati nel Regolamento comunale nel rispetto delle quantità conferibili predeterminate.


La categoria dei rifiuti assimilabili a quelli urbani non era sostanzialmente venuta meno, come sostenuto dalla difesa, con la Direttiva 1999/31/CE del 26 aprile 1999, relativa alle discariche di rifiuti, perché la stessa aveva incluso, tra i rifiuti destinati alle discariche per rifiuti non pericolosi i rifiuti urbani di natura domestica e quelli ad essi equiparabili, nonché i rifiuti non pericolosi di qualsiasi altra origine non contemplati dalla Direttiva 91/689/CE sui rifiuti pericolosi (art. 2 e 6), tra i quali rientrano anche quelli assimilabili (quelli speciali non pericolosi).


Inoltre, il d. lgs. 13.01.2003 n. 36, d'attuazione della suddetta Direttiva, e il successivo decreto ministeriale 13.03.2003 avevano incluso espressamente tra i rifiuti da smaltire in discariche per rifiuti non pericolosi anche i rifiuti urbani per la cui individuazione l'art. 2 lettera b) del decreto legislativo n. 36 rinvia all'art. 7, comma 2, del d. lgs. n. 22/1997 che comprende anche i rifiuti assimilati, come individuati dall'autorità comunale.


Peraltro, le discariche già autorizzate alla data d'entrata in vigore del decreto n. 36, come quella de qua, potevano continuare a ricevere, fino al 16 luglio 2005, i rifiuti per cui erano state autorizzate (art. I7), sicché fino a tale data vigeva l'autorizzazione n. 115 del 12.12.2001.


Ciò premesso, il Tribunale riteneva, alla stregua degli accertamenti eseguiti, che la società Secor avesse conferito in discarica rifiuti non rientranti tra quelli assimilati individuati nel Regolamento comunale n. 119/98 [pneumatici usati, parti d'autoveicoli, abbigliamenti, lenzuola, indumenti monouso provenienti da reparti ospedalieri di maternità o legati a diagnosi o al trattamento e prevenzione di malattie d'essere umani; rifiuti di filtrazione e vagli primari delle acque ad uso industriale] e neppure tra quelli assimilabili di cui al decreto interministeriale [il materiale inerte da demolizione e costruzione], nonché rifiuti assimilati in quantitativi giornalieri superiori a quelli consentiti dall'autorizzazione e fanghi diversi da quelli autorizzati.


Proponeva ricorso per cassazione l'imputato eccependo la nullità del decreto di citazione e dell'intero dibattimento per "violazione o errata applicazione dell'art. 552 c.p.p. in riferimento alla chiarezza della contestazione, intesa come enunciazione del fatto in forma chiara e precisa; genericità del capo d'imputazione per impossibilità di ricostruzione del fatto. Nullità conseguenziale".


Nel capo d'imputazione non era stato specificato quali fossero i rifiuti speciali non assimilati conferiti in discarica, né erano state indicate le date del superamento giornaliero di t. 150/giorno, stabilite solo presuntivamente.


Inoltre, l'indeterminatezza e genericità del primo capo d'imputazione si rifletteva in quello successivo, laddove si fa riferimento, come descrizione della condotta illecita ad attività di smaltimento di rifiuti speciali in mancanza della prescritta autorizzazione.


Denunciava, poi, violazione o errata applicazione dell'art. 21 d. lgs. n. 22/1997, della delibera del Comitato interministeriale 27.07.1984, della direttiva rifiuti 1999/31/CE, del d. lgs. n. 36/1993 esponendo che erroneamente il Tribunale aveva ritenuto che i Comuni possano stabilire, discrezionalmente, quali rifiuti non pericolosi possano essere assimilati a quelli urbani e, quindi lecitamente essere conferiti in discarica stante che "i rifiuti assimilati, ai fini del ricovero, sono quelli indicati nella delibera del Comitato interministeriale del 1984"


Richiamate le norme succedutesi nel tempo in ordine all'assimilabilità dei rifiuti non pericolosi a quelli urbani, ai fini del conferimento in discarica, rilevava che, a seguito dell'abrogazione dell'art. 60 del d. lgs. n. 507/1993, l'art. 39 della legge 22.02.1994 n. 146 aveva disposto l'assimilazione ope legis ai rifiuti urbani di tutti i rifiuti speciali indicati al punto 1.1.1 lettera a) della delibazione del 1984, citata, eliminando qualsiasi discrezionalità dei comuni al riguardo.


Il d. lgs. n. 22/1997 aveva introdotto, all'art. 7, una nuova classificazione dei rifiuti e ripristinato, con l'art. 21 comma 2 lettera g), il potere dei Comuni di prevedere con propri regolamenti l'assimilazione per qualità e quantità dei rifiuti speciali non pericolosi ai rifiuti urbani ai fini della raccolta e dello smaltimento sulla base dei criteri fissati ai sensi dell'art. 18, comma 2 lettera d).


L'abrogazione con la legge n. 128/1998 dell'art. 39 della legge n. 146/1994, citata, i Comuni avevano riacquistato "la possibilità di individuare, nell'ambito delle tipologie di assimilabilità di cui alla delibera C.I. del 1984, quei rifiuti non urbani per i quali prevedere l'applicazione delle tasse di smaltimento al pari di quelli urbani".


Invece, la direttiva  1999/31/CE, nel classificare, all'art. 2, i rifiuti, innovativa rispetto al d. lgs. n. 22/1997, aveva eliminato "la categoria dei rifiuti speciali di cui alla lettera b) art. 7 e quindi la categoria dei rifiuti assimilati agli urbani in virtù delle delibere comunali, ricomprendendo questi nella categoria dei rifiuti urbani; la stessa avrebbe dovuto essere messa in vigore da parte degli Stati membri, a norma dell'art. 18, entro due anni e quindi in vigore il 16 luglio 2001"


La direttiva però, era stata recepita dal d. lgs. 13 gennaio 2003 n. 36, che aveva reintrodotto, in difformità della normativa comunitaria, la categoria dei rifiuti speciali assimilabili ad assimilati, sicché non operava per i fatti accertati fino al 23 settembre 2002.


Peraltro, la decisione della Commissione della comunità europea del 16 gennaio 2001, modificativa dell'elenco dei rifiuti istituito dalla decisione 2000/532/CE, al capitolo 20 aveva classificato come rifiuti urbani i rifiuti domestici e assimilabili prodotti da attività commerciali e industriali nonché dalle istituzioni, inclusi i rifiuti della raccolta differenziata, così ricomprendendo tutti i rifiuti speciali indicati nella delibera del Comitato interministeriale 1984 che fornisce i criteri generali per l'assimilabilità dei rifiuti speciali ai rifiuti urbani.


Il decorso il biennio, decorrente dal 16 luglio 2001, aveva comportato l'automatico recepimento della direttiva 1999/31/CE nell'ordinamento giuridico italiano con "la scomparsa di rifiuti speciali, e quindi la scomparsa di rifiuti assimilabili, ricompresi tutti nel concetto di rifiuto urbano"


Denunciava, altresì, l'imputato
. mancanza e manifesta illogicità della motivazione in ordine alla configurabilità dei reati non essendo provato lo sforamento delle quantità consentita [150 tonnellate al giorno per i rifiuti assimilati agli urbani] perché rilevato con valutazione statistica media mai legata ai quantitativi della singola giornata, ma ricavata da un periodo d'osservazione ultramensile che non considerava che la discarica era aperta tutti i giorni. Inoltre, essendo venuta meno la categoria dei rifiuti speciali assimilabili, la ricezione giornaliera andava calcolata in ragione delle 4.500 tonnellate giornaliere di rifiuti urbani e non era rilevante che per tali rifiuti la società Secor pagasse la tariffa stabilita per i rifiuti speciali;


. violazione di legge e della delibera 1984, citata, in ordine all'esclusione come rifiuti speciali assimilabili a quelli urbani dei pneumatici e dei materiali di costruzione e di demolizione, espressamente indicati nella delibera, nonché degli abbigliamenti, lenzuola monouso rientranti tra i rifiuti urbani ai sensi dei nuovi codici CER entrati in vigore il 1.01.2002;


. violazione di legge e mancanza di motivazione in ordine ala ritenuta sussistenza dell'elemento psicologico del reato che andava, invece esclusa, per l'equivocità del quadro normativo, per la giurisprudenza oscillante e per il comportamento della PA tali da generare una presunzione di legittimità della condotta.


Chiedeva l'annullamento della sentenza.


In data 24.11.2006 il ricorrente depositava memoria difensiva.


L'eccezione di rito, concernente la nullità del decreto di citazione per indeterminatezza del fatto, è infondata poiché non si ha insufficiente enunciazione qualora siano individuati e dotati di adeguata specificità i tratti essenziali del fatto di reato attribuito, sicché l'imputato possa apprestare la sua difesa.


Infatti, in considerazione della centralità del dibattimento, dei poteri conferiti al giudice sia in materia d'integrazione del materiale probatorio insufficiente o mancante ex art. 507 c.p.p., che in tema di ammissione di prove, e della possibilità di procedere a contestazione suppletiva ed a modificazione dell'imputazione ex art. 516 c.p.p., non è necessaria una dettagliata imputazione.


Ciò, aderendo alle novità del nuovo sistema processuale, disancorato da visioni formalistiche e da valori epistemologici delle radici letterali e teso a considerare l'imputazione nel suo complesso ed il fondamentale principio iura novit curia (Cassazione Sezione I, n. 382/1999, Piccioni, RV. 215140).


Nella specie, nella contestazione, considerata nella sua interezza, anche in riferimento alle disposizioni violate, sono contenuti tutti gli elementi del fatto costitutivo del reato ritenuto in sentenza che ha legittimamente utilizzato i dati, acquisiti in contraddittorio nel dibattimento, di specificazione del fatto stesso.


Infatti, è stato contestato all'imputato, nella qualità, di non avere osservato le prescrizioni stabilite nell'autorizzazione comunale 12.12.2001 per la gestione della discarica di Malagrotta consentendo il versamento di rifiuti speciali che i regolamenti comunali non assimilavano a quelli urbani in quantità superiore al limite giornaliero imposto, nonché di avere, con tale condotta, effettuato attività di smaltimento di rifiuti speciali senza autorizzazione.


Il fatto enunciato contiene, quindi, la specificazione della condotta, all'evidenza ritenuta non conforme al provvedimento autorizzativo, quanto al superamento del limite quantitativo e illegittima relativamente al conferimento di rifiuti non pericolosi non inseriti nell'autorizzazione tra quelli assimilabili agli urbani.


*** *** ***


Nel resto il ricorso non è puntuale perché censura con erronee argomentazioni giuridiche e in punto di fatto la decisione fondata, invece, su congrue argomentazioni esenti da vizi logico-giuridici, essendo stati esaminati gli elementi probatori emersi a carico dell'imputato e confutata ogni obiezione difensiva.


In materia di smaltimento di rifiuti urbani e assimilati va osservato che con l'art. 17, comma 3, della legge 24 aprile 1998 n. 128 sono stati abrogati i commi 1 e 2 dell'art. 39 della legge comunitaria 22 febbraio 1994 n. 146 che disponevano, ad ogni effetti, l'assimilazione legale ai rifiuti urbani dei rifiuti propri delle attività economiche compresi o suscettibili di essere compresi per similarità nell'elenco di cui al punto 1.1.1. della delibera interministeriale del 27 luglio 1984 [GU n. 253/1884] con l'eliminazione del previgente potere discrezionale di assimilazione riconosciuto ai comuni dal d.P.R. 10 settembre 1982 n. 915.


Tale regime, pienamente operante soltanto dall'8 gennaio 1996 per la mancata reiterazione e conversione della diversa disciplina adotta per gli anni 1994 e 1995 con decreti legge [i cui effetti sono stati confermati dalla legge 11 novembre 1996 n. 575], era rimasto in vigore per la mancata emanazione del regolamento di cui all'art. 56, comma 2, del d. lgs. n. 22/1997 che avrebbe dovuto dichiarare l'incompatibilità dell'art. 39 con la nuova classificazione dei rifiuti di cui all'art. 7 dello stesso decreto legislativo.


Però, l'intervenuta abrogazione dell'art. 39 ha fatto venir meno la sopraindicata assimilazione legale, sicché i rifiuti delle attività economiche di cui all'art. 7, comma 3 del decreto n. 22/1997, in precedenza ritenuti urbani sono da qualificare speciali.


E' stata così, riconosciuta ai Comuni la facoltà di attivare il potere di assimilazione, ripristinato con l'art. 21, comma 2 lettera g) del decreto legislativo n. 22/1997 ed esercitabile sulla base di norme regolamentari tecniche vigenti [la deliberazione interministeriale 1984] e delle nuove disposizioni di cui agli art. 18, comma 2 lettera d) e 57, comma 1, del d. lgs. n. 22, citato.


Mentre la previgente normativa [art. 2 e 8 del d.P.R. n. 915/1982] nulla disponeva sulle modalità di assimilazione, la nuova disciplina di cui all'art. 21, comma 2, lettera g) del d. lgs. n. 22/1997, prescrive che appositi regolamenti stabiliscano espressamente l'assimilazione dei rifiuti non pericolosi delle varie attività economiche per i quali valgono i interi e i limiti di cui alle delibera interministeriale 1984.


Pertanto, come correttamente ritenuto in sentenza, i rifiuti speciali assimilati agli urbani sono soltanto quelli che per qualità e quantità siano previsti dai regolamenti comunali, sicché il Comune, tenuto a rispettare, nella gestione dei rifiuti urbani, i principi "d'efficienza, efficacia ed economicità", nel concedere l'autorizzazione [che comporta necessariamente la tassabilità delle superficie in cui si producono i rifiuti], ha il potere, quanto alla qualità, di stabilire quali, tra i rifiuti inseriti nella delibera interministeriale 1984, siano assimilabili e, quindi, escluderne altri, nonché d'individuare le quantità conferibili.


Ne consegue che, per versare rifiuti speciali in discarica, il richiedente o il gestore deve seguire la procedura d'ammissione stabilita dai regolamenti comunali ed osservate le prescrizioni imposte nell'autorizzazione.


La direttiva comunitaria 1999/31/CE del 26 aprile 1999, nelle "definizioni" di cui all'art. 2, ha indicato,
. alla lettera b) i rifiuti urbani;
. alla lettera c) i rifiuti pericolosi,
. alla lettera d) i "rifiuti non pericolosi: i rifiuti non contemplati dalla lettera c)"
e nei "rifiuti ammissibili nelle varie categorie di discariche", di cui all'art. 6, ha specificato che le discariche per i rifiuti non pericolosi possono essere utilizzate
.  i) "per i rifiuti urbani";
. ii) "per i rifiuti non pericolosi di qualsiasi altra origine conformi ai criteri di ammissione dei rifiuti nelle discariche per rifiuti non pericolosi fissati a norma dell'allegato II",
[con espresso divieto d'inserimento nell'elenco di quelli contemplati nella direttiva 91/689/CE], sicché è erroneo l'assunto difensivo secondo cui sarebbe stata eliminata la categoria dei rifiuti assimilati agli urbani di cui all'art. 7, comma 2 lettera b), del d. lgs. n. 22/1997, tuttora regolata dall'art. 21 dello stesso decreto, che stabilisce che i comuni disciplinano la gestione dei rifiuti urbani con appositi regolamenti che stabiliscono "l'assimilazione per qualità e quantità dei rifiuti speciali non pericolosi ai rifiuti urbani ai fini della raccolta e dello smaltimento sulla base dei criteri fissati dall'art. 18 comma 2 lettera d) [determinazione dei criteri qualitativi e quantitativi per l'assimilazione ... dei rifiuti speciali a quelli urbani]".


Il criterio dell'assimilabilità è stato mantenuto anche nella Direttiva del Ministero dell'ambiente del 9 aprile 2002, in relazione alla spedizione dei rifiuti e al nuovo elenco dei rifiuti, che - al n. 20 dell'allegato A - riporta i "rifiuti urbani (rifiuti domestici e assimilabili prodotti da attività commerciali e industriali nonché dalla istituzioni) inclusi i rifiuti della raccolta differenziata", classificazione confermata dal Decreto Ministeriale 2 maggio 2006 sull'elenco dei rifiuti in conformità dell'art. 1, comma 1 lettera A della Direttiva 75/442/CE e dell'art. 1, paragrafo 4, della Direttiva 91/689/CE, di cui alla decisione della Commissione 2000/532/CE del 3 maggio 2000.


Conforme alla direttiva n. 31 è il decreto legislativo d'attuazione 13 gennaio 2003 n. 36 [peraltro non operante nel caso in esame perché "le discariche già autorizzate alla data di entrata in vigore del presente decreto possono continuare a ricevere, fino al 16 luglio 2005, i rifiuti per cui sono state autorizzate" (art. 17 n. 1)] che consente l'ammissione nelle discariche dei "rifiuti urbani" e dei "rifiuti non pericolosi di qualsiasi altra origine che soddisfino i criteri di ammissione dei rifiuti previsti dalla normativa vigente ".


Alla stregua del delineato quadro normativi è, quindi, corretta l'affermazione di responsabilità essendo stato accertato, con motivazione logica e aderente ai richiamati principi giuridici, che il gestore, in violazione dell'autorizzazione n. 119/1998, ha versato nella discarica rifiuti, come i pneumatici usati, non compresi tra quelli "assimilati" dal regolamento comunale ovvero neanche inseriti nella deliberazione interministeriale del 1984, come i materiali inerti da demolizione, nonché rifiuti assimilati a quelli urbani in quantità superiore a quella giornaliera autorizzata con la deliberazione n. 155/2001 e fanghi diversi da quelli autorizzati.


Ne consegue che i rifiuti urbani non domestici e, comunque, diversi da quelli urbani previsti dall'art. 7 del decreto legislativo n 22/1977, si configurano automaticamente speciali indipendentemente da ogni deliberazione di conferma e che la loro gestione debba essere penalmente sancita.


Inammissibile perché in fatto è la censura relativa al ritenuto superamento delle quantità autorizzata per i mesi marzo, aprile, maggio e giugno 2002 [150 tonnellate al giorno per i rifiuti assimilati agli urbani] perché il superamento del limite è stato rilevato attraverso l'analisi a campione dei registri di carico e scarico, la tipologia e la quantità dei rifiuti conferiti all'ente di gestione dalla Secor (società d'intermediazione per i rifiuti conferiti alla discarica da soggetti privati, esclusi i rifiuti presi in carico dal gestore pubblico AMA e dagli altri gestori del servizio pubblico di raccolta), i formulari d'accettazione della società Giovi con i codici CER e con la descrizione sintetica dei rifiuti.


Anche il quarto motivo non è puntuale perché la non assimilabilità ai rifiuti urbani dei pneumatici, dei materiali inerti e degli abbigliamenti monouso, anche se compresi nella delibera interministeriale del 1984, conseguiva dal mancato inserimento nel regolamento comunale e quindi nella concessa autorizzazione n. 119/1998.


I reati non possono essere esclusi sotto il profilo soggettivo per errore sull'ignoranza dell'illiceità della condotta perché nemmeno in virtù del criterio dell'ignoranza inevitabile teorizzato nella sentenza Corte Cost. n. 364/1988 è possibile scusare il gestore di attività che comportino la gestione di rifiuti senza informarsi delle leggi penali che disciplinano la materia, incombendo all'interessato l'onere di approfondire la conoscenza della normativa di settore, complessa ma di chiara precettività, di cui è presunta la conoscenza ex art. 5 cod. pen..


Il rigetto del ricorso comporta condanna al pagamento delle spese del procedimento.


    P Q M
 

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.


Così deciso in Roma, nella pubblica udienza del  18.12.2006.


Il consigliere estensore              Il presidente
 Alfredo Teresi                    Enrico Papa


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