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URBANISTICA E EDILIZIA - Opere edilizie abusive - Responsabilità del
proprietario o comproprietario dell'area - Individuazione della responsabilità
penale - Elementi. In ordine alla individuazione della responsabilità per
l'esecuzione di opere edilizie abusive, il semplice fatto di essere proprietario
o comproprietario del terreno (o comunque della superficie) sul quale vengono
svolti lavori illeciti di edificazione, pur potendo costituire un indizio grave,
non è sufficiente da solo ad affermare la responsabilità penale, nemmeno qualora
il soggetto che riveste tali qualità sia a conoscenza che altri eseguano opere
abusive sul suo fondo, essendo necessario, a tal fine, rinvenire altri elementi
in base ai quali possa ragionevolmente presumersi che egli abbia in qualche modo
concorso, anche solo moralmente, con il committente o l'esecutore dei lavori
abusivi. Pres. De Maio - Est. Fiale - Ric. Martino ed altro. CORTE DI
CASSAZIONE PENALE Sez. III, 28 febbraio 2007 (Ud. 30/11/2006), Sentenza n. 8408
URBANISTICA E EDILIZIA - Responsabilità del proprietario del terreno (o della
superficie) - Responsabilità penale - Presupposti. Ai fini della
responsabilità del proprietario dell'area per l'esecuzione di opere edilizie
abusive occorre considerare, la situazione concreta in cui si è svolta
l'attività incriminata, tenendo conto non soltanto della piena disponibilità,
giuridica e di fatto, della superficie edificata e dell'interesse specifico ad
effettuare la nuova costruzione (principio del "cui prodest") bensì pure:
dei rapporti di parentela o di affinità tra l'esecutore dell'opera abusiva ed il
proprietario; del eventuale presenza "in loco" di quest'ultimo durante
l'effettuazione dei lavori; dello svolgimento di attività di materiale vigilanza
sull'esecuzione dei lavori; della richiesta di provvedimenti abilitativi anche
in sanatoria; del regime patrimoniale fra coniugi o comproprietari e, in
definitiva, di tutte quelle situazioni e quei comportamenti, positivi o
negativi, da cui possano trarsi elementi integrativi della colpa e prove circa
la compartecipazione, anche morale, all'esecuzione delle opere, tenendo presente
pure la destinazione finale delle stesse [vedi, tra, le decisioni più recenti,
Cass., Sez. III 27.9.2000, n. 10284, Cutaia ed altro; 3.5.2001, n. 17752, Zorzi
ed altri; 10.8.2001, n. 31130, Gagliardi; 18.4.2003, n. 18756, Capasso ed altro;
2.3.2004, n. 9536, Mancuso ed altro; 28.5.2004, n. 24319, Rizzuto ed altro;
12.1.2005, n. 216, Fucciolo; 15.7.2005, n. 26121, Rosato; 2.9.2005, n. 32856,
Farzone; 12.1.2007, Catanese]. Pres. De Maio - Est. Fiale - Ric. Martino ed
altro. CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. III, 28 febbraio 2007 (Ud.
30/11/2006), Sentenza n. 8408
URBANISTICA E EDILIZIA - Costruzione abusiva - Responsabilità per la
realizzazione - Onere della prova. La responsabilità per la realizzazione di
una costruzione abusiva non prescinde, per il proprietario dell'area interessata
dal manufatto, dall'esistenza di un consapevole contributo all'integrazione
dell'illecito, ma grava sull'interessato l'onere di allegare circostanze utili a
convalidare la tesi che, nella specie, si tratti di opere realizzate da terzi a
sua insaputa e senza la sua volontà (vedi Cass., Sez. feriale, 16.9.2003, n,
35537, Vitale ed altro). Pres. De Maio - Est. Fiale - Ric. Martino ed altro.
CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. III, 28 febbraio 2007 (Ud. 30/11/2006), Sentenza
n. 8408
BENI CULTURALI E AMBIENTALI - URBANISTICA E EDILIZIA - Abusivismo in zona
sottoposta a vincolo paesaggistico - Principio della subordinazione della
sospensione condizionale della pena - Rimessione in pristino - Art. 181, 2° c.,
D.Lgs. n. 42/2004 - Art. 165 cod. pen.. Il principio della subordinazione
della sospensione condizionale della pena alla demolizione dell'opera abusiva
[rivolta a rafforzare il ravvedimento del condannato indipendentemente della
circostanza che egli sia o meno gravato da precedenti penali], (Cass. Sezioni
Unite sentenza 3.2.1997, n. 714, ric. Luongo) a maggior ragione, deve applicarsi
all'ordine di rimessione in pristino già previsto dagli art. 1 sexies della
legge n. 431/1985 e 164 del D.Lgs. 29.10,1999, n. 490 (ed attualmente dall'art.
181, 2° comma, del D.Lgs. 22.1.2004, n. 42), allorché si consideri che: è
sicuramente possibile l'utilizzazione del disposto dell'art. 165 cod. pen.,
poiché la non autorizzata immutazione dello stato dei luoghi, in zona
assoggettata a vincolo paesaggistico, ben può comportare "conseguenze dannose o
pericolose"; la sanzione specifica della rimessione ha una funzione direttamente
ripristinatoria del bene offeso e quindi si riconnette al preminente interesse
di giustizia sotteso all'esercizio stesso dell'azione penale; in relazione a
tale peculiare sanzione la Corte Costituzionale ha affermato che essa
costituisce un obbligo a carico del giudice - imposto per la più incisiva tutela
di un interesse primario della collettività per la salvaguardia del valore
ambientale predestinato dalla norma che lo prevede - e si colloca su un piano
diverso ed autonomo rispetto a quello dei poteri della Pubblica Amministrazione
e delle valutazioni della stessa, configurandosi quale conseguenza necessaria
sia dell'esigenza di recuperare l'integrità dell'interesse tutelato, sia del
giudizio di che il legislatore ha dato all'attuazione di interventi modificativi
del territorio in zone di particolare interesse ambientale. (Corte Cost., Sent.
20.7.1994, n. 318). Pres. De Maio - Est. Fiale - Ric. Martino ed altro. CORTE
DI CASSAZIONE PENALE Sez. III, 28 febbraio 2007 (Ud. 30/11/2006), Sentenza n.
8408
Pubblica Udienza del 30.11.2006
SENTENZA N.
1948
REG. GENERALE n. 27342/2006
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
Composta dagli III. mi Signori
1. Dott. Guido De Maio Presidente
2. Dott. Pierluigi Onorato
Componente
3. Dott. Aldo Fiale
Componente
4. Dott. Antonio Ianniello
Componente
5. Dott. Giovanni Amoroso
Componente
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
1. MARTINO Giuseppe, nato a
Sant'Eufemia di Aspromonte il 19.9.1941
2. FRACHEA Rosa, nata a Sant'Eufemia di Aspromonte il 21.4.1949
avverso la sentenza 8.5.2006 della
Corte di Appello di Reggio Calabria
Visti gli atti, la sentenza impugnata ed il ricorso
Udita, in pubblica udienza, la relazione fatta dal Consigliere dr. Aldo Fiale
Udito il Pubblico Ministero, in persona del dr. Vincenzo Geraci, il quale ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.
Udito il difensore, Avv.to Antonino Tripodi, il quale ha concluso chiedendo l'accoglimento del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
La Corte di Appello di Reggio
Calabria, con sentenza dell' 8.5.2006, in parziale riforma della sentenza
18.1.2005 del Tribunale monocratico di Palmi:
a) ribadiva l'affermazione della responsabilità penale di Martino Giuseppe e
Frachea Rosa in ordine ai reati di cui:
- all'art. 20, lett. c), legge n. 47/1985 (per avere realizzato, in zona
sottoposta a vincolo paesaggistico, due fabbricati in totale difformità dalla
concessione edilizia ad essi rilasciata - acc. in Sant'Eufemia d'Aspromonte, il
5.6.2002);
- all'art. 163 D.Lgs. n. 490/1999 (per avere eseguito opere edilizie senza la
prescritta autorizzazione paesaggistica);
b) dichiarava estinte per prescrizione le ulteriori contravvenzioni di cui agli
artt. 17, 18 e 20 della legge n. 64/1974; 2, 4, 13 e 14 della legge n.
1086/1971;
c) e, con le già riconosciute circostanze attenuanti generiche, essendo stati
unificati i reati nel vincolo della continuazione ex art. 81 cpv. cod. pen.,
determinava per ciascuno la pena condizionalmente sospesa - in complessivi mesi
sei arresto ed euro 12.500,00 di ammenda, confermando gli ordini di demolizione
delle opere abusive e di rimessione in pristino dello stato originario dei
luoghi;
d) confermava la subordinazione del beneficio della sospensione condizionale
della pena inflitta al Martino alle effettive demolizione e rimessione in
pristino, da eseguirsi entro 60 giorni dalla formazione del giudicato.
Avverso tale sentenza hanno proposto ricorso congiunto gli imputati, i quali
hanno eccepito, sotto i profili della violazione di legge e del vizio di
motivazione:
- la carenza assoluta di prova in ordine alla riconducibilità dell'attività di
edificazione abusiva alla Frachea;
- la erronea determinazione della pena residua, in seguito alla declaratoria di
intervenuta prescrizione di alcuni reati;
- la incongrua subordinazione del beneficio della sospensione condizionale della
pena inflitta al Martino alla effettive demolizione delle opere abusive e
rimessione in pristino dello stato originario dei luoghi, non avendo i giudici
del merito tenuto conto della sostanziale irrilevanza dei precedenti penali a
suo carico.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Il primo motivo di ricorso è infondato.
In ordine alla individuazione della responsabilità per l'esecuzione di opere
edilizie abusive deve rilevarsi che la giurisprudenza ormai assolutamente
prevalente di questa Corte Suprema - condivisa dal Collegio - è orientata nel
senso che il semplice fatto di essere proprietario o comproprietario del terreno
(o comunque della superficie) sul quale vengono svolti lavori illeciti di
edificazione, pur potendo costituire un indizio grave, non è sufficiente
da solo ad affermare la responsabilità penale, nemmeno qualora il soggetto che
riveste tali qualità sia a conoscenza che altri eseguano opere abusive sul suo
fondo, essendo necessario, a tal fine, rinvenire altri elementi in base ai quali
possa ragionevolmente presumersi che egli abbia in qualche modo concorso, anche
solo moralmente, con il committente o l'esecutore dei lavori abusivi.
Occorre considerare, in sostanza, la situazione concreta in cui si è
svolta l'attività incriminata, tenendo conto non soltanto della piena
disponibilità, giuridica e di fatto, della superficie edificata e dell'interesse
specifico ad effettuare la nuova costruzione (principio del "cui prodest")
bensì pure: dei rapporti di parentela o di affinità tra l'esecutore
dell'opera abusiva ed il proprietario; del eventuale presenza "in loco"
di quest'ultimo durante l'effettuazione dei lavori; dello svolgimento di
attività di materiale vigilanza sull'esecuzione dei lavori; della richiesta di
provvedimenti abilitativi anche in sanatoria; del regime patrimoniale fra
coniugi o comproprietari e, in definitiva, di tutte quelle situazioni e quei
comportamenti, positivi o negativi, da cui possano trarsi elementi integrativi
della colpa e prove circa la compartecipazione, anche morale,
all'esecuzione delle opere, tenendo presente pure la destinazione finale delle
stesse [vedi, tra, le decisioni più recenti, Cass., Sez. III 27.9.2000, n.
10284, Cutaia ed altro; 3.5.2001, n. 17752, Zorzi ed altri; 10.8.2001, n. 31130,
Gagliardi; 18.4.2003, n. 18756, Capasso ed altro; 2.3.2004, n. 9536, Mancuso ed
altro; 28.5.2004, n. 24319, Rizzuto ed altro; 12.1.2005, n. 216, Fucciolo;
15.7.2005, n. 26121, Rosato; 2.9.2005, n. 32856, Farzone; 12.1.2007, Catanese].
La responsabilità per la realizzazione di una costruzione abusiva non prescinde,
per il proprietario dell'area interessata dal manufatto, dall'esistenza di un
consapevole contributo all'integrazione dell'illecito, ma grava
sull'interessato l'onere di allegare circostanze utili a convalidare la tesi
che, nella specie, si tratti di opere realizzate da terzi a sua insaputa e senza
la sua volontà (vedi Cass., Sez. feriale, 16.9.2003, n, 35537, Vitale ed
altro).
2. Alla stregua di tali principi, nella fattispecie in esame, i giudici del
merito hanno fondato correttamente la responsabilità della Frachea sui
seguenti elementi:
- la concessione edilizia rispetto alla quale erano state eseguite opere
totalmente difformi (con rilevante aumento di volumetria) era stata
congiuntamente rilasciata al Martino ed alla stessa Frachea;
- entrambi detti coniugi avevano la disponibilità giuridica e di fatto del
terreno sul quale sono stati edificati i due fabbricati.
Da tali elementi a stata razionalmente dedotta la compartecipazione della
ricorrente all'esecuzione delle opere abusive, tenuto conto che ella
non solo era pienamente consapevole della realizzazione delle stesse ma era
addirittura contitolare dell'originario titolo abilitativo le cui
prescrizioni sono state eclatantemente violate e non ha comunque dimostrato di
avere posto in essere una qualsiasi concreta attività di opposizione ad una
edificazione illecita.
3. Infondato è pure il terzo motivo di ricorso.
Le Sezioni Unite di questa Corte Suprema - con la sentenza 3.2.1997, n. 714,
ric. Luongo - hanno affermato la legittimità della subordinazione della
sospensione condizionale della pena alla demolizione dell'opera abusiva [rivolta
a rafforzare il ravvedimento del condannato indipendentemente della circostanza
che egli sia o meno gravato da precedenti penali] e tale
principio, a maggior ragione, deve applicarsi all'ordine di rimessione in
pristino già previsto dagli art. 1 sexies della legge n. 431/1985 e 164
del D.Lgs. 29.10,1999, n. 490 (ed attualmente dall'art. 181, 2° comma, del D.Lgs.
22.1.2004, n. 42), allorché si consideri che:
- è sicuramente possibile l'utilizzazione del disposto dell'art. 165 cod. pen.,
poiché la non autorizzata immutazione dello stato dei luoghi, in zona
assoggettata a vincolo paesaggistico, ben può comportare "conseguenze dannose o
pericolose";
- la sanzione specifica della rimessione ha una funzione direttamente
ripristinatoria del bene offeso e quindi si riconnette al preminente interesse
di giustizia sotteso all'esercizio stesso dell' azione penale;
- in relazione a tale peculiare sanzione la Corte Costituzionale ha affermato
che essa costituisce un obbligo a carico del giudice - imposto per la più
incisiva tutela di un interesse primario della collettività per la salvaguardia
del valore ambientale predestinato dalla norma che lo prevede - e si colloca
su un piano diverso ed autonomo rispetto a quello dei poteri della Pubblica
Amministrazione e delle valutazioni della stessa, configurandosi quale
conseguenza necessaria sia dell'esigenza di recuperare l'integrità
dell'interesse tutelato, sia del giudizio di che il legislatore ha dato
all'attuazione di interventi modificativi del territorio in zone di particolare
interesse ambientale. (Corte Cost., Sent. 20.7.1994, n. 318)
4. Deve essere accolta, invece, la doglianza dei ricorrenti riferita alla
determinazione della pena inflitta a ciascuno di essi e, sul punto, la sentenza
impugnata deve essere annullata senza rinvio ben potendo questa Corte procedere
al computo esatto alla stregua dei criteri utilizzati in sede di merito.
Il Tribunale, riconoscendo la
colpevolezza degli imputati in ordine a tutti i sette reati ad essi
originariamente ascritti, aveva condannato ciascuno alla pena complessiva di
mesi sei di arresto ed euro 16.000,00 di ammenda (pena base, per la più grave
violazione dell'art. 20 lett. c), della legge n. 47/1985, fissata in mesi sei di
arresto ed euro 18.000,00 di ammenda ridotta ex art. 62 bis cod. pen, a
mesi quattro ed euro 12.000,00 ed aumentata di mesi 2 di arresto ed euro
4.000,00 per la ritenuta continuazione con altre sei fattispecie
contravvenzionali, computando così un aumento di giorni 10 ed euro 666,66 per
ciascuna di esse). La Corte territoriale ha dichiarato la prescrizione di
quattro delle contravvenzioni già unificate nel vincolo della continuazione,
sicché dalla pena inflitta dal primo giudice si sarebbero dovuti
complessivamente detrarre 40 giorni di arresto ed euro 2.666,64 di ammenda. Sono
stati detratti, invece, 3.500,00 euro di ammenda.
Tale decurtazione della pena pecuniaria non può essere modificata in senso
peggiorativo per i ricorrenti, ma la pena detentiva, rimasta incongruamente
inalterata, deve essere diminuita di mesi uno e dieci giorni.
La pena complessivamente inflitta a
ciascun imputato resta fissata, conseguentemente, in mesi quattro, giorni venti
di arresto ed euro 12.500,00 di ammenda.
P.Q.M.
la Corte Suprema di Cassazione,
visti gli artt. 607, 615 e 620 c.p.p„
annulla senza rinvio la sentenza impugnata, limitatamente alla misura della pena
detentiva, che riduce di mesi uno e dieci giorni.
Rigetta il ricorso nel resto.
ROMA, 30.11,2006
L' estensore
Il presidente
Aldo Fiale
Guido De Maio
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