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registrata presso il Tribunale di Patti Reg. n. 197 del 19/07/2006
RIFIUTI - CAVE - Attività di estrazione - Pulitura effettuata mediante
lavaggio - Condizioni - D. L.vo n. 152/2006 - D. L.vo n.22/1997. La
cosiddetta prima pulitura del materiale estratto dalla cava - la quale rientra
nella attività di estrazione latamente considerata e per tale ragione è
sottratta alla applicazione della disciplina sui rifiuti ai sensi dell'art. 8,
comma 1, lett. b), del d.Igs. 5 febbraio 1997, n. 22, ed ora dell'art. 185,
comma 1, lett. d), del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152 - non è costituita soltanto
dalla pulitura effettuata mediante grigliatura a secco o setacciatura, ma può
essere costituita anche dalla pulitura effettuata mediante lavaggio, con la
conseguenza che anche i rifiuti, ed in particolare i fanghi e limi, derivanti
dalla prima pulitura mediante lavaggio del materiale ricavato dallo sfruttamento
delle cave non rientrano nel campo di applicazione della parte quarta del d.lgs.
3 aprile 2006, n. 152. Fattispecie: sequestro preventivo, in riferimento al
reato di cui all'art. 51, terzo comma, d.lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, di due
vasche di decantazione riempite con limo. Pres. Papa - Est. Franco - Ric. Doneda.
CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. III, 8 febbraio 2007 (c.c. 11/10/2006),
Sentenza n. 5315
RIFIUTI - CAVE - Rifiuti risultanti dalla prospezione, dall'estrazione, dal
trattamento, dall'ammasso di risorse minerali o dallo sfruttamento delle cave -
Prima pulitura del materiale estratto - Lavaggio - Disciplina applicabile - Art.
185, c. 1, lett. d), d.lgs. n. 152/2006. La «prima pulitura» del materiale
estratto, necessaria per separare il materiale commerciale, non necessariamente
deve avvenire esclusivamente mediante setacciatura o grigliatura, quando
necessità tecniche lo richiedano o lo rendano opportuno, può avvenire mediante
lavaggio. L'art. 185, comma 1, lett. d), del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152,
dispone che «Non rientrano nel campo di applicazione della parte quarta del
presente decreto:.... d) i rifiuti risultanti dalla prospezione,
dall'estrazione, dal trattamento, dall'ammasso di risorse minerali o dallo
sfruttamento delle cave». Pres. Papa - Est. Franco - Ric. Doneda. CORTE DI
CASSAZIONE PENALE Sez. III, 8 febbraio 2007 (c.c. 11/10/2006), Sentenza n. 5315
RIFIUTI - CAVE - Materiali derivanti dallo sfruttamento delle cave - Inerti
provenienti dalla cava - Smaltimento, ammasso, deposito e discarica - Disciplina
generale sui rifiuti. I materiali derivanti dallo sfruttamento delle cave
quando restano entro il ciclo produttivo della estrazione e connessa pulitura,
sono esclusi dalla normativa sui rifiuti, mentre, poiché l'attività di
sfruttamento della cava non può confondersi con la lavorazione successiva dei
materiali, se si esula dal ciclo estrattivo, gli inerti provenienti dalla cava
sono da considerarsi rifiuti ed il loro smaltimento, ammasso, deposito e
discarica è regolato dalla disciplina generale (Sez. III, 28 novembre 2005, n.
42966, Viti, m. 232.243; contra: Cass. Sez. III, 29/10/2002, Sentenza n. 42949,
Totaro). Pres. Papa - Est. Franco - Ric. Doneda. CORTE DI CASSAZIONE PENALE
Sez. III, 8 febbraio 2007 (c.c. 11/10/2006), Sentenza n. 5315
RIFIUTI - CAVE - Artt. 183 (sottoprodotti) e 186 terre e rocce da scavo e
residui della lavorazione della pietra - Rifiuti - Ambito di esclusione -
Disciplina vigente - D. lgs. n. 152/2006. Il d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152
art. 186 (nel quale è stata trasfusa la disposizione già contenuta nell'art. 8,
comma 1, lett. f bis), del d.lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, introdotta dall'art.
10, comma 1, della l. 23 marzo 2001, n. 93, ed interpretata dall'art. 1, comma
17, della legge 21 dicembre 2001, n. 443), stabilisce ora che «le terre e rocce
da scavo anche di gallerie, ed i residui della lavorazione della pietra
destinate all'effettivo utilizzo per reinterri, riempimenti, rilevati e macinati
non costituiscono rifiuti e sono, perciò, esclusi dall'ambito di applicazione
della parte quarta del presente decreto sola nel caso in cui, anche quando
contaminati, durante il ciclo produttivo, da sostanze inquinanti derivanti dalle
attività di escavazione, perforazione e costruzione siano utilizzati, senza
trasformazioni preliminari, secondo le modalità previste nel progetto sottoposto
a valutazione di impatto ambientale ovvero, qualora il progetto non sia
sottoposto a valutazione di impatto ambientale, secondo le modalità previste nel
progetto approvato dall'autorità amministrativa competente, ove ciò sia
espressamente previsto, previo parere delle Agenzie regionali e delle province
autonome per la protezione dell'ambiente, semprechè la composizione media
dell'intera massa non presenti una concentrazione di inquinanti superiore ai
limiti massimi previsti dalle norme vigenti e dal decreto di cui al comma 3»
(comma 1), mentre il comma 2 precisa che «ai fini del presente articolo, le
opere il cui progetto è sottoposto a valutazione di impatto ambientale
costituiscono unico ciclo produttivo, anche qualora i materiali di cui al comma
1 siano destinati a differenti utilizzi, a condizione che tali utilizzi siano
tutti progettualmente previsti», ed il comma 5 puntualizza, a sua volta, che
«per i materiali di cui al comma 1 si intende per effettivo utilizzo per
reinterri, riempimenti, rilevati e macinati anche la destinazione
progettualmente prevista a differenti cicli di produzione industriale, nonché il
riempimento delle cave coltivate oppure la ricollocazione in altro sito, a
qualsiasi titolo autorizzata dall'autorità amministrativa competente, qualora
ciò sia espressamente previsto, previo, ove il relativo progetto non sia
sottoposto a valutazione di impatto ambientale, parere delle Agenzie regionali e
delle province autonome per la protezione dell'ambiente, a condizione che siano
rispettati i limiti di cui al comma 3 e la ricollocazione sia effettuata secondo
modalità progettuali di rimodellazione ambientale del territorio interessato» .Pres.
Papa - Est. Franco - Ric. Doneda. CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. III, 8
febbraio 2007 (c.c. 11/10/2006), Sentenza n. 5315
Camera di consiglio dell' 11.10.2006
SENTENZA N. 966
REG. GENERALE n. 24759/2006
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
Composta dagli III. mi Signori
Omissis
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da Doneda Claudio;
avverso l'ordinanza emessa il 12 aprile 2006 dal tribunale di Bergamo, quale
giudice del riesame;
udita nella udienza in camera di consiglio dell'11 ottobre 2006 la
relazione fatta dal Consigliere Amedeo Franco;
udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore Generale dott.
Gioacchino Izzo, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udito il difensore avv. Renato Borzone;
Svolgimento del processo
Con l'ordinanza in epigrafe il tribunale di Bergamo, quale giudice del riesame,
confermò il decreto emesso il 6 aprile 2006 dal giudice per le indagini
preliminari del tribunale di Bergamo, che aveva disposto il sequestro
preventivo, in riferimento al reato di cui all'art. 51, terzo comma, d.lgs. 5
febbraio 1997, n. 22, di due vasche di decantazione riempite con limo.
Osservò il tribunale che il fango in questione costituiva il residuo del
lavaggio del materiale estratto dalla cava e quindi costituiva un rifiuto perché
l'art. 8, lett. b), del d.lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, riguarda i rifiuti
provenienti dallo sfruttamento della cava, ossia dalla attività estrattiva,
nella quale non è compresa anche la attività successiva all'estrazione, oltre la
prima setacciatura (che consente di separare il materiale
commerciale da quello non commerciale). Nella specie si trattava invece di un
lavaggio del materiale estratto e quindi non di semplice
setacciatura, il che significa che del materiale estratto veniva eseguita una
lavorazione successiva all'estrazione. Lo scarto di questa lavorazione
costituisce quindi rifiuto speciale. Osservò poi il tribunale che non vi era
prova che il riempimento delle vasche con il limo costituisse riutilizzo dello
stesso per il recupero ambientale della cava né che il limo venisse riversato
proprio nelle zone escavate al fine di riempirle e che le vasche sequestrate
costituissero zone previamente escavate nell'ambito della attività estrattiva e
poi recuperate ambientalmente mediante il loro riempimento con il limo. Nemmeno
vi era prova che questa attività di recupero ambientale costituisse
riutilizzo nel ciclo produttivo della cava, giacché il ripristino
ambientale esula dal ciclo produttivo della cava, né vi era prova della
incompatibilità tra l'attività di recupero ambientale e la gestione di una
discarica autorizzata.
L'indagato propone ricorso per cassazione deducendo:
a) immediata declaratoria di non punibilità ex art. 129 cod. proc. pen. per
sopravvenuta abrogazione dell'art. 51 d. lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, senza che
il fatto sia previsto come reato dalla nuova normativa. Osserva che l'art.
183, primo comma, lett. n), del d. 1gs. 152/2006 ha introdotto il concetto
di «sottoprodotto», non soggetto alle disposizioni sui rifiuti ove del
sottoprodotto l'impresa non si disfi, non sia obbligata a disfarsi e non abbia
deciso di disfarsi, ed in particolare il sottoprodotto venga impiegato
direttamente dall'impresa che lo produce, senza necessità di trasformazioni
preliminari, in un successivo processo produttivo. Si tratta di ciò che avviene
nella specie, perché l'impresa utilizza i limi, prodotti dal lavaggio degli
inerti estratti dalla cava, una volta decantati ed asciugati, per utilizzarli ai
fini di recupero della cava stessa.
Ricorda altresì che l'art. 186, primo comma, d.lgs. 152/2006 dispone che
le terre e rocce da scavo ed i residui della lavorazione della pietra destinate
all'effettivo riutilizzo per reinterri e riempimenti non costituiscono rifiuti
nel caso in cui siano utilizzati senza trasformazioni preliminari secondo le
modalità previste nel progetto approvato e sempre che la composizione media non
sia inquinata oltre i limiti previsti. Nella specie non è mai stato contestato
che i limi in questione contengano sostanze inquinanti e superino i valori
previsti. Il comma 5 del medesimo art. 182, dispone poi che per i
materiali in questione si intende per effettivo utilizzo per reinterri e
riempimenti anche il riempimento di cave coltivate, e cioè appunto l'attività
cui i predetti limi sono destinati ed in concreto utilizzati, conformemente alle
previsioni delle convenzioni per il recupero ambientale.
L'affermazione della ordinanza impugnata secondo cui l'attività di recupero
ambientale non sarebbe provata, è poi smentita dal fatto che una delle due
vasche sequestrate, in quanto già riempita, è chiusa e ricoperta con terra
nell'area già assoggettata ad escavazione. Le vasche hanno infatti una durata
connessa al loro riempimento e vengono sostituite da nuove vasche attigue.
E' poi erronea la nozione di «prima pulitura» - secondo cui essa avverrebbe solo
mediante grigliatura a secco e non mediante lavaggio - utilizzata dal tribunale
per escludere che i limi risultanti dal lavaggio siano il risultato dello
«sfruttamento delle cave», che l'art. 8, lett. b), d.lgs. 5 febbraio 1997, n.
22, esclude dal regime dei rifiuti. I frutti della attività di escavazione non
sono menzionati dall'attuale art. 185, che delimita il campo di applicazione
della normativa sui rifiuti e sostituisce l'art. 8, ma sono assoggettati alla
apposita normativa dell'art. 186.
b) inosservanza dell'art. 125, terzo comma, cod. proc. pen. per omesso esame ed
omessa motivazione circa una causa di non punibilità, e conseguente erronea
applicazione dell'art. 14, comma 2, d.l. 138/2002, convertito nella l.
178/2002. Lamenta che l'ordinanza impugnata non ha speso neppure una parola
sul rigetto dei due motivi illustrati in udienza e risultanti dal relativo
verbale. Si tratta di una assoluta mancanza di motivazione deducibile in questa
sede. La citata disposizione, invero, prevede che non ricorre la fattispecie di
cui alle lett. b) e c) del primo comma (casi in cui il soggetto abbia deciso o
abbia l'obbligo di disfarsi della sostanza) per materiali e sostanze residuali
di produzione e consunto se gli stessi possono essere e sono effettivamente
riutilizzati nel medesimo o in diverso ciclo produttivo senza subire alcun
intervento di trattamento e senza recare pregiudizio all'ambiente, ovvero dopo
aver subito un trattamento preventivo senza alcuna operazione di recupero tra
quelle di cui all'allegato C. Sulla base di questa norma di interpretazione
autentica i limi in questione, in quanto riutilizzati nel ciclo produttivo
relativo al recupero della cava, senza trattamento e senza pregiudizio per
l'ambiente, non costituiscono rifiuto.
c) inosservanza dell'art. 125, terzo comma, cod. proc. pen. per omesse esame ed
omessa motivazione circa l'errore inevitabile, e conseguente erronea
applicazione dell'art. 5 cod. pen. Lamenta che il tribunale del riesame non ha
risposto alla eccezione di errore scusabile perché l'attività in questione è
soggetta alla disciplina di cui alla legge regionale lombarda n. 14/1998, il cui
art, 15 regola non solo l'attività di escavazione ma anche le opere di riassetto
ambientale. Il recupero della cava mediante le vasche di decantazione. quindi, é
soggetto sia a questa normativa, sia (secondo la tesi accusatoria) alla
disciplina sui rifiuti, sia alle norme tecniche per le costruzioni, che per il
materiale in questione rinviano alle norme europee e nazionali, che per le
ghiaie per calcestruzzo prescrivono rigorosi limiti di ammissibilità di polveri,
che possono essere ottenuti solo con lavaggio delle ghiaie e conseguente
produzione di limo. Tale complesso di norme, difficilmente conciliabili tra
loro, configura sicuramente una ignoranza inevitabile, e quindi scusabile.
Motivi dello decisione
Rileva il Collegio come il punto preliminare e principale per la soluzione della
questione sottoposta al suo giudizio sia stabilire se il concreto caso in esame
rientri o meno nella fattispecie prevista e disciplinata dalla disposizione di
cui all'art. 8, comma 1, lett. b), del d. lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, ora
trasfusa nell'art. 185, comma 1, lett. d), del d. lgs. 3 aprile 2006, n. 152
(recante Norme in materia ambientale).
Disponeva, invero, l'art. 8, comma 1, lett. b), del d.lgs. 5 febbraio 1997, n.
22, che «Sono esclusi dal campo di applicazione del presente decreto
.., in quanto disciplinati da specifiche disposizioni di legge: ... b) i
rifiuti risultanti dalla prospezione, dall'estrazione, dal
trattamento, dall'ammasso di risorse minerali o dallo sfruttamento delle
cave».
Dispone ora l'art. 185, comma 1, lett. d), del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152,
che «Non rientrano nel campo di applicazione della parte quarta del presente
decreto:.... d) i rifiuti risultanti dalla prospezione, dall'estrazione, dal
trattamento, dall'ammasso di risorse minerali o dallo sfruttamento delle
cave».
Si tratta quindi di stabilire se, nella concreta fattispecie in esame, i limi
provenienti dal primo lavaggio del materiale estratto dalla cava costituiscano o
meno «rifiuti risultanti dallo sfruttamento della cava» stessa e, quindi, in
quanto tali, non soggetti alle norme generali in materia di smaltimento di
rifiuti ma alle norme speciali in materia di miniere, cave e torbiere.
L'ordinanza impugnata ha, in via astratta e generale, ritenuto che i «rifiuti
risultanti dallo sfruttamento delle cave» sono i rifiuti provenienti dalla
attività estrattiva, nella quale potrebbe rientrare esclusivamente la c.d.
prima setacciatura, ossia l'attività che consente di separare il materiale
commerciale da quello non commerciale, e non anche l'attività di lavaggio
del materiale estratto, la quale invece sarebbe funzionalmente diversa dalla
prima setacciatura e non rientrerebbe quindi nella attività estrattiva, ma
sarebbe estranea e successiva alla estrazione. Sulla base di questo assunto il
tribunale del riesame ha ritenuto che, nel caso in esame, i limi risultanti
dalla attività di lavaggio del materiale estratto dalla cava non potrebbero
comunque rientrare tra i rifiuti esclusi dalla disciplina generale sui rifiuti
ai sensi delle disposizioni dianzi citate.
Si tratta però di un assunto che non può essere condiviso in quanto
effettivamente non si vede la ragione per la quale la «prima pulitura»
del materiale estratto, necessaria per separare il materiale commerciale, debba
avvenire esclusivamente mediante setacciatura o grigliatura e non possa
invece avvenire, quando necessità tecniche lo richiedano o lo rendano opportuno,
mediante lavaggio, il quale quindi non rientrerebbe mai nella prima
pulitura del materiale estratto bensì costituirebbe, a differenza della
setacciatura o grigliatura, attività ontologicamente successiva alla estrazione
vera e propria.
E' vero che, a sostegno di questo assunto, la ordinanza impugnata ha richiamato
una decisione di questa sezione, e precisamente la sent. 29 ottobre 2002, n.
42949, Totaro, m. 222.968. Sennonché, a ben vedere, si tratta di una decisione
che non è adattabile al caso in esame, perché essa riguardava non già i fanghi
provenienti dal primo lavaggio del materiale estratto dalla cava, bensì «il
materiale fangoso proveniente dall'impianto di lavaggio di materiali inerti
della ... ditta .... derivanti dall'attività di demolizione della cava» (si veda
la motivazione e non la sola massima). In ogni caso, quand'anche questa
decisione avesse affermato il principio che anche i fanghi provenienti dal primo
lavaggio del materiale estratto dalla cava non rientrano nella esclusione di cui
all'art. 8, comma 1, lett. b), d.lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, si tratterebbe di
un orientamento che il Collegio ritiene che non possa essere seguito perché
ormai superato da un più recente e motivato orientamento (relativo proprio a
fanghi derivanti dal lavaggio di materiali di cava), che qui deve essere
confermato, secondo il quale i materiali derivanti dallo sfruttamento delle cave
quando restano entro il ciclo produttivo della estrazione e connessa
pulitura, sono esclusi dalla normativa sui rifiuti, mentre, poiché
l'attività di sfruttamento della cava non può confondersi con la lavorazione
successiva dei materiali, se si esula dal ciclo estrattivo, gli inerti
provenienti dalla cava sono da considerarsi rifiuti ed il loro smaltimento,
ammasso, deposito e discarica è regolato dalla disciplina generale (Sez. III, 28
novembre 2005, n. 42966, Viti, m. 232.243).
In particolare, questa decisione, dopo aver premesso che la norma «contenuta
nell'art. 8, sub h, d.l.vo 22/1997 (ripetitiva della formula indicata dall'art. 2
c. 7 lett. b della direttiva 75/442 CEE ...) ... deve essere letta secondo una
interpretazione di stretto diritto trattandosi di una eccezione alla regola
generale sulla gestione dei rifiuti», ha affermato che «il termine
"sfruttamento" deve essere inteso come estrazione del materiale di cava da
considerarsi, secondo il codice civile (art. 820 c.c.), un frutto naturale della
stessa; le espressioni "trattamento ed ammasso" devono essere collegate alle
"risorse naturali" e non alla intera attività conseguente allo sfruttamento
della cava (Cass. Sezione terza sentenza 9333/1996). Pertanto, la deroga in
oggetto è limitata ai prodotti derivanti dalla attività estrattiva i quali
restano disciplinati dalle leggi speciali in materia di miniere, cave e
torbiere. Più precisamente, sono esclusi dalla normativa del DPR 22/1997 solo i
materiali derivati dallo sfruttamento delle cave quando restino entro il ciclo
produttivo della estrazione e connessa pulitura l'attività di sfruttamento della
cava non può confondersi con la lavorazione successiva dei materiali. Se si
esula dal ciclo estrattivo, gli inerti provenienti dalla cava sono da
considerarsi rifiuti ed il loro smaltimento ammasso, deposito e discarica é
regolato dalla disciplina generale (Cass. Sezione terza sentenza 11538/1994). In
base a tali principi, la Corte ritiene che i fanghi per cui è processo
rientrino nella ricordata deroga in guanto provenienti dalla prima pulitura
connessa alla attività estrattiva ... e, di conseguenza, derivano
direttamente dallo sfruttamento della cava e non da diversa e successiva
lavorazione delle materie prime. Tale conclusione è confortata dalla
normativa con la quale è stata ulteriormente integrata la disciplina in materia;
la l. 93/2001 ha aggiunto all'art. 8 una nuova disposizione sotto la lettera f
bis (che esclude dalla applicazione del D.L.vo 22/1997 'le terre e le rocce da
scavo destinate all'effettivo riutilizzo per reinterri, riempimenti, rilevati e
macinati con esclusione di materiali provenienti da siti inquinati e da
bonifiche con concentrazione di inquinanti superiore ai limiti di accettabilità
stabiliti dalle norme vigenti"). Nel caso concreto, il Tribunale ha dato atto
... che il materiale in oggetto non proveniva da siti inquinati e del suo
comprovato riutilizzo; tale nozione (per interpretazione autentica effettuata
con l'art. 1 c, 19 L. 443/2001) comprende il riempimento delle cave coltivate.
In conclusione, deve ritenersi errata l'interpretazione adottata dalla ordinanza
impugnata secondo la quale la prima pulitura, rientrante nell'ambito della
attività estrattiva vera e propria, comprenderebbe soltanto la prima
setacciatura e la prima grigliatura a secco, e non anche la prima pulitura
effettuata mediante lavaggio del materiale estratto, la quale invece
costituirebbe attività diversa e successiva, non rientrante quindi nello
sfruttamento della cava.
Al contrario, deve ribadirsi il
principio già contenuto nella sentenza ricordata, secondo cui la cosiddetta
prima pulitura del materiale estratto dalla cava - la quale rientra
nella attività di estrazione latamente considerata e per tale ragione è
sottratta alla applicazione della disciplina sui rifiuti ai sensi dell'art. 8,
comma 1, lett. b), del d.Igs. 5 febbraio 1997, n. 22, ed ora dell'art. 185,
comma 1, lett. d), del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152 - non è costituita soltanto
dalla pulitura effettuata mediante grigliatura a secco o setacciatura, ma può
essere costituita anche dalla pulitura effettuata mediante lavaggio, con la
conseguenza che anche i rifiuti, ed in particolare i fanghi e limi, derivanti
dalla prima pulitura mediante lavaggio del materiale ricavato dallo sfruttamento
delle cave non rientrano nel campo di applicazione della parte quarta del d.lgs.
3 aprile 2006, n. 152.
Essendo partito dalla suddetta erronea interpretazione della normativa vigente,
il tribunale del riesame ha omesso di esaminare se, nel concreto caso di specie,
i limi costituissero effettivamente il materiale fangoso derivante dalla prima
pulitura del materiale estratto dalla cava ovvero rappresentassero il risultato
di una differente attività di pulizia e lavaggio, successiva alla prima pulitura
e diretta ad una funzione differente, e come tale ontologicamente diversa e
successiva alla attività di estrazione del materiale e di sfruttamento della
cava. In quest'ultimo caso, invero, dovrebbe applicarsi il principio, pure
affermato dalla ricordata decisione, secondo cui, quando si esula dal ciclo
produttivo e di sfruttamento della cava, i rifiuti derivanti dalla lavorazione
successiva dei materiali estratti non rientrano più nell'ambito delle esclusioni
stabilite dalla disposizioni richiamate, e quindi il loro smaltimento, ammasso,
deposito e discarica è regolato dalla disciplina generale.
Ritiene quindi il Collegio che la ordinanza impugnata debba comunque essere
annullata con rinvio perché il tribunale del riesame accerti se, come sostiene
la difesa, i fanghi in questione derivino effettivamente dalla prima pulitura
del materiale estratto ovvero si tratti del risultato di una lavorazione diversa
e successiva alla prima pulitura.
Tutte le questioni relative alla applicabilità delle disposizioni di cui agli
artt. 183 (sottoprodotti) e 186 (terre e rocce da scavo e residui della
lavorazione della pietra) d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, restano quindi
assorbite. E' forse solo opportuno precisare, sotto quest'ultimo profilo, che il
citato art. 186 d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152 (nel quale è stata trasfusa la
disposizione già contenuta nell'art. 8, comma 1, lett. f bis), del d.lgs. 5
febbraio 1997, n. 22, introdotta dall'art. 10, comma 1, della l. 23 marzo 2001,
n. 93, ed interpretata dall'art. 1, comma 17, della legge 21 dicembre 2001, n.
443), stabilisce ora che «le terre e rocce da scavo anche di
gallerie, ed i residui della lavorazione della pietra destinate all'effettivo
utilizzo per reinterri, riempimenti, rilevati e macinati non
costituiscono rifiuti e sono, perciò, esclusi dall'ambito di applicazione della
parte quarta del presente decreto sola nel caso in cui, anche quando
contaminati, durante il ciclo produttivo, da sostanze inquinanti derivanti dalle
attività di escavazione, perforazione e costruzione siano utilizzati,
senza trasformazioni preliminari, secondo le modalità previste nel progetto
sottoposto a valutazione di impatto ambientale ovvero, qualora il progetto non
sia sottoposto a valutazione di impatto ambientale, secondo le modalità previste
nel progetto approvato dall'autorità amministrativa competente, ove ciò sia
espressamente previsto, previo parere delle Agenzie regionali e delle province
autonome per la protezione dell'ambiente, semprechè la composizione media
dell'intera massa non presenti una concentrazione di inquinanti superiore ai
limiti massimi previsti dalle norme vigenti e dal decreto di cui al comma 3»
(comma 1), mentre il comma 2 precisa che «ai fini del presente articolo, le
opere il cui progetto è sottoposto a valutazione di impatto ambientale
costituiscono unico ciclo produttivo, anche qualora i materiali di cui al comma
1 siano destinati a differenti utilizzi, a condizione che tali utilizzi siano
tutti progettualmente previsti», ed il comma 5 puntualizza, a sua volta, che
«per i materiali di cui al comma 1 si intende per effettivo utilizzo per
reinterri, riempimenti, rilevati e macinati anche la destinazione
progettualmente prevista a differenti cicli di produzione industriale, nonché il
riempimento delle cave coltivate oppure la ricollocazione in altro sito,
a qualsiasi titolo autorizzata dall'autorità amministrativa competente, qualora
ciò sia espressamente previsto, previo, ove il relativo progetto non sia
sottoposto a valutazione di impatto ambientale, parere delle Agenzie regionali e
delle province autonome per la protezione dell'ambiente, a condizione che siano
rispettati i limiti di cui al comma 3 e la ricollocazione sia effettuata secondo
modalità progettuali di rimodellazione ambientale del territorio interessato».
A questo proposito l'ordinanza impugnata, pur avendo fatto riferimento alle
norme precedentemente vigenti, ha affermato che non vi sarebbe prova che il limo
in questione venga ricollocato proprio nella vasche escavate al fine di
riempirle, anziché in vasche appositamente create per lo stoccaggio del limo.
Sennonché, a parte il fatto che l'eventuale ricollocazione in altro sito non
escluderebbe ora la possibilità che sia egualmente configurabile un effettivo
riutilizzo ai sensi del comma 5 del citato art. 186, va osservato, da un lato,
che si tratta di una motivazione meramente apparente ed apodittica, e quindi
inesistente, dal momento che non viene spiegato per quale ragione nel caso
concreto il deposito dei limi in vasche (di cui una già chiusa e ricoperta con
terra) che comunque si trovavano nell'area assoggettata ad escavazione non
costituirebbe attività di riempimento della cava, e, dall'altro lato, che non è
stato indicato nessun elemento da cui poter presumere una effettiva destinazione
del limo a diversa utilizzazione.
Quanto poi ai dubbi che l'ordinanza impugnata esprime circa il fatto che i
fanghi siano riutilizzati nel ciclo produttivo della cava, va anche qui
rilevato, da un lato, che se il ripristino della cava costituisce una condizione
necessaria posta dalla competente autorità amministrativa per lo sfruttamento
della cava stessa, non può escludersi che il suo riempimento costituisca una
fase del ciclo produttivo relativo al suo sfruttamento, e, da un altro lato, che
la questione deve comunque essere riesaminata alla luce dei commi 2 e 5 del
citato art. 186.
Non si comprende facilmente infine il significato della frase contenuta nella
ordinanza impugnata secondo cui l'attività di recupero ambientale attraverso il
riempimento con il limo non sarebbe di per sé incompatibile con la gestione di
una discarica autorizzata, giacché ciò che rileva non è la compatibilità -
ovviamente in astratto sempre sussistente - tra il riempimento e la presenza di
una autorizzazione alla gestione di una discarica, bensì l'applicabilità delle
disposizioni legislative dianzi richiamate e quindi, appunto, la sussistenza o
meno dell'obbligo di richiedere tale autorizzazione.
L'ordinanza impugnata deve pertanto essere annullata con rinvio per nuovo esame
al tribunale del riesame di Bergamo, mentre gli altri motivi di ricorso restano
assorbiti.
Per questi motivi
La Corte Suprema di Cassazione
annulla l'ordinanza impugnata con rinvio al tribunale di Bergamo.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte Suprema di Cassazione, l' 11 ottobre
2006,
L' estensore
Il presidente
Amedeo Franco
Enrico Papa
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