Tutti i diritti sono riservati - Copyright © - AmbienteDiritto.it
Inquinamento atmosferico - Lavorazione della sanza - Costruzione di un nuovo
impianto - Autorizzazioni - Necessità - Inquinamento atmosferico poco
significativo - Esclusione - DPR 25 luglio 1991. La costruzione di un nuovo
impianto per la lavorazione della sanza suscettibile a provocare inquinamento
atmosferico non è annoverabile tra le attività “ad inquinamento atmosferico poco
significativo” in quanto non espressamente indicata nell’elencazione contenuta
nel DPR 25 luglio 1991. Sono richieste per l'attivazione le prescritte
autorizzazioni o comunque il preavviso alle autorità competenti. Pres. Vitalone
- Est. Sarno - Ric. Alamprese. CORTE DI CASSAZIONE Penale Sez. III, 13
gennaio 2007 (Ud. 23/11/2006), Sentenza n. 456
Inquinamento atmosferico - Emissioni atmosferiche - Inquinamento atmosferico
poco significativo - Disciplina applicabile - D.P.R. n. 203/98 - Dir. n. 84/360
- D.p.c.m. 31.7.89 - D.L.vo 152/2006. L’inquinamento atmosferico
disciplinato dal D.P.R. 24 maggio 1998 n. 203 non è limitato alla salubrità
dell’aria ed al controllo delle emissioni atmosferiche originate dai soli
impianti qualificabili quali industriali ai sensi dell’art. 2195 cod. civ., ma
si estende a qualsiasi impianto che può dare luogo ad emissioni nell’atmosfera,
ai sensi dell’art. 1 del citato decreto n. 203/98, (da ultimo Sez. 3, n. 40944
del 30/09/2005 Rv. 232361). Sicché, l’area di applicabilità del DPR 203/88 dalla
portata più ampia rispetto al contenuto della direttiva CE n. 84/360 di cui
costituiva attuazione è stata ristretta dapprima con il d.p.c.m. 31.7.89 che
faceva riferimento ai valori minimi fissati dalle linee guida statali e,
successivamente, con il DPR 25 luglio 1991 (Modifiche dell’atto di indirizzo e
coordinamento in materia di emissioni poco significative e di attività a ridotto
inquinamento atmosferico emanato con d.p.c.m. in data 21 luglio 1989) con il
quale si sono, invece, tipizzate le attività per le quali le emissioni si
ritenevano poco significative - escludendole dal regime autorizzatorio -
laddove, invece, per quelle a ridotto inquinamento si prevedeva comunque la
necessità di un’autorizzazione regionale (Sez 3 rv 227181; 232657). Pres.
Vitalone - Est. Sarno - Ric. Alamprese. CORTE DI CASSAZIONE Penale Sez. III,
13 gennaio 2007 (Ud. 23/11/2006), Sentenza n. 456
Inquinamento atmosferico - Costruzione di nuovo impianto senza autorizzazione
- Permanenza del reato - Disciplina giuridica - Art. 24 cc. 1 e 2, D.P.R 203/88
- Vincolo della continuazione - Art. 10 comma 3 L. n. 151/2005. Il reato di
cui all’art. 24, D.P.R. 203/88 comma 1, “costruzione di nuovo impianto senza
autorizzazione”, è pacificamente ritenuto in giurisprudenza quale reato
permanente, la cui permanenza dura fino al rilascio della prescritta
autorizzazione, in quanto finalizzato alla tutela della qualità dell’aria e
l’autorizzazione costituisce mezzo di controllo preventivo sugli impianti
inquinanti onde verificare la tollerabilità delle emissioni e l’adozione di
appropriate misure di prevenzione dell’inquinamento atmosferico, così che il
reato permane finché il competente ente territoriale non abbia effettuato tale
controllo. Sulla natura del reato di cui all’art. 24, comma 2, “attivazione
dell’esercizio di nuovo impianto senza la preventiva comunicazione”, sussistono
valutazioni differenti sulla possibilità di ritenerlo a meno permanente. In ogni
caso, l’unificazione con il vincolo della continuazione di entrambi i reati ad
opera della decisione di primo grado comporta la medesima decorrenza per
entrambi i reati che, in assenza di altri elementi idonei a far venire meno la
permanenza, decorre dalla sentenza di primo grado stante il disposto dell’art.
10 comma 3 L. n. 151/2005. Pres. Vitalone - Est. Sarno - Ric. Alamprese.
CORTE DI CASSAZIONE Penale Sez. III, 13 gennaio 2007 (Ud. 23/11/2006), Sentenza
n. 456
Procedura e varie - Ricorso - Poteri della Corte di cassazione - “Rilettura”
degli elementi di fatto - Esclusione. Esula, dai poteri della Corte di
cassazione quello di una “rilettura” degli elementi di fatto posti a fondamento
della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di
merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione
di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze
processuali (Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997 Rv. 207944). Pres. Vitalone - Est.
Sarno - Ric. Alamprese. CORTE DI CASSAZIONE Penale Sez. III, 13/01/2007 (ud.
23/11/2006), Sentenza n. 456
Pubblica Udienza del 23.11.2006
SENTENZA N. 1886
REG. GENERALE n. 042514/2005
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
Composta dagli III. mi Signori:
dott. Vitalone Claudio Presidente
1. dott. Squassoni Claudia Consigliere
2. Dott. Gentile Mario Consigliere
3. Dott. Franco Amedeo
Consigliere
4. Dott. Sarno Giulio Consigliere
rel.
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
1) ALAMPRESE SERGIO n. il 15/04/1975 avverso la sentenza del 3/05/2005 TRIBUNALE DI MELFI
visti gli atti, la sentenza ed il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA la relazione fatta dal consigliere SARNO GIULIO
Udito il Procuratore Generale in persona del dott. Baglioni che ha concluso per l'inammissibilità del ricorso.
In data 3 maggio 2005 il Tribunale di Melfi condannava alla pena di euro 280 di
ammenda Alamprese Giorgio in quanto ritenuto responsabile del reato di cui
all’articolo 24 commi 1 e 2 DPR 203/88 per avere iniziato, in data antecedente e
prossima al 10 luglio 2002, in località Terre Nere la costruzione di un nuovo
impianto per la lavorazione della sanza suscettibile di provocare inquinamento
atmosferico ed avere attivato lo stesso impianto senza le prescritte
autorizzazioni e comunque senza averne dato preavviso alle autorità competenti.
Avverso tale decisione l’Alamprese ha proposto appello eccependo l’assoluta
infondatezza e non attribuibilità a lui dei fatti e dei reati contestati, oltre
alla insufficienza contraddittorietà ed illegittimità degli elementi probatori
raccolti per evidente vizio della motivazione.
Trattandosi di impugnazione relativa a sentenza di condanna alla sola pena
pecuniaria l’appello veniva convertito in ricorso per cassazione.
Motivi della decisione.
Il ricorso è inammissibile.
Nell’unico motivo di ricorso l’Alamprese concentra una serie di questioni che
attengono alla mancanza di prova in ordine al funzionamento dell’impianto ed
alla sua capacità inquinante in quanto accertata con metodologia non conforme
alle indicazioni del DM 12.7.1990; alla prescrizione del reato; alla mancanza di
avviso per l’attività di indagine.
Ciò posto la prima questione che nell’ordine logico occorre affrontare è quella
relativa alla necessità dell’autorizzazione per la costruzione dell’impianto e
per la sua attivazione.
Sul punto i rilievi del ricorrente si sostanziano: a) sull’effettivo
funzionamento dell’impianto asserendosi che lo stesso era solo in fase di prova
e b), come detto, sulla non conformità alle indicazioni del DM 12.7.1990 della
metodologia seguita.
a) Per quanto concerne il primo aspetto, il giudice di merito con motivazione
assolutamente corretta e priva di vizi logici esclude l’occasionalità
dell’esercizio dell’impianto affermando che la scelta di fermare l’impianto era
da attribuire unicamente alla circostanza che l’imputato, vistosi scoperto
dall’autorità, aveva fermato ogni attività.
Ed occorre anche ricordare che l’indagine di legittimità sul discorso
giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto, dovendo il
sindacato demandato alla Corte di cassazione essere limitato - per espressa
volontà del legislatore a riscontrare l’esistenza di un logico apparato
argomentativo sui vari punti della decisione impugnata, senza possibilità di
verificare l’adeguatezza delle argomentazioni di cui il giudice di merito si è
avvalso per sostanziare il suo convincimento, o la loro rispondenza alle
acquisizioni processuali. Esula, infatti, dai poteri della Corte di cassazione
quello di una “rilettura” degli elementi di fatto posti a fondamento della
decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di
merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione
di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze
processuali (Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997 Rv. 207944).
b) La seconda questione richiede a monte alcune puntualizzazioni.
Come questa Corte ha più volte affermato l’inquinamento atmosferico disciplinato
dal D.P.R. 24 maggio 1998 n. 203 non è limitato alla salubrità dell’aria ed al
controllo delle emissioni atmosferiche originate dai soli impianti qualificabili
quali industriali ai sensi dell’art. 2195 cod. civ., ma si estende a qualsiasi
impianto che può dare luogo ad emissioni nell’atmosfera, ai sensi dell’art. 1
del citato decreto n. 203. (da ultimo Sez. 3, n. 40944 del 30/09/2005 Rv.
232361).
Questa Sezione ha tuttavia più volte evidenziato che l’area di applicabilità del
DPR 203/88 dalla portata più ampia rispetto al contenuto della direttiva CE n.
84/360 di cui costituiva attuazione è stata ristretta dapprima con il d.p.c.m.
31.7.89 che faceva riferimento ai valori minimi fissati dalle linee guida
statali e, successivamente, con il DPR 25 luglio 1991 (Modifiche dell’atto di
indirizzo e coordinamento in materia di emissioni poco significative e di
attività a ridotto inquinamento atmosferico emanato con d.p.c.m. in data 21
luglio 1989) con il quale si sono, invece, tipizzate le attività per le quali le
emissioni si ritenevano poco significative - escludendole dal regime
autorizzatorio - laddove, invece, per quelle a ridotto inquinamento si prevedeva
comunque la necessità di un’autorizzazione regionale (Sez 3 rv 227181; 232657).
Decisivo si rivela pertanto, rispetto alla questione prospettata dal ricorrente
non già il metodo di accertamento della capacità inquinante dell’impianto, bensì
il rilievo che l’attività in esame non era comunque annoverabile tra le attività
“ad inquinamento atmosferico poco significativo” in quanto non espressamente
indicata nell’elencazione contenuta nel DPR 25 luglio 1991.
E ciò in quanto, anche a volerla ritenere riconducibile nel novero delle
attività a ridotto inquinamento atmosferico indicate nel D.P.R. 25 luglio 1991,
allegato 2, non si poteva comunque prescindere per la realizzazione
dell’impianto e per la sua attivazione dalla presentazione della domanda di
autorizzazione semplificata - il cui modello è determinato dalla Regione in base
al D.P.C.M. 21 luglio 1989, punto 26, e al D.P.R. 25 luglio 1991, allegato 2 - o
dalla comunicazione della volontà di avvalersi del provvedimento abilitativo
generale, adottabile, per tali tipologie di attività, dalla Regione, (D.P.R. 25
luglio 1991, art. 4, D.P.C.M. 21 luglio 1989 punto 19).
Né muta la situazione alla luce delle disposizioni contenute nel d. lgs 3.4.2006
n. 152.
Anche l’art. 269 comma 1 espressamente menziona, infatti, (cosi evitando anche i
rilievi che avevano in passato accompagnato la scelta di consentire in via
amministrativa la riduzione del campo di applicazione del d. lgs 203/88) i casi
in cui l’autorizzazione non è necessaria richiamando I’art. 267 comma 3 (secondo
cui l’autorizzazione integrata ambientale sostituisce l’autorizzazione alle
emissioni); i commi 14 (impianti di combustione e gruppi elettrogeni di limitata
potenza termica, impianti di combustione connessi all’attività di stoccaggio dei
prodotti petroliferi anch’essi di limitata potenza termica e funzionanti per
meno di 2000 ore annue, impianti di emergenza e di sicurezza, laboratori di
analisi e ricerca, impianti pilota per prove, ricerche, sperimentazioni,
individuazione di prototipi, purchè le emissioni non riguardino sostanze
cancerogene, tossiche, ecc.) e 16 (impianti di depositi di olii minerali) dello
stesso art. 269; ed, infine, 1’art. 272 comma 5 (che richiama gli impianti e le
attività elencati nella parte 1 dell’allegato IV alla parte quinta).
Inoltre l’art. 272 pur contemplando, al comma 2, la possibilità di
autorizzazioni generali per specifiche categorie di impianti, ne condiziona
tuttavia l’efficacia ad una domanda di adesione da parte del gestore degli
impianti.
Va anche aggiunto che superando le pregresse dispute circa l’ambito operativo
del D.P.R. n. 203 del 1988 l’art. 267 prevede l’applicazione delle nuove
disposizioni agli impianti ed alle attività che producono emissioni
nell’atmosfera, e il successivo art. 268 definisce impianto “il macchinario o il
sistema o l’insieme di macchinari o di sistemi costituito da una struttura fissa
e dotato di autonomia funzionale in quanto destinato ad una specifica attività”
così che attraverso la mancata riproposizione delle parole “che serva per usi
industriali o di pubblica utilità”, dimodochè l’ambito di applicazione risulta
sostanzialmente coincidente con l’elaborazione giurisprudenziale di questa
Corte.
Infondato è anche il rilievo relativo alla prescrizione dei reati.
Il reato di cui all’art. 24, comma 1, “costruzione di nuovo impianto senza
autorizzazione”, è pacificamente ritenuto in giurisprudenza quale reato
permanente, la cui permanenza dura fino al rilascio della prescritta
autorizzazione, in quanto finalizzato alla tutela della qualità dell’aria e
l’autorizzazione costituisce mezzo di controllo preventivo sugli impianti
inquinanti onde verificare la tollerabilità delle emissioni e l’adozione di
appropriate misure di prevenzione dell’inquinamento atmosferico, così che il
reato permane finché il competente ente territoriale non abbia effettuato tale
controllo.
Sulla natura del reato di cui all’art. 24, comma 2, “attivazione dell’esercizio
di nuovo impianto senza la preventiva comunicazione”, sussistono valutazioni
differenti sulla possibilità di ritenerlo a meno permanente.
In ogni caso, l’unificazione con il vincolo della continuazione di entrambi i
reati ad opera della decisione di primo grado comporta la medesima decorrenza
per entrambi i reati che, in assenza di altri elementi idonei a far venire meno
la permanenza, decorre dalla sentenza di primo grado stante il disposto
dell’art. 10 comma 3 L. n. 151/2005.
Assolutamente generico si appalesa infine il rilievo concernente l’omesso avviso
per attività d’indagine non venendo in alcun modo circostanziate le ragioni
della doglianza.
Alla declaratoria di inammissibilità consegue la condanna del ricorrente al
pagamento delle spese processuali e della somma di euro mille in favore della
Cassa delle Ammende.
PQM
La Corte Suprema di Cassazione
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro mille in favore della Cassa delle
Ammende.
Così deciso in Roma il 23.11.2006
Il Consigliere estensore Il Presidente
AmbienteDiritto.it - Rivista giuridica - Electronic Law Review - Tutti i diritti sono riservati - Copyright © - AmbienteDiritto.it
Testata
registrata presso il Tribunale di Patti Reg. n. 197 del 19/07/2006
Ritorna alle
MASSIME della sentenza - Approfondisci
con altre massime:
GIURISPRUDENZA -
Ricerca in:
LEGISLAZIONE - Ricerca
in:
DOTTRINA
www.AmbienteDiritto.it