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CORTE DI CASSAZIONE Penale Sez. III, 13 Gennaio 2007 (ud. 23/11/2006), Sentenza n. 456



Inquinamento atmosferico - Lavorazione della sanza - Costruzione di un nuovo impianto - Autorizzazioni - Necessità - Inquinamento atmosferico poco significativo - Esclusione - DPR 25 luglio 1991. La costruzione di un nuovo impianto per la lavorazione della sanza suscettibile a provocare inquinamento atmosferico non è annoverabile tra le attività “ad inquinamento atmosferico poco significativo” in quanto non espressamente indicata nell’elencazione contenuta nel DPR 25 luglio 1991. Sono richieste per l'attivazione le prescritte autorizzazioni o comunque il preavviso alle autorità competenti. Pres. Vitalone - Est. Sarno - Ric. Alamprese. CORTE DI CASSAZIONE Penale Sez. III, 13 gennaio 2007 (Ud. 23/11/2006), Sentenza n. 456

Inquinamento atmosferico - Emissioni atmosferiche - Inquinamento atmosferico poco significativo - Disciplina applicabile - D.P.R. n. 203/98 - Dir. n. 84/360 - D.p.c.m. 31.7.89 - D.L.vo 152/2006. L’inquinamento atmosferico disciplinato dal D.P.R. 24 maggio 1998 n. 203 non è limitato alla salubrità dell’aria ed al controllo delle emissioni atmosferiche originate dai soli impianti qualificabili quali industriali ai sensi dell’art. 2195 cod. civ., ma si estende a qualsiasi impianto che può dare luogo ad emissioni nell’atmosfera, ai sensi dell’art. 1 del citato decreto n. 203/98, (da ultimo Sez. 3, n. 40944 del 30/09/2005 Rv. 232361). Sicché, l’area di applicabilità del DPR 203/88 dalla portata più ampia rispetto al contenuto della direttiva CE n. 84/360 di cui costituiva attuazione è stata ristretta dapprima con il d.p.c.m. 31.7.89 che faceva riferimento ai valori minimi fissati dalle linee guida statali e, successivamente, con il DPR 25 luglio 1991 (Modifiche dell’atto di indirizzo e coordinamento in materia di emissioni poco significative e di attività a ridotto inquinamento atmosferico emanato con d.p.c.m. in data 21 luglio 1989) con il quale si sono, invece, tipizzate le attività per le quali le emissioni si ritenevano poco significative - escludendole dal regime autorizzatorio - laddove, invece, per quelle a ridotto inquinamento si prevedeva comunque la necessità di un’autorizzazione regionale (Sez 3 rv 227181; 232657). Pres. Vitalone - Est. Sarno - Ric. Alamprese. CORTE DI CASSAZIONE Penale Sez. III, 13 gennaio 2007 (Ud. 23/11/2006), Sentenza n. 456

Inquinamento atmosferico - Costruzione di nuovo impianto senza autorizzazione - Permanenza del reato - Disciplina giuridica - Art. 24 cc. 1 e 2, D.P.R 203/88 - Vincolo della continuazione - Art. 10 comma 3 L. n. 151/2005. Il reato di cui all’art. 24, D.P.R. 203/88 comma 1, “costruzione di nuovo impianto senza autorizzazione”, è pacificamente ritenuto in giurisprudenza quale reato permanente, la cui permanenza dura fino al rilascio della prescritta autorizzazione, in quanto finalizzato alla tutela della qualità dell’aria e l’autorizzazione costituisce mezzo di controllo preventivo sugli impianti inquinanti onde verificare la tollerabilità delle emissioni e l’adozione di appropriate misure di prevenzione dell’inquinamento atmosferico, così che il reato permane finché il competente ente territoriale non abbia effettuato tale controllo. Sulla natura del reato di cui all’art. 24, comma 2, “attivazione dell’esercizio di nuovo impianto senza la preventiva comunicazione”, sussistono valutazioni differenti sulla possibilità di ritenerlo a meno permanente. In ogni caso, l’unificazione con il vincolo della continuazione di entrambi i reati ad opera della decisione di primo grado comporta la medesima decorrenza per entrambi i reati che, in assenza di altri elementi idonei a far venire meno la permanenza, decorre dalla sentenza di primo grado stante il disposto dell’art. 10 comma 3 L. n. 151/2005. Pres. Vitalone - Est. Sarno - Ric. Alamprese. CORTE DI CASSAZIONE Penale Sez. III, 13 gennaio 2007 (Ud. 23/11/2006), Sentenza n. 456

Procedura e varie - Ricorso - Poteri della Corte di cassazione - “Rilettura” degli elementi di fatto - Esclusione. Esula, dai poteri della Corte di cassazione quello di una “rilettura” degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali (Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997 Rv. 207944). Pres. Vitalone - Est. Sarno - Ric. Alamprese. CORTE DI CASSAZIONE Penale Sez. III, 13/01/2007 (ud. 23/11/2006), Sentenza n. 456



Pubblica Udienza del 23.11.2006
SENTENZA N. 1886
REG. GENERALE n. 042514/2005


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE


 Composta dagli III. mi Signori:
 

 dott. Vitalone Claudio                            Presidente
1. dott. Squassoni Claudia                      Consigliere
2. Dott. Gentile Mario                             Consigliere
3. Dott. Franco Amedeo                         Consigliere
4. Dott. Sarno Giulio                              Consigliere rel.
 

ha pronunciato la seguente


SENTENZA

 

sul ricorso proposto da:

1) ALAMPRESE SERGIO n. il 15/04/1975 avverso la sentenza del 3/05/2005 TRIBUNALE DI MELFI


visti gli atti, la sentenza ed il ricorso

udita in PUBBLICA UDIENZA la relazione fatta dal consigliere SARNO GIULIO

Udito il Procuratore Generale in persona del dott. Baglioni che ha concluso per l'inammissibilità del ricorso.


In data 3 maggio 2005 il Tribunale di Melfi condannava alla pena di euro 280 di ammenda Alamprese Giorgio in quanto ritenuto responsabile del reato di cui all’articolo 24 commi 1 e 2 DPR 203/88 per avere iniziato, in data antecedente e prossima al 10 luglio 2002, in località Terre Nere la costruzione di un nuovo impianto per la lavorazione della sanza suscettibile di provocare inquinamento atmosferico ed avere attivato lo stesso impianto senza le prescritte autorizzazioni e comunque senza averne dato preavviso alle autorità competenti.

Avverso tale decisione l’Alamprese ha proposto appello eccependo l’assoluta infondatezza e non attribuibilità a lui dei fatti e dei reati contestati, oltre alla insufficienza contraddittorietà ed illegittimità degli elementi probatori raccolti per evidente vizio della motivazione.

Trattandosi di impugnazione relativa a sentenza di condanna alla sola pena pecuniaria l’appello veniva convertito in ricorso per cassazione.

Motivi della decisione.

Il ricorso è inammissibile.

Nell’unico motivo di ricorso l’Alamprese concentra una serie di questioni che attengono alla mancanza di prova in ordine al funzionamento dell’impianto ed alla sua capacità inquinante in quanto accertata con metodologia non conforme alle indicazioni del DM 12.7.1990; alla prescrizione del reato; alla mancanza di avviso per l’attività di indagine.

Ciò posto la prima questione che nell’ordine logico occorre affrontare è quella relativa alla necessità dell’autorizzazione per la costruzione dell’impianto e per la sua attivazione.

Sul punto i rilievi del ricorrente si sostanziano: a) sull’effettivo funzionamento dell’impianto asserendosi che lo stesso era solo in fase di prova e b), come detto, sulla non conformità alle indicazioni del DM 12.7.1990 della metodologia seguita.

a) Per quanto concerne il primo aspetto, il giudice di merito con motivazione assolutamente corretta e priva di vizi logici esclude l’occasionalità dell’esercizio dell’impianto affermando che la scelta di fermare l’impianto era da attribuire unicamente alla circostanza che l’imputato, vistosi scoperto dall’autorità, aveva fermato ogni attività.


Ed occorre anche ricordare che l’indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di cassazione essere limitato - per espressa volontà del legislatore a riscontrare l’esistenza di un logico apparato argomentativo sui vari punti della decisione impugnata, senza possibilità di verificare l’adeguatezza delle argomentazioni di cui il giudice di merito si è avvalso per sostanziare il suo convincimento, o la loro rispondenza alle acquisizioni processuali. Esula, infatti, dai poteri della Corte di cassazione quello di una “rilettura” degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali (Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997 Rv. 207944).

b) La seconda questione richiede a monte alcune puntualizzazioni.

Come questa Corte ha più volte affermato l’inquinamento atmosferico disciplinato dal D.P.R. 24 maggio 1998 n. 203 non è limitato alla salubrità dell’aria ed al controllo delle emissioni atmosferiche originate dai soli impianti qualificabili quali industriali ai sensi dell’art. 2195 cod. civ., ma si estende a qualsiasi impianto che può dare luogo ad emissioni nell’atmosfera, ai sensi dell’art. 1 del citato decreto n. 203. (da ultimo Sez. 3, n. 40944 del 30/09/2005 Rv. 232361).

Questa Sezione ha tuttavia più volte evidenziato che l’area di applicabilità del DPR 203/88 dalla portata più ampia rispetto al contenuto della direttiva CE n. 84/360 di cui costituiva attuazione è stata ristretta dapprima con il d.p.c.m. 31.7.89 che faceva riferimento ai valori minimi fissati dalle linee guida statali e, successivamente, con il DPR 25 luglio 1991 (Modifiche dell’atto di indirizzo e coordinamento in materia di emissioni poco significative e di attività a ridotto inquinamento atmosferico emanato con d.p.c.m. in data 21 luglio 1989) con il quale si sono, invece, tipizzate le attività per le quali le emissioni si ritenevano poco significative - escludendole dal regime autorizzatorio - laddove, invece, per quelle a ridotto inquinamento si prevedeva comunque la necessità di un’autorizzazione regionale (Sez 3 rv 227181; 232657).

Decisivo si rivela pertanto, rispetto alla questione prospettata dal ricorrente non già il metodo di accertamento della capacità inquinante dell’impianto, bensì il rilievo che l’attività in esame non era comunque annoverabile tra le attività “ad inquinamento atmosferico poco significativo” in quanto non espressamente indicata nell’elencazione contenuta nel DPR 25 luglio 1991.

E ciò in quanto, anche a volerla ritenere riconducibile nel novero delle attività a ridotto inquinamento atmosferico indicate nel D.P.R. 25 luglio 1991, allegato 2, non si poteva comunque prescindere per la realizzazione dell’impianto e per la sua attivazione dalla presentazione della domanda di autorizzazione semplificata - il cui modello è determinato dalla Regione in base al D.P.C.M. 21 luglio 1989, punto 26, e al D.P.R. 25 luglio 1991, allegato 2 - o dalla comunicazione della volontà di avvalersi del provvedimento abilitativo generale, adottabile, per tali tipologie di attività, dalla Regione, (D.P.R. 25 luglio 1991, art. 4, D.P.C.M. 21 luglio 1989 punto 19).

Né muta la situazione alla luce delle disposizioni contenute nel d. lgs 3.4.2006 n. 152.

Anche l’art. 269 comma 1 espressamente menziona, infatti, (cosi evitando anche i rilievi che avevano in passato accompagnato la scelta di consentire in via amministrativa la riduzione del campo di applicazione del d. lgs 203/88) i casi in cui l’autorizzazione non è necessaria richiamando I’art. 267 comma 3 (secondo cui l’autorizzazione integrata ambientale sostituisce l’autorizzazione alle emissioni); i commi 14 (impianti di combustione e gruppi elettrogeni di limitata potenza termica, impianti di combustione connessi all’attività di stoccaggio dei prodotti petroliferi anch’essi di limitata potenza termica e funzionanti per meno di 2000 ore annue, impianti di emergenza e di sicurezza, laboratori di analisi e ricerca, impianti pilota per prove, ricerche, sperimentazioni, individuazione di prototipi, purchè le emissioni non riguardino sostanze cancerogene, tossiche, ecc.) e 16 (impianti di depositi di olii minerali) dello stesso art. 269; ed, infine, 1’art. 272 comma 5 (che richiama gli impianti e le attività elencati nella parte 1 dell’allegato IV alla parte quinta).

Inoltre l’art. 272 pur contemplando, al comma 2, la possibilità di autorizzazioni generali per specifiche categorie di impianti, ne condiziona tuttavia l’efficacia ad una domanda di adesione da parte del gestore degli impianti.

Va anche aggiunto che superando le pregresse dispute circa l’ambito operativo del D.P.R. n. 203 del 1988 l’art. 267 prevede l’applicazione delle nuove disposizioni agli impianti ed alle attività che producono emissioni nell’atmosfera, e il successivo art. 268 definisce impianto “il macchinario o il sistema o l’insieme di macchinari o di sistemi costituito da una struttura fissa e dotato di autonomia funzionale in quanto destinato ad una specifica attività” così che attraverso la mancata riproposizione delle parole “che serva per usi industriali o di pubblica utilità”, dimodochè l’ambito di applicazione risulta sostanzialmente coincidente con l’elaborazione giurisprudenziale di questa Corte.

Infondato è anche il rilievo relativo alla prescrizione dei reati.

Il reato di cui all’art. 24, comma 1, “costruzione di nuovo impianto senza autorizzazione”, è pacificamente ritenuto in giurisprudenza quale reato permanente, la cui permanenza dura fino al rilascio della prescritta autorizzazione, in quanto finalizzato alla tutela della qualità dell’aria e l’autorizzazione costituisce mezzo di controllo preventivo sugli impianti inquinanti onde verificare la tollerabilità delle emissioni e l’adozione di appropriate misure di prevenzione dell’inquinamento atmosferico, così che il reato permane finché il competente ente territoriale non abbia effettuato tale controllo.

Sulla natura del reato di cui all’art. 24, comma 2, “attivazione dell’esercizio di nuovo impianto senza la preventiva comunicazione”, sussistono valutazioni differenti sulla possibilità di ritenerlo a meno permanente.

In ogni caso, l’unificazione con il vincolo della continuazione di entrambi i reati ad opera della decisione di primo grado comporta la medesima decorrenza per entrambi i reati che, in assenza di altri elementi idonei a far venire meno la permanenza, decorre dalla sentenza di primo grado stante il disposto dell’art. 10 comma 3 L. n. 151/2005.

Assolutamente generico si appalesa infine il rilievo concernente l’omesso avviso per attività d’indagine non venendo in alcun modo circostanziate le ragioni della doglianza.

Alla declaratoria di inammissibilità consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro mille in favore della Cassa delle Ammende.
PQM

La Corte Suprema di Cassazione
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro mille in favore della Cassa delle Ammende.

Così deciso in Roma il 23.11.2006

Il Consigliere estensore Il Presidente




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