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Testata registrata presso il Tribunale di Patti Reg. n. 197 del 19/07/2006

CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. III, 28 Febbraio 2007 (Ud. 28/11/2006), Sentenza n. 8403



INQUINAMENTO IDRICO - ACQUE - AGRICOLTURA - Impresa agricola - Assimilabilità alle acque reflue domestiche dei reflui di allevamento - Disciplina vigente - Art. 101, 7° c. - lett. b), D.Lgs. n. 152/2006. La disciplina attuale, in materia di acque reflue domestiche dei reflui di allevamento, è posta dall'art. 101, 7° comma - lett. b), del D.Lgs. 3.4.2006, n. 152 (testo normativo che ha espressamente abrogato il D.Lgs. n. 152/1999, come modificato dal D.Lgs. n. 258/2000), che assimila alle "acque reflue domestiche" quelle provenienti da "imprese dedite ad allevamento di bestiame che, per quanto riguarda gli effluenti di allevamento, praticano l'utilizzazione agronomica in conformità alla disciplina regionale stabilita sulla base dei criteri e delle norme tecniche generali di cui all'art. 112, comma 2, e che dispongono di almeno un ettaro di terreno agricolo per ognuna delle quantità indicate nella Tabella 6 dell'Allegato 5 alla parte terza del presente decreto". In detta Tabella viene fissato il "peso vivo medio corrispondente ad una produzione di 340 kg. di azoto per anno, al netto delle perdite di rimozione e stoccaggio" e detto peso, per gli ovicaprini, viene determinato in tonnellate 3,4. Pertanto, l'assimilabilità alle acque reflue domestiche dei reflui di allevamento è ammissibile solo nel caso in cui si verifichino tutte le condizioni previste dall'articolo 101, comma settimo, lettera B) D.Lv. 152/2006. Pres. De Maio - Est. Fiale - Ric. Palazzolo. CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. III, 28 febbraio 2007 (Ud. 28/11/2006), Sentenza n. 8403



Pubblica Udienza del 28.11.2006
SENTENZA N. 1906
REG. GENERALE n. 8539/2006


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE


Composta dagli III. mi Signori

1. Dott. Guido De Maio                                           Presidente
2. Dott. Alfredo Teresi                                            Componente
3. Dott. Aldo Fiale                                                 Componente
4. Dott. Margherita Marmo                                      Componente
5. Dott. Maria Silvia Sensini                                    Componente

ha pronunciato la seguente


SENTENZA


sul ricorso proposto da:


PALAZZOLO Filippo, nato a San Giuseppe Jato (PA) l' 8.2.1960

avverso la sentenza 24.2.2005 del Tribunale di Palermo - Sezione distaccata Monreale

Visti gli atti, la sentenza impugnata ed il ricorso

Udita, in pubblica udienza, la relazione fatta dal Consigliere dr. Aldo Fiale

Udito il Pubblico Ministero, in persona del dr. Giovani D'Angelo, il quale ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.


SVOLGIMENTO DEL PROCESSO


Il Tribunale di Palermo - Sezione distaccata di Monreale, con sentenza del 24.2.2005, affermava la responsabilità penale di Palazzolo Filippo in ordine al reato di cui:


- all'art. 59 D.Lgs. n. 152/1999 (per avere - quale titolare di un allevamento di ovini - effettuato scarichi non autorizzati nel sottosuolo dei reflui prodotti - acc. in Monreale, fino al 24.6.2002) e la condannava alla pena di euro 1.100,00 di ammenda.


Avverso tale sentenza ha proposto ricorso il Palazzolo, il quale - sotto i profili della violazione di legge e del vizio della motivazione - ha eccepito:


- che un'esatta qualificazione, in termini di attività agricola piuttosto che produttiva, dell'allevamento di ovini da lui gestito avrebbe dovuto condurre ad escludere ogni equiparazione alle c.d. acque reflue industriali degli scarichi provenienti dallo stesso, assimilabili, invece, alle "acque reflue domestiche";


- la mancata specificazione degli elementi considerati ostativi alla concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena.


MOTIVI DELLA DECISIONE


ricorso deve essere rigettato, perché infondato.


1. in relazione al contestato reato di scarico di reflui non autorizzato, deve porsi in rilievo che:


a) Nella vigenza della legge 10.5.1976, n. 319 - tenuto conto che, in seguito dell' entrata in vigore del D.L. 17.3.1995, n. 79, convertito nella legge 17.5.1995, n. 172, l'apertura o la effettuazione di scarichi civili sul suolo a nel sottosuolo senza la prescritta autorizzazione non costituiva più reato e che, in forza di quanta stabilito dall'ultimo comma dell'art. 1 quarter del D.L. 10.8.1976, n. 544, convertito con modificazioni nella legge 8.10.1976, n. 690, le imprese agricole di cui all'art. 2135 cod. civ. erano considerate insediamenti civili - la giurisprudenza di questa Corte Suprema era costantemente orientata nel senso che l'allevamento di bestiame non costituisse espressione dell'impresa agricola (legislativamente considerata insediamento civile) ma rientrasse nella nozione di insediamento produttivo quando nel rapporto terra-animali, con riferimento alla previsione dell'art. 2135, 2° comma, cod. civ., non fosse la prima ad avere ruolo e funzione preponderanti.


Per aversi impresa agricola (e conseguentemente insediamento civile) era ritenuta essenziale, dunque, la "connessione funzionale dell'allevamento con la coltivazione della terra" e, tra i criteri di individuazione di tale connessione, si faceva riferimento a quelli (del rapporto tra spazio disponibile e numero dei capi di bestiame; della proporzione tra il terreno coltivato ed il peso vivo degli animali allevati; della destinazione all'allevamento dei due terzi del prodotto strettamente agricolo del fondo) indicati dalla delibera 8.5.1980 del Comitato interministeriale di cui all'art. 3 della medesima legge n. 319/1976.


Veniva altresì affermato che tali criteri costituivano, comunque, parametri non esclusivi di riferimento, rimanendo fondamentale - per determinare la natura agricola dell'allevamento di bestiame - la prevalenza dell'attività di coltivazione della terra e la complementarietà ad essa funzionale dell'allevamento (che non doveva rappresentare, in sostanza l'attività, principale).


b) Il D.Lgs. 11.5.1999, n. 152 (che abrogò espressamente le leggi n. 319/1976, n. 690/1976 e n. 172/1995) ha sostituito - come è noto la distinzione tra insediamenti produttivi e civili (che presupponeva una diversa qualità delle acque di scarico in relazione alla provenienza) con quella tra:


- "acque reflue industriali"', nozione ricomprendente "qualsiasi tipo di scarico di acque reflue scaricate da edifici in cui si svolgono attività commerciali e industriali, diverse dalle acque reflue domestiche e dalle acque meteoriche di dilavamento"


- ed "acque reflue domestiche o di reti fognarie" (per le quali è stata esclusa la sanzione penale in mancanza dell'autorizzazione), intendendosi per "acque reflue domestiche" quelle "provenienti da insediamenti di tipo residenziale e da servizi e derivanti prevalentemente dal metabolismo umano e da attività domestiche".


Si è passati, dunque, dalla precedente distinzione di disciplina per tipi di insediamento ad una distinzione per tipi di acque di scarico.


Quanto alle imprese agricole, il 7° comma dell'art. 28 del D.Lgs. n. 152/1999, nella sua formulazione originaria fatto salvo quanto previsto dal successivo art. 38 (in materia di utilizzazione agronomica degli effluenti di allevamento zootecnico) e dalle diverse normative regionali - assimilava alle "acque reflue domestiche" quelle provenienti da "imprese dedite all'allevamento di bestiame che dispongono di almeno un ettaro di terreno agricolo funzionalmente connesso con le attività di allevamento e di coltivazione del fondo, per ogni 340 chilogrammi di azoto presente negli effluenti di allevamento al netto delle perdite di stoccaggio e distribuzione" (lett. b).


c) Il  7° comma dell'art. 28 del D.Lgs. n. 152/1999 venne poi sostituito dall'art. 9 del D.Lgs. 18.8.2000, n. 258 ed in particolare, quanto alla lettera b), venne previsto che il calcolo della misura dei 340 chilogrammi di azoto presente negli effluenti di allevamento non fosse più da effettuarsi "al netto delle perdite di stoccaggio e distribuzione", come nel testo originario, bensì relativamente alla quantità prodotta "per un anno da computare secondo le modalità di calcolo stabilite alla Tabella 6 dell'Allegato 5".


Per gli allevamenti esistenti il nuovo criterio di assimilabilità si a applicato a partire dal 13 giugno 2002.


d) La disciplina attuale è posta dall'art. 101, 7° comma - lett. b), del D.Lgs. 3.4.2006, n. 152 (testo normativo che ha espressamente abrogato il D.Lgs. n. 152/1999, come modificato dal D.Lgs. n. 258/2000), che assimila alle "acque reflue domestiche" quelle provenienti da "imprese dedite ad allevamento di bestiame che, per quanto riguarda gli effluenti di allevamento, praticano l'utilizzazione agronomica in conformità alla disciplina regionale stabilita sulla base dei criteri e delle norme tecniche generali di cui all'art. 112, comma 2, e che dispongono di almeno un ettaro di terreno agricolo per ognuna delle quantità indicate nella Tabella 6 dell'Allegato 5 alla parte terza del presente decreto".


In detta Tabella viene fissato il "peso vivo medio corrispondente ad una produzione di 340 kg. di azoto per anno, al netto delle perdite di rimozione e stoccaggio" e detto peso, per gli ovicaprini, viene determinato in tonnellate 3,4.


Nella presente fattispecie caratterizzata dalla accertata presenza di circa mille capi di bestiame su un terreno agricolo di circa 9.000 mq. e quindi inferiore ad un ettaro - il Tribunale ha puntualmente verificato la insussistenza delle condizioni di assimilabilità alle "acque reflue domestiche" (di cui al 7° comma dell'art. 28 del. D.Lgs. n. 152/1999 ed all'art. 101, 7° comma - lett. b, del D.Lgs. n. 152/2006) ed il ricorrente non contesta il computo di tali parametri, limitandosi piuttosto ad escludere il carattere imprenditoriale del proprio allevamento, qualificandolo in termini di attività agricola piuttosto che produttiva con argomentazioni che non sono rilevanti ai fini della configurazione della contravvenzione contestata.


2. Il beneficio della sospensione condizionale della pena (soltanto pecuniaria) inflitta non è stato concesso, perchè non richiesto, sicché, sul punto, il giudice non aveva alcun obbligo di motivazione.


3. Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spesse del procedimento.


P.Q.M.


La Corte Suprema di Cassazione,

visti gli artt. 607, 615 e 616c.p.p.rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spesse processuali.


ROMA, 28.11.2006


L' estensore              Il presidente
Aldo Fiale                    Guido De Maio


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